Sentenza della Corte (grande sezione) del 23 marzo 2010. Google France SARL e Google Inc. contro Louis Vuitton Malletier SA (C-236/08), Google France SARL contro Viaticum SA e Luteciel SARL (C-237/08) e Google France SARL contro Centre national de recherche en relations humaines (CNRRH) SARL e altri (C-238/08). Domande di pronuncia pregiudiziale : Cour de cassation - Francia. Marchi - Internet - Motore di ricerca - Pubblicità a partire da parole chiave ("keyword advertising") - Visualizzazione, a partire da parole chiave corrispondenti a marchi di impresa, di link verso siti di concorrenti dei titolari di detti marchi ovvero verso siti sui quali sono offerti prodotti di imitazione - Direttiva 89/104/CEE - Art. 5 - Regolamento (CE) n. 40/94 - Art. 9 - Responsabilità del gestore del motore di ricerca - Direttiva 2000/31/CE ("direttiva sul commercio elettronico"). Cause riunite C-236/08 a C-238/08.

62008CJ0236 Sentenza della Corte (grande sezione) del 23 marzo 2010. Google France SARL e Google Inc. contro Louis Vuitton Malletier SA (C-236/08), Google France SARL contro Viaticum SA e Luteciel SARL (C-237/08) e Google France SARL contro Centre national de recherche en relations humaines (CNRRH) SARL e altri (C-238/08). Domande di pronuncia pregiudiziale : Cour de cassation - Francia. Marchi - Internet - Motore di ricerca - Pubblicità a partire da parole chiave ("keyword advertising") - Visualizzazione, a partire da parole chiave corrispondenti a marchi di impresa, di link verso siti di concorrenti dei titolari di detti marchi ovvero verso siti sui quali sono offerti prodotti di imitazione - Direttiva 89/104/CEE - Art. 5 - Regolamento (CE) n. 40/94 - Art. 9 - Responsabilità del gestore del motore di ricerca - Direttiva 2000/31/CE ("direttiva sul commercio elettronico"). Cause riunite C-236/08 a C-238/08. EU Corte di giustizia CourtOfJustice http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX:62008CJ0236 Judgment CJ 23.03.2010 Court of Justice FR

Cause riunite da C-236/08 a C-238/08

Google France SARL

e

Google Inc.

contro

Louis Vuitton Malletier SA e altri

[domande di pronuncia pregiudiziale proposte dalla Cour de cassation (Francia)]

«Marchi — Internet — Motore di ricerca — Pubblicità a partire da parole chiave (“keyword advertising”) — Visualizzazione, a partire da parole chiave corrispondenti a marchi di impresa, di link verso siti di concorrenti dei titolari di detti marchi ovvero verso siti nei quali sono offerti prodotti di imitazione — Direttiva 89/104/CEE — Art. 5 — Regolamento (CE) n. 40/94 — Art. 9 — Responsabilità del gestore del motore di ricerca — Direttiva 2000/31/CE (“direttiva sul commercio elettronico”)»

Massime della sentenza

1.

Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Uso del marchio ai sensi degli artt. 9, n. 1, del regolamento e 5, nn. 1 e 2, della direttiva

(Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9, n. 1; direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, nn. 1 e 2)

2.

Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Uso del marchio ai sensi degli artt. 9, n. 1, lett. a), del regolamento e 5, n. 1, lett. a), della direttiva

[Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9, n. 1, lett. a); direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 1, lett. a)]

3.

Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Pubblicità nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet

[Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9, n. 1, lett. a); direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 1, lett. a)]

4.

Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Pubblicità nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet

[Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9, n. 1, lett. a); direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 1, lett. a)]

5.

Ravvicinamento delle legislazioni — Commercio elettronico — Direttiva 2000/31 — Responsabilità dei prestatori intermedi

(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2000/31, art. 14)

1. Il prestatore di un servizio di posizionamento su Internet che memorizzi come parola chiave un segno identico a un marchio e organizzi, a partire da quest’ultima, la visualizzazione di annunci non fa un uso di tale segno ai sensi dell’art. 5, nn. 1 e 2, della direttiva 89/104 sui marchi d’impresa o dell’art. 9, n. 1, del regolamento n. 40/94 sul marchio comunitario.

È pacifico che tale prestatore esercita un’attività commerciale e mira a un vantaggio economico quando memorizza, per conto di taluni suoi clienti, segni identici a marchi come parole chiave e, a partire dalle stesse, organizza la visualizzazione di annunci.

È altresì pacifico che tale servizio non è fornito soltanto ai titolari di detti marchi o agli operatori abilitati a commercializzare i prodotti o i servizi degli stessi, ma esso avviene senza il consenso dei titolari ed è fornito a concorrenti degli stessi o ad imitatori.

Benché da tali elementi risulti chiaramente che il prestatore del servizio di posizionamento opera «nel commercio» quando consente agli inserzionisti di selezionare, quali parole chiave, segni identici a marchi, quando memorizza tali segni e quando visualizza a partire da questi ultimi gli annunci dei propri clienti, ciò non significa che lo stesso prestatore faccia un «uso» di tali segni ai sensi degli artt. 5 della direttiva 89/104 e 9 del regolamento n. 40/94.

L’uso di un segno identico o simile al marchio del titolare da parte di un terzo comporta, quanto meno, che quest’ultimo utilizzi il segno nell’ambito della propria comunicazione commerciale. Nel caso del prestatore di un servizio di posizionamento, quest’ultimo consente ai propri clienti di usare segni identici o simili a marchi, senza fare egli stesso uso di detti segni.

Tale conclusione non può essere smentita dal fatto che il prestatore percepisca un compenso per l’uso di detti segni da parte dei suoi clienti. Infatti, la circostanza che si creino le condizioni tecniche necessarie per l’uso di un segno e si percepisca un compenso per tale servizio, non significa che colui che fornisce tale servizio faccia a sua volta uso di detto segno.

(v. punti 53-57, 105, dispositivo 2)

2. L’uso come parola chiave che l’inserzionista fa del segno identico al marchio di un concorrente nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet affinché l’utente conosca non soltanto i prodotti o i servizi offerti da tale concorrente ma anche quelli di detto inserzionista, è un uso per i prodotti o i servizi di tale inserzionista.

Peraltro, si ha uso «per prodotti o servizi» anche nel caso in cui, attraverso il proprio uso del segno identico al marchio come parola chiave, l’inserzionista non miri a presentare i propri prodotti o servizi agli utenti di Internet come un’alternativa rispetto ai prodotti o ai servizi del titolare del marchio, ma, al contrario, intenda indurre in errore gli utenti di Internet sull’origine dei propri prodotti o servizi, lasciando credere loro che gli stessi provengono dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente legata a quest’ultimo. Infatti, un uso del genere esiste comunque quando il terzo usa il segno identico al marchio in modo tale da creare un legame tra detto segno e i prodotti commercializzati o i servizi forniti dal terzo.

Ne deriva che l’impiego da parte dell’inserzionista di un segno identico al marchio, come parola chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet, rientra nella nozione di uso «per prodotti o servizi» ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 sui marchi d’impresa.

(v. punti 71-73)

3. Gli artt. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104, sui marchi d’impresa, e 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94 sul marchio comunitario, devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio può vietare ad un inserzionista di fare pubblicità – a partire da una parola chiave identica a detto marchio, selezionata da tale inserzionista nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet senza il consenso dello stesso titolare – a prodotti o servizi identici a quelli per cui detto marchio è registrato, qualora la pubblicità di cui trattasi non consenta, o consenta soltanto difficilmente, all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi indicati nell’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente connessa a quest’ultimo o invece da un terzo.

Infatti, in una situazione del genere, caratterizzata del resto dal fatto che l’annuncio in questione appare subito dopo che l’utente di Internet interessato abbia inserito il marchio come parola da ricercare ed è visualizzato in un momento in cui il marchio, in qualità di parola da ricercare, è parimenti indicato sullo schermo, l’utente di Internet può confondersi sull’origine dei prodotti o dei servizi in questione. In tali circostanze, l’uso del segno identico al marchio da parte del terzo, come parola chiave che lancia la visualizzazione di detto annuncio, è idoneo ad avvalorare l’esistenza di un collegamento materiale nel commercio tra i prodotti o servizi interessati e il titolare del marchio.

Considerata la funzione principale del marchio, che, nell’ambito del commercio elettronico, consiste in particolare nel consentire agli utenti di Internet che scorrono gli annunci visualizzati, risultanti da una ricerca avente ad oggetto un determinato marchio, di distinguere i prodotti o i servizi del titolare di tale marchio da quelli di diversa provenienza, detto titolare deve poter vietare la visualizzazione di annunci di terzi che gli utenti di Internet rischiano di percepire erroneamente come provenienti da lui.

Spetta al giudice nazionale accertare, caso per caso, se i fatti della controversia sottopostagli siano caratterizzati da una violazione, o da un rischio di violazione, della funzione di indicazione di origine.

Qualora l’annuncio del terzo adombri l’esistenza di un collegamento economico tra tale terzo e il titolare del marchio, si dovrà concludere che sussiste una violazione della funzione di indicazione di origine.

Qualora l’annuncio, pur non adombrando l’esistenza di un collegamento economico, sia talmente vago sull’origine dei prodotti o dei servizi in questione che un utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento non sia in grado di sapere, sulla base del link pubblicitario e del messaggio commerciale allegato, se l’inserzionista sia un terzo rispetto al titolare del marchio o, al contrario, sia economicamente collegato a quest’ultimo, si dovrà parimenti concludere che sussiste violazione della funzione del marchio.

(v. punti 84-85, 87-90, 99, dispositivo 1)

4. Atteso che il commercio è caratterizzato da un’offerta varia di prodotti e di servizi, il titolare di un marchio non solo può prefiggersi di indicare, mediante tale marchio, l’origine dei propri prodotti o dei propri servizi, ma può anche voler impiegare il suo marchio per scopi pubblicitari con l’intento di informare e persuadere il consumatore.

Pertanto, il titolare di un marchio può vietare l’uso, senza il suo consenso, di un segno identico al suo marchio per prodotti o servizi identici a quelli per i quali tale marchio è registrato, qualora tale uso pregiudichi l’impiego del marchio, da parte del suo titolare, quale strumento di promozione delle vendite o di strategia commerciale.

Per quanto attiene all’uso da parte degli inserzionisti su Internet del segno identico al marchio altrui come parola chiave ai fini della visualizzazione di messaggi pubblicitari, è evidente che tale uso può produrre alcune ripercussioni sull’utilizzo a fini pubblicitari di detto marchio da parte del suo titolare nonché sulla strategia commerciale di quest’ultimo.

Infatti, considerato l’importante ruolo svolto nel commercio dalla pubblicità su Internet, è plausibile che il titolare del marchio iscriva il proprio marchio come parola chiave presso il fornitore del servizio di posizionamento, al fine di ottenere un annuncio nella rubrica «link sponsorizzati». Qualora ciò avvenga, il titolare del marchio dovrà, se del caso, accettare di pagare un prezzo per click più elevato rispetto a quello di taluni altri operatori economici, se vuole ottenere che il suo annuncio compaia prima di quelli di detti operatori che hanno parimenti selezionato il suo marchio come parola chiave. Inoltre, anche laddove il titolare del marchio sia disposto a pagare un prezzo per click più elevato di quello offerto dai terzi che del pari hanno selezionato detto marchio, non v’è garanzia che il suo annuncio compaia prima di quelli di detti terzi, dal momento che nel determinare l’ordine di visualizzazione degli annunci sono presi in considerazione anche altri elementi.

Tuttavia, tali ripercussioni dell’uso del segno identico al marchio da parte di terzi non costituiscono di per sé una violazione della funzione di pubblicità del marchio.

(v. punti 91-95)

5. L’art. 14 della direttiva 2000/31, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («direttiva sul commercio elettronico»), deve essere interpretato nel senso che la norma ivi contenuta si applica al prestatore di un servizio di posizionamento su Internet qualora detto prestatore non abbia svolto un ruolo attivo atto a conferirgli la conoscenza o il controllo dei dati memorizzati. Se non ha svolto un siffatto ruolo, detto prestatore non può essere ritenuto responsabile per i dati che egli ha memorizzato su richiesta di un inserzionista, salvo che, essendo venuto a conoscenza della natura illecita di tali dati o di attività di tale inserzionista, egli abbia omesso di prontamente rimuovere tali dati o disabilitare l’accesso agli stessi.

Spetta al giudice nazionale valutare se il ruolo svolto da un prestatore di servizi di posizionamento su Internet sia neutro, in quanto il suo comportamento è meramente tecnico, automatico e passivo, comportante una mancanza di conoscenza o di controllo dei dati che esso memorizza.

(v. punti 114, 119-120, dispositivo 3)







SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

23 marzo 2010 (*)

«Marchi – Internet – Motore di ricerca – Pubblicità a partire da parole chiave (“keyword advertising”) – Visualizzazione, a partire da parole chiave corrispondenti a marchi di impresa, di link verso siti di concorrenti dei titolari di detti marchi ovvero verso siti nei quali sono offerti prodotti di imitazione – Direttiva 89/104/CEE – Art. 5 – Regolamento (CE) n. 40/94 – Art. 9 – Responsabilità del gestore del motore di ricerca – Direttiva 2000/31/CE (“direttiva sul commercio elettronico”)»

Nei procedimenti riuniti da C-236/08 a C-238/08,

aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dalla Cour de cassation (Francia) con decisioni 20 maggio 2008, pervenute in cancelleria il 3 giugno 2008, nelle cause

Google France SARL,

Google Inc.

contro

Louis Vuitton Malletier SA (C-236/08),

e

Google France SARL

contro

Viaticum SA,

Luteciel SARL (C-237/08),

e

Google France SARL

contro

Centre national de recherche en relations humaines (CNRRH) SARL,

Pierre-Alexis Thonet,

Bruno Raboin,

Tiger SARL (C-238/08),

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A. Tizzano, J.N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts e E. Levits, presidenti di sezione, dai sigg. C.W.A. Timmermans, A. Rosas, A. Borg Barthet, M. Ilešič (relatore), J. Malenovský, U. Lõhmus, A. Ó Caoimh e J.-J. Kasel, giudici,

avvocato generale: sig. M. Poiares Maduro

cancelliere: sig. H. von Holstein, cancelliere aggiunto

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 17 marzo 2009,

considerate le osservazioni presentate:

– per la Google France SARL e la Google Inc., dagli avv.ti A. Néri e S. Proust, avocats, nonché dal sig. G. Hobbs, QC;

– per la Louis Vuitton Malletier SA, dall’avv. P. De Candé, avocat;

– per la Viaticum SA e la Luteciel SARL, dall’avv. C. Fabre, avocat;

– per il Centre national de recherche en relations humaines (CNRRH) SARL e il sig. Thonet, dagli avv.ti L. Boré e P. Buisson, avocats;

– per la Tiger SARL, dall’avv. O. de Nervo, avocat;

– per il governo francese, dai sigg. G. de Bergues e B. Cabouat, in qualità di agenti;

– per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. H. Krämer, in qualità di agente,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 22 settembre 2009,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione dell’art. 5, nn. 1 e 2, della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), dell’art. 9, n. 1, del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), e dell’art. 14 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico») (GU L 178, pag. 1).

2

Tali domande sono state presentate nell’ambito di controversie che vedono contrapposte, nella causa C-236/08, le società Google France SARL e Google Inc. (in prosieguo, singolarmente o congiuntamente: la «Google») alla società Louis Vuitton Malletier SA (in prosieguo: la «Vuitton») e, nelle cause C-237/08 e C-238/08, la Google alle società Viaticum SA (in prosieguo: la «Viaticum»), Luteciel SARL (in prosieguo: la «Luteciel»), Centre national de recherche en relations humaines (CNRRH) SARL (in prosieguo: il «CNRRH») e Tiger SARL (in prosieguo: la «Tiger»), nonché a due privati, i sigg. Thonet e Raboin, in ordine alla visualizzazione su Internet di link pubblicitari a partire da parole chiave corrispondenti a marchi di impresa.

I – Contesto normativo

A – La direttiva 89/104

3

L’art. 5 della direttiva 89/104, rubricato «Diritti conferiti dal marchio di impresa», dispone quanto segue:

«1. Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. II titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

a) un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

b) un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa.

2. Uno Stato membro può inoltre prevedere che il titolare abbia il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno identico o simile al marchio di impresa per i prodotti o servizi che non sono simili a quelli per cui esso è stato registrato, se il marchio di impresa gode di notorietà nello Stato membro e se l’uso immotivato del segno consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi.

3. Si può in particolare vietare, se le condizioni menzionate al paragrafo 1 e 2 sono soddisfatte:

a) di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento;

b) di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno;

c) di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno;

d) di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità.

(…)».

4

L’art. 6 della direttiva 89/104, rubricato «Limitazione degli effetti del marchio di impresa», dispone quanto segue:

«1. Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio:

a) del loro nome e indirizzo;

b) di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio;

c) del marchio di impresa se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio,

purché l’uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale.

(…)».

5

L’art. 7 della direttiva 89/104, rubricato «Esaurimento del diritto conferito dal marchio di impresa», nella sua versione iniziale, così recitava:

«1. Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare l’uso del marchio di impresa per prodotti immessi in commercio nella Comunità con detto marchio dal titolare stesso o con il suo consenso.

2. Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio».

6

In conformità all’art. 65, n. 2, dell’Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE) del 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3), in combinato disposto con l’allegato XVII, punto 4, di tale Accordo, l’art. 7, n. 1, della direttiva 89/104, nella sua versione iniziale, è stato modificato ai fini di detto Accordo, cosicché l’espressione «nella Comunità» è stata sostituita dai termini «in una Parte contraente».

7

La direttiva 89/104 è stata abrogata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 ottobre 2008, 2008/95/CE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (versione codificata) (GU L 299, pag. 25), entrata in vigore il 28 novembre 2008. Ciò nondimeno, tenuto conto della data cui risalgono i fatti, alle cause principali resta applicabile la direttiva 89/104.

B – Il regolamento n. 40/94

8

L’art. 9 del regolamento n. 40/94, rubricato «Diritti conferiti dal marchio comunitario», dispone quanto segue:

«1. Il marchio comunitario conferisce al suo titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare in commercio:

a) un segno identico al marchio comunitario per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

b) un segno che a motivo della sua identità o somiglianza col marchio comunitario e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio comunitario e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione tra il segno e il marchio;

c) un segno identico o simile al marchio comunitario per prodotti o servizi che non sono simili a quelli per i quali questo è stato registrato, se il marchio comunitario gode di notorietà nella Comunità e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio comunitario o reca pregiudizio agli stessi.

2. Possono essere in particolare vietati, a norma del paragrafo 1:

a) l’apposizione del segno sui prodotti o sul loro confezionamento;

b) l’offerta, l’immissione in commercio o lo stoccaggio dei prodotti a tali scopi oppure l’offerta o la fornitura di servizi sotto la copertura del segno;

c) l’importazione o l’esportazione dei prodotti sotto la copertura del segno;

d) l’uso del segno nella corrispondenza commerciale o nella pubblicità.

(…)».

9

L’art. 12 del regolamento n. 40/94, rubricato «Limitazione degli effetti del marchio comunitario», dispone quanto segue:

«Il diritto conferito dal marchio comunitario non consente al titolare di impedire ai terzi l’uso in commercio:

a) del loro nome o indirizzo;

b) di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o servizio;

c) del marchio, se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o di un servizio, in particolare accessori o pezzi di ricambio;

purché questo uso sia conforme alle consuetudini di lealtà in campo industriale o commerciale».

10

L’art. 13 del medesimo regolamento, rubricato «Esaurimento del diritto conferito dal marchio comunitario», così recita:

«1. Il diritto conferito dal marchio comunitario non permette al titolare di impedirne l’uso per prodotti immessi in commercio nella Comunità con tale marchio dal titolare stesso [o] con il suo consenso.

2. Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga alla successiva immissione in commercio dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio».

11

Il regolamento n. 40/94 è stato abrogato dal regolamento (CE) del Consiglio 26 febbraio 2009, n. 207, sul marchio comunitario (versione codificata) (GU L 78, pag. 1), entrato in vigore il 13 aprile 2009. Ciò nondimeno, tenuto conto della data cui risalgono i fatti, alle cause principali resta applicabile il regolamento n. 40/94.

C – La direttiva 2000/31

12

Il ventinovesimo ‘considerando’ della direttiva 2000/31 così recita:

«Le comunicazioni commerciali sono essenziali per il finanziamento dei servizi della società dell’informazione e per lo sviluppo di un’ampia gamma di nuovi servizi gratuiti. Nell’interesse dei consumatori e della correttezza delle operazioni, le comunicazioni commerciali (…) devono ottemperare a numerosi obblighi di trasparenza. (…)».

13

I ‘considerando’ dal quarantesimo al quarantaseiesimo della direttiva 2000/31 recitano quanto segue:

«(40) Le attuali o emergenti divergenze tra le normative e le giurisprudenze nazionali, nel campo della responsabilità dei prestatori di servizi che agiscono come intermediari, impediscono il buon funzionamento del mercato interno, soprattutto ostacolando lo sviluppo dei servizi transnazionali (…). In taluni casi, i prestatori di servizi hanno il dovere di agire per evitare o per porre fine alle attività illegali. La presente direttiva dovrebbe costituire la base adeguata per elaborare sistemi rapidi e affidabili idonei a rimuovere le informazioni illecite e disabilitare l’accesso alle medesime. (…)

(41) La direttiva rappresenta un equilibrio tra i vari interessi in gioco e istituisce principi su cui possono essere basati gli accordi e gli standard delle imprese del settore.

(42) Le deroghe alla responsabilità stabilita nella presente direttiva riguardano esclusivamente il caso in cui l’attività di prestatore di servizi della società dell’informazione si limiti al processo tecnico di attivare e fornire accesso ad una rete di comunicazione sulla quale sono trasmesse o temporaneamente memorizzate le informazioni messe a disposizione da terzi al solo scopo di rendere più efficiente la trasmissione. Siffatta attività è di ordine meramente tecnico, automatico e passivo, il che implica che il prestatore di servizi della società dell’informazione non conosce né controlla le informazioni trasmesse o memorizzate.

(43) Un prestatore può beneficiare delle deroghe previste per il semplice trasporto (“mere conduit”) e per la memorizzazione temporanea detta “caching” se non è in alcun modo coinvolto nell’informazione trasmessa. (…)

(44) Il prestatore che deliberatamente collabori con un destinatario del suo servizio al fine di commettere atti illeciti non si limita alle attività di semplice trasporto (“mere conduit”) e di “caching” e non può pertanto beneficiare delle deroghe in materia di responsabilità previste per tali attività.

(45) Le limitazioni alla responsabilità dei prestatori intermedi previste nella presente direttiva lasciano impregiudicata la possibilità di azioni inibitorie di altro tipo. (…)

(46) Per godere di una limitazione della responsabilità, il prestatore di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni deve agire immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitare l’accesso alle medesime non appena sia informato o si renda conto delle attività illecite. (…)».

14

L’art. 2, lett. a), della direttiva 2000/31 definisce i «servizi della società dell’informazione» mediante richiamo all’art. 1, n. 2, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 giugno 1998, 98/34/CE, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione (GU L 204, pag. 37), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 luglio 1998, 98/48/CE, (GU L 217, pag. 18), e quindi come:

«qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi».

15

L’art. 1, n. 2, della direttiva 98/34, nella sua versione modificata con direttiva 98/48, dispone inoltre quanto segue:

«(…)

Ai fini della presente definizione si intende:

– “a distanza”: un servizio fornito senza la presenza simultanea delle parti;

– “per via elettronica”: un servizio inviato all’origine e ricevuto a destinazione mediante attrezzature elettroniche di trattamento (…) e di memorizzazione di dati, e che è interamente trasmesso, inoltrato e ricevuto mediante fili, radio, mezzi ottici od altri mezzi elettromagnetici;

– “a richiesta individuale di un destinatario di servizi”: un servizio fornito mediante trasmissione di dati su richiesta individuale.

(…)».

16

L’art. 6 della direttiva 2000/31 è del seguente tenore:

«Oltre agli altri obblighi di informazione posti dal diritto comunitario, gli Stati membri provvedono affinché le comunicazioni commerciali che costituiscono un servizio della società dell’informazione (…) rispettino le seguenti condizioni minime:

(…)

b) la persona fisica o giuridica per conto della quale viene effettuata la comunicazione commerciale è chiaramente identificabile;

(…)».

17

Nel capo II della direttiva 2000/31 è contenuta la sezione 4, recante l’intestazione «Responsabilità dei prestatori intermediari», la quale comprende gli artt. 12-15.

18

L’art. 12 della direttiva 2000/31, rubricato «Semplice trasporto (“mere conduit”)», dispone quanto segue:

«1. Gli Stati membri provvedono affinché, nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio, o nel fornire un accesso alla rete di comunicazione, il prestatore non sia responsabile delle informazioni trasmesse a condizione che egli:

a) non dia origine alla trasmissione;

b) non selezioni il destinatario della trasmissione; e

c) non selezioni né modifichi le informazioni trasmesse.

2. Le attività di trasmissione e di fornitura di accesso di cui al paragrafo 1 includono la memorizzazione automatica, intermedia e transitoria delle informazioni trasmesse, a condizione che questa serva solo alla trasmissione sulla rete di comunicazione e che la sua durata non ecceda il tempo ragionevolmente necessario a tale scopo.

3. Il presente articolo lascia impregiudicata la possibilità, secondo gli ordinamenti degli Stati membri, che un organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa esiga che il prestatore impedisca o ponga fine ad una violazione».

19

L’art. 13 della medesima direttiva, rubricato «Memorizzazione temporanea detta “caching”», così recita:

«1. Gli Stati membri provvedono affinché, nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non sia responsabile della memorizzazione automatica, intermedia e temporanea di tali informazioni effettuata al solo scopo di rendere più efficace il successivo inoltro ad altri destinatari a loro richiesta, a condizione che egli:

a) non modifichi le informazioni;

b) si conformi alle condizioni di accesso alle informazioni;

c) si conformi alle norme di aggiornamento delle informazioni, indicate in un modo ampiamente riconosciuto e utilizzato dalle imprese del settore;

d) non interferisca con l’uso lecito di tecnologia ampiamente riconosciuta e utilizzata nel settore per ottenere dati sull’impiego delle informazioni, e

e) agisca prontamente per rimuovere le informazioni che ha memorizzato, o per disabilitare l’accesso, non appena venga effettivamente a conoscenza del fatto che le informazioni sono state rimosse dal luogo dove si trovavano inizialmente sulla rete o che l’accesso alle informazioni è stato disabilitato oppure che un organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa ne ha disposto la rimozione o la disabilitazione dell’accesso.

2. Il presente articolo lascia impregiudicata la possibilità, secondo gli ordinamenti degli Stati membri, che un organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa esiga che il prestatore impedisca o ponga fine ad una violazione».

20

L’art. 14 della direttiva 2000/31, rubricato «Hosting», dispone quanto segue:

«1. Gli Stati membri provvedono affinché, nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non sia responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore:

a) non sia effettivamente al corrente del fatto che l’attività o l’informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illegalità dell’attività o dell’informazione, o

b) non appena al corrente di tali fatti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso.

2. Il paragrafo 1 non si applica se il destinatario del servizio agisce sotto l’autorità o il controllo del prestatore.

3. Il presente articolo lascia impregiudicata la possibilità, per un organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa, in conformità agli ordinamenti giuridici degli Stati membri, di esigere che il prestatore ponga fine ad una violazione o la impedisca nonché la possibilità, per gli Stati membri, di definire procedure per la rimozione delle informazioni o la disabilitazione dell’accesso alle medesime».

21

L’art. 15 della direttiva 2000/31, rubricato «Assenza dell’obbligo generale di sorveglianza», prevede quanto segue:

«1. Nella prestazione dei servizi di cui agli articoli 12, 13 e 14, gli Stati membri non impongono ai prestatori un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmettono o memorizzano né un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite.

2. Gli Stati membri possono stabilire che i prestatori di servizi della società dell’informazione siano tenuti ad informare senza indugio la pubblica autorità competente di presunte attività o informazioni illecite dei destinatari dei loro servizi o a comunicare alle autorità competenti, a loro richiesta, informazioni che consentano l’identificazione dei destinatari dei loro servizi con cui hanno accordi di memorizzazione dei dati».

II – Cause principali e questioni pregiudiziali

A – Il servizio di posizionamento «AdWords»

22

La Google gestisce un motore di ricerca su Internet. Quando un utente di Internet effettua una ricerca a partire da una o più parole, il motore di ricerca visualizza, in ordine decrescente di pertinenza, i siti che sembrano meglio corrispondere a tali parole. Si tratta dei risultati cosiddetti «naturali» della ricerca.

23

La Google propone inoltre un servizio di posizionamento a pagamento denominato «AdWords». Tale servizio consente a qualsiasi operatore economico di far apparire un link pubblicitario verso il suo sito mediante la selezione di una o più parole chiave, qualora tale o tali parole coincidano con quella o quelle contenute nella richiesta indirizzata da un utente di Internet al motore di ricerca. Tale link pubblicitario appare nella rubrica «link sponsorizzati», visualizzata sia sul lato destro dello schermo, a destra dei risultati naturali, sia nella parte superiore dello schermo, al di sopra di tali risultati.

24

Detto link pubblicitario è accompagnato da un breve messaggio commerciale. Tale link e tale messaggio costituiscono, insieme, l’annuncio visualizzato nella succitata rubrica.

25

L’inserzionista è tenuto a pagare il servizio di posizionamento per ogni selezione del link pubblicitario. Tale pagamento è calcolato in funzione, in particolare, del «prezzo massimo per click» che, al momento della conclusione del contratto di servizio di posizionamento con la Google, l’inserzionista ha dichiarato di essere disposto a pagare nonché del numero di click su tale link da parte degli utenti di Internet.

26

Più inserzionisti possono selezionare la stessa parola chiave. L’ordine in cui vengono visualizzati i loro link pubblicitari in tal caso sarà determinato, in particolare, in base al prezzo massimo per click, da quante volte i detti link sono stati selezionati in precedenza, nonché dalla qualità dell’annuncio come valutata dalla Google. In qualunque momento l’inserzionista può migliorare la sua posizione nell’ordine di visualizzazione fissando un prezzo massimo per click più alto oppure provando a migliorare la qualità del suo annuncio.

27

La Google ha messo a punto un processo automatizzato per consentire la selezione di parole chiave e la creazione di annunci. Gli inserzionisti selezionano le parole chiave, redigono il messaggio commerciale e inseriscono il link al loro sito.

B – Causa C-236/08

28

La Vuitton, che commercializza in particolare borse di lusso e altri prodotti di pelletteria, è titolare del marchio comunitario «Vuitton» e dei marchi nazionali francesi «Louis Vuitton» e «LV». È pacifico che tali marchi sono notori.

29

Agli inizi del 2003, la Vuitton ha fatto constatare che, utilizzando il motore di ricerca della Google, l’inserimento da parte degli utenti di Internet dei termini costituenti i suoi marchi faceva apparire, nella rubrica «link sponsorizzati», alcuni link verso siti che offrivano imitazioni di prodotti della Vuitton. È stato inoltre accertato che la Google offriva agli inserzionisti la possibilità di selezionare non solo parole chiave corrispondenti ai marchi della Vuitton, ma anche tali parole chiave associate ad espressioni indicanti attività di imitazione, quali «imitazione» e «copia».

30

La Vuitton ha citato in giudizio la Google al fine di far accertare, in particolare, che quest’ultima aveva arrecato pregiudizio ai suoi marchi.

31

La Google è stata condannata per contraffazione dei marchi della Vuitton con sentenza del tribunal de grande instance de Paris (Tribunale di Parigi) 4 febbraio 2005 e, successivamente, in appello con sentenza della cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) 28 giugno 2006. Essa ha proposto un ricorso per cassazione contro quest’ultima sentenza.

32

In tale contesto, la Cour de cassation (Corte di cassazione francese) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se gli artt. 5, n. 1, lett. a) e b) della [direttiva 89/104], e 9, n. 1, lett. a) e b), del [regolamento n. 40/94], debbano essere interpretati nel senso che il prestatore del servizio di posizionamento a pagamento che mette a disposizione degli inserzionisti parole chiave che riproducono o imitano marchi registrati, e organizza, in forza del contratto di posizionamento, la creazione e la visualizzazione privilegiata, partendo da tali parole chiave, di link pubblicitari verso siti sui quali sono offerti prodotti contraffatti faccia un uso di tali marchi che il [loro] titolare ha il diritto di vietare.

2) Se, nel caso in cui i marchi siano marchi notori, il titolare possa opporsi ad un tale uso, in forza dell’art. 5, n. 2, della direttiva [89/104], e dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento [n. 40/94].

3) Nel caso in cui un tale uso non costituisca un uso che può essere vietato dal titolare del marchio in applicazione della direttiva [89/104] e del regolamento [n. 40/94], se il prestatore del servizio di posizionamento a pagamento possa essere considerato fornitore di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione delle informazioni fornite da un destinatario del servizio, ai sensi dell’art. 14 della [direttiva 2000/31], di guisa che non è possibile ravvisare una sua responsabilità prima che egli sia stato informato dal titolare del marchio dell’uso illecito del segno da parte dell’inserzionista».

C – Causa C-237/08

33

La Viaticum è titolare dei marchi francesi «Bourse des Vols», «Bourse des Voyages» e «BDV», registrati per servizi relativi all’organizzazione di viaggi.

34

La Luteciel svolge un’attività di prestazione di servizi informatici per conto di agenzie di viaggi. Essa si occupa della creazione e della gestione del sito Internet della Viaticum.

35

La Viaticum e la Luteciel hanno fatto constatare che, in occasione dell’utilizzo del motore di ricerca della Google da parte degli utenti di Internet, l’inserimento dei termini costituenti i marchi succitati faceva apparire, nella rubrica «link sponsorizzati», alcuni link verso siti di concorrenti della Viaticum. È stato inoltre accertato che la Google offriva agli inserzionisti la possibilità di selezionare a tale scopo parole chiave corrispondenti a detti marchi.

36

La Viaticum e la Luteciel hanno citato in giudizio la Google. Con sentenza 13 ottobre 2003, il tribunal de grande instance de Nanterre (Tribunale di Nanterre) ha dichiarato che la Google aveva commesso atti di contraffazione di marchio e l’ha condannata a risarcire il danno subito dalla Viaticum e dalla Luteciel. La Google ha interposto appello dinanzi alla cour d’appel de Versailles (Corte d’appello di Versailles). Quest’ultima, con sentenza 10 marzo 2005, ha dichiarato che la Google aveva concorso a commettere atti di contraffazione e ha confermato la sentenza 13 ottobre 2003. La Google ha proposto un ricorso per cassazione contro quest’ultima sentenza.

37

In tale contesto, la Cour de cassation ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se l’art. 5, n. 1, lett. a) e b) della [direttiva 89/104] debba essere interpretato nel senso che il prestatore del servizio di posizionamento a pagamento che mette a disposizione degli inserzionisti parole chiave che riproducono o imitano marchi registrati, e organizza, in forza del contratto di posizionamento, la creazione e la visualizzazione privilegiata, partendo da tali parole chiave, di link pubblicitari verso siti sui quali sono offerti prodotti identici o simili a quelli contraddistinti dal marchio registrato faccia un uso di tali marchi che il loro titolare ha il diritto di vietare.

2) Nel caso in cui un tale uso non costituisca un uso che può essere vietato dal titolare del marchio in applicazione della direttiva [89/104] e del regolamento [n. 40/94], se il prestatore del servizio di posizionamento a pagamento possa essere considerato fornitore di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione delle informazioni fornite da un destinatario del servizio, ai sensi dell’art. 14 della [direttiva 2000/31], di guisa che non è possibile ravvisare una sua responsabilità prima che egli sia stato informato dal titolare del marchio dell’uso illecito del segno da parte dell’inserzionista».

D – Causa C-238/08

38

Il sig. Thonet è titolare del marchio francese «Eurochallenges», registrato in particolare per servizi di agenzia matrimoniale. La società CNRRH esercita l’attività di agenzia matrimoniale. Essa è titolare di una licenza relativa al suddetto marchio, concessa dal sig. Thonet.

39

Nel corso del 2003, il sig. Thonet e la CNRRH hanno fatto constatare che, in occasione dell’utilizzo del motore di ricerca della Google da parte degli utenti di Internet, l’inserimento del termine corrispondente al suddetto marchio faceva apparire, nella rubrica «link sponsorizzati», alcuni link verso siti di concorrenti della CNRRH, gestiti rispettivamente dal sig. Raboin e dalla Tiger. È stato inoltre accertato che la Google offriva agli inserzionisti la possibilità di selezionare a tale scopo detto termine come parola chiave.

40

Il sig. Raboin, la Tiger e la Google, su istanza del sig. Thonet e della CNRRH, sono stati condannati per contraffazione di marchio con sentenza del tribunal de grande instance de Nanterre 14 dicembre 2004 e, successivamente, in appello con sentenza della cour d’appel de Versailles 23 marzo 2006. La Google ha proposto un ricorso per cassazione contro quest’ultima sentenza.

41

In tale contesto, la Cour de cassation ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se il fatto che un operatore economico dia in opzione, tramite un contratto di posizionamento a pagamento su Internet, una parola chiave che, se utilizzata per una ricerca, provoca la visualizzazione di un link che offre la possibilità di connettersi ad un sito utilizzato da tale operatore per mettere in vendita prodotti o servizi, e che riproduce o imita un marchio registrato da un terzo per contraddistinguere prodotti identici o simili, senza l’autorizzazione del titolare di tale marchio, leda di per se stesso il diritto esclusivo garantito a quest’ultimo dall’art. 5 della [direttiva 89/104].

2) Se l’art. 5, n. 1, lett. a) e b) della [direttiva 89/104] debba essere interpretato nel senso che il prestatore del servizio di posizionamento a pagamento che mette a disposizione degli inserzionisti parole chiave che riproducono o imitano marchi registrati e organizza, in forza del contratto di posizionamento, la creazione e la visualizzazione privilegiata, partendo da tali parole chiave, di link pubblicitari verso siti sui quali sono offerti prodotti identici o simili a quelli contraddistinti dal marchio registrato faccia un uso di tali marchi che il loro titolare ha il diritto di vietare.

3) Nel caso in cui un tale uso non costituisca un uso che può essere vietato dal titolare del marchio in applicazione della direttiva [89/104] e del regolamento [n. 40/94], se il prestatore del servizio di posizionamento a pagamento possa essere considerato fornitore di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione delle informazioni fornite da un destinatario del servizio, ai sensi dell’art. 14 della [direttiva 2000/31], di guisa che non è possibile ravvisare una sua responsabilità prima che egli sia stato informato dal titolare del marchio dell’uso illecito del segno da parte dell’inserzionista».

III – Sulle questioni pregiudiziali

A – Sull’impiego di parole chiave corrispondenti a marchi altrui nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet

1. Considerazioni preliminari

42

È pacifico che le cause principali scaturiscono dall’impiego, quali parole chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet, di segni corrispondenti a marchi di impresa, senza che i titolari di questi ultimi abbiano prestato il loro consenso. Dette parole chiave sono state scelte da clienti del prestatore del servizio di posizionamento e sono state accettate e memorizzate da quest’ultimo. I clienti in questione commercializzano imitazioni dei prodotti del titolare del marchio (causa C-236/08) oppure sono semplicemente concorrenti di quest’ultimo (cause C-237/08 e C-238/08).

43

Con la prima questione nella causa C-236/08, la prima questione nella causa C-237/08 nonché la prima e la seconda questione nella causa C-238/08, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 5, n. 1, lett. a) e b), della direttiva 89/104 e l’art. 9, n. 1, lett. a) e b), del regolamento n. 40/94 debbano essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio ha il diritto di vietare a un terzo di visualizzare o di permettere la visualizzazione di un annuncio, per prodotti o servizi identici o simili a quelli per i quali detto marchio è registrato, a partire da una parola chiave identica o simile a tale marchio, che, senza il consenso di detto titolare, tale terzo ha selezionato o memorizzato nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet.

44

La prima questione nella causa C-236/08, la prima questione nella causa C-237/08 e la seconda questione nella causa C-238/08 si concentrano, in proposito, sulla memorizzazione di una siffatta parola chiave da parte del prestatore del servizio di posizionamento e sull’organizzazione, da parte di quest’ultimo, della visualizzazione dell’annuncio del suo cliente a partire da detta parola, mentre la prima questione nella causa C-238/08 verte sulla selezione del segno come parola chiave da parte dell’inserzionista e sulla visualizzazione dell’annuncio risultante da detta selezione mediante il meccanismo del posizionamento.

45

L’art. 5, n. 1, lett. a) e b), della direttiva 89/104 e l’art. 9, n. 1, lett. a) e b), del regolamento n. 40/94 autorizzano, a determinate condizioni, i titolari di marchi a vietare a terzi l’uso di segni identici o simili ai loro marchi per prodotti o servizi identici o simili a quelli per i quali tali marchi sono registrati.

46

Nelle cause principali, l’impiego di segni corrispondenti a marchi di impresa quali parole chiave ha per oggetto e per effetto di determinare la visualizzazione di link pubblicitari verso siti che offrono prodotti o servizi identici a quelli per i quali detti marchi sono registrati, vale a dire, rispettivamente, prodotti di pelletteria, servizi relativi all’organizzazione di viaggi e servizi di agenzia matrimoniale.

47

Pertanto, la Corte esaminerà la questione di cui al punto 43 della presente sentenza principalmente alla luce degli artt. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94 e, soltanto in via incidentale, alla luce del medesimo n. 1, lett. b), di tali articoli, poiché, in caso di segno identico al marchio, quest’ultima disposizione riguarda l’ipotesi in cui i prodotti o i servizi del terzo siano soltanto simili a quelli per i quali detto marchio è registrato.

48

A seguito di detto esame, sarà individuata la soluzione alla seconda questione nella causa C-236/08, con cui la Corte è chiamata a pronunciarsi sulla medesima problematica, alla luce degli artt. 5, n. 2, della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, concernenti i diritti conferiti dai marchi che godono di notorietà. Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale si evince, con riserva di verifica da parte del giudice di rinvio, che la normativa applicabile in Francia contiene la norma di cui all’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104. Del resto, la Corte ha precisato che tale disposizione della direttiva non deve essere interpretata esclusivamente alla luce del suo testo, ma anche in considerazione dell’economia generale e degli obiettivi del sistema del quale fa parte. Pertanto, la norma di cui all’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104 non riguarda soltanto i casi in cui un terzo faccia uso di un segno identico o simile a un marchio notorio per prodotti o servizi che non sono simili a quelli per i quali tale marchio è registrato, ma anche i casi in cui un siffatto uso avvenga per prodotti o servizi identici o simili a quelli per i quali detto marchio è registrato (sentenze 9 gennaio 2003, causa C-292/00, Davidoff, Racc. pag. I-389, punti 24-30, nonché 10 aprile 2008, causa C-102/07, adidas e adidas Benelux, Racc. pag. I-2439, punto 37).

2. Sull’interpretazione degli artt. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94

49

In applicazione dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 o, trattandosi di marchio comunitario, dell’art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94, il titolare del marchio può vietare che un terzo, senza il proprio consenso, faccia uso di un segno identico a detto marchio qualora tale uso abbia luogo nel commercio, avvenga per prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio è registrato e pregiudichi ovvero sia idoneo a pregiudicare le funzioni del marchio (v., segnatamente, sentenza 11 settembre 2007, causa C-17/06, Céline, Racc. pag. I-7041, punto 16; ordinanza 19 febbraio 2009, causa C-62/08, UDV North America, Racc. pag. I-1279, punto 42, nonché sentenza 18 giugno 2009, causa C-487/07, L’Oréal e a., non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 58).

– a) Uso nel commercio

50

L’uso del segno identico al marchio ha luogo nel commercio se si colloca nel contesto di un’attività commerciale finalizzata a un vantaggio economico e non nell’ambito privato (sentenze 12 novembre 2002, causa C-206/01, Arsenal Football Club, Racc. pag. I-10273, punto 40, e Céline, cit., punto 17, nonché ordinanza UDV North America, cit., punto 44).

51

Per quanto riguarda, anzitutto, l’inserzionista che acquista il servizio di posizionamento e sceglie come parola chiave un segno identico a un marchio altrui, occorre constatare che egli fa un uso di detto segno ai sensi della giurisprudenza summenzionata.

52

Infatti, dal punto di vista dell’inserzionista, la selezione della parola chiave identica al marchio ha per oggetto e per effetto la visualizzazione di un link pubblicitario verso il sito sul quale egli mette in vendita i propri prodotti o i propri servizi. Dal momento che il segno selezionato come parola chiave è lo strumento utilizzato per rendere possibile tale visualizzazione pubblicitaria, non si può contestare che l’inserzionista ne faccia un uso nel contesto delle proprie attività commerciali e non nell’ambito privato.

53

Per quanto attiene, poi, al prestatore del servizio di posizionamento, è pacifico che quest’ultimo esercita un’attività commerciale e mira a un vantaggio economico quando memorizza, per conto di taluni suoi clienti, segni identici a marchi come parole chiave e, a partire dalle stesse, organizza la visualizzazione di annunci.

54

È altresì pacifico che tale servizio non è fornito soltanto ai titolari di detti marchi o agli operatori abilitati a commercializzare i prodotti o i servizi degli stessi, ma, almeno nelle cause di cui trattasi, esso avviene senza il consenso dei titolari ed è fornito a concorrenti degli stessi o ad imitatori.

55

Benché da tali elementi risulti chiaramente che il prestatore del servizio di posizionamento opera «nel commercio» quando consente agli inserzionisti di selezionare, quali parole chiave, segni identici a marchi, quando memorizza tali segni e quando visualizza a partire da questi ultimi gli annunci dei propri clienti, ciò non significa che lo stesso prestatore faccia un «uso» di tali segni ai sensi degli artt. 5 della direttiva 89/104 e 9 del regolamento n. 40/94.

56

A tale proposito, è sufficiente osservare che l’uso di un segno identico o simile al marchio del titolare da parte di un terzo comporta, quanto meno, che quest’ultimo utilizzi il segno nell’ambito della propria comunicazione commerciale. Nel caso del prestatore di un servizio di posizionamento, quest’ultimo consente ai propri clienti di usare segni identici o simili a marchi, senza fare egli stesso uso di detti segni.

57

Tale conclusione non è smentita dal fatto che detto prestatore percepisce un compenso per l’uso di detti segni da parte dei suoi clienti. Infatti, la circostanza che si creino le condizioni tecniche necessarie per l’uso di un segno e si percepisca un compenso per tale servizio, non significa che colui che fornisce tale servizio faccia a sua volta uso di detto segno. Nei limiti in cui egli ha consentito un tale uso al proprio cliente, la sua posizione deve essere eventualmente esaminata alla luce di norme giuridiche diverse da quelle di cui agli artt. 5 della direttiva 89/104 e 9 del regolamento n. 40/94, quali quelle cui fa riferimento il punto 107 della presente sentenza.

58

Da quanto precede si evince che il prestatore del servizio di posizionamento non fa un uso nel commercio ai sensi delle citate disposizioni della direttiva 89/104 e del regolamento n. 40/94.

59

Ne consegue che le condizioni riguardanti l’uso «per prodotti o servizi» e la violazione delle funzioni del marchio devono essere esaminate soltanto in relazione all’uso del segno identico al marchio da parte dell’inserzionista.

– b) Uso «per prodotti o servizi»

60

L’espressione «per prodotti o servizi» identici a quelli per cui il marchio è registrato contenuta negli artt. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94 riguarda, in linea di principio, i prodotti o i servizi del terzo che fa uso del segno identico al marchio [v. sentenze 25 gennaio 2007, causa C-48/05, Adam Opel, Racc. pag. I-1017, punti 28 e 29, nonché 12 giugno 2008, causa C-533/06, O2 Holdings e O2 (UK), Racc. pag. I-4231, punto 34]. Eventualmente, essa può parimenti riguardare i prodotti o i servizi di un’altra persona per conto della quale il terzo agisce (v. ordinanza UDV North America, cit., punti 43-51).

61

Come la Corte ha già avuto modo di dichiarare, i comportamenti elencati agli artt. 5, n. 3, della direttiva 89/104 e 9, n. 2, del regolamento n. 40/94, vale a dire l’apposizione del segno sui prodotti o sul loro condizionamento, l’offerta in vendita di prodotti o di servizi sotto la copertura del segno, l’importazione o l’esportazione sotto la copertura del segno e l’uso del segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità, costituiscono usi per prodotti o servizi (v. sentenze citate Arsenal Football Club, punto 41, e Adam Opel, punto 20).

62

I fatti all’origine della controversia principale nella causa C-236/08 si avvicinano ad alcune situazioni descritte da dette disposizioni della direttiva 89/104 e del regolamento n. 40/94, vale a dire l’offerta dei prodotti del terzo sotto la copertura del segno identico al marchio nonché l’uso di tale segno nella pubblicità. Infatti, dal fascicolo risulta che segni identici a marchi della Vuitton sono apparsi negli annunci visualizzati nella rubrica «link sponsorizzati».

63

Al contrario, le fattispecie di cui alle cause C-237/08 e C-238/08 sono caratterizzati dall’assenza, nell’annuncio del terzo, del segno identico al marchio.

64

La Google sostiene che, in assenza di una qualsivoglia menzione del segno nell’annuncio stesso, non si può ritenere che l’uso di detto segno come parola chiave sia fatto per prodotti o servizi. I titolari di marchi opposti alla Google, nonché il governo francese, sostengono la tesi opposta.

65

A tal proposito, occorre ricordare che gli artt. 5, n. 3, della direttiva 89/104 e 9, n. 2, del regolamento n. 40/94 contengono soltanto un elenco non tassativo dei tipi di uso che il titolare del marchio può vietare (sentenze Arsenal Football Club, cit., punto 38; 17 marzo 2005, causa C-228/03, Gillette Company e Gillette Group Finland, Racc. pag. I-2337, punto 28, nonché Adam Opel, cit., punto 16). Pertanto, la circostanza che il segno utilizzato dal terzo a fini pubblicitari non compaia nella pubblicità stessa non può significare, di per sé, che tale uso sia escluso dalla nozione di «us[o] (…) per i prodotti o servizi» ai sensi dell’art. 5 della direttiva 89/104.

66

Del resto, un’interpretazione secondo la quale soltanto gli usi menzionati in detto elenco sarebbero rilevanti, non prenderebbe in considerazione il fatto che quest’ultimo è stato redatto prima della completa comparsa del commercio elettronico e delle pubblicità sviluppate in tale ambito. Orbene, sono tali forme elettroniche di commercio e di pubblicità che, attraverso l’impiego di tecnologie informatiche, possono tipicamente dar luogo a usi diversi da quelli elencati agli artt. 5, n. 3, della direttiva 89/104 e 9, n. 2, del regolamento n. 40/94.

67

Nel caso del servizio di posizionamento, è pacifico che l’inserzionista, che abbia selezionato come parola chiave il segno identico a un marchio altrui, mira a far sì che gli utenti di Internet, inserendo tale parola quale termine di ricerca, selezionino non solo i link visualizzati che provengono dal titolare di detto marchio, ma anche il link pubblicitario di detto inserzionista.

68

È chiaro altresì che, nella maggior parte dei casi, inserendo il nome di un marchio quale parola da ricercare, l’utente di Internet si prefigge di trovare informazioni od offerte sui prodotti o sui servizi di tale marchio. Pertanto, quando sono visualizzati, sopra o a lato dei risultati naturali della ricerca, link pubblicitari verso siti che offrono prodotti o servizi di concorrenti del titolare di detto marchio, l’utente di Internet, se non esclude subito tali link in quanto non pertinenti e non li confonde con quelli del titolare del marchio, può percepire che detti link offrano un’alternativa rispetto ai prodotti o ai servizi del titolare del marchio.

69

In tale situazione caratterizzata dal fatto che un segno identico a un marchio è selezionato come parola chiave da un concorrente del titolare del marchio al fine di offrire agli utenti di Internet un’alternativa rispetto ai prodotti o ai servizi di detto titolare, sussiste un uso di detto segno per i prodotti o i servizi di detto concorrente.

70

Occorre ricordare, a tale proposito, che la Corte ha già avuto modo di dichiarare che un inserzionista che utilizzi, nell’ambito di una pubblicità comparativa, un segno identico o simile al marchio di un concorrente al fine di identificare, in modo esplicito o implicito, i prodotti o i servizi offerti da quest’ultimo e di comparare gli stessi con i propri prodotti o servizi, fa un uso di detto segno «per prodotti o servizi» ai sensi dell’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 [v. sentenze citate O2 Holdings e O2 (UK), punti 35, 36 e 42, nonché L’Oréal e a., punti 52 e 53].

71

Orbene, senza che sia necessario esaminare se la pubblicità su Internet in base a parole chiave identiche a marchi di concorrenti costituisca o meno una forma di pubblicità comparativa, risulta comunque che, alla stregua di quanto dichiarato dalla giurisprudenza citata al punto precedente, l’uso che l’inserzionista fa del segno identico al marchio di un concorrente, affinché l’utente di Internet conosca non soltanto i prodotti o i servizi offerti da tale concorrente ma anche quelli di detto inserzionista, è un uso per i prodotti o i servizi di tale inserzionista.

72

Peraltro, si ha uso «per prodotti o servizi» anche nel caso in cui, attraverso il proprio uso del segno identico al marchio come parola chiave, l’inserzionista non miri a presentare i propri prodotti o servizi agli utenti di Internet come un’alternativa rispetto ai prodotti o ai servizi del titolare del marchio, ma, al contrario, intenda indurre in errore gli utenti di Internet sull’origine dei propri prodotti o servizi, lasciando credere loro che gli stessi provengono dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente legata a quest’ultimo. Infatti, come la Corte ha già avuto modo di dichiarare, un uso del genere esiste comunque quando il terzo usa il segno identico al marchio in modo tale da creare un legame tra detto segno e i prodotti commercializzati o i servizi forniti dal terzo (sentenza Céline, cit., punto 23, e ordinanza UDV North America, cit., punto 47).

73

Alla luce di tutte le considerazioni sin qui svolte emerge che l’impiego da parte dell’inserzionista di un segno identico al marchio, come parola chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet, rientra nella nozione di uso «per prodotti o servizi» ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104.

74

Del pari, si tratta di uso «per prodotti o servizi» ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94, qualora il segno oggetto di detto uso sia identico a un marchio comunitario.

– c) Uso idoneo a pregiudicare le funzioni del marchio

75

Il diritto esclusivo di cui agli artt. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94 è stato concesso al fine di permettere al titolare del marchio di tutelare i propri interessi specifici quale titolare di tale marchio, ossia di garantire che quest’ultimo possa adempiere le sue proprie funzioni. Pertanto, l’esercizio di tale diritto deve essere riservato ai casi in cui l’uso del segno da parte di un terzo pregiudichi o possa pregiudicare le funzioni del marchio (v., segnatamente, sentenze citate Arsenal Football Club, punto 51; Adam Opel, punti 21 e 22, nonché L’Oréal e a., punto 58).

76

Da tale giurisprudenza risulta che il titolare del marchio non può opporsi all’uso di un segno identico al marchio se tale uso non sia idoneo a compromettere una delle funzioni del marchio in questione (sentenze citate Arsenal Football Club, punto 54, nonché L’Oréal e a., punto 60).

77

Fra dette funzioni è da annoverare non solo la funzione essenziale del marchio consistente nel garantire ai consumatori l’origine del prodotto o del servizio (in prosieguo: la «funzione di indicazione di origine»), ma anche le altre funzioni del marchio, segnatamente quella di garantire la qualità del prodotto o del servizio di cui trattasi, o quelle di comunicazione, investimento o pubblicità (sentenza L’Oréal e a., cit., punto 58).

78

A tal riguardo, la tutela conferita dagli artt. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94 è più ampia di quella prevista dai medesimi articoli, n. 1, lett. b), per la cui applicazione occorre l’esistenza di un rischio di confusione (v., in tal senso, sentenze citate Davidoff, punto 28, nonché L’Oréal e a., punto 59).

79

Emerge dalla giurisprudenza testé richiamata che nell’ipotesi di cui agli artt. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94, in cui l’uso da parte di un terzo di un segno identico al marchio avviene per prodotti o servizi identici a quelli per cui il marchio è registrato, il titolare del marchio ha il diritto di vietare tale uso qualora quest’ultimo possa arrecare pregiudizio a una delle funzioni del marchio, indipendentemente dal fatto che si tratti della funzione di indicazione di origine ovvero di un’altra delle sue funzioni.

80

È ben vero che il titolare del marchio non può vietare un siffatto uso nei casi, costituenti eccezione, di cui agli artt. 6 e 7 della direttiva 89/104 e agli artt. 12 e 13 del regolamento n. 40/94. Tuttavia, non è stato fatto valere che nel caso di specie sia applicabile una di tali ipotesi.

81

Nel caso di specie, le funzioni che interessa esaminare sono la funzione di indicazione di origine e la funzione di pubblicità.

i) Violazione della funzione di indicazione di origine

82

La funzione essenziale del marchio consiste nel garantire al consumatore o all’utilizzatore finale l’identità di origine del prodotto o del servizio contrassegnato, consentendogli di distinguere tale prodotto o tale servizio da quelli di diversa provenienza (v., in tal senso, sentenze 29 settembre 1998, causa C-39/97, Canon, Racc. pag. I-5507, punto 28, e 6 ottobre 2005, causa C-120/04, Medion, Racc. pag. I-8551, punto 23).

83

La questione se sussista una violazione di tale funzione allorché, a partire da una parola chiave identica a un marchio, è mostrato agli utenti di Internet un annuncio di un terzo, quale un concorrente del titolare di tale marchio, dipende in particolare dal modo in cui tale annuncio è presentato.

84

Sussiste violazione della funzione di indicazione di origine del marchio quando l’annuncio non consente o consente soltanto difficilmente all’utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento di sapere se i prodotti o i servizi a cui l’annuncio si riferisce provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente connessa a quest’ultimo o, al contrario, da un terzo (v., in tal senso, sentenza Céline, cit., punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

85

Infatti, in una situazione del genere – caratterizzata del resto dal fatto che l’annuncio in questione appare subito dopo che l’utente di Internet interessato abbia inserito il marchio come parola da ricercare ed è visualizzato in un momento in cui il marchio, in qualità di parola da ricercare, è parimenti indicato sullo schermo – l’utente di Internet può confondersi sull’origine dei prodotti o dei servizi in questione. In tali circostanze, l’uso del segno identico al marchio da parte del terzo, come parola chiave che lancia la visualizzazione di detto annuncio, è idoneo ad avvalorare l’esistenza di un collegamento materiale nel commercio tra i prodotti o servizi interessati e il titolare del marchio (v., per analogia, sentenze Arsenal Football Club, cit., punto 56, e 16 novembre 2004, causa C-245/02, Anheuser-Busch, Racc. pag. I-10989, punto 60).

86

Sempre relativamente alla violazione della funzione di indicazione di origine, giova osservare che la necessità di una visualizzazione trasparente degli annunci su Internet è sottolineata nella legislazione dell’Unione sul commercio elettronico. Considerati gli interessi della correttezza delle operazioni e della tutela dei consumatori, di cui al ventinovesimo ‘considerando’ della direttiva 2000/31, l’art. 6 della medesima sancisce la regola secondo la quale deve essere chiaramente identificabile la persona fisica o giuridica per conto della quale viene effettuata una comunicazione commerciale rientrante in un servizio della società dell’informazione.

87

Se risulta così che la responsabilità di inserzionisti su Internet può eventualmente sorgere in applicazione di norme relative ad altre branche del diritto, quali quelle sulla concorrenza sleale, ciò non toglie che l’asserito uso illecito su Internet di segni identici o simili a marchi si presta a un esame alla luce del diritto dei marchi. Considerata la funzione principale del marchio, che, nell’ambito del commercio elettronico, consiste in particolare nel consentire agli utenti di Internet che scorrono gli annunci visualizzati, risultanti da una ricerca avente ad oggetto un determinato marchio, di distinguere i prodotti o i servizi del titolare di tale marchio da quelli di diversa provenienza, detto titolare deve poter vietare la visualizzazione di annunci di terzi che gli utenti di Internet rischiano di percepire erroneamente come provenienti da lui.

88

Spetta al giudice nazionale accertare, caso per caso, se i fatti della controversia sottopostagli siano caratterizzati da una violazione, o da un rischio di violazione, della funzione di indicazione di origine quale descritta al precedente punto 84.

89

Qualora l’annuncio del terzo adombri l’esistenza di un collegamento economico tra tale terzo e il titolare del marchio, si dovrà concludere che sussiste una violazione della funzione di indicazione di origine.

90

Qualora l’annuncio, pur non adombrando l’esistenza di un collegamento economico, sia talmente vago sull’origine dei prodotti o dei servizi in questione che un utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento non sia in grado di sapere, sulla base del link pubblicitario e del messaggio commerciale allegato, se l’inserzionista sia un terzo rispetto al titolare del marchio o, al contrario, sia economicamente collegato a quest’ultimo, si dovrà parimenti concludere che sussiste violazione della funzione del marchio.

ii) Violazione della funzione di pubblicità

91

Atteso che il commercio è caratterizzato da un’offerta varia di prodotti e di servizi, il titolare di un marchio non solo può prefiggersi di indicare, mediante tale marchio, l’origine dei propri prodotti o dei propri servizi, ma può anche voler impiegare il suo marchio per scopi pubblicitari con l’intento di informare e persuadere il consumatore.

92

Pertanto, il titolare di un marchio può vietare l’uso, senza il suo consenso, di un segno identico al suo marchio per prodotti o servizi identici a quelli per i quali tale marchio è registrato, qualora tale uso pregiudichi l’impiego del marchio, da parte del suo titolare, quale strumento di promozione delle vendite o di strategia commerciale.

93

Per quanto attiene all’uso da parte degli inserzionisti su Internet del segno identico al marchio altrui come parola chiave ai fini della visualizzazione di messaggi pubblicitari, è evidente che tale uso può produrre alcune ripercussioni sull’utilizzo a fini pubblicitari di detto marchio da parte del suo titolare nonché sulla strategia commerciale di quest’ultimo.

94

Infatti, considerato l’importante ruolo svolto nel commercio dalla pubblicità su Internet, è plausibile che il titolare del marchio iscriva il proprio marchio come parola chiave presso il fornitore del servizio di posizionamento, al fine di ottenere un annuncio nella rubrica «link sponsorizzati». Qualora ciò avvenga, il titolare del marchio dovrà, se del caso, accettare di pagare un prezzo per click più elevato rispetto a quello di taluni altri operatori economici, se vuole ottenere che il suo annuncio compaia prima di quelli di detti operatori che hanno parimenti selezionato il suo marchio come parola chiave. Inoltre, anche laddove il titolare del marchio sia disposto a pagare un prezzo per click più elevato di quello offerto dai terzi che del pari hanno selezionato detto marchio, non v’è garanzia che il suo annuncio compaia prima di quelli di detti terzi, dal momento che nel determinare l’ordine di visualizzazione degli annunci sono presi in considerazione anche altri elementi.

95

Tuttavia, tali ripercussioni dell’uso del segno identico al marchio da parte di terzi non costituiscono di per sé una violazione della funzione di pubblicità del marchio.

96

Infatti, secondo le stesse constatazioni del giudice di rinvio, la situazione oggetto delle questioni pregiudiziali è quella della visualizzazione di link promozionali in seguito all’inserimento, come parola chiave, da parte dell’utente di Internet di una parola da ricercare corrispondente al marchio selezionato. È altresì pacifico, in tali cause, che tali link promozionali sono visualizzati al di sopra o al lato dell’elenco dei risultati naturali della ricerca. Infine, è indubbio che l’ordine dei risultati naturali deriva dalla pertinenza dei rispettivi siti rispetto alla parola da ricercare inserita dall’utente di Internet e che l’operatore del motore di ricerca non rivendica alcun pagamento per la visualizzazione di tali risultati.

97

Da tali elementi risulta che, quando l’utente di Internet inserisce il nome di un marchio quale parola da ricercare, il link verso la pagina iniziale e verso il sito sponsorizzato del titolare di detto marchio comparirà nell’elenco dei risultati naturali e, di regola, tra i primi posti di tale elenco. Tale visualizzazione, che inoltre è gratuita, comporta che all’utente di Internet è garantita la visibilità dei prodotti o servizi del titolare del marchio, indipendentemente dal fatto che tale titolare riesca o meno ad ottenere che un annuncio nella rubrica «link sponsorizzati» venga visualizzato del pari tra i primi posti.

98

Alla luce di tali circostanze, si deve concludere che l’uso di un segno identico a un marchio altrui nell’ambito di un servizio di posizionamento quale quello di cui trattasi nelle cause principali, non è idoneo a pregiudicare la funzione di pubblicità del marchio.

d) Conclusione

99

Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre risolvere la prima questione nella causa C-236/08, la prima questione nella causa C-237/08 nonché la prima e la seconda questione nella causa C-238/08, dichiarando che:

– gli artt. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94 devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio può vietare ad un inserzionista di fare pubblicità – a partire da una parola chiave identica a detto marchio, selezionata da tale inserzionista nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet senza il consenso dello stesso titolare – a prodotti o servizi identici a quelli per cui detto marchio è registrato, qualora la pubblicità di cui trattasi non consenta, o consenta soltanto difficilmente, all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi indicati nell’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente connessa a quest’ultimo o invece da un terzo;

– il prestatore di un servizio di posizionamento su Internet che memorizza come parola chiave un segno identico a un marchio e organizza, a partire da quest’ultima, la visualizzazione di annunci non fa un uso di tale segno ai sensi dell’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 o dell’art. 9, n. 1, lett. a) e b), del regolamento n. 40/94.

3. Sull’interpretazione degli artt. 5, n. 2, della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94

100

Con la sua seconda questione nella causa C-236/08, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il prestatore di un servizio di posizionamento su Internet, che memorizza come parola chiave un segno identico a un marchio notorio e organizza, a partire dalla stessa parola chiave, la visualizzazione di annunci, faccia un uso di tale segno che il titolare di detto marchio può vietare ai sensi dell’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104 o, qualora detto segno sia identico a un marchio comunitario notorio, ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94.

101

Secondo le constatazioni del giudice del rinvio, in tale causa è stato accertato che la Google consentiva agli inserzionisti che offrono agli utenti di Internet imitazioni dei prodotti della Vuitton di selezionare parole chiave corrispondenti ai marchi della Vuitton, associate a parole chiave quali «imitazione» e «copia».

102

La Corte ha già avuto modo di dichiarare nel caso di offerta di vendita di imitazioni, che, quando un terzo tenta, mediante l’uso di un segno identico o simile a un marchio notorio, di porsi nel solco tracciato da quest’ultimo, al fine di beneficiare del suo potere attrattivo, della sua reputazione e del suo prestigio, nonché di sfruttare, senza qualsivoglia compensazione economica e senza dover operare sforzi propri a tale scopo, lo sforzo commerciale effettuato dal titolare del marchio per creare e mantenere l’immagine di detto marchio, si deve considerare il vantaggio derivante da siffatto uso come indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio in parola (sentenza L’Oréal e a., cit., punto 49).

103

Tale giurisprudenza rileva nei casi in cui inserzionisti su Internet offrano in vendita, attraverso l’uso di segni identici a marchi notori quali «Louis Vuitton» o «Vuitton», prodotti che sono imitazioni dei prodotti del titolare di detti marchi.

104

Tuttavia, per quanto attiene alla questione se il prestatore di un servizio di posizionamento, quando memorizza tali segni associati a termini come «imitazione» e «copia» quali parole chiave e consente la visualizzazione di annunci partendo dagli stessi termini, faccia a sua volta un uso che il titolare di detti marchi può vietare, occorre ricordare, come indicato ai punti 55-57 della presente sentenza, che tali atti del prestatore non costituiscono un uso ai sensi degli artt. 5 della direttiva 89/104 e 9 del regolamento n. 40/94.

105

Pertanto, occorre risolvere la seconda questione presentata nella causa C-236/08 dichiarando che il prestatore di un servizio di posizionamento su Internet che memorizza, come parola chiave, un segno identico a un marchio notorio e, a partire dalla stessa, organizza la visualizzazione di annunci, non fa un uso di tale segno ai sensi dell’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104 ovvero dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94.

B – Sulla responsabilità del prestatore del servizio di posizionamento

106

Con la sua terza questione nella causa C-236/08, la sua seconda questione nella causa C-237/08 e la sua terza questione nella causa C-238/08 il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 14 della direttiva 2000/31 debba essere interpretato nel senso che un servizio di posizionamento su Internet costituisca un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite dall’inserzionista, di guisa che tali dati sono oggetto di un’attività di «hosting» ai sensi di tale articolo e che, pertanto, non è possibile ravvisare una responsabilità del prestatore del servizio di posizionamento prima che egli sia stato informato del comportamento illecito di detto inserzionista.

107

La sezione 4 della direttiva 2000/31, che comprende gli artt. 12-15, recante l’intestazione «Responsabilità dei prestatori intermediari», è diretta a limitare le ipotesi in cui, conformemente al diritto nazionale applicabile in materia, può sorgere la responsabilità dei prestatori di servizi intermediari. È pertanto nell’ambito di tale diritto nazionale che vanno ricercati i requisiti per accertare una siffatta responsabilità, fermo restando però che, ai sensi della sezione 4 di tale direttiva, talune fattispecie non possono dar luogo a una responsabilità dei prestatori di servizi intermediari. Successivamente alla scadenza del termine di trasposizione di detta direttiva, le norme di diritto nazionale riguardanti la responsabilità di tali prestatori devono prevedere le limitazioni di cui ai detti articoli.

108

La Vuitton, la Viaticum e la CNRRH sostengono, tuttavia, che un servizio di posizionamento quale AdWords non è un servizio della società dell’informazione come definito dalle citate disposizioni della direttiva 2000/31, cosicché il prestatore di un tale servizio non può in alcun caso godere di dette limitazioni della responsabilità. La Google e la Commissione europea sostengono il contrario.

109

La limitazione della responsabilità di cui all’art. 14, n. 1, della direttiva 2000/31 si applica in caso di «prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio» e significa che il prestatore di un tale servizio non può essere ritenuto responsabile per i dati che ha memorizzato su richiesta di un destinatario del servizio in parola, salvo che tale prestatore, dopo aver preso conoscenza, mediante un’informazione fornita dalla persona lesa o in altro modo, della natura illecita di tali dati o di attività di detto destinatario, abbia omesso di prontamente rimuovere tali dati o disabilitare l’accesso agli stessi.

110

Come indicato ai punti 14 e 15 della presente sentenza, il legislatore ha definito la nozione di «servizio della società dell’informazione» come comprendente i servizi prestati a distanza mediante attrezzature elettroniche di trattamento e di memorizzazione di dati, a richiesta individuale di un destinatario di servizi e, normalmente, dietro retribuzione. Tenuto conto delle caratteristiche del servizio di posizionamento di cui trattasi nelle cause principali, riassunte al punto 23 della presente sentenza, si deve concludere che tale servizio presenta tutti gli elementi di tale definizione.

111

Non si può contestare, inoltre, il fatto che il prestatore di un servizio di posizionamento trasmette informazioni del destinatario di detto servizio, vale a dire l’inserzionista, su una rete di comunicazione accessibile agli utenti di Internet e memorizza, vale a dire salva sul proprio server, taluni dati, quali le parole chiave selezionate dall’inserzionista, il link pubblicitario e il messaggio commerciale che lo accompagna, nonché l’indirizzo del sito dell’inserzionista.

112

È necessario inoltre, affinché la memorizzazione effettuata dal prestatore di un servizio di posizionamento possa rientrare nella previsione dell’art. 14 della direttiva 2000/31, che il comportamento di tale prestatore si limiti a quello di un «prestatore intermediario» nel senso voluto dal legislatore nell’ambito della sezione 4 di tale direttiva.

113

Dal quarantaduesimo ‘considerando’ della direttiva 2000/31 risulta, a tal proposito, che le deroghe alla responsabilità previste da tale direttiva riguardano esclusivamente i casi in cui l’attività di prestatore di servizi della società dell’informazione sia di ordine «meramente tecnico, automatico e passivo», con la conseguenza che detto prestatore «non conosce né controlla le informazioni trasmesse o memorizzate».

114

Pertanto, al fine di verificare se la responsabilità del prestatore del servizio di posizionamento possa essere limitata ai sensi dell’art. 14 della direttiva 2000/31, occorre esaminare se il ruolo svolto da detto prestatore sia neutro, in quanto il suo comportamento è meramente tecnico, automatico e passivo, comportante una mancanza di conoscenza o di controllo dei dati che esso memorizza.

115

Per quanto attiene al servizio di posizionamento di cui trattasi nelle cause principali, dal fascicolo e dalla descrizione di cui ai punti 23 e seguenti della presente sentenza si evince che la Google, tramite software da essa sviluppati, effettua un trattamento dei dati inseriti dagli inserzionisti ottenendo la visualizzazione di annunci a condizioni stabilite dalla stessa Google. Quest’ultima stabilisce quindi l’ordine di visualizzazione in funzione, in particolare, del pagamento degli inserzionisti.

116

Occorre osservare che la semplice circostanza che il servizio di posizionamento sia a pagamento, che la Google stabilisca le modalità di pagamento, o ancora che essa dia informazioni di ordine generale ai suoi clienti, non può avere come effetto di privare la Google delle deroghe in materia di responsabilità previste dalla direttiva 2000/31.

117

Del pari, il fatto che la parola chiave selezionata e il termine di ricerca inserito da un utente di Internet coincidano non è di per sé sufficiente a ritenere che la Google conosca o controlli i dati inseriti dagli inserzionisti nel suo sistema e memorizzati sul suo server.

118

Nell’ambito dell’esame di cui al punto 114 della presente sentenza, è invece rilevante il ruolo svolto dalla Google nella redazione del messaggio commerciale che accompagna il link pubblicitario o nella determinazione o selezione di tali parole chiave.

119

Proprio alla luce delle suesposte considerazioni spetta al giudice nazionale, che meglio può conoscere le modalità concrete della fornitura del servizio nelle cause principali, valutare se il ruolo svolto dalla Google corrisponda a quello descritto al punto 114 della presente sentenza.

120

Da ciò consegue che occorre risolvere la terza questione nella causa C-236/08, la seconda questione nella causa C-237/08 e la terza questione nella causa C-238/08 dichiarando che l’art. 14 della direttiva 2000/31 deve essere interpretato nel senso che la norma ivi contenuta si applica al prestatore di un servizio di posizionamento su Internet qualora detto prestatore non abbia svolto un ruolo attivo atto a conferirgli la conoscenza o il controllo dei dati memorizzati. Se non ha svolto un siffatto ruolo, detto prestatore non può essere ritenuto responsabile per i dati che egli ha memorizzato su richiesta di un inserzionista, salvo che, essendo venuto a conoscenza della natura illecita di tali dati o di attività di tale inserzionista, egli abbia omesso di prontamente rimuovere tali dati o disabilitare l’accesso agli stessi.

IV – Sulle spese

121

Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1)

Gli artt. 5, n. 1, lett. a), della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, e 9, n. 1, lett. a), del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario, devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio può vietare ad un inserzionista di fare pubblicità – a partire da una parola chiave identica a detto marchio, selezionata da tale inserzionista nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet senza il consenso dello stesso titolare – a prodotti o servizi identici a quelli per cui detto marchio è registrato, qualora la pubblicità di cui trattasi non consenta, o consenta soltanto difficilmente, all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi indicati nell’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente connessa a quest’ultimo o invece da un terzo.

2)

Il prestatore di un servizio di posizionamento su Internet che memorizza come parola chiave un segno identico a un marchio e organizza, a partire da quest’ultima, la visualizzazione di annunci non fa un uso di tale segno ai sensi dell’art. 5, nn. 1 e 2, della direttiva 89/104 o dell’art. 9, n. 1, del regolamento n. 40/94.

3)

L’art. 14 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico»), deve essere interpretato nel senso che la norma ivi contenuta si applica al prestatore di un servizio di posizionamento su Internet qualora detto prestatore non abbia svolto un ruolo attivo atto a conferirgli la conoscenza o il controllo dei dati memorizzati. Se non ha svolto un siffatto ruolo, detto prestatore non può essere ritenuto responsabile per i dati che egli ha memorizzato su richiesta di un inserzionista, salvo che, essendo venuto a conoscenza della natura illecita di tali dati o di attività di tale inserzionista, egli abbia omesso di prontamente rimuovere tali dati o disabilitare l’accesso agli stessi.

Firme

* Lingua processuale: il francese.