Sentenza della Corte (grande sezione) del 6 luglio 2010. Monsanto Technology LLC contro Cefetra BV e altri. Domanda di pronuncia pregiudiziale : Rechtbank 's-Gravenhage - Paesi Bassi. Proprietà industriale e commerciale - Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche - Direttiva 98/44/CE - Art. 9 - Brevetto che protegge un prodotto contenente o consistente in un’informazione genetica - Materiale che incorpora il prodotto - Tutela - Requisiti. Causa C-428/08.
Causa C-428/08
Monsanto Technology LLC
contro
Cefetra BV e altri
(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Rechtbank ’s-Gravenhage)
«Proprietà industriale e commerciale — Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche — Direttiva 98/44/CE — Art. 9 — Brevetto che protegge un prodotto contenente o consistente in un’informazione genetica — Materiale che incorpora il prodotto — Tutela — Requisiti»
Massime della sentenza
Ravvicinamento delle legislazioni — Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche — Direttiva 98/44
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 98/44, art. 9)
Ravvicinamento delle legislazioni — Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche — Direttiva 98/44
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 98/44, art. 9)
Ravvicinamento delle legislazioni — Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche — Direttiva 98/44
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 98/44, art. 9)
Accordi internazionali — Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (TRIPs)
(Accordo TRIPs, artt. 27 e 30; direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 98/44, art. 9)
1. L’art. 9 della direttiva 98/44, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, deve essere interpretato nel senso che esso non conferisce una protezione dei diritti di brevetto quando il prodotto brevettato è contenuto nella farina di soia, nella quale esso non svolge la funzione per la quale è brevettato, che è stata invece svolta precedentemente nella pianta di soia da cui deriva per trasformazione detta farina, o quando esso, una volta estratto dalla farina e immesso nella cellula di un organismo vivente, potrebbe per ipotesi svolgere nuovamente tale funzione. Infatti, l’art. 9 della direttiva in parola subordina la protezione da esso prevista alla condizione che la sequenza di DNA brevettata svolga la sua funzione nel materiale nel quale essa è incorporata.
(v. punti 46, 50, dispositivo 1)
2. L’art. 9 della direttiva 98/44, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, opera un’armonizzazione esaustiva della protezione che esso conferisce, di modo che esso osta a che una normativa nazionale riconosca protezione assoluta al prodotto brevettato in quanto tale, a prescindere dal fatto che esso svolga o meno la sua funzione nel materiale che lo contiene.
(v. punto 63, dispositivo 2)
3. L’art. 9 della direttiva 98/44, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, osta a che il titolare di un brevetto rilasciato prima dell’adozione di tale direttiva invochi la protezione assoluta del prodotto brevettato che gli sarebbe stata accordata dalla normativa nazionale allora vigente. Infatti, una nuova norma si applica immediatamente agli effetti futuri di situazioni sorte in vigenza della vecchia norma e la direttiva 98/44 non prevede alcuna deroga a tale principio.
(v. punti 66-67, 69, dispositivo 3)
4. Gli artt. 27 e 30 dell’Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio, costituente l’allegato 1 C dell’Accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio, approvato con la decisione 94/800, sono irrilevanti ai fini dell’interpretazione dell’art. 9 della direttiva 98/44, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, secondo cui la protezione conferita dal detto articolo è limitata alle situazioni in cui il prodotto brevettato svolge la sua funzione.
(v. punti 76-77, dispositivo 4)
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
6 luglio 2010 (*)
«Proprietà industriale e commerciale – Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche – Direttiva 98/44/CE – Art. 9 – Brevetto che protegge un prodotto contenente o consistente in un’informazione genetica – Materiale che incorpora il prodotto – Tutela – Requisiti»
Nel procedimento C-428/08,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Rechtbank ‘s-Gravenhage (Paesi Bassi), con decisione 24 settembre 2008, pervenuta in cancelleria il 29 settembre 2008, nella causa
Monsanto Technology LLC
contro
Cefetra BV,
Cefetra Feed Service BV,
Cefetra Futures BV,
Alfred C. Toepfer International GmbH,
con l’intervento di:
Stato argentino,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A. Tizzano, K. Lenaerts, J.-C. Bonichot, E. Levits, presidenti di sezione, dai sigg. A. Borg Barthet, J. Malenovský, U. Lõhmus e L. Bay Larsen (relatore), giudici,
avvocato generale: sig. P. Mengozzi
cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 15 dicembre 2009,
considerate le osservazioni presentate:
– per la Monsanto Technology LLC, dagli avv.ti W.A. Hoyng e F.W.E. Eijsvogels, advocaten,
– per la Cefetra BV, la Cefetra Feed Service BV, la Cefetra Futures BV e la Alfred C. Toepfer International GmbH, dagli avv.ti J. J. Allen e H.M.H. Speyart van Woerden, advocaten,
– per lo Stato argentino, dall’avv. B. Remiche, avocat, nonché dagli avv.ti M. Roosen e V. Cassiers, advocaten,
– per il governo italiano, dalla sig.ra I. Bruni, in qualità di agente, assistita dal sig. D. Del Gaizo, avvocato dello Stato,
– per il governo dei Paesi Bassi, dalla sig.ra C. Wissels e dal sig. M. de Grave, in qualità di agenti,
– per il governo portoghese, dal sig. L. Inez Fernandes, in qualità di agente,
– per il governo del Regno Unito, dal sig. S. Ossowski, in qualità di agente,
– per la Commissione europea, dai sigg. H. Krämer e W. Wils, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 9 marzo 2010,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
La presente domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 9 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 luglio 1998, 98/44/CE, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche (GU L 213, pag. 13; in prosieguo: la «direttiva»).
Tale domanda è stata presentata nell’ambito di due controversie che vedono contrapposte la Monsanto Technology LLC (in prosieguo: la «Monsanto»), da un lato, alla Cefetra BV, alla Cefetra Feed Service BV, alla Cefetra Futures BV (in prosieguo, congiuntamente: la «Cefetra»), sostenute dallo Stato argentino, parte interveniente, e, dall’altro, alla Vopak Agencies Rotterdam BV (in prosieguo: la «Vopak») e alla Alfred C. Toepfer International GmbH (in prosieguo: la «Toepfer»), in merito all’importazione nella Comunità europea, nel corso degli anni 2005 e 2006, di farina di soia proveniente dall’Argentina.
Contesto normativo
Il diritto internazionale
L’Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio, costituente l’allegato 1 C dell’Accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), firmato a Marrakech il 15 aprile 1994 e approvato con la decisione del Consiglio 22 dicembre 1994, 94/800/CE, relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell’Uruguay Round (1986-1994) (GU L 336, pag. 1; in prosieguo: l’«accordo TRIPS»), al suo art. 27, n. 1, intitolato «Oggetto del brevetto», prevede in sostanza quanto segue:
– possono costituire oggetto di brevetto le invenzioni, di prodotto o di procedimento, in tutti i campi della tecnologia, che siano nuove, implichino un’attività inventiva e siano atte ad avere un’applicazione industriale;
– il godimento dei relativi diritti non è soggetto a discriminazioni in base al luogo d’invenzione, al settore tecnologico e al fatto che i prodotti siano d’importazione o di fabbricazione locale.
L’art. 30 del medesimo Accordo, intitolato «Eccezioni ai diritti conferiti», precisa che i membri possono prevedere limitate eccezioni ai diritti esclusivi conferiti da un brevetto, purché tali eccezioni non siano indebitamente in contrasto con un normale sfruttamento del brevetto e non pregiudichino in modo ingiustificato i legittimi interessi del titolare, tenuto conto dei legittimi interessi dei terzi.
Il diritto dell’Unione
L’art. 1 della direttiva prevede che gli Stati membri proteggono le invenzioni biotecnologiche tramite il loro diritto nazionale dei brevetti, adeguandolo, se necessario, per tener conto delle disposizioni di detta direttiva. Esso aggiunge che quest’ultima non pregiudica gli obblighi degli Stati membri derivanti, in particolare, dall’accordo TRIPS.
L’art. 2 della direttiva definisce il «materiale biologico» come un materiale contenente informazioni genetiche, autoriproducibile o capace di riprodursi in un sistema biologico.
L’art. 3 prevede che sono brevettabili le invenzioni nuove che comportino un’attività inventiva e siano suscettibili di applicazione industriale, anche se hanno ad oggetto, in particolare, un prodotto consistente in materiale biologico o che lo contiene. Esso precisa che un materiale biologico che viene isolato dal suo ambiente naturale o viene prodotto tramite un procedimento tecnico può essere oggetto di invenzione, anche se preesisteva allo stato naturale.
Il ventiduesimo ‘considerando’ della direttiva sottolinea che il dibattito sulla brevettabilità di sequenze o di sequenze parziali di geni dà luogo a controversie. In esso si afferma che il rilascio di un brevetto per invenzioni aventi ad oggetto tali sequenze o sequenze parziali avviene in base agli stessi criteri di brevettabilità applicati in tutti gli altri campi della tecnologia, vale a dire, novità, attività inventiva e applicazione industriale. Esso aggiunge che l’applicazione industriale di una sequenza o di una sequenza parziale dev’essere concretamente illustrata nella domanda di brevetto.
Ai sensi del ventitreesimo ‘considerando’ della direttiva, una semplice sequenza di DNA, senza indicazione di una funzione, non contiene alcun insegnamento tecnico, di modo che essa non può costituire un’invenzione brevettabile.
Il ventiquattresimo ‘considerando’ enuncia che, affinché sia rispettato il criterio dell’applicazione industriale, occorre precisare, qualora una sequenza ovvero una sequenza parziale di un gene sia utilizzata per produrre una proteina o una proteina parziale, quale sia la proteina o la proteina parziale prodotta o quale funzione essa assolva.
L’art. 5, n. 3, della direttiva, contenuto nel capitolo I intitolato «Brevettabilità», impone che l’applicazione industriale di una sequenza o di una sequenza parziale di un gene sia concretamente indicata nella richiesta di brevetto.
L’art. 9, contenuto nel capo II intitolato «Ambito della protezione», così dispone:
«(…) la protezione attribuita da un brevetto ad un prodotto contenente o consistente in un’informazione genetica si estende a qualsiasi materiale nel quale il prodotto è incorporato e nel quale l’informazione genetica è contenuta e svolge la sua funzione».
Il diritto nazionale
L’art. 53 della legge del 1995 sui brevetti di invenzioni (la Rijksoctrooiwet 1995; in prosieguo: la «legge del 1995») prevede quanto segue:
«(…) un brevetto conferisce al suo titolare il diritto esclusivo di:
a) fabbricare il prodotto brevettato per o nella sua impresa, utilizzarlo, metterlo in commercio o rivenderlo, darlo in locazione, cederlo o effettuare qualsiasi altra operazione commerciale avente ad oggetto tale prodotto oppure offrirlo, importarlo o detenerlo per uno di tali scopi;
b) applicare il procedimento brevettato per o nella sua impresa, utilizzarlo, metterlo in commercio o rivenderlo, darlo in locazione, cedere il prodotto direttamente ottenuto mediante l’applicazione di tale procedimento o effettuare qualsiasi altra operazione commerciale avente ad oggetto tale prodotto oppure offrirlo, importarlo o detenerlo per uno di tali scopi».
L’art. 53a di tale legge così recita:
«1. Il diritto esclusivo relativo a un brevetto per un materiale biologico dotato, per effetto dell’invenzione, di determinate proprietà si estende a qualunque materiale biologico da esso derivato mediante riproduzione o moltiplicazione in forma identica o differenziata e dotato delle stesse proprietà.
2. Il diritto esclusivo relativo a un brevetto per un procedimento che consente di produrre un materiale biologico dotato, per effetto dell’invenzione, di determinate proprietà si estende al materiale biologico direttamente ottenuto da tale procedimento e a qualsiasi altro materiale biologico derivato dal materiale biologico direttamente ottenuto mediante riproduzione o moltiplicazione in forma identica o differenziata e dotato delle stesse proprietà.
3. Il diritto esclusivo relativo a un brevetto per un prodotto contenente o consistente in un’informazione genetica si estende a qualsiasi materiale nel quale il prodotto è incorporato e nel quale l’informazione genetica è contenuta e svolge la sua funzione (…)».
Causa principale e questioni pregiudiziali
La Monsanto è titolare del brevetto europeo EP 0 546 090 rilasciato il 19 giugno 1996, avente ad oggetto la 5-enolpyruvylshikimate-3-fosfato sintasi che conferisce tolleranza al glifosato (in prosieguo: il «brevetto europeo»). Tale brevetto europeo produce i suoi effetti, in particolare, nei Paesi Bassi.
Il glifosato è un erbicida non selettivo. In una pianta esso blocca il sito attivo degli enzimi 5-enolpyruvylshikimate-3-fosfato sintasi (in prosieguo: l’«EPSPS») di classe I, che svolgono un ruolo importante nella crescita della pianta. Tale azione del glifosato provoca la morte di quest’ultima.
Il brevetto europeo descrive una classe di enzimi EPSPS di classe II non sensibili al glifosato. Le piante che contengono siffatti enzimi sono resistenti al glifosato, mentre le erbe infestanti vengono distrutte. I geni che codificano gli enzimi di classe II sono stati isolati a partire da tre batteri. La Monsanto ha inserito tali geni nel DNA di una pianta di soia che ha chiamato soia RR («Roundup Ready»). In seguito a tale inserimento, la pianta di soia RR sintetizza un enzima EPSPS di classe II chiamato CP4-EPSPS, resistente al glifosato. Essa diviene quindi resistente all’erbicida Roundup.
La soia RR è coltivata su vasta scala in Argentina, dove l’invenzione della Monsanto non è protetta da un brevetto.
La Cefetra e la Toepfer commerciano in farina di soia. Tre carichi di farina di soia provenienti dall’Argentina sono arrivati nel porto di Amsterdam, rispettivamente, il 16 giugno 2005, il 21 marzo e l’11 maggio 2006. La Vopak ha dichiarato in dogana uno di tali carichi.
I tre carichi sono stati trattenuti dalle autorità doganali sulla base del regolamento (CE) del Consiglio 22 luglio 2003, n. 1383, relativo all’intervento dell’autorità doganale nei confronti di merci sospettate di violare taluni diritti di proprietà intellettuale e alle misure da adottare nei confronti di merci che violano tali diritti (GU L 196, pag. 7). Essi sono stati svincolati dopo la consegna di campioni alla Monsanto. Quest’ultima ha fatto analizzare la merce al fine di stabilire se si trattasse di soia RR.
A seguito delle analisi, la Monsanto, deducendo la presenza nella farina dell’enzima CP4-EPSPS nonché della sequenza di DNA che codifica quest’ultimo, ha presentato contro la Cefetra, la Vopak e la Toepfler dinanzi al Rechtbank ‘s-Gravenhage (Tribunale di Gravenhage, Paesi Bassi) alcune domande volte ad ottenere provvedimenti inibitori sulla base dell’art. 16 del regolamento n. 1383/2003, nonché provvedimenti inibitori delle violazioni del suo brevetto europeo per tutti i paesi in cui quest’ultimo è valido. Lo Stato argentino è intervenuto a sostegno delle conclusioni della Cefetra.
Il Rechtbank ‘s-Gravenhage ritiene che la Monsanto, in uno dei carichi controversi, abbia provato la presenza della sequenza di DNA protetta dal suo brevetto europeo. Ciò nondimeno, esso si chiede se tale presenza sia sufficiente per constatare una violazione del brevetto europeo della Monsanto in occasione della commercializzazione della farina nella Comunità.
La Cefetra, sostenuta dallo Stato argentino, e la Toepfer sostengono che l’art. 53a della legge del 1995 presenta un carattere esaustivo. Esso è da ritenersi lex specialis che deroga alla disciplina generale di protezione prevista dall’art. 53 della legge medesima per un prodotto brevettato. Atteso che il DNA presente nella farina di soia non potrebbe più svolgervi la sua funzione, la Monsanto non potrebbe opporsi alla commercializzazione di tale farina adducendo quale unico motivo la presenza in essa di DNA. Esisterebbe un nesso tra la brevettabilità limitata, che sarebbe sottolineata dal ventitreesimo e dal ventiquattresimo ‘considerando’ della direttiva, e la portata della tutela conferita da un brevetto.
La Monsanto è dell’avviso che l’obiettivo della direttiva non sia quello di limitare la protezione delle invenzioni biotecnologiche esistente negli Stati membri. La direttiva non inciderebbe sulla tutela riconosciuta dall’art. 53 della legge del 1995, tutela che sarebbe assoluta. Una restrizione alla tutela sarebbe incompatibile con l’art. 27 dell’accordo TRIPS.
Il Rechtbank ‘s-Gravenhage osserva che, come l’art. 9 della direttiva, l’art. 53a, n. 3, della legge del 1995, fa rientrare ogni materiale in cui sia incorporato il DNA nel diritto esclusivo del titolare del brevetto, sempre che l’informazione genetica sia contenuta in tale materiale e svolga in esso la sua funzione.
Esso constata che il DNA non può svolgere la sua funzione nella farina di soia, che è una materia morta.
Esso ritiene che il tenore letterale degli artt. 53a, n. 3, della legge del 1995 e 9 della direttiva sia incompatibile con la tesi sostenuta dinanzi ad esso dalla Monsanto, secondo la quale sarebbe sufficiente che il DNA, in un determinato momento, abbia svolto la sua funzione nella pianta o possa svolgerla nuovamente dopo essere stato isolato nella farina di soia ed immesso in un materiale vivente.
Tuttavia, secondo il Rechtbank ‘s-Gravenhage, un gene, anche qualora faccia parte di un organismo, non deve affatto svolgere sempre la sua funzione. Esisterebbero infatti geni che verrebbero attivati soltanto in alcune situazioni, come calore, siccità o malattia.
Infine, non va ignorato il fatto che, nella coltivazione delle piante di soia da cui è stata ricavata la farina, sarebbe stato tratto vantaggio dall’invenzione senza alcuna contropartita.
Nell’ipotesi in cui la commercializzazione della farina di soia non possa essere contrastata sulla base dell’art. 53a della legge del 1995, che recepisce l’art. 9 della direttiva, ci si dovrebbe chiedere se possa essere invocata la classica tutela assoluta come quella prevista dall’art. 53 della legge del 1995.
A tal riguardo, non sembrerebbe che la direttiva pregiudichi la tutela assoluta dei prodotti ai sensi di una disposizione come l’art. 53 della legge del 1995, ma miri piuttosto a garantire una protezione minimale. Tuttavia, gli elementi a favore di una siffatta interpretazione non sarebbero sufficientemente acclarati.
In tale contesto, il Rechtbank ‘s-Gravenhage ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1. Se l’art. 9 della [direttiva] debba essere interpretato nel senso che la protezione da esso attribuita può essere invocata anche in una situazione come quella in esame nel presente procedimento, in cui il prodotto interessato (la sequenza DNA) fa parte di un materiale (farina di soia) importato nell’Unione europea e nel momento dell’asserita violazione non svolge la sua funzione, ma l’ha svolta precedentemente (nella pianta di soia) o potrebbe nuovamente svolgerla dopo che è stato isolato dal materiale in questione ed è stato immesso nella cellula di un organismo.
2) Ove si presuma la presenza della sequenza del DNA descritta nella rivendicazione 6 del brevetto EP 0 546 090 nella farina di soia importata nella Comunità dalla Cefetra e [dalla Toepfer] e si presuma che il DNA è incorporato nella farina di soia ai sensi dell’art. 9 della [direttiva] e che non svolge più in essa la sua funzione, se la protezione di un brevetto per materiale biologico, attribuita dalla direttiva e segnatamente dall’art. 9, osti a che la normativa nazionale sui brevetti riconosca (inoltre) protezione assoluta al prodotto interessato (il DNA) come tale, a prescindere dal fatto che il DNA svolga o meno la sua funzione, e se la protezione attribuita dall’art. 9 debba pertanto essere considerata esaustiva nella situazione menzionata in quell’articolo, in cui il prodotto consiste nell’informazione genetica o contiene siffatta informazione, prodotto che è incorporato nel materiale nel quale è inclusa l’informazione genetica.
3) Se ai fini della soluzione della precedente questione sia rilevante il fatto che il brevetto EP 0 546 090 sia stato richiesto e rilasciato (nel caso di specie, il 19 giugno 1996) prima dell’adozione della [direttiva] e che ad un siffatto prodotto, prima dell’adozione della direttiva, venisse attribuita protezione assoluta ai sensi della normativa nazionale sui brevetti.
4) Se ai fini della soluzione delle questioni precedenti risulti rilevante [l’accordo TRIPS], e segnatamente i suoi artt. 27 e 30».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione
Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 9 della direttiva debba essere interpretato nel senso che esso conferisce una protezione dei diritti di brevetto in circostanze quali quelle di cui alla causa principale, quando il prodotto brevettato è contenuto nella farina di soia, nella quale esso non svolge la funzione per la quale è brevettato, che è stata invece svolta precedentemente nella pianta di soia, da cui deriva per trasformazione detta farina, o quando esso, una volta estratto dalla farina ed immesso nella cellula di un organismo vivente, potrebbe per ipotesi svolgere nuovamente tale funzione.
A tal riguardo, occorre constatare che l’art. 9 della direttiva subordina la protezione in esso prevista alla condizione che l’informazione genetica contenuta nel prodotto brevettato, o che lo costituisce, «svolga» la sua funzione nel «materiale nel quale» tale informazione è contenuta.
Il tempo presente utilizzato dal legislatore comunitario e l’espressione «materiale nel quale», nella loro accezione comune, implicano che la funzione è svolta attualmente e nello stesso materiale nel quale è incorporata la sequenza di DNA contenente l’informazione genetica.
Nel caso di un’informazione genetica quale quella di cui alla causa principale, la funzione dell’invenzione è svolta quando l’informazione genetica protegge il materiale biologico che la incorpora dalla concreta o prevedibile eventualità dell’azione di un prodotto che possa causare la morte di tale materiale.
Orbene, l’utilizzo di erbicida sulla farina di soia non è prevedibile né tanto meno comunemente concepibile. Inoltre, pur ipotizzando un siffatto utilizzo, la funzione del prodotto brevettato, diretta a proteggere la vita di un materiale biologico che lo contiene, non potrebbe essere svolta, dal momento che l’informazione genetica si ritrova soltanto quale residuo nella farina di soia e che quest’ultima è una materia morta ottenuta dopo varie operazioni di trattamento della soia.
Dalle precedenti considerazioni risulta che la protezione prevista dall’art. 9 della direttiva è esclusa quando l’informazione genetica abbia cessato di svolgere la funzione che essa assolveva nel materiale originario da cui ha tratto origine il materiale controverso.
Ne deriva inoltre che tale protezione non può essere invocata con riferimento al materiale controverso sulla base del solo rilievo che la sequenza di DNA contenente l’informazione genetica potrebbe essere estratta da detto materiale ed esplicare la sua funzione nella cellula di un organismo vivente, dopo esservi stata immessa. Infatti, in una siffatta ipotesi, la funzione sarebbe svolta in un materiale al contempo diverso e biologico. Essa potrebbe quindi far sorgere un diritto alla protezione soltanto con riferimento a quest’ultimo.
Riconoscere una protezione ai sensi dell’art. 9 della direttiva sulla base del rilievo che l’informazione genetica ha esercitato precedentemente la sua funzione nel materiale che la contiene o che esso potrebbe per ipotesi svolgere nuovamente tale funzione in un altro materiale equivarrebbe a privare di effetto utile la disposizione oggetto di interpretazione, atteso che, in linea di principio, l’una o l’altra situazione potrebbero essere sempre invocate.
La Monsanto fa valere tuttavia che, in via principale, essa rivendica una tutela della sua sequenza di DNA brevettata in quanto tale. Essa spiega che la sequenza di DNA di cui alla causa principale è tutelata dal vigente diritto nazionale dei brevetti, conformemente all’art. 1, n. 1, della direttiva. L’art. 9 della direttiva farebbe riferimento unicamente all’estensione di una siffatta protezione ad altri materiali nei quali il prodotto brevettato è incorporato. Nell’ambito della controversia principale, detta impresa, quindi, non mirerebbe ad ottenere la protezione prevista dall’art. 9 della direttiva per la farina di soia nella quale è inserita la sequenza di DNA brevettata. La presente fattispecie riguarderebbe la protezione della sequenza di DNA in quanto tale, non legata all’esercizio di una specifica funzione. Detta protezione sarebbe infatti assoluta in forza del diritto nazionale vigente, al quale rinvia l’art. 1, n. 1, della direttiva.
Una simile analisi non può essere accolta.
A tal riguardo, va osservato che il ventitreesimo ‘considerando’ della direttiva enuncia che «una semplice sequenza di DNA, senza indicazione di una funzione, non contiene alcun insegnamento tecnico (…) [e] che essa non può costituire pertanto un’invenzione brevettabile».
Del resto, il ventiduesimo e il ventiquattresimo ‘considerando’ nonché l’art. 5, n. 3, della direttiva implicano che una sequenza di DNA non gode di alcuna protezione ai sensi del diritto dei brevetti quando la funzione svolta da tale sequenza non è precisata.
Si deve ritenere che la direttiva, subordinando quindi la brevettabilità di una sequenza di DNA all’indicazione della funzione che essa assolve, non conceda alcuna protezione a una sequenza di DNA brevettata che non sia atta a svolgere la funzione specifica per la quale è stata brevettata.
Tale interpretazione è corroborata dal testo dell’art. 9 della direttiva che subordina la protezione da esso prevista alla condizione che la sequenza di DNA brevettata svolga la sua funzione nel materiale nel quale essa è incorporata.
Un’interpretazione secondo cui, in forza della direttiva, una sequenza di DNA brevettata potrebbe, in quanto tale, godere di una protezione assoluta, a prescindere dal fatto che la sequenza svolga o meno la propria funzione, priverebbe tale disposizione del suo effetto utile. Infatti, una protezione concessa formalmente alla sequenza di DNA in quanto tale si estenderebbe necessariamente, di fatto e fintantoché dura tale situazione, al materiale con il quale essa diventa un tutt’uno.
Come risulta dal punto 37 della presente sentenza, una sequenza di DNA come quella di cui trattasi nella causa principale non può svolgere la sua funzione quando è incorporata in una materia morta come la farina di soia.
Una simile sequenza non gode dunque di una tutela dei diritti di brevetto, dal momento che né l’art. 9 della direttiva né alcuna altra disposizione della stessa direttiva concede protezione a una sequenza di DNA brevettata che non sia idonea a svolgere la sua funzione.
Si deve pertanto risolvere la prima questione dichiarando che l’art. 9 della direttiva deve essere interpretato nel senso che esso non conferisce una protezione dei diritti di brevetto in circostanze quali quelle di cui alla causa principale, quando il prodotto brevettato è contenuto nella farina di soia, nella quale esso non svolge la funzione per la quale è brevettato, che è stata invece svolta precedentemente nella pianta di soia, da cui deriva per trasformazione detta farina, o quando esso, una volta estratto dalla farina e immesso nella cellula di un organismo vivente, potrebbe per ipotesi svolgere nuovamente tale funzione.
Sulla seconda questione
Con la sua seconda questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 9 della direttiva operi un’armonizzazione esaustiva della protezione che conferisce, di modo che esso osta a che una normativa nazionale riconosca protezione assoluta al prodotto brevettato in quanto tale, a prescindere dal fatto che esso svolga o meno la sua funzione nel materiale che lo contiene.
Tale questione si fonda sulla premessa, esposta nella decisione di rinvio, secondo cui una disposizione nazionale come l’art. 53 della legge del 1995 concede effettivamente una protezione assoluta al prodotto brevettato.
Al fine di risolvere la seconda questione, occorre osservare che, ai ‘considerando’ terzo e quinto, sesto e settimo della direttiva, il legislatore comunitario osserva che:
– (…) una protezione efficace e armonizzata in tutti gli Stati membri è essenziale al fine di mantenere e promuovere gli investimenti nel settore della biotecnologia;
– nel settore della protezione delle invenzioni biotecnologiche esistono divergenze tra le legislazioni e le pratiche dei diversi Stati membri;
– tali disparità creano ostacoli agli scambi e, quindi, al funzionamento del mercato interno;
– dette divergenze potrebbero accentuarsi con l’adozione, da parte degli Stati membri, di nuove e divergenti legislazioni e prassi amministrative o con la diversa evoluzione delle giurisprudenze nazionali su tali legislazioni;
– uno sviluppo eterogeneo delle legislazioni nazionali sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche nella Comunità rischia di disincentivare maggiormente gli scambi commerciali a scapito dello sviluppo industriale di tali invenzioni e del corretto funzionamento del mercato interno.
All’ottavo e al tredicesimo ‘considerando’, esso enuncia inoltre che:
– la protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche non richiede la creazione di un diritto specifico che si sostituisca al diritto nazionale in materia di brevetti;
– il diritto nazionale in materia di brevetti rimane il riferimento fondamentale per la protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, ma deve essere adeguato o completato su taluni punti specifici, in conseguenza dei nuovi ritrovati tecnologici che utilizzano materiali biologici e che possiedono comunque i requisiti di brevettabilità;
– il quadro giuridico comunitario per la protezione delle invenzioni biotecnologiche può limitarsi alla definizione di alcuni principi applicabili, in particolare, alla brevettabilità del materiale biologico in quanto tale e all’ambito della protezione attribuita da un brevetto ad un’invenzione biotecnologica.
Da tali indicazioni risulta che il legislatore comunitario ha inteso operare un’armonizzazione limitata alla sua portata materiale, ma idonea a porre rimedio alle divergenze esistenti e a prevenire divergenze future tra gli Stati membri nel settore della protezione delle invenzioni biotecnologiche.
La tipologia di armonizzazione decisa mira quindi a evitare ostacoli agli scambi.
Essa si inserisce peraltro nell’ambito di un compromesso tra gli interessi dei titolari di brevetti e le esigenze di un buon funzionamento del mercato interno.
Per quanto riguarda, in particolare, l’art. 9 della direttiva, contenuto nel capitolo II intitolato «Ambito della protezione», l’approccio del legislatore comunitario esprime la sua intenzione di garantire la stessa protezione dei brevetti in tutti gli Stati membri.
Infatti, una protezione uniforme risulta lo strumento per eliminare o prevenire divergenze tra gli Stati e per garantire l’auspicato equilibrio tra gli interessi dei titolari di brevetti e quelli degli altri operatori, mentre, al contrario, un approccio di armonizzazione minimale adottato a vantaggio dei titolari di brevetti, da un lato, comprometterebbe il ricercato equilibrio degli interessi in questione, e, dall’altro, potrebbe soltanto consolidare o far sorgere divergenze tra gli Stati membri e, di conseguenza, ostacoli agli scambi.
Ne deriva che l’armonizzazione operata dall’art. 9 della direttiva deve ritenersi esaustiva.
L’art. 1, n. 1, prima frase, della direttiva, rinviando al diritto nazionale in materia di brevetti per quanto riguarda la protezione delle invenzioni biotecnologiche, non osta a tale conclusione. Infatti, la seconda frase del medesimo n. 1 enuncia che gli Stati membri, se necessario, adeguano il loro diritto nazionale dei brevetti per tener conto delle disposizioni della presente direttiva, vale a dire, in particolare, di quelle che operano un’armonizzazione esaustiva.
Pertanto, dal momento che la direttiva non concede alcuna protezione a una sequenza di DNA brevettata che non sia atta a svolgere la sua funzione, la disposizione oggetto di interpretazione osta a che il legislatore nazionale conceda una protezione assoluta a una sequenza di DNA brevettata in quanto tale, a prescindere dal fatto che essa svolga o meno la sua funzione nel materiale che la contiene.
Si deve pertanto risolvere la seconda questione dichiarando che l’art. 9 della direttiva opera un’armonizzazione esaustiva della protezione che esso conferisce, di modo che esso osta a che una normativa nazionale riconosca protezione assoluta al prodotto brevettato in quanto tale, a prescindere dal fatto che esso svolga o meno la sua funzione nel materiale che lo contiene.
Sulla terza questione
Con la sua terza questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 9 della direttiva osti a che il titolare di un brevetto rilasciato prima dell’adozione di tale direttiva invochi la protezione assoluta del prodotto brevettato che gli sarebbe stata accordata dalla normativa nazionale allora vigente.
Come la seconda questione, anche quella qui in esame si fonda sulla premessa secondo cui, prima dell’emanazione della direttiva, una disposizione nazionale come l’art. 53 della legge del 1995 concedeva effettivamente, all’atto del rilascio del brevetto, una protezione assoluta al prodotto brevettato.
Al fine di risolvere detta questione, occorre ricordare che, per costante giurisprudenza, in linea di principio, una nuova norma si applica immediatamente agli effetti futuri di situazioni sorte in vigenza della vecchia norma (v., in particolare, sentenza 11 dicembre 2008, causa C-334/07 P, Commissione/Freistaat Sachsen, Racc. pag. I-9465, punto 43 e giurisprudenza citata).
La direttiva non prevede alcuna deroga a tale principio.
Del resto, la mancata applicazione della direttiva ai brevetti rilasciati in precedenza creerebbe, tra gli Stati membri, differenze in termini di tutela che ostacolano l’armonizzazione perseguita.
Si deve pertanto risolvere la terza questione dichiarando che l’art. 9 della direttiva osta a che il titolare di un brevetto rilasciato prima dell’adozione di tale direttiva invochi la protezione assoluta del prodotto brevettato che gli sarebbe stata accordata dalla normativa nazionale allora vigente.
Sulla quarta questione
Con la sua quarta questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli artt. 27 e 30 dell’accordo TRIPS siano rilevanti ai fini dell’interpretazione dell’art. 9 della direttiva.
A tal riguardo, va ricordato che le disposizioni dell’accordo TRIPS non sono idonee a creare in capo ai singoli, diritti che questi possano invocare direttamente dinanzi al giudice ai sensi del diritto dell’Unione (sentenza 14 dicembre 2000, cause riunite C-300/98 e C-392/98, Dior e a., Racc. pag. I-11307, punto 44).
Qualora si constati che nel settore in questione esiste una normativa dell’Unione, trova applicazione il diritto dell’Unione, ciò che implica l’obbligo, nella misura del possibile, di operare un’interpretazione conforme all’accordo TRIPS, senza che tuttavia possa essere riconosciuta alla disposizione in questione dell’accordo suddetto un’efficacia diretta (sentenza 11 settembre 2007, causa C-431/05, Merck Genéricos − Produtos Farmacêuticos, Racc. pag. I-7001, punto 35).
La direttiva, rappresentando la normativa dell’Unione in materia di brevetti, deve quindi essere interpretata, per quanto possibile, in modo conforme.
A tal riguardo, è giocoforza constatare che l’interpretazione dell’art. 9 della direttiva formulata nella presente sentenza non è in contrasto con tale obbligo.
Infatti, l’art. 9 della direttiva disciplina l’ambito della protezione conferita da un brevetto al suo titolare, mentre gli artt. 27 e 30 dell’accordo TRIPS riguardano, rispettivamente, la brevettabilità e le eccezioni ai diritti conferiti da un brevetto.
Supponendo poi che la nozione di «eccezioni ai diritti conferiti» possa essere considerata come comprensiva, non solo, delle esclusioni dei diritti, ma altresì delle limitazioni degli stessi, occorrerebbe constatare che l’interpretazione dell’art. 9 della direttiva che limiti la protezione conferita alle situazioni in cui il prodotto brevettato svolge la sua funzione risulta idonea a porsi in contrasto con un normale sfruttamento del brevetto e a «pregiudic[are] in modo ingiustificato i legittimi interessi del titolare, tenuto conto dei legittimi interessi dei terzi» ai sensi dell’art. 30 dell’accordo TRIPS.
Si deve pertanto rispondere alla quarta questione dichiarando che gli artt. 27 e 30 dell’accordo TRIPS sono irrilevanti ai fini dell’interpretazione dell’art. 9 della direttiva.
Sulle spese
Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
L’art. 9 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 luglio 1998, 98/44/CE, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, deve essere interpretato nel senso che esso non conferisce una protezione dei diritti di brevetto in circostanze quali quelle di cui alla causa principale, quando il prodotto brevettato è contenuto nella farina di soia, nella quale esso non svolge la funzione per la quale è brevettato, che è stata invece svolta precedentemente nella pianta di soia da cui deriva per trasformazione detta farina, o quando esso, una volta estratto dalla farina e immesso nella cellula di un organismo vivente, potrebbe per ipotesi svolgere nuovamente tale funzione.
L’art. 9 della direttiva 98/44 opera un’armonizzazione esaustiva della protezione che esso conferisce, di modo che esso osta a che una normativa nazionale riconosca protezione assoluta al prodotto brevettato in quanto tale, a prescindere dal fatto che esso svolga o meno la sua funzione nel materiale che lo contiene.
L’art. 9 della direttiva 98/44 osta a che il titolare di un brevetto rilasciato prima dell’adozione di tale direttiva invochi la protezione assoluta del prodotto brevettato che gli sarebbe stata accordata dalla normativa nazionale allora vigente.
Gli artt. 27 e 30 dell’Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio, costituente l’allegato 1 C dell’Accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), firmato a Marrakech il 15 aprile 1994 e approvato con la decisione del Consiglio 22 dicembre 1994, 94/800/CE, relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell’Uruguay Round (1986-1994), sono irrilevanti ai fini dell’interpretazione dell’art. 9 della direttiva 98/44.
Firme
* Lingua processuale: l’olandese.