Documents - 15 cited in "Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 16 luglio 2015. TOP Logistics BV e Van Caem International BV contro Bacardi Co. Ltd e Bacardi International Ltd - Bacardi & Company Ltd e Bacardi International Ltd contro TOP Logistics BV e Van Caem International BV. Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Gerechtshof Den Haag. Rinvio pregiudiziale – Marchi – Direttiva 89/104/CEE – Articolo 5 – Prodotti recanti un marchio immessi in libera pratica e assoggettati al regime di sospensione dei diritti di accisa senza il consenso del titolare del marchio – Diritto del titolare di opporsi a tale assoggettamento – Nozione di “uso in commercio”. Causa C-379/14."

Rinvio pregiudiziale, Marchi, Direttiva 89/104/CEE, Articolo 5, Prodotti recanti un marchio immessi in libera pratica e assoggettati al regime di sospensione dei diritti di accisa senza il consenso del titolare del marchio, Diritto del titolare di opporsi a tale assoggettamento, Nozione di “uso in commercio”.
Causa C-379/14 TOP Logistics BV e Van Caem International BV contro Bacardi & Company Ltd e Bacardi International Ltd e Bacardi & Company Ltd e Bacardi International Ltd contro TOP Logistics BV e Van Caem International BV (domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Gerechtshof Den Haag) «Rinvio pregiudiziale — Marchi — Direttiva 89/104/CEE — Articolo 5 — Prodotti recanti un marchio immessi in libera pratica e assoggettati al regime di sospensione dei diritti di accisa senza il consenso del titolare del marchio — Diritto del titolare di opporsi a tale assoggettamento — Nozione di “uso in commercio”» Massime – Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 16 luglio 2015 Ravvicinamento delle legislazioni – Marchi – Direttiva 89/104 – Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico o simile per prodotti o servizi identici o simili – Uso del marchio ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva – Nozione – Consegna a un depositario da parte di un operatore non titolare di un marchio, al fine della loro immissione in commercio, di merci recanti tale marchio – Inclusione [Direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, § 1, a)] Ravvicinamento delle legislazioni – Marchi – Direttiva 89/104 – Diritto del titolare di un marchio registrato di opporsi all’uso illecito del suo marchio – Segno identico o simile al marchio – Uso nel commercio – Nozione – Uso al momento dell’importazione e del deposito di prodotti da parte di un operatore economico dedito al commercio parallelo – Inclusione [Direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, § 1, a)] Ravvicinamento delle legislazioni – Marchi – Direttiva 89/104 – Diritti conferiti dal marchio – Diritto di vietare la prima immissione in commercio, nello Spazio economico europeo, di prodotti originali contrassegnati dal marchio – Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’assoggettamento al regime di sospensione dei diritti di accisa, senza il suo consenso, di prodotti immessi in libera pratica e recanti il marchio (Direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, §§ 1 e 3) Ricorre uso di un segno identico a un marchio, ai sensi dell’articolo 5 della prima direttiva 89/104 in materia di marchi d’impresa, quando l’operatore economico interessato utilizza tale segno nell’ambito della propria comunicazione commerciale. Ciò accade, ad esempio, allorché un operatore economico importa o consegna a un depositario, al fine della loro immissione in commercio, talune merci recanti un marchio di cui egli non è titolare. (v. punti 41, 42) Per quanto concerne l’espressione «nel commercio» di cui all’articolo 5 della prima direttiva 89/104 in materia di marchi d’impresa, l’uso di un segno identico a un marchio ha luogo nel commercio se si colloca nel contesto di un’attività commerciale finalizzata a un vantaggio economico e non nell’ambito privato. Ciò avviene allorché un operatore economico che si occupa di commercio parallelo di prodotti contrassegnati da un marchio importa e deposita siffatti prodotti. (v. punti 43, 44) L’articolo 5 della prima direttiva 89/104 in materia di marchi d’impresa dev’essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio registrato in uno o più Stati membri può opporsi a che un terzo assoggetti al regime di sospensione dei diritti di accisa alcune merci recanti tale marchio dopo averle importate nello Spazio economico europeo (SEE) e averle immesse in libera pratica, senza il consenso di detto titolare. In effetti, l’importazione di prodotti senza il consenso del titolare del marchio interessato e la detenzione in deposito fiscale di tali prodotti in attesa della loro immissione in consumo nell’Unione hanno l’effetto di privare il titolare di detto marchio della possibilità di controllare le modalità della prima immissione in commercio nel SEE di prodotti recanti il suo marchio. Siffatti atti pregiudicano, in tal modo, la funzione del marchio consistente nell’identificare l’impresa da cui provengono i prodotti e sotto il cui controllo è organizzata la prima immissione in commercio. Tale analisi non è inficiata dalla circostanza che talune merci importate e assoggettate al regime di sospensione dei diritti di accisa possano, poi, essere esportate in uno Stato terzo e, in tal modo, non essere mai immesse in consumo in uno Stato membro. Tale possibilità non osta all’applicazione delle regole in materia di marchi alle merci importate nell’Unione. Inoltre, la stessa esportazione costituisce del pari un atto di cui all’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 89/104. (v. punti 48-50 e dispositivo) Causa C-379/14 TOP Logistics BV e Van Caem International BV contro Bacardi & Company Ltd e Bacardi International Ltd e Bacardi & Company Ltd e Bacardi International Ltd contro TOP Logistics BV e Van Caem International BV (domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Gerechtshof Den Haag) «Rinvio pregiudiziale — Marchi — Direttiva 89/104/CEE — Articolo 5 — Prodotti recanti un marchio immessi in libera pratica e assoggettati al regime di sospensione dei diritti di accisa senza il consenso del titolare del marchio — Diritto del titolare di opporsi a tale assoggettamento — Nozione di “uso in commercio”» Massime – Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 16 luglio 2015 Ravvicinamento delle legislazioni – Marchi – Direttiva 89/104 – Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico o simile per prodotti o servizi identici o simili – Uso del marchio ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva – Nozione – Consegna a un depositario da parte di un operatore non titolare di un marchio, al fine della loro immissione in commercio, di merci recanti tale marchio – Inclusione [Direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, § 1, a)] Ravvicinamento delle legislazioni – Marchi – Direttiva 89/104 – Diritto del titolare di un marchio registrato di opporsi all’uso illecito del suo marchio – Segno identico o simile al marchio – Uso nel commercio – Nozione – Uso al momento dell’importazione e del deposito di prodotti da parte di un operatore economico dedito al commercio parallelo – Inclusione [Direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, § 1, a)] Ravvicinamento delle legislazioni – Marchi – Direttiva 89/104 – Diritti conferiti dal marchio – Diritto di vietare la prima immissione in commercio, nello Spazio economico europeo, di prodotti originali contrassegnati dal marchio – Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’assoggettamento al regime di sospensione dei diritti di accisa, senza il suo consenso, di prodotti immessi in libera pratica e recanti il marchio (Direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, §§ 1 e 3) Ricorre uso di un segno identico a un marchio, ai sensi dell’articolo 5 della prima direttiva 89/104 in materia di marchi d’impresa, quando l’operatore economico interessato utilizza tale segno nell’ambito della propria comunicazione commerciale. Ciò accade, ad esempio, allorché un operatore economico importa o consegna a un depositario, al fine della loro immissione in commercio, talune merci recanti un marchio di cui egli non è titolare. (v. punti 41, 42) Per quanto concerne l’espressione «nel commercio» di cui all’articolo 5 della prima direttiva 89/104 in materia di marchi d’impresa, l’uso di un segno identico a un marchio ha luogo nel commercio se si colloca nel contesto di un’attività commerciale finalizzata a un vantaggio economico e non nell’ambito privato. Ciò avviene allorché un operatore economico che si occupa di commercio parallelo di prodotti contrassegnati da un marchio importa e deposita siffatti prodotti. (v. punti 43, 44) L’articolo 5 della prima direttiva 89/104 in materia di marchi d’impresa dev’essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio registrato in uno o più Stati membri può opporsi a che un terzo assoggetti al regime di sospensione dei diritti di accisa alcune merci recanti tale marchio dopo averle importate nello Spazio economico europeo (SEE) e averle immesse in libera pratica, senza il consenso di detto titolare. In effetti, l’importazione di prodotti senza il consenso del titolare del marchio interessato e la detenzione in deposito fiscale di tali prodotti in attesa della loro immissione in consumo nell’Unione hanno l’effetto di privare il titolare di detto marchio della possibilità di controllare le modalità della prima immissione in commercio nel SEE di prodotti recanti il suo marchio. Siffatti atti pregiudicano, in tal modo, la funzione del marchio consistente nell’identificare l’impresa da cui provengono i prodotti e sotto il cui controllo è organizzata la prima immissione in commercio. Tale analisi non è inficiata dalla circostanza che talune merci importate e assoggettate al regime di sospensione dei diritti di accisa possano, poi, essere esportate in uno Stato terzo e, in tal modo, non essere mai immesse in consumo in uno Stato membro. Tale possibilità non osta all’applicazione delle regole in materia di marchi alle merci importate nell’Unione. Inoltre, la stessa esportazione costituisce del pari un atto di cui all’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 89/104. (v. punti 48-50 e dispositivo)
Marchi, Direttiva 2008/95/CE, Articolo 12, paragrafo 2, lettera a), Decadenza, Marchio divenuto, per il fatto dell’attività o inattività del suo titolare, la generica denominazione commerciale di un prodotto o servizio per il quale è registrato, Percezione del segno denominativo “KORNSPITZ” da parte dei venditori, da un lato, e degli utilizzatori finali, dall’altro, Perdita del carattere distintivo dal punto di vista dei soli utilizzatori finali.
Causa C-409/12 Backaldrin Österreich The Kornspitz Company GmbH contro Pfahnl Backmittel GmbH (domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Oberster Patent- und Markensenat) «Marchi — Direttiva 2008/95/CE — Articolo 12, paragrafo 2, lettera a) — Decadenza — Marchio divenuto, per il fatto dell’attività o inattività del suo titolare, la generica denominazione commerciale di un prodotto o servizio per il quale è registrato — Percezione del segno denominativo “KORNSPITZ” da parte dei venditori, da un lato, e degli utilizzatori finali, dall’altro — Perdita del carattere distintivo dal punto di vista dei soli utilizzatori finali» Massime – Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 6 marzo 2014 Ravvicinamento delle legislazioni – Marchi – Direttiva 2008/95 – Motivi di decadenza del marchio – Marchio divenuto una generica denominazione commerciale – Perdita del carattere distintivo a causa dell’attività o inattività del titolare del marchio – Valutazione alla luce della percezione del segno da parte dei soli utilizzatori finali. [Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2008/95, art. 12, § 2, a)] Ravvicinamento delle legislazioni – Marchi – Direttiva 2008/95 – Motivi di decadenza del marchio – Marchio divenuto una generica denominazione commerciale – Perdita del carattere distintivo a causa dell’attività o inattività del titolare del marchio – Nozione di inattività [Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2008/95, art. 12, § 2, a)] Ravvicinamento delle legislazioni – Marchi – Direttiva 2008/95 – Motivi di decadenza del marchio – Marchio divenuto una generica denominazione commerciale – Obbligo di accertare, prima della pronuncia della decadenza, l’eventuale esistenza di altre designazioni per il prodotto o servizio di cui trattasi – Insussistenza [Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2008/95, art. 12, § 2, a)] Fra le diverse funzioni del marchio, la funzione di indicazione d’origine ricopre un ruolo fondamentale. Essa consente di identificare il prodotto o il servizio designato dal marchio come proveniente da una determinata impresa e quindi di distinguere tale prodotto o servizio da quelli delle altre imprese. Detta impresa è quella sotto il cui controllo il prodotto o servizio viene commercializzato. Il legislatore dell’Unione europea ha sancito tale funzione essenziale del marchio disponendo, all’articolo 2 della direttiva 2008/95, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, che i segni riproducibili graficamente possono costituire un marchio a condizione ch’essi siano adatti a distinguere i prodotti o servizi di un’impresa da quelli di altre imprese. Da tale condizione vengono poi tratte talune conclusioni, in particolare agli articoli 3 e 12 della citata direttiva. Mentre il suo articolo 3 elenca i casi in cui il marchio non è idoneo, ab initio, a svolgere la funzione di indicazione di origine, l’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della medesima direttiva riguarda la situazione in cui il marchio è divenuto la generica denominazione ed ha pertanto perso il suo carattere distintivo, sicché non adempie più tale funzione. Il titolare di tale marchio può allora perdere i diritti conferitigli dall’articolo 5 della direttiva 2008/95. Vero è che chiarire se un marchio sia divenuto la generica denominazione commerciale di un prodotto o servizio per cui è registrato è una questione che deve essere valutata non solo alla luce della percezione dei consumatori o degli utilizzatori finali, bensì anche – in funzione delle caratteristiche del mercato in questione – alla luce della percezione dei professionisti, come, ad esempio, i venditori. Tuttavia, in generale la percezione dei consumatori o degli utilizzatori finali ha un ruolo determinante. La circostanza che i venditori siano consapevoli dell’esistenza del citato marchio e dell’origine che esso indica non può, di per sé, escludere tale decadenza. Pertanto, l’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95 deve essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio si espone al rischio di decadenza di tale marchio relativamente ad un prodotto per cui esso è registrato quando, per il fatto dell’attività o inattività di tale titolare, il citato marchio è divenuto la generica denominazione di detto prodotto dal punto di vista dei soli utilizzatori finali dello stesso. (v. punti 20-22, 28-30, dispositivo 1) Il legislatore dell’Unione, procedendo al contemperamento degli interessi del titolare di un marchio e di quelli dei suoi concorrenti connessi alla disponibilità dei segni, ha ritenuto, nell’adottare l’articolo 12, paragrafo 2, lettera a) della direttiva 2008/95, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, che la perdita del carattere distintivo del suddetto marchio possa essere opposta al titolare di quest’ultimo solo se essa è dovuta alla sua attività o inattività. A tal proposito, può ricadere nella nozione di «inattività» l’omesso ricorso in tempo utile, da parte del titolare di un marchio, al suo diritto esclusivo sancito all’articolo 5 di tale direttiva, al fine di chiedere all’autorità competente di vietare ai terzi interessati di usare il segno per cui sussiste un rischio di confusione con codesto marchio, poiché siffatte domande mirano a preservare il carattere distintivo del suddetto marchio. Tuttavia, a meno che non si voglia rinunciare alla ricerca dell’equilibrio descritto, detta nozione non è affatto circoscritta a questo tipo di omissione, bensì comprende tutte quelle con cui il titolare di un marchio si dimostri insufficientemente vigilante sulla preservazione del suo carattere distintivo. Quindi, in una situazione in cui i venditori del prodotto ottenuto dal preparato fornito dal titolare del marchio non informano, di norma, i loro clienti che il segno utilizzato per designare il prodotto in questione è stato registrato come marchio e contribuiscono quindi al mutamento di quest’ultimo in generica denominazione, la carenza di questo titolare, il quale non assume alcuna iniziativa diretta ad incitare questi venditori ad utilizzare maggiormente tale marchio, può essere qualificata alla stregua di inattività nell’accezione dell’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95. Pertanto, l’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95 deve essere interpretato nel senso che è possibile qualificare alla stregua di «inattività» ai sensi di tale disposizione la circostanza che il titolare di un marchio si astenga dall’incitare i venditori ad utilizzare maggiormente detto marchio per commercializzare un prodotto per cui il citato marchio è registrato. (v. punti 32-34, 36, dispositivo 2) L’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, deve essere interpretato nel senso che la pronuncia della decadenza di un marchio non presuppone che si accerti se, per un prodotto di cui detto marchio è divenuto la generica denominazione commerciale, esistano altre designazioni. Infatti, l’eventuale esistenza di designazioni alternative per il prodotto o servizio in oggetto è irrilevante poiché non può incidere sulla constatazione della perdita del carattere distintivo di tale marchio come conseguenza della trasformazione di quest’ultimo in generica denominazione commerciale. (v. punti 39, 40, dispositivo 3) Causa C-409/12 Backaldrin Österreich The Kornspitz Company GmbH contro Pfahnl Backmittel GmbH (domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Oberster Patent- und Markensenat) «Marchi — Direttiva 2008/95/CE — Articolo 12, paragrafo 2, lettera a) — Decadenza — Marchio divenuto, per il fatto dell’attività o inattività del suo titolare, la generica denominazione commerciale di un prodotto o servizio per il quale è registrato — Percezione del segno denominativo “KORNSPITZ” da parte dei venditori, da un lato, e degli utilizzatori finali, dall’altro — Perdita del carattere distintivo dal punto di vista dei soli utilizzatori finali» Massime – Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 6 marzo 2014 Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 2008/95 — Motivi di decadenza del marchio — Marchio divenuto una generica denominazione commerciale — Perdita del carattere distintivo a causa dell’attività o inattività del titolare del marchio — Valutazione alla luce della percezione del segno da parte dei soli utilizzatori finali. [Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2008/95, art. 12, § 2, a)] Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 2008/95 — Motivi di decadenza del marchio — Marchio divenuto una generica denominazione commerciale — Perdita del carattere distintivo a causa dell’attività o inattività del titolare del marchio — Nozione di inattività [Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2008/95, art. 12, § 2, a)] Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 2008/95 — Motivi di decadenza del marchio — Marchio divenuto una generica denominazione commerciale — Obbligo di accertare, prima della pronuncia della decadenza, l’eventuale esistenza di altre designazioni per il prodotto o servizio di cui trattasi — Insussistenza [Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2008/95, art. 12, § 2, a)] Fra le diverse funzioni del marchio, la funzione di indicazione d’origine ricopre un ruolo fondamentale. Essa consente di identificare il prodotto o il servizio designato dal marchio come proveniente da una determinata impresa e quindi di distinguere tale prodotto o servizio da quelli delle altre imprese. Detta impresa è quella sotto il cui controllo il prodotto o servizio viene commercializzato. Il legislatore dell’Unione europea ha sancito tale funzione essenziale del marchio disponendo, all’articolo 2 della direttiva 2008/95, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, che i segni riproducibili graficamente possono costituire un marchio a condizione ch’essi siano adatti a distinguere i prodotti o servizi di un’impresa da quelli di altre imprese. Da tale condizione vengono poi tratte talune conclusioni, in particolare agli articoli 3 e 12 della citata direttiva. Mentre il suo articolo 3 elenca i casi in cui il marchio non è idoneo, ab initio, a svolgere la funzione di indicazione di origine, l’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della medesima direttiva riguarda la situazione in cui il marchio è divenuto la generica denominazione ed ha pertanto perso il suo carattere distintivo, sicché non adempie più tale funzione. Il titolare di tale marchio può allora perdere i diritti conferitigli dall’articolo 5 della direttiva 2008/95. Vero è che chiarire se un marchio sia divenuto la generica denominazione commerciale di un prodotto o servizio per cui è registrato è una questione che deve essere valutata non solo alla luce della percezione dei consumatori o degli utilizzatori finali, bensì anche – in funzione delle caratteristiche del mercato in questione – alla luce della percezione dei professionisti, come, ad esempio, i venditori. Tuttavia, in generale la percezione dei consumatori o degli utilizzatori finali ha un ruolo determinante. La circostanza che i venditori siano consapevoli dell’esistenza del citato marchio e dell’origine che esso indica non può, di per sé, escludere tale decadenza. Pertanto, l’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95 deve essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio si espone al rischio di decadenza di tale marchio relativamente ad un prodotto per cui esso è registrato quando, per il fatto dell’attività o inattività di tale titolare, il citato marchio è divenuto la generica denominazione di detto prodotto dal punto di vista dei soli utilizzatori finali dello stesso. (v. punti 20-22, 28-30, dispositivo 1) Il legislatore dell’Unione, procedendo al contemperamento degli interessi del titolare di un marchio e di quelli dei suoi concorrenti connessi alla disponibilità dei segni, ha ritenuto, nell’adottare l’articolo 12, paragrafo 2, lettera a) della direttiva 2008/95, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, che la perdita del carattere distintivo del suddetto marchio possa essere opposta al titolare di quest’ultimo solo se essa è dovuta alla sua attività o inattività. A tal proposito, può ricadere nella nozione di «inattività» l’omesso ricorso in tempo utile, da parte del titolare di un marchio, al suo diritto esclusivo sancito all’articolo 5 di tale direttiva, al fine di chiedere all’autorità competente di vietare ai terzi interessati di usare il segno per cui sussiste un rischio di confusione con codesto marchio, poiché siffatte domande mirano a preservare il carattere distintivo del suddetto marchio. Tuttavia, a meno che non si voglia rinunciare alla ricerca dell’equilibrio descritto, detta nozione non è affatto circoscritta a questo tipo di omissione, bensì comprende tutte quelle con cui il titolare di un marchio si dimostri insufficientemente vigilante sulla preservazione del suo carattere distintivo. Quindi, in una situazione in cui i venditori del prodotto ottenuto dal preparato fornito dal titolare del marchio non informano, di norma, i loro clienti che il segno utilizzato per designare il prodotto in questione è stato registrato come marchio e contribuiscono quindi al mutamento di quest’ultimo in generica denominazione, la carenza di questo titolare, il quale non assume alcuna iniziativa diretta ad incitare questi venditori ad utilizzare maggiormente tale marchio, può essere qualificata alla stregua di inattività nell’accezione dell’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95. Pertanto, l’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95 deve essere interpretato nel senso che è possibile qualificare alla stregua di «inattività» ai sensi di tale disposizione la circostanza che il titolare di un marchio si astenga dall’incitare i venditori ad utilizzare maggiormente detto marchio per commercializzare un prodotto per cui il citato marchio è registrato. (v. punti 32-34, 36, dispositivo 2) L’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, deve essere interpretato nel senso che la pronuncia della decadenza di un marchio non presuppone che si accerti se, per un prodotto di cui detto marchio è divenuto la generica denominazione commerciale, esistano altre designazioni. Infatti, l’eventuale esistenza di designazioni alternative per il prodotto o servizio in oggetto è irrilevante poiché non può incidere sulla constatazione della perdita del carattere distintivo di tale marchio come conseguenza della trasformazione di quest’ultimo in generica denominazione commerciale. (v. punti 39, 40, dispositivo 3)
Marchi, Direttiva 89/104/CEE, Art. 5, n. 1, lett. b), Riempimento di lattine già provviste di un segno simile a quello di un marchio, Prestazione di servizio su incarico e secondo le direttive di un terzo, Azione del titolare del marchio contro il prestatore.
Parole chiave Massima Parole chiave Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico o simile per prodotti o servizi identici o simili — Uso del marchio ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva — Nozione [Direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 1, lett. b)] Massima L’art. 5, n. 1, lett. b), della prima direttiva 89/104 in materia di marchi d’impresa deve essere interpretato nel senso che un prestatore di servizi che, su incarico e secondo le direttive di un terzo, riempie confezioni fornitegli dal terzo medesimo, il quale vi ha fatto precedentemente apporre un segno identico o simile a un segno tutelato come marchio, non fa a sua volta un uso di tale segno che può essere vietato ai sensi della suddetta disposizione. Allorché siffatto prestatore consente ai suoi clienti di fare uso di segni simili a marchi, il suo ruolo non può essere valutato alla luce delle disposizioni della direttiva 89/104, ma va, eventualmente, esaminato nella prospettiva di altre norme di diritto. Peraltro, la conclusione secondo cui il titolare di un marchio non può agire, sul solo fondamento della direttiva 89/104, nei confronti del prestatore di servizio non determina affatto la conseguenza di consentire al cliente di tale prestatore di aggirare la tutela offerta al suddetto titolare dalla direttiva in esame, scindendo il processo di produzione ed affidando i vari elementi di tale processo a prestatori di servizi. Dette prestazioni potrebbero, infatti, essere imputabili al citato cliente, il quale rimane dunque responsabile ai sensi della suddetta direttiva. (v. punti 35-37 e dispositivo)
Marchi, Pubblicità su Internet a partire da parole chiave ("keyword advertising"), Selezione, da parte dell’inserzionista, di una parola chiave corrispondente ad un marchio che gode di notorietà di un concorrente, Direttiva 89/104/CEE, Art. 5, nn. 1, lett. a), e 2, Regolamento (CE) n. 40/94, Art. 9, n. 1, lett. a) e c), Condizione della violazione di una delle funzioni del marchio, Pregiudizio arrecato al carattere distintivo di un marchio che gode di notorietà ("diluizione"), Profitto indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà di tale marchio ("parassitismo").
Parole chiave Massima Parole chiave 1. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Obiettivo — Limiti [Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9, n. 1, lett. a); direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 1, lett. a)] 2. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Pubblicità nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet [Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9, n. 1, lett. a); direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 1, lett. a)] 3. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Marchio notorio — Pubblicità nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet [Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9, n. 1, lett. c); direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 2] Massima 1. Si evince dalla formulazione dell’art. 5, n. 1, della prima direttiva 89/104, in materia di marchi, e dal decimo considerando di quest’ultima che il diritto degli Stati membri è stato armonizzato nel senso che il diritto esclusivo conferito da un marchio offre al titolare di quest’ultimo una protezione «assoluta» contro l’uso fatto da terzi di segni identici a tale marchio per prodotti o servizi identici, mentre, laddove non sussista questa duplice identità, solo l’esistenza di un rischio di confusione consente al titolare di far utilmente valere il proprio diritto esclusivo. Tale distinzione tra la tutela offerta dal n. 1, lett. a), di detto articolo e quella enunciata nella disposizione di cui alla lett. b) del medesimo n. 1 è stata riproposta, per quanto riguarda il marchio comunitario, dal settimo considerando e dall’art. 9, n. 1, del regolamento n. 40/94, sul marchio comunitario. Pur se il legislatore dell’Unione ha qualificato come «assoluta» la tutela contro l’uso non consentito di segni identici ad un marchio per prodotti o servizi identici a quelli per i quali tale marchio è stato registrato, la Corte ha contestualizzato tale qualificazione rilevando che, per quanto importante essa possa essere, la protezione offerta dall’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 mira solo a consentire al titolare del marchio di tutelare i propri interessi specifici in quanto titolare di quest’ultimo, ossia a garantire che il marchio possa adempiere le sue proprie funzioni. La Corte ha da ciò ricavato che l’esercizio del diritto esclusivo conferito dal marchio deve essere riservato ai casi in cui l’uso del segno da parte di un terzo pregiudichi o possa pregiudicare le funzioni del marchio e, in particolare, la sua funzione essenziale di garantire ai consumatori la provenienza del prodotto. Siffatta interpretazione degli artt. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94 è stata precisata nel senso che tali disposizioni consentono al titolare del marchio di invocare il proprio diritto esclusivo in caso di violazione o di rischio di violazione di una delle funzioni del marchio, che si tratti della funzione essenziale di indicazione d’origine del prodotto o del servizio contrassegnato dal marchio oppure di una delle altre funzioni di quest’ultimo, quali quelle consistenti nel garantire la qualità di detto prodotto o servizio, oppure di comunicazione, investimento o pubblicità. È vero che si presuppone che un marchio soddisfi sempre la propria funzione di indicazione d’origine, mentre esso garantisce le proprie altre funzioni solo nei limiti in cui il suo titolare lo sfrutti in tal senso, in particolare a fini di pubblicità o di investimento. Nondimeno tale differenza tra la funzione essenziale del marchio e le altre funzioni di quest’ultimo non può in alcun modo giustificare il fatto che, allorché un marchio soddisfa una o più di tali altre funzioni, violazioni di quest’ultime siano escluse dall’ambito di applicazione degli artt. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94. Analogamente, non si può considerare che solo i marchi che godono di notorietà possano avere funzioni diverse da quelle dell’indicazione d’origine. (v. punti 36-38, 40) 2. Gli artt. 5, n. 1, lett. a), della prima direttiva 89/104, in materia di marchi, e 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94, sul marchio comunitario, devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio ha il diritto di vietare ad un concorrente di fare pubblicità – a partire da una parola chiave identica a detto marchio che tale concorrente, senza il consenso del titolare del marchio, ha scelto nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet – a prodotti o servizi identici a quelli per i quali tale marchio è stato registrato, quando il predetto uso è idoneo a violare una delle funzioni del marchio. Siffatto uso: – viola la funzione di indicazione d’origine del marchio allorché la pubblicità che compare a partire dalla suddetta parola chiave non consente o consente solo difficilmente all’utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento di sapere se i prodotti o i servizi menzionati nell’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo oppure, al contrario, da un terzo; – non viola, nell’ambito di un servizio di posizionamento quale Adwords, la funzione di pubblicità del marchio; – viola la funzione di investimento del marchio ove intralci in modo sostanziale l’utilizzo, da parte del titolare in questione, del proprio marchio per acquisire o mantenere una reputazione idonea ad attirare i consumatori e a renderli fedeli. Quanto alla funzione di indicazione d’origine, qualora l’annuncio del terzo adombri l’esistenza di un collegamento economico tra tale terzo e il titolare del marchio, si dovrà concludere che sussiste una violazione della funzione di indicazione d’origine di detto marchio. Analogamente, qualora l’annuncio, pur non adombrando l’esistenza di un collegamento economico, sia talmente vago sull’origine dei prodotti o dei servizi in questione che un utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento non sia in grado di sapere, sulla base del link promozionale e del messaggio commerciale ad esso allegato, se l’inserzionista sia un terzo rispetto al titolare del marchio o, al contrario, sia economicamente collegato a quest’ultimo, si deve concludere che sussiste violazione di detta funzione del marchio. In relazione alla funzione di pubblicità, il solo fatto che l’uso, da parte di un terzo, di un segno identico ad un marchio per prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio in questione è stato registrato costringa il titolare di tale marchio ad intensificare i propri sforzi pubblicitari per mantenere o aumentare la propria visibilità presso i consumatori non è sufficiente, in tutti i casi, a far concludere che sussista una violazione della funzione di pubblicità di detto marchio. In proposito, pur se il marchio costituisce un elemento essenziale del sistema di concorrenza non falsato che il diritto dell’Unione intende istituire, esso non ha tuttavia lo scopo di proteggere il suo titolare dalle pratiche che sono intrinseche al gioco della concorrenza. Orbene, la pubblicità su Internet a partire da parole chiave corrispondenti a marchi costituisce una pratica siffatta, in quanto, in generale, essa ha meramente lo scopo di proporre agli utenti di Internet alternative rispetto ai prodotti o ai servizi dei titolari di detti marchi. Per quanto riguarda la funzione di investimento, non si può ammettere che il titolare di un marchio possa opporsi a che un concorrente faccia, in condizioni di concorrenza leale e rispettosa della funzione di indicazione d’origine del marchio, uso di un segno identico a quest’ultimo per prodotti o servizi identici a quelli per i quali tale marchio è stato registrato, qualora siffatto uso abbia come sola conseguenza di costringere il titolare dello stesso marchio ad adeguare i propri sforzi per acquisire o mantenere una reputazione idonea ad attirare i consumatori e a renderli fedeli. Analogamente, la circostanza che detto uso induca taluni consumatori ad abbandonare i prodotti o servizi contrassegnati da tale marchio non può essere utilmente fatta valere dal titolare del marchio stesso. (v. punti 45, 57-58, 62, 64, 66, dispositivo 1) 3. Gli artt. 5, n. 2, della prima direttiva 89/104, in materia di marchi, e 9, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, sul marchio comunitario, devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio che gode di notorietà ha il diritto di vietare ad un concorrente di fare pubblicità a partire da una parola chiave corrispondente a tale marchio che il suddetto concorrente, senza il consenso del titolare del marchio, ha scelto nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet, qualora detto concorrente tragga così indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio (parassitismo) oppure qualora tale pubblicità arrechi pregiudizio a detto carattere distintivo (diluizione) o a detta notorietà (corrosione). Un annuncio pubblicitario a partire da una parola chiave siffatta arreca pregiudizio al carattere distintivo del marchio che gode di notorietà (diluizione), in particolare, ove contribuisca a trasformare la natura di tale marchio rendendolo un termine generico. Per contro, il titolare di un marchio che gode di notorietà non può vietare, in particolare, annunci pubblicitari fatti comparire dai suoi concorrenti a partire da parole chiave che corrispondono a detto marchio e propongono, senza offrire una semplice imitazione dei prodotti o dei servizi del titolare di tale marchio, senza provocare una diluizione o una corrosione e senza peraltro arrecare pregiudizio alle funzioni di detto marchio che gode di notorietà, un’alternativa rispetto ai prodotti o ai servizi del titolare di detto marchio. (v. punti 93-95, dispositivo 2)
Marchi, Internet, Offerta in vendita, in un mercato online destinato ai consumatori nell’Unione, di prodotti contrassegnati da un marchio destinati, dal titolare, ad essere venduti negli Stati terzi, Eliminazione dell’imballaggio di detti prodotti, Direttiva 89/104/CEE, Regolamento (CE) n. 40/94, Responsabilità del gestore del mercato online, Direttiva 2000/31/CE ("direttiva sul commercio elettronico"), Ingiunzioni giudiziarie nei confronti di tale gestore, Direttiva 2004/48/CE ("direttiva sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale").
Parole chiave Massima Parole chiave 1. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Uso del marchio ai sensi degli artt. 9 del regolamento e 5 della direttiva — Vendita, offerta in vendita o pubblicità, di prodotti che si trovano in uno Stato terzo, in un mercato online destinato ai consumatori nell’Unione (Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9; direttiva del Consiglio 89/104, art. 5) 2. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Esaurimento del diritto conferito dal marchio — Presupposti — Prodotto immesso sul mercato nella Comunità o nello Spazio economico europeo (Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 13, n. 1; direttiva del Consiglio 89/104, art. 7, n. 1) 3. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Uso del marchio ai sensi degli artt. 9 del regolamento e 5 della direttiva — Rivendita di profumi o di prodotti cosmetici privati dell’imballaggio (Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9; direttive del Consiglio 76/768, art. 6, n. 1, e 89/104, art. 5) 4. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Uso del marchio ai sensi degli artt. 9 del regolamento e 5 della direttiva — Pubblicità nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet [Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9, n. 1, lett. a); direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 1, lett. a)] 5. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Uso del marchio ai sensi degli artt. 9 del regolamento e 5 della direttiva — Nozione — Gestione di un mercato online — Esclusione (Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9; direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2000/31, artt. 12-15; direttiva del Consiglio 89/104, art. 5) 6. Ravvicinamento delle legislazioni — Commercio elettronico — Direttiva 2000/31 — Responsabilità dei prestatori intermedi — Hosting (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2000/31, art. 14, n. 1) 7. Ravvicinamento delle legislazioni — Rispetto dei diritti di proprietà intellettuale — Direttiva 2004/48 — Misure, procedure e mezzi di ricorso — Misure adottate a seguito di decisione sul merito (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2004/48, art. 11) Massima 1. Allorché prodotti che si trovano in uno Stato terzo – recanti un marchio registrato in uno Stato membro dell’Unione o un marchio comunitario e non commercializzati precedentemente nello Spazio economico europeo o, nel caso di marchio comunitario, non commercializzati precedentemente nell’Unione – sono venduti da un operatore economico, attraverso un mercato online e senza il consenso del titolare di detto marchio ad un consumatore che si trova nel territorio per il quale il marchio di cui trattasi è stato registrato, o sono oggetto di un’offerta in vendita o di pubblicità in un mercato siffatto destinata a consumatori che si trovino nel suddetto territorio, il titolare del marchio può opporsi alla vendita, all’offerta in vendita o alla pubblicità summenzionate in forza delle norme di cui all’art. 5 della prima direttiva 89/104, in materia di marchi, o all’art. 9 del regolamento n. 40/94, sul marchio comunitario. È compito dei giudici nazionali valutare caso per caso se sussistano elementi pertinenti per concludere che un’offerta in vendita o una pubblicità che compare in un mercato online accessibile in detto territorio sia destinata a consumatori che si trovano in quest’ultimo. Le norme della direttiva 89/104 e del regolamento n. 40/94 si applicano dal momento in cui appare evidente che l’offerta in vendita del prodotto contrassegnato da un marchio che si trova in uno Stato terzo è destinata a consumatori che si trovano nel territorio per il quale il marchio è stato registrato. In caso contrario, infatti, gli operatori che fanno ricorso al commercio elettronico, proponendo in vendita, in un mercato online destinato a consumatori che si trovano nell’Unione, prodotti contrassegnati da un marchio che si trovano in uno Stato terzo, che possono essere visualizzati sullo schermo e ordinati mediante detto mercato online, non avrebbero, relativamente alle offerte in vendita di questo tipo, nessun obbligo di conformarsi alle norme dell’Unione in materia di proprietà intellettuale. Una situazione del genere vanificherebbe l’effetto utile di tali norme. In proposito, ai sensi dell’art. 5, n. 3, lett. b) e d), della direttiva 89/104 e dell’art. 9, n. 2, lett. b) e d), del regolamento n. 40/94, l’uso, da parte di terzi, di segni identici o simili a marchi al quale possono opporsi i titolari di questi ultimi comprende l’uso di detti segni nelle offerte in vendita e nella pubblicità. Sarebbe pregiudicata l’efficacia di tali norme qualora l’uso, in un’offerta in vendita o in una pubblicità su Internet destinata a consumatori che si trovano nell’Unione, di un segno identico o simile a un marchio registrato nell’Unione fosse sottratto all’applicazione di tali norme per il solo fatto che il terzo all’origine di detta offerta o pubblicità sia stabilito in uno Stato terzo, che il server del sito Internet da lui utilizzato si trovi in tale Stato o ancora che il prodotto oggetto di detta offerta o pubblicità si trovi in uno Stato terzo. Nondimeno, la mera accessibilità di un sito Internet nel territorio per il quale il marchio è stato registrato non è sufficiente per concludere che le offerte in vendita che compaiono in esso sono destinate a consumatori che si trovano in tale territorio. Infatti, laddove l’accessibilità in tale territorio di un mercato online fosse sufficiente a far sì che gli annunci che compaiono in quest’ultimo rientrino nell’ambito di applicazione della direttiva 89/104 e del regolamento n. 40/94, sarebbero indebitamente assoggettati al diritto dell’Unione siti e annunci che, pur essendo manifestamente destinati esclusivamente a consumatori situati in Stati terzi, sono tuttavia tecnicamente accessibili nel territorio dell’Unione. (v. punti 61-64, 67, dispositivo 1) 2. La fornitura da parte del titolare di un marchio ai propri distributori autorizzati di articoli recanti tale marchio, destinati alla dimostrazione ai consumatori nei punti vendita autorizzati, nonché di flaconi recanti detto marchio, dai quali possono essere prelevate piccole quantità di prodotto da fornire ai consumatori quali campioni gratuiti, non costituisce, in mancanza di elementi probatori contrari, un’immissione in commercio ai sensi della direttiva 89/104, in materia di marchi, o del regolamento n. 40/94, sul marchio comunitario. (v. punto 73, dispositivo 2) 3. L’art. 5 della prima direttiva 89/104, in materia di marchi, e l’art. 9 del regolamento n. 40/94, sul marchio comunitario, devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio può, in forza del diritto esclusivo conferitogli da quest’ultimo, opporsi alla rivendita di profumi o di prodotti cosmetici per il fatto che il rivenditore ha eliminato l’imballaggio di tali prodotti, qualora in conseguenza della rimozione di tale imballaggio informazioni essenziali, come quelle relative all’identificazione del produttore o del responsabile dell’immissione in commercio del prodotto cosmetico, risultino mancanti. Nel caso in cui la rimozione dell’imballaggio non abbia condotto a siffatta mancanza di informazioni, il titolare del marchio può nondimeno opporsi a che un profumo o un prodotto cosmetico contrassegnato dal marchio di cui è titolare sia rivenduto privato dell’imballaggio, laddove dimostri che la rimozione dell’imballaggio ha arrecato pregiudizio all’immagine del prodotto in questione e quindi alla reputazione del marchio. In considerazione della varietà di gamme di profumi e di prodotti cosmetici, la questione se la rimozione dell’imballaggio di un prodotto del genere pregiudichi l’immagine di quest’ultimo e, quindi, la reputazione del marchio da cui è contrassegnato va esaminata caso per caso. Infatti, l’aspetto di un profumo o di un prodotto cosmetico senza imballaggio può talvolta trasmettere efficacemente l’immagine di prestigio e di lusso di tale prodotto, mentre, in altri casi, l’eliminazione di detto imballaggio ha proprio la conseguenza di arrecare pregiudizio a tale immagine. Un pregiudizio siffatto può aversi allorché l’imballaggio contribuisce, a pari titolo o più del flacone o del contenitore, alla presentazione dell’immagine del prodotto creata dal titolare del marchio e dai suoi distributori autorizzati. È del pari possibile che l’assenza di talune o di tutte le informazioni richieste dall’art. 6, n. 1, della direttiva 76/768, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici, arrechi pregiudizio all’immagine del prodotto. Incombe al titolare del marchio comprovare la sussistenza degli elementi costitutivi di tale pregiudizio. Inoltre, avendo la funzione essenziale di garantire al consumatore l’identità d’origine del prodotto, il marchio serve proprio ad attestare che tutti i prodotti da esso contrassegnati sono stati fabbricati o forniti sotto il controllo di un’unica impresa alla quale può essere attribuita la responsabilità della loro qualità. Orbene, allorché talune informazioni richieste per legge, come quelle relative all’identificazione del produttore o del responsabile dell’immissione in commercio del prodotto cosmetico, sono mancanti, è pregiudicata la funzione di indicazione di origine del marchio, in quanto quest’ultimo è privato del suo effetto essenziale consistente nel garantire che i prodotti da esso contrassegnati sono forniti sotto il controllo di un’unica impresa alla quale può essere attribuita la responsabilità della loro qualità. Peraltro, la questione se l’offerta in vendita o la vendita di prodotti recanti un marchio privati del loro imballaggio e quindi di talune informazioni richieste ai sensi dell’art. 6, n. 1, della direttiva 76/768 sia o meno penalmente perseguibile in diritto nazionale non può avere influenza sull’applicabilità delle norme dell’Unione in materia di tutela dei marchi. (v. punti 78-83, dispositivo 3) 4. L’art. 5, n. 1, lett. a), della prima direttiva 89/104, in materia di marchi, e l’art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94, sul marchio comunitario, devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio può vietare al gestore di un mercato online di fare pubblicità, partendo da una parola chiave identica a tale marchio selezionata da tale gestore nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet, ai prodotti recanti detto marchio messi in vendita nel suddetto mercato, qualora siffatta pubblicità non consenta, o consenta soltanto difficilmente, all’utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento di sapere se tali prodotti o servizi provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo oppure, al contrario, da un terzo. Laddove il gestore di un mercato online abbia utilizzato parole chiave corrispondenti a marchi per promuovere offerte in vendita di prodotti contrassegnati da marchio provenienti dai suoi clienti venditori, egli ne ha fatto uso per prodotti o servizi identici a quelli per i quali tali marchi sono stati registrati. In proposito, l’espressione «per prodotti o servizi» non si riferisce esclusivamente ai prodotti o ai servizi del terzo che fa uso dei segni corrispondenti ai marchi, ma può riguardare anche i prodotti o i servizi di altre persone. La circostanza, infatti, che un operatore economico utilizzi un segno corrispondente ad un marchio per prodotti che non gli appartengono, nel senso che egli non dispone di alcun titolo su di essi, di per sé non impedisce che detto uso rientri nell’ambito dell’art. 5 della direttiva 89/104 e dell’art. 9 del regolamento n. 40/94. Proprio con riferimento ad una situazione in cui il fornitore di un servizio fa uso di un segno corrispondente ad un marchio altrui per promuovere prodotti che uno dei propri clienti commercializza grazie a tale servizio, un siffatto uso rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 e dell’art. 9, n. 1, del regolamento n. 40/94, laddove ciò avvenga in modo tale da creare un nesso tra detto segno e tale servizio. (v. punti 91-92, 97, dispositivo 4) 5. Il gestore di un mercato online non fa «uso», ai sensi dell’art. 5 della prima direttiva 89/104, in materia di marchi, e dell’art. 9 del regolamento n. 40/94, sul marchio comunitario, dei segni identici o simili a marchi che figurano in offerte in vendita che compaiono sul suo sito. Infatti, l’esistenza di un «uso» di un segno identico o simile al marchio del titolare da parte di un terzo, ai sensi dell’art. 5 della direttiva 89/104 e dell’art. 9 del regolamento n. 40/94, comporta, quanto meno, che quest’ultimo utilizzi il segno nell’ambito della propria comunicazione commerciale. Orbene, nei limiti in cui tale terzo fornisce un servizio consistente nel permettere ai propri clienti di far comparire, nell’ambito delle loro attività commerciali quali le loro offerte in vendita, segni corrispondenti a marchi sul proprio sito, non è lui stesso a fare, su tale sito, un uso dei detti segni nel senso indicato dalla summenzionata normativa dell’Unione. Ne consegue che l’uso di segni identici o simili a marchi in offerte in vendita che compaiono in un mercato online ha luogo ad opera dei clienti venditori del gestore di tale mercato e non ad opera del gestore stesso. Nei limiti in cui consente ai propri clienti di fare tale uso, il ruolo del gestore del mercato online non può essere valutato alla luce delle disposizioni della direttiva 89/104 e del regolamento n. 40/94, ma deve essere esaminato nella prospettiva di altre norme di diritto, quali quelle enunciate nella direttiva 2000/31, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («direttiva sul commercio elettronico»), specificamente alla sezione 4 del capo II della medesima, che riguarda la «responsabilità dei prestatori intermediari» nel commercio elettronico e che comprende gli artt. 12-15 della stessa direttiva. (v. punti 102-105, dispositivo 5) 6. L’art. 14, n. 1, della direttiva 2000/31, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («direttiva sul commercio elettronico»), deve essere interpretato nel senso che esso si applica al gestore di un mercato online qualora non abbia svolto un ruolo attivo che gli permetta di avere conoscenza o controllo circa i dati memorizzati. Detto gestore svolge un ruolo siffatto allorché presta un’assistenza che consiste in particolare nell’ottimizzare la presentazione delle offerte in vendita di cui trattasi o nel promuoverle. Quando non ha svolto un ruolo attivo nel senso indicato al paragrafo precedente e dunque la sua prestazione di servizio rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 14, n. 1, della direttiva 2000/31, il gestore di un mercato online, in una causa che può comportare una condanna al pagamento di un risarcimento dei danni, non può tuttavia avvalersi dell’esonero dalla responsabilità previsto nella suddetta disposizione qualora sia stato al corrente di fatti o circostanze in base ai quali un operatore economico diligente avrebbe dovuto constatare l’illiceità delle offerte in vendita di cui trattasi e, nell’ipotesi in cui ne sia stato al corrente, non abbia prontamente agito conformemente al n. 1, lett. b), del suddetto art. 14. (v. punti 123-124, dispositivo 6) 7. L’art. 11, terza frase, della direttiva 2004/48, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, deve essere interpretato nel senso che esso impone agli Stati membri di far sì che gli organi giurisdizionali nazionali competenti in materia di tutela dei diritti di proprietà intellettuale possano ingiungere al gestore di un mercato online di adottare provvedimenti che contribuiscano non solo a far cessare le violazioni di tali diritti ad opera degli utenti di detto mercato, ma anche a prevenire nuove violazioni della stessa natura. Tali ingiunzioni devono essere efficaci, proporzionate, dissuasive e non devono creare ostacoli al commercio legittimo. (v. punto 144, dispositivo 7)
Art. 104, n. 3, primo comma, del regolamento di procedura, Marchi, Direttiva 89/104/CEE, Diritto del titolare di un marchio di opporsi alla prima immissione in commercio nel SEE, senza il suo consenso, di prodotti recanti tale marchio.
Parole chiave Massima Parole chiave 1. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 89/104 — Diritti conferiti dal marchio — Diritto di vietare l’importazione o l’esportazione dei prodotti contrassegnati dal marchio — Nozione di «importazione» [Direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 3, lett. c)] 2. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 89/104 — Diritti conferiti dal marchio — Diritto di vietare la prima immissione in commercio, nello Spazio economico europeo, di prodotti originali contrassegnati dal marchio (Direttiva del Consiglio 89/104, artt. 5 e 7, n. 1) Massima 1. Nell’ipotesi in cui prodotti originali spediti verso uno Stato membro a partire da uno Stato terzo non siano ancora stati immessi in libera pratica, ma siano posti in regime di deposito doganale, non sussiste «importazione» ai sensi dell’art. 5, n. 3, lett. c), della prima direttiva 89/104, sui marchi. (v. punto 18) 2. La prima direttiva 89/104, sui marchi, non può essere interpretata nel senso che essa lasci agli Stati membri la facoltà di stabilire, nel loro diritto nazionale, l’esaurimento dei diritti conferiti dal marchio per prodotti posti in commercio in Stati terzi. L’effetto della direttiva è quello di limitare l’esaurimento del diritto attribuito al titolare del marchio ai soli casi in cui i prodotti siano immessi in commercio nello Spazio economico europeo (SEE) e di permettere così a detto titolare di controllare la prima immissione sul mercato nel SEE dei prodotti contrassegnati dal suo marchio. Ne consegue che, quando prodotti recanti un marchio non sono stati precedentemente immessi in commercio nel SEE dal titolare di tale marchio o con il suo consenso, l’art. 5 della direttiva attribuisce a detto titolare del marchio un diritto esclusivo che gli consente di vietare a qualsiasi terzo, segnatamente, d’importare i suddetti prodotti, di offrirli in vendita, di commercializzarli ovvero di detenerli a tali fini. Dunque, l’art. 5 della direttiva dev’essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio può opporsi alla prima immissione in commercio nel SEE, senza il suo consenso, di prodotti originali recanti tale marchio. (v. punti 22-24, 26 e dispositivo)
Marchi, Internet, Motore di ricerca, Pubblicità a partire da parole chiave ("keyword advertising"), Visualizzazione, a partire da parole chiave corrispondenti a marchi di impresa, di link verso siti di concorrenti dei titolari di detti marchi ovvero verso siti sui quali sono offerti prodotti di imitazione, Direttiva 89/104/CEE, Art. 5, Regolamento (CE) n. 40/94, Art. 9, Responsabilità del gestore del motore di ricerca, Direttiva 2000/31/CE ("direttiva sul commercio elettronico").
Parole chiave Massima Parole chiave 1. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Uso del marchio ai sensi degli artt. 9, n. 1, del regolamento e 5, nn. 1 e 2, della direttiva (Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9, n. 1; direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, nn. 1 e 2) 2. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Uso del marchio ai sensi degli artt. 9, n. 1, lett. a), del regolamento e 5, n. 1, lett. a), della direttiva [Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9, n. 1, lett. a); direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 1, lett. a)] 3. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Pubblicità nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet [Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9, n. 1, lett. a); direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 1, lett. a)] 4. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Pubblicità nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet [Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9, n. 1, lett. a); direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 1, lett. a)] 5. Ravvicinamento delle legislazioni — Commercio elettronico — Direttiva 2000/31 — Responsabilità dei prestatori intermedi (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2000/31, art. 14) Massima 1. Il prestatore di un servizio di posizionamento su Internet che memorizzi come parola chiave un segno identico a un marchio e organizzi, a partire da quest’ultima, la visualizzazione di annunci non fa un uso di tale segno ai sensi dell’art. 5, nn. 1 e 2, della direttiva 89/104 sui marchi d’impresa o dell’art. 9, n. 1, del regolamento n. 40/94 sul marchio comunitario. È pacifico che tale prestatore esercita un’attività commerciale e mira a un vantaggio economico quando memorizza, per conto di taluni suoi clienti, segni identici a marchi come parole chiave e, a partire dalle stesse, organizza la visualizzazione di annunci. È altresì pacifico che tale servizio non è fornito soltanto ai titolari di detti marchi o agli operatori abilitati a commercializzare i prodotti o i servizi degli stessi, ma esso avviene senza il consenso dei titolari ed è fornito a concorrenti degli stessi o ad imitatori. Benché da tali elementi risulti chiaramente che il prestatore del servizio di posizionamento opera «nel commercio» quando consente agli inserzionisti di selezionare, quali parole chiave, segni identici a marchi, quando memorizza tali segni e quando visualizza a partire da questi ultimi gli annunci dei propri clienti, ciò non significa che lo stesso prestatore faccia un «uso» di tali segni ai sensi degli artt. 5 della direttiva 89/104 e 9 del regolamento n. 40/94. L’uso di un segno identico o simile al marchio del titolare da parte di un terzo comporta, quanto meno, che quest’ultimo utilizzi il segno nell’ambito della propria comunicazione commerciale. Nel caso del prestatore di un servizio di posizionamento, quest’ultimo consente ai propri clienti di usare segni identici o simili a marchi, senza fare egli stesso uso di detti segni. Tale conclusione non può essere smentita dal fatto che il prestatore percepisca un compenso per l’uso di detti segni da parte dei suoi clienti. Infatti, la circostanza che si creino le condizioni tecniche necessarie per l’uso di un segno e si percepisca un compenso per tale servizio, non significa che colui che fornisce tale servizio faccia a sua volta uso di detto segno. (v. punti 53-57, 105, dispositivo 2) 2. L’uso come parola chiave che l’inserzionista fa del segno identico al marchio di un concorrente nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet affinché l’utente conosca non soltanto i prodotti o i servizi offerti da tale concorrente ma anche quelli di detto inserzionista, è un uso per i prodotti o i servizi di tale inserzionista. Peraltro, si ha uso «per prodotti o servizi» anche nel caso in cui, attraverso il proprio uso del segno identico al marchio come parola chiave, l’inserzionista non miri a presentare i propri prodotti o servizi agli utenti di Internet come un’alternativa rispetto ai prodotti o ai servizi del titolare del marchio, ma, al contrario, intenda indurre in errore gli utenti di Internet sull’origine dei propri prodotti o servizi, lasciando credere loro che gli stessi provengono dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente legata a quest’ultimo. Infatti, un uso del genere esiste comunque quando il terzo usa il segno identico al marchio in modo tale da creare un legame tra detto segno e i prodotti commercializzati o i servizi forniti dal terzo. Ne deriva che l’impiego da parte dell’inserzionista di un segno identico al marchio, come parola chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet, rientra nella nozione di uso «per prodotti o servizi» ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 sui marchi d’impresa. (v. punti 71-73) 3. Gli artt. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104, sui marchi d’impresa, e 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94 sul marchio comunitario, devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio può vietare ad un inserzionista di fare pubblicità – a partire da una parola chiave identica a detto marchio, selezionata da tale inserzionista nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet senza il consenso dello stesso titolare – a prodotti o servizi identici a quelli per cui detto marchio è registrato, qualora la pubblicità di cui trattasi non consenta, o consenta soltanto difficilmente, all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi indicati nell’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente connessa a quest’ultimo o invece da un terzo. Infatti, in una situazione del genere, caratterizzata del resto dal fatto che l’annuncio in questione appare subito dopo che l’utente di Internet interessato abbia inserito il marchio come parola da ricercare ed è visualizzato in un momento in cui il marchio, in qualità di parola da ricercare, è parimenti indicato sullo schermo, l’utente di Internet può confondersi sull’origine dei prodotti o dei servizi in questione. In tali circostanze, l’uso del segno identico al marchio da parte del terzo, come parola chiave che lancia la visualizzazione di detto annuncio, è idoneo ad avvalorare l’esistenza di un collegamento materiale nel commercio tra i prodotti o servizi interessati e il titolare del marchio. Considerata la funzione principale del marchio, che, nell’ambito del commercio elettronico, consiste in particolare nel consentire agli utenti di Internet che scorrono gli annunci visualizzati, risultanti da una ricerca avente ad oggetto un determinato marchio, di distinguere i prodotti o i servizi del titolare di tale marchio da quelli di diversa provenienza, detto titolare deve poter vietare la visualizzazione di annunci di terzi che gli utenti di Internet rischiano di percepire erroneamente come provenienti da lui. Spetta al giudice nazionale accertare, caso per caso, se i fatti della controversia sottopostagli siano caratterizzati da una violazione, o da un rischio di violazione, della funzione di indicazione di origine. Qualora l’annuncio del terzo adombri l’esistenza di un collegamento economico tra tale terzo e il titolare del marchio, si dovrà concludere che sussiste una violazione della funzione di indicazione di origine. Qualora l’annuncio, pur non adombrando l’esistenza di un collegamento economico, sia talmente vago sull’origine dei prodotti o dei servizi in questione che un utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento non sia in grado di sapere, sulla base del link pubblicitario e del messaggio commerciale allegato, se l’inserzionista sia un terzo rispetto al titolare del marchio o, al contrario, sia economicamente collegato a quest’ultimo, si dovrà parimenti concludere che sussiste violazione della funzione del marchio. (v. punti 84-85, 87-90, 99, dispositivo 1) 4. Atteso che il commercio è caratterizzato da un’offerta varia di prodotti e di servizi, il titolare di un marchio non solo può prefiggersi di indicare, mediante tale marchio, l’origine dei propri prodotti o dei propri servizi, ma può anche voler impiegare il suo marchio per scopi pubblicitari con l’intento di informare e persuadere il consumatore. Pertanto, il titolare di un marchio può vietare l’uso, senza il suo consenso, di un segno identico al suo marchio per prodotti o servizi identici a quelli per i quali tale marchio è registrato, qualora tale uso pregiudichi l’impiego del marchio, da parte del suo titolare, quale strumento di promozione delle vendite o di strategia commerciale. Per quanto attiene all’uso da parte degli inserzionisti su Internet del segno identico al marchio altrui come parola chiave ai fini della visualizzazione di messaggi pubblicitari, è evidente che tale uso può produrre alcune ripercussioni sull’utilizzo a fini pubblicitari di detto marchio da parte del suo titolare nonché sulla strategia commerciale di quest’ultimo. Infatti, considerato l’importante ruolo svolto nel commercio dalla pubblicità su Internet, è plausibile che il titolare del marchio iscriva il proprio marchio come parola chiave presso il fornitore del servizio di posizionamento, al fine di ottenere un annuncio nella rubrica «link sponsorizzati». Qualora ciò avvenga, il titolare del marchio dovrà, se del caso, accettare di pagare un prezzo per click più elevato rispetto a quello di taluni altri operatori economici, se vuole ottenere che il suo annuncio compaia prima di quelli di detti operatori che hanno parimenti selezionato il suo marchio come parola chiave. Inoltre, anche laddove il titolare del marchio sia disposto a pagare un prezzo per click più elevato di quello offerto dai terzi che del pari hanno selezionato detto marchio, non v’è garanzia che il suo annuncio compaia prima di quelli di detti terzi, dal momento che nel determinare l’ordine di visualizzazione degli annunci sono presi in considerazione anche altri elementi. Tuttavia, tali ripercussioni dell’uso del segno identico al marchio da parte di terzi non costituiscono di per sé una violazione della funzione di pubblicità del marchio. (v. punti 91-95) 5. L’art. 14 della direttiva 2000/31, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («direttiva sul commercio elettronico»), deve essere interpretato nel senso che la norma ivi contenuta si applica al prestatore di un servizio di posizionamento su Internet qualora detto prestatore non abbia svolto un ruolo attivo atto a conferirgli la conoscenza o il controllo dei dati memorizzati. Se non ha svolto un siffatto ruolo, detto prestatore non può essere ritenuto responsabile per i dati che egli ha memorizzato su richiesta di un inserzionista, salvo che, essendo venuto a conoscenza della natura illecita di tali dati o di attività di tale inserzionista, egli abbia omesso di prontamente rimuovere tali dati o disabilitare l’accesso agli stessi. Spetta al giudice nazionale valutare se il ruolo svolto da un prestatore di servizi di posizionamento su Internet sia neutro, in quanto il suo comportamento è meramente tecnico, automatico e passivo, comportante una mancanza di conoscenza o di controllo dei dati che esso memorizza. (v. punti 114, 119-120, dispositivo 3)