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cited in "Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 24 febbraio 2022. SC Cridar Cons SRL contro Administraţia Judeţeană a Finanţelor Publice Cluj e Direcţia Generală Regională a Finanţelor Publice Cluj-Napoca. Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall'Înalta Curte de Casaţie şi Justiţie. Rinvio pregiudiziale – Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto – Direttiva 2006/112/CE – Articoli 167 e 168 – Diritto a detrazione – Diniego – Frode fiscale – Assunzione delle prove – Sospensione della pronuncia su un reclamo amministrativo avente ad oggetto un avviso di accertamento che nega il diritto a detrazione, in attesa dell’esito di un procedimento penale – Autonomia procedurale degli Stati membri – Principio di neutralità fiscale – Diritto a un buon andamento dell’amministrazione – Articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Causa C-582/20."
Rinvio pregiudiziale, Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, Direttiva 2006/112/CE, Articoli 167 e 168, Diritto a detrazione, Diniego, Frode fiscale, Assunzione delle prove, Sospensione della pronuncia su un reclamo amministrativo avente ad oggetto un avviso di accertamento che nega il diritto a detrazione, in attesa dell’esito di un procedimento penale, Autonomia procedurale degli Stati membri, Principio di neutralità fiscale, Diritto a un buon andamento dell’amministrazione, Articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Rinvio pregiudiziale, Principi del diritto dell’Unione, Rispetto dei diritti della difesa, Procedimento fiscale, Esercizio del diritto a detrazione in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA), Diniego del diritto a detrazione a motivo del comportamento asseritamente inadeguato dei fornitori del soggetto passivo, Atto amministrativo emesso dalle autorità tributarie nazionali senza accordare al contribuente interessato l’accesso alle informazioni e ai documenti posti a fondamento di detto atto, Sospetta frode fiscale, Prassi nazionale che subordina l’esercizio del diritto a detrazione al possesso di documenti giustificativi diversi dalla fattura fiscale, Ammissibilità.
Rinvio pregiudiziale, Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (IVA), Direttiva 2006/112/CE, Articolo 183, Principio della neutralità fiscale, Detrazione dell’imposta assolta a monte, Rimborso dell’eccedenza di IVA, Procedura di controllo, Ammenda irrogata al soggetto passivo nel corso di una procedura siffatta, Proroga del termine di rimborso, Esclusione del versamento degli interessi di mora.
Causa C-254/16 Glencore Agriculture Hungary Kft. contro Nemzeti Adó- és Vámhivatal Fellebbviteli Igazgatóság (domanda di pronuncia pregiudizialeproposta dal Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság) «Rinvio pregiudiziale – Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (IVA) – Direttiva 2006/112/CE – Articolo 183 – Principio della neutralità fiscale – Detrazione dell’imposta assolta a monte – Rimborso dell’eccedenza di IVA – Procedura di controllo – Ammenda irrogata al soggetto passivo nel corso di una procedura siffatta – Proroga del termine di rimborso – Esclusione del versamento degli interessi di mora» Massime – Sentenza della Corte (Settima Sezione) del 6 luglio 2017 Armonizzazione delle normative fiscali – Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto – Detrazione dell’imposta assolta a monte – Restituzione dell’eccedenza – Rispetto del principio di neutralità fiscale – Normativa nazionale che prevede il differimento della data del rimborso di detta eccedenza nell’ambito di una procedura di controllo fiscale di irrogazione di un’ammenda al soggetto passivo per mancata cooperazione – Diniego del versamento degli interessi di mora, anche nell’ipotesi di eccessiva durata della suddetta procedura – Inammissibilità (Direttiva del Consiglio 2006/112, art. 183) Il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, ai sensi della quale, quando l’amministrazione tributaria avvia una procedura di verifica fiscale ed è irrogata un’ammenda a un soggetto passivo per mancata cooperazione, la data del rimborso dell’eccedenza di imposta sul valore aggiunto può essere differita sino alla notifica, a tale soggetto passivo, del verbale della suddetta verifica e può essere negato il versamento degli interessi di mora, anche allorché la durata della procedura di verifica fiscale è eccessiva e non è interamente imputabile alla condotta del soggetto passivo. Quando il rimborso al soggetto passivo dell’eccedenza di IVA ha luogo al di là di un termine ragionevole, il principio della neutralità del sistema fiscale dell’IVA richiede che le perdite finanziarie così generate, a svantaggio del soggetto passivo, dall’indisponibilità delle somme di denaro di cui trattasi siano compensate dal pagamento d’interessi di mora (sentenza del 24 ottobre 2013, Rafinăria Steaua Română,C-431/12, EU:C:2013:686, punto 23). Poiché il giudice del rinvio si interroga, a tal riguardo, sull’incidenza della condotta del soggetto passivo, la cui carenza di diligenza nella procedura di verifica fiscale è stata sanzionata con ammende, si deve rilevare che è vero, come fa valere il governo ungherese, che non può essere ammessa una situazione in cui un soggetto passivo che, rifiutando di collaborare con l’amministrazione fiscale e ostacolando, in tal modo, lo svolgimento della procedura di verifica, abbia causato il ritardo del rimborso dell’eccedenza di IVA, possa chiedere il versamento di interessi dovuti al suddetto ritardo. Tuttavia, non possono essere considerate compatibili con le esigenze derivanti dal principio della neutralità fiscale le normative o prassi nazionali ai sensi delle quali il mero fatto che il soggetto passivo sia stato condannato a un’ammenda che sanzioni la sua carenza di diligenza nella verifica fiscale della quale era oggetto consenta all’amministrazione tributaria di prorogare la suddetta verifica per un periodo non giustificato da tale carenza di diligenza, senza dovergli corrispondere interessi di mora. Pertanto, in una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, si deve valutare, al fine di determinare se sono dovuti interessi di mora e, se del caso, il dies a quo del diritto ai suddetti interessi, la parte della durata della procedura di verifica fiscale che è imputabile alla condotta del soggetto passivo. (v. punti 22, 26-28, 36 e dispositivo)
Rinvio pregiudiziale, Imposta sul valore aggiunto (IVA), Rimborso dell’IVA indebitamente versata, Diritto alla detrazione dell’IVA, Modalità, Principi della parità di trattamento e della neutralità fiscale, Principio di effettività, Normativa nazionale che introduce un termine di prescrizione.
Causa C-38/16 Compass Contract Services Limited contro Commissioners for Her Majesty’s Revenue & Customs [domanda di pronuncia pregiudizialeproposta dal First-tier Tribunale (Tax Chamber)] «Rinvio pregiudiziale – Imposta sul valore aggiunto (IVA) – Rimborso dell’IVA indebitamente versata – Diritto alla detrazione dell’IVA – Modalità – Principi della parità di trattamento e della neutralità fiscale – Principio di effettività – Normativa nazionale che introduce un termine di prescrizione» Massime – Sentenza della Corte (Quarta Sezione) del 14 giugno 2017 Armonizzazione delle normative fiscali – Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto – Detrazione dell’imposta assolta a monte – Modalità di esercizio del diritto a detrazione – Domande di detrazione o di rimborso – Normativa nazionale che introduce una riduzione del termine di prescrizione di detto esercizio – Rispetto dei principi di parità di trattamento, di neutralità fiscale e di effettività – Periodi transitori diversi a seconda dell’oggetto della domanda – Ammissibilità I principi della neutralità fiscale, della parità di trattamento e di effettività non ostano ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale, nell’ambito della riduzione del termine di prescrizione, da un lato, delle domande di rimborso dell’imposta sul valore aggiunto indebitamente versata e, dall’altro, delle domande di detrazione dell’imposta sul valore aggiunto pagata a monte, prevede periodi transitori differenti, in modo tale che le domande relative a due esercizi contabili di tre mesi sono sottoposte a termini di prescrizione differenti, a seconda che esse abbiano ad oggetto il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto indebitamente versata o la detrazione dell’imposta sul valore aggiunto pagata a monte. La domanda di rimborso dell’IVA indebitamente versata rientra nell’ambito del diritto alla ripetizione dell’indebito, il quale, secondo costante giurisprudenza, è inteso a rimediare alle conseguenze dell’incompatibilità dell’imposta con il diritto dell’Unione, neutralizzando l’onere economico che ha indebitamente gravato l’operatore che, in definitiva, l’ha effettivamente sopportata (v., in tal senso, sentenza del 20 ottobre 2011, Danfoss e Sauer-Danfoss, C-94/10, EU:C:2011:674, punto 23). Pertanto, si deve rilevare che l’elemento che caratterizza tale diritto al rimborso, e nel quale esso trova origine, è l’esistenza di un versamento indebito alle autorità tributarie, da parte di un soggetto passivo, di una somma a titolo di IVA in violazione del diritto dell’Unione. È proprio il carattere indebito di tale IVA ad essere alla base del diritto alla ripetizione e a garantire, conformemente alle condizioni stabilite dal diritto nazionale di ciascuno Stato membro nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività, che l’onere economico che deriva da tale versamento venga neutralizzato nei confronti di tale soggetto passivo. Per quanto riguarda, dall’altro lato, la determinazione degli elementi che caratterizzano una domanda di detrazione dell’IVA pagata a monte, occorre rilevare che, mentre il diritto al rimborso dell’IVA indebitamente versata risulta dai principi generali del diritto dell’Unione, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 59 delle conclusioni e come risulta dai punti 29 e 30 della presente sentenza, il diritto alla detrazione dell’IVA pagata a monte è previsto agli articoli 17 e seguenti della sesta direttiva. Pertanto, a differenza dell’elemento che caratterizza il diritto al rimborso dell’IVA indebitamente versata, il diritto alla detrazione dell’IVA, che costituisce un diritto inerente al meccanismo dell’IVA, stabilito dal sistema comune dell’IVA, si fonda sull’esistenza di un’imposta dovuta. Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 60 delle conclusioni, tale differenza relativa alla natura dei diritti in questione ed agli obiettivi da essi perseguiti giustifica l’esistenza, per ciascuno di tali due diritti, di regimi giuridici propri, in particolare per quanto riguarda il loro contenuto e le loro condizioni di esercizio, come il termine di prescrizione delle azioni volte a fare valere detti diritti e, più in particolare, la data a partire dalla quale tale termine diventa applicabile. (v. punti 30-32, 36, 38, 46 e dispositivo)
Rinvio pregiudiziale, Imposta sul valore aggiunto, Direttiva 2006/112/CE, Articoli 2, 24, 43, 250 e 273, Luogo della prestazione di servizi resi per via elettronica, Fissazione artificiosa di tale luogo mediante una costruzione priva di effettività economica, Abuso di diritto, Regolamento (UE) n. 904/2010, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Articoli 7, 8, 41, 47, 48, 51, paragrafo 1, 52, paragrafi 1 e 3, Diritti della difesa, Diritto al contraddittorio, Utilizzo da parte dell’amministrazione tributaria di prove ottenute nell’ambito di un procedimento penale parallelo e non concluso all’insaputa del soggetto passivo, Intercettazioni di telecomunicazioni e sequestri di messaggi di posta elettronica.
Causa C-419/14 WebMindLicenses Kft. contro Nemzeti Adó- és Vámhivatal Kiemelt Adó- és Vám Főigazgatóság (domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi bíróság) «Rinvio pregiudiziale — Imposta sul valore aggiunto — Direttiva 2006/112/CE — Articoli 2, 24, 43, 250 e 273 — Luogo della prestazione di servizi resi per via elettronica — Fissazione artificiosa di tale luogo mediante una costruzione priva di effettività economica — Abuso di diritto — Regolamento (UE) n. 904/2010 — Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea — Articoli 7, 8, 41, 47, 48, 51, paragrafo 1, 52, paragrafi 1 e 3 — Diritti della difesa — Diritto al contraddittorio — Utilizzo da parte dell’amministrazione tributaria di prove ottenute nell’ambito di un procedimento penale parallelo e non concluso all’insaputa del soggetto passivo — Intercettazioni di telecomunicazioni e sequestri di messaggi di posta elettronica» Massime – Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 17 dicembre 2015 Armonizzazione delle normative fiscali — Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto — Operazioni costitutive di una pratica abusiva — Nozione — Contratto di licenza riguardante la locazione di un know-how che consente lo sfruttamento di un sito internet — Contratto concluso con una società con sede in uno Stato membro diverso da quello della società che ha concesso la licenza — Elementi da prendere in considerazione — Contratto che costituisce una costruzione puramente artificiosa — Verifica incombente al giudice nazionale
(Direttiva del Consiglio 2006/112)
Armonizzazione delle normative fiscali — Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto — Prestazioni di servizi — Determinazione del luogo di riferimento fiscale — Fissazione artificiosa di tale luogo mediante una costruzione priva di effettività economica — Imposta pagata nello Stato membro delle prestazioni di servizi fittizie — Conseguenze — Accertamento dell’imposta nello Stato membro delle prestazioni di servizi effettive — Ammissibilità
(Direttiva del Consiglio 2006/112)
Armonizzazione delle normative fiscali — Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto — Cooperazione amministrativa e lotta contro l’evasione fiscale — Stato membro che esamina l’esigibilità dell’imposta sul valore aggiunto per prestazioni già assoggettate a detta imposta in altri Stati membri — Obbligo di chiedere informazioni presso autorità fiscali di tali altri Stati membri — Presupposti
(Regolamento del Consiglio n. 904/2010)
Diritto dell’Unione europea — Principi — Diritti della difesa — Rispetto nell’ambito dei procedimenti amministrativi — Portata
Armonizzazione delle normative fiscali — Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto — Operazioni costitutive di una pratica abusiva — Procedimento di accertamento fiscale — Utilizzo delle prove ottenute nell’ambito di un procedimento penale parallelo e non concluso all’insaputa del soggetto passivo — Ammissibilità — Presupposto — Rispetto dei diritti garantiti dal diritto dell’Unione e, in particolare, dei diritti fondamentali — Diritto al rispetto della vita familiare — Diritto ad essere ascoltato — Diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo
(Art. 4, § 3, TUE; art. 325 TFUE; Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, artt. 7, 47 e 52, § 1; direttiva del Consiglio 2006/112, artt. 2, 250, § 1, e 273) Il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che - per accertare se un contratto di licenza avente ad oggetto la locazione di un know-how che consente lo sfruttamento di un sito internet tramite il quale erano prestati servizi audiovisivi interattivi, concluso con una società con sede in uno Stato membro diverso da quello nel cui territorio ha sede la società che ha ceduto tale licenza, trae origine da un abuso di diritto volto a beneficiare di un’aliquota dell’imposta sul valore aggiunto applicabile a detti servizi meno elevata in tale altro Stato membro -, non appaiono di per sé decisivi il fatto che l’amministratore e unico azionista di quest’ultima società sia il creatore di tale know-how, che lo stesso eserciti un’influenza o un controllo sullo sviluppo e sullo sfruttamento di detto know-how e sulla prestazione dei servizi basati sullo stesso, che la gestione delle transazioni finanziarie, del personale e degli strumenti tecnici necessari alla prestazione di detti servizi sia assicurata da subcontraenti, al pari dei motivi che possono aver portato la società che ha ceduto la licenza a concedere in locazione il know-how di cui trattasi a una società con sede in tale altro Stato membro invece di sfruttarlo essa stessa.
Spetta al giudice del rinvio analizzare l’insieme delle circostanze del procedimento principale per accertare se tale contratto costituisce una costruzione puramente artificiosa intesa a dissimulare che la prestazione di servizi di cui trattasi non è stata effettivamente resa dalla società che ha acquisito la licenza, ma è stata di fatto resa dalla società che ha concesso la licenza, verificando in particolare se la sede dell’attività economica o della stabile organizzazione della società che ha acquisito la licenza non sia effettiva o se tale società, ai fini dell’esercizio dell’attività economica considerata, non abbia una struttura adeguata in termini di locali, di personale e di strumenti tecnici, o ancora se detta società non eserciti tale attività economica in proprio nome e per proprio conto, sotto la propria responsabilità e a proprio rischio.
(v. punti 49, 50, dispositivo 1)
Il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che, in caso di constatazione di una pratica abusiva che abbia condotto a fissare il luogo di una prestazione di servizi in uno Stato membro diverso da quello in cui esso sarebbe stato fissato senza tale pratica abusiva, il fatto che l’imposta sul valore aggiunto sia stata pagata in detto altro Stato membro conformemente alla sua legislazione non osta a che si proceda a un accertamento di tale imposta nello Stato membro del luogo in cui tale prestazione di servizi è stata effettivamente resa.
(v. punto 53, dispositivo 2)
Il regolamento n. 904/2010, relativo alla cooperazione amministrativa e alla lotta contro la frode in materia d’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che l’amministrazione tributaria di uno Stato membro che esamina l’esigibilità dell’imposta sul valore aggiunto per prestazioni che sono già state assoggettate a detta imposta in altri Stati membri è tenuta a rivolgere una richiesta di informazioni alle amministrazioni tributarie di tali altri Stati membri qualora una siffatta richiesta sia utile, se non indispensabile, per accertare che l’imposta sul valore aggiunto sia esigibile nel primo Stato membro.
(v. punto 59, dispositivo 3)
V. il testo della decisione.
(v. punto 83)
Il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che non osta a che, ai fini dell’applicazione degli articoli 4, paragrafo 3, TUE, 325 TFUE, 2, 250, paragrafo 1, e 273 della direttiva 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, l’amministrazione tributaria possa, allo scopo di accertare la sussistenza di una pratica abusiva in materia d’imposta sul valore aggiunto, utilizzare prove ottenute nell’ambito di un procedimento penale parallelo non ancora concluso, all’insaputa del soggetto passivo, mediante, ad esempio, intercettazioni di telecomunicazioni e sequestri di messaggi di posta elettronica, a condizione che l’ottenimento di tali prove nell’ambito di detto procedimento penale e il loro utilizzo nell’ambito del procedimento amministrativo non violino i diritti garantiti dal diritto dell’Unione.
A tale riguardo, in forza degli articoli 7, 47 e 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, spetta al giudice nazionale che controlla la legittimità della decisione relativa a un accertamento dell’imposta sul valore aggiunto fondata su siffatte prove verificare, da un lato, se le intercettazioni di telecomunicazioni e il sequestro di messaggi di posta elettronica fossero mezzi istruttori previsti dalla legge e fossero necessari nell’ambito del procedimento penale e, dall’altro lato, se l’utilizzo, da parte di tale amministrazione, delle prove ottenute con detti mezzi fosse parimenti autorizzato dalla legge e necessario. Spetta ad esso, inoltre, verificare se, conformemente al principio generale del rispetto dei diritti della difesa, il soggetto passivo abbia avuto la possibilità, nell’ambito del procedimento amministrativo, di avere accesso a tali prove e di essere ascoltato sulle stesse. Se esso constata che tale soggetto passivo non ha avuto detta possibilità o che tali prove sono state ottenute nell’ambito del procedimento penale o utilizzate nell’ambito del procedimento amministrativo in violazione dell’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, detto giudice nazionale non deve ammettere tali prove e deve annullare detta decisione se essa risulta, per tale ragione, priva di fondamento. Parimenti, non devono essere ammesse tali prove se detto giudice non è abilitato a controllare che esse siano state ottenute nell’ambito del procedimento penale conformemente al diritto dell’Unione o non può quantomeno sincerarsi, sulla base di un controllo già effettuato da un giudice penale nell’ambito di un procedimento in contraddittorio, che esse siano state ottenute conformemente a tale diritto.
(v. punti 90, 91, dispositivo 4)
Rinvio pregiudiziale, Fiscalità, Imposta sul valore aggiunto, Sesta direttiva, Diritto alla detrazione, Diniego, Vendita effettuata da un soggetto considerato inesistente.
Causa C-277/14 PPUH Stehcemp sp. J. Florian Stefanek, Janina Stefanek, Jarosław Stefanek contro Dyrektor Izby Skarbowej w Łodzi (domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Naczelny Sąd Administracyjny) «Rinvio pregiudiziale — Fiscalità — Imposta sul valore aggiunto — Sesta direttiva — Diritto alla detrazione — Diniego — Vendita effettuata da un soggetto considerato inesistente» Massime – Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 22 ottobre 2015 Armonizzazione delle normative fiscali — Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto — Detrazione dell’imposta assolta a monte — Cessione di beni — Nozione — Operazione di trasferimento di un bene materiale a un acquirente in assenza del potere del fornitore di disporre giuridicamente di detto bene — Inclusione — Presupposto
Bene effettivamente consegnato all’acquirente e impiegato da quest’ultimo ai fini di sue operazioni soggette a imposta [Direttiva del Consiglio 77/388, artt. 5, § 1, e 17, § 2, a)]
Armonizzazione delle normative fiscali — Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto — Detrazione dell’imposta assolta a monte — Diniego a motivo di una fattura emessa da parte di un soggetto considerato inesistente — Inammissibilità — Limiti — Presupposti — Destinatario della fattura che era o avrebbe dovuto essere a conoscenza dell’esistenza di una frode — Verifica incombente al giudice nazionale
[Direttiva del Consiglio 77/388, artt. 4, §§ 1 e 2, 17, § 2, a), 18, § 1, a), e 22, §§ 4 e 5] Dalla formulazione dell’articolo 17, paragrafo 2, lettera a), della sesta direttiva 77/388, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, risulta che, per poter beneficiare del diritto alla detrazione, occorre segnatamente che i beni invocati a base di detto diritto siano ceduti. A tal riguardo, poiché la nozione di «cessione di beni» di cui all’articolo 5, paragrafo 1, della sesta direttiva si riferisce non al trasferimento di proprietà nelle forme previste dal diritto nazionale vigente, bensì a qualsiasi operazione di trasferimento di un bene materiale effettuata da una parte che autorizza l’altra parte a disporre di fatto di tale bene come se ne fosse il proprietario, l’eventuale assenza del potere del fornitore di disporre giuridicamente dei beni non può escludere una cessione di tali beni ai sensi di detta disposizione, una volta che detti beni sono stati effettivamente rimessi all’acquirente che li ha impiegati ai fini delle sue operazioni soggette a imposta.
(v. punti 28, 44)
Le disposizioni della sesta direttiva 77/388, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, come modificata dalla direttiva 2002/38, devono essere interpretate nel senso che esse ostano a una normativa nazionale che neghi a un soggetto passivo il diritto di detrarre l’imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta per beni che gli sono stati ceduti sulla base dei rilievi che la fattura è stata emessa da un soggetto che deve essere considerato, con riferimento ai criteri previsti da tale normativa, un soggetto inesistente e che è impossibile identificare il vero fornitore dei beni, tranne nel caso in cui si dimostri, alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dal soggetto passivo verifiche che non gli incombono, che tale soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta cessione si iscriveva in un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
Infatti, il criterio dell’esistenza del fornitore dei beni o del suo diritto a emettere fatture non figura tra le condizioni del diritto alla detrazione enunciate agli articoli 17, paragrafo 2, lettera a), e 18, paragrafo 1, lettera a), della sesta direttiva.
L’articolo 17, paragrafo 2, lettera a), della sesta direttiva dispone, invece, che tale fornitore deve avere la qualità di soggetto passivo ai sensi dell’articolo 4, paragrafi 1 e 2, di tale direttiva.
Ai sensi dell’articolo 4, paragrafi 1 e 2, della sesta direttiva, si considera soggetto passivo chiunque esercita in modo indipendente attività economiche di produttore, di commerciante o di prestatore di servizi, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività. Orbene, l’esistenza di siffatta attività economica non è messa in discussione dalla circostanza in base alla quale lo stato fatiscente dell’immobile in cui si situa la sede sociale della società emittente delle fatture non permetteva alcuna attività economica, poiché una tale constatazione non esclude che tale attività potesse essere svolta in luoghi diversi dalla sede sociale.
Parimenti, l’eventuale impossibilità di stabilire un contatto con tale società o con la persona iscritta nel registro delle imprese come suo direttore nell’ambito di procedimenti amministrativi non permette, allorché tali tentativi di contatto hanno avuto luogo durante un periodo precedente o successivo alle cessioni in questione nel procedimento principale, di pervenire automaticamente alla conclusione dell’assenza di un’attività economica alla data di tali cessioni. Inoltre, non emerge dall’articolo 4, paragrafi 1 e 2, della sesta direttiva che lo status di soggetto passivo dipenda da una qualsivoglia autorizzazione o licenza concessa dall’amministrazione ai fini dell’esercizio di un’attività economica. Tale status non può neanche dipendere dal rispetto degli obblighi del soggetto passivo, risultanti dai paragrafi 4 e 5 di detto articolo 22, di depositare una dichiarazione fiscale e di pagare l’imposta sul valore aggiunto. A maggior ragione, il riconoscimento dello status di soggetto passivo non può essere sottoposto all’obbligo di pubblicare conti annuali o di disporre di un’autorizzazione per la vendita di carburante, in quanto tali obblighi non sono previsti dalla sesta direttiva.
Inoltre, dal momento che l’imposta sul valore aggiunto si applica a qualsiasi operazione di produzione o di distribuzione, previa detrazione dell’imposta gravante direttamente sul costo dei diversi elementi costitutivi del prezzo, è irrilevante, ai fini del diritto del soggetto passivo di detrarre l’imposta sul valore aggiunto pagata a monte, stabilire se il fornitore dei beni abbia versato o meno l’imposta sul valore aggiunto dovuta sulle operazioni di vendita all’Erario.
Per quanto concerne la circostanza secondo cui le operazioni sarebbero state effettuate non dalla società emittente della fattura, bensì da un altro soggetto impossibile da identificare, di modo che le autorità tributarie non hanno potuto recuperare l’imposta relativa a tali operazioni, la lotta contro ogni possibile frode, evasione fiscale ed abuso è un obiettivo riconosciuto e promosso dalla sesta direttiva. Pertanto, spetta alle autorità e ai giudici nazionali negare il beneficio del diritto a detrazione se è dimostrato, alla luce di elementi obiettivi, che tale diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo. Tale situazione, così come ricorre nel caso di un’evasione fiscale commessa dal soggetto passivo, ricorre pure quando il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, circostanza che spetta all’amministrazione tributaria verificare.
Spetta all’amministrazione tributaria, che abbia constatato evasioni o irregolarità commesse dall’emittente della fattura, dimostrare, alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dal destinatario della fattura verifiche che non gli incombono, che tale destinatario sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata per fondare il suo diritto alla detrazione si iscriveva in un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. La determinazione delle misure che, in una fattispecie concreta, possono essere ragionevolmente imposte ad un soggetto passivo che intenda esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto per assicurarsi che le sue operazioni non si iscrivano in un’evasione commessa da un operatore a monte dipende, essenzialmente, dalle circostanze di detta fattispecie.
Se è vero che un tale soggetto passivo può vedersi obbligato, quando disponga di indizi che consentono di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasione, ad assumere informazioni sull’operatore presso il quale intende acquistare beni o servizi al fine di sincerarsi della sua affidabilità, l’amministrazione tributaria non può tuttavia esigere in maniera generale che detto soggetto passivo, da un lato, al fine di assicurarsi che non sussistano irregolarità o evasioni a livello degli operatori a monte, verifichi che l’emittente della fattura correlata ai beni e ai servizi a titolo dei quali viene richiesto l’esercizio di tale diritto disponesse dei beni di cui trattasi e fosse in grado di fornirli e che abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’imposta sul valore aggiunto, o, dall’altro lato, disponga di documenti a tale riguardo.
(v. punti 33-37, 39, 45-48, 50-53 e dispositivo)
Rinvio pregiudiziale, Fiscalità, IVA, Direttiva 2006/112/CE, Articolo 138, paragrafo 1, Esenzioni connesse alle operazioni intracomunitarie, Acquirente non identificato ai fini dell’IVA, Obbligo del venditore di accertare l’autenticità della firma dell’acquirente o del suo rappresentante, Principi di proporzionalità, di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento, Effetto diretto.
Causa C-492/13 Traum EOOD contro Direktor na Direktsia «Obzhalvane i danachno-osiguritelna praktika» Varna pri Tsentralno upravlenie na Natsionalnata agentsia za prihodite (domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Administrativen sad Varna) «Rinvio pregiudiziale — Fiscalità — IVA — Direttiva 2006/112/CE — Articolo 138, paragrafo 1 — Esenzioni connesse alle operazioni intracomunitarie — Acquirente non identificato ai fini dell’IVA — Obbligo del venditore di accertare l’autenticità della firma dell’acquirente o del suo rappresentante — Principi di proporzionalità, di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento — Effetto diretto» Massime – Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 9 ottobre 2014 Questioni pregiudiziali – Competenza della Corte – Limiti – Competenza del giudice nazionale – Accertamento e valutazione dei fatti di causa (Art. 267 TFUE) Armonizzazione delle normative fiscali – Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto – Esenzione di una cessione intracomunitaria – Diniego di esenzione al venditore perché l’acquirente non è registrato ai fini dell’imposta sul valore aggiunto – Requisiti probatori – Requisiti probatori supplementari formulati in occasione di una verifica fiscale successiva – Violazione dei principi della certezza del diritto e di proporzionalità (Direttiva del Consiglio 2006/112, artt. 131, 138, § 1, e 139, § 1, comma 2) Armonizzazione delle normative fiscali – Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto – Autenticità dei documenti prodotti per corroborare una domanda di esenzione dall’imposta sul valore aggiunto – Diniego del diritto ad esenzione – Buona fede – Diligenza – Verifica incombente al giudice nazionale (Direttiva del Consiglio 2006/112) Atti delle istituzioni – Direttive – Effetto diretto (Art. 288, comma 3, TFUE; direttiva del Consiglio 2006/112, art. 138, § 1) V. il testo della decisione. (v. punto 19) Gli articoli 138, paragrafo 1, e 139, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2006/112, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva 2010/88, devono essere interpretati nel senso che ostano a che l’amministrazione tributaria di uno Stato membro neghi l’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto per una cessione intracomunitaria perché l’acquirente non era identificato ai fini di tale imposta in un altro Stato membro e il fornitore non ha dimostrato né l’autenticità della firma figurante sui documenti prodotti per corroborare la sua dichiarazione di cessione asseritamente esentata, né che la persona che ha sottoscritto tali documenti in nome dell’acquirente avesse facoltà di rappresentare quest’ultimo, laddove le prove che giustificano il diritto all’esenzione prodotte dal fornitore per corroborare la sua dichiarazione erano conformi all’elenco di documenti, stabilito dal diritto nazionale, da presentare alla suddetta amministrazione e, in un primo tempo, sono state da quest’ultima accettate quali prove giustificative. Infatti, da un lato, il fatto che l’amministrazione tributaria competente richieda, in tali circostanze, prove supplementari, è in contrasto con il principio della certezza del diritto. Dall’altro, un’eventuale irregolarità relativa al registro dei soggetti passivi non può comportare che a un operatore che si sia basato sui dati figuranti in detto registro sia negata l’esenzione cui avrebbe diritto. Un’amministrazione tributaria competente che, in un primo tempo, aveva approvato e accettato che un acquirente fosse assoggettato all’imposta sul valore aggiunto in un altro Stato membro secondo una condizione del dritto nazionale, ma che, nell’ambito di una verifica successiva, constati che detta condizione non era adempiuta e, in tali condizioni, neghi l’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto, viola i principi della certezza del diritto e di proporzionalità (v. punti 33-36, 43, dispositivo 1) V. il testo della decisione. (v. punto 41) L’articolo 138, paragrafo 1, della direttiva 2006/112, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva 2010/88, deve essere interpretato nel senso che è dotato di effetto diretto, cosicché può essere invocato dai soggetti passivi dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato al fine di ottenere un’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto per una cessione intracomunitaria. (v. punto 48, dispositivo 2) Causa C-492/13 Traum EOOD contro Direktor na Direktsia «Obzhalvane i danachno-osiguritelna praktika» Varna pri Tsentralno upravlenie na Natsionalnata agentsia za prihodite (domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Administrativen sad Varna) «Rinvio pregiudiziale — Fiscalità — IVA — Direttiva 2006/112/CE — Articolo 138, paragrafo 1 — Esenzioni connesse alle operazioni intracomunitarie — Acquirente non identificato ai fini dell’IVA — Obbligo del venditore di accertare l’autenticità della firma dell’acquirente o del suo rappresentante — Principi di proporzionalità, di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento — Effetto diretto» Massime – Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 9 ottobre 2014 Questioni pregiudiziali — Competenza della Corte — Limiti — Competenza del giudice nazionale — Accertamento e valutazione dei fatti di causa
(Art. 267 TFUE)
Armonizzazione delle normative fiscali — Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto — Esenzione di una cessione intracomunitaria — Diniego di esenzione al venditore perché l’acquirente non è registrato ai fini dell’imposta sul valore aggiunto — Requisiti probatori — Requisiti probatori supplementari formulati in occasione di una verifica fiscale successiva — Violazione dei principi della certezza del diritto e di proporzionalità
(Direttiva del Consiglio 2006/112, artt. 131, 138, § 1, e 139, § 1, comma 2)
Armonizzazione delle normative fiscali — Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto — Autenticità dei documenti prodotti per corroborare una domanda di esenzione dall’imposta sul valore aggiunto — Diniego del diritto ad esenzione — Buona fede — Diligenza — Verifica incombente al giudice nazionale
(Direttiva del Consiglio 2006/112)
Atti delle istituzioni — Direttive — Effetto diretto
(Art. 288, comma 3, TFUE; direttiva del Consiglio 2006/112, art. 138, § 1) V. il testo della decisione.
(v. punto 19)
Gli articoli 138, paragrafo 1, e 139, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2006/112, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva 2010/88, devono essere interpretati nel senso che ostano a che l’amministrazione tributaria di uno Stato membro neghi l’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto per una cessione intracomunitaria perché l’acquirente non era identificato ai fini di tale imposta in un altro Stato membro e il fornitore non ha dimostrato né l’autenticità della firma figurante sui documenti prodotti per corroborare la sua dichiarazione di cessione asseritamente esentata, né che la persona che ha sottoscritto tali documenti in nome dell’acquirente avesse facoltà di rappresentare quest’ultimo, laddove le prove che giustificano il diritto all’esenzione prodotte dal fornitore per corroborare la sua dichiarazione erano conformi all’elenco di documenti, stabilito dal diritto nazionale, da presentare alla suddetta amministrazione e, in un primo tempo, sono state da quest’ultima accettate quali prove giustificative.
Infatti, da un lato, il fatto che l’amministrazione tributaria competente richieda, in tali circostanze, prove supplementari, è in contrasto con il principio della certezza del diritto.
Dall’altro, un’eventuale irregolarità relativa al registro dei soggetti passivi non può comportare che a un operatore che si sia basato sui dati figuranti in detto registro sia negata l’esenzione cui avrebbe diritto. Un’amministrazione tributaria competente che, in un primo tempo, aveva approvato e accettato che un acquirente fosse assoggettato all’imposta sul valore aggiunto in un altro Stato membro secondo una condizione del dritto nazionale, ma che, nell’ambito di una verifica successiva, constati che detta condizione non era adempiuta e, in tali condizioni, neghi l’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto, viola i principi della certezza del diritto e di proporzionalità
(v. punti 33-36, 43, dispositivo 1)
V. il testo della decisione.
(v. punto 41)
L’articolo 138, paragrafo 1, della direttiva 2006/112, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva 2010/88, deve essere interpretato nel senso che è dotato di effetto diretto, cosicché può essere invocato dai soggetti passivi dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato al fine di ottenere un’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto per una cessione intracomunitaria.
(v. punto 48, dispositivo 2)