Documents - 6
cited in "Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 15 dicembre 2011. Frisdranken Industrie Winters BV contro Red Bull GmbH. Domanda di pronuncia pregiudiziale : Hoge Raad der Nederlanden - Paesi Bassi. Marchi - Direttiva 89/104/CEE - Art. 5, n. 1, lett. b) - Riempimento di lattine già provviste di un segno simile a quello di un marchio - Prestazione di servizio su incarico e secondo le direttive di un terzo - Azione del titolare del marchio contro il prestatore. Causa C-119/10."
Marchi, Direttiva 89/104/CEE, Art. 5, n. 1, lett. b), Riempimento di lattine già provviste di un segno simile a quello di un marchio, Prestazione di servizio su incarico e secondo le direttive di un terzo, Azione del titolare del marchio contro il prestatore.
Parole chiave Massima Parole chiave Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico o simile per prodotti o servizi identici o simili — Uso del marchio ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva — Nozione [Direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 1, lett. b)] Massima L’art. 5, n. 1, lett. b), della prima direttiva 89/104 in materia di marchi d’impresa deve essere interpretato nel senso che un prestatore di servizi che, su incarico e secondo le direttive di un terzo, riempie confezioni fornitegli dal terzo medesimo, il quale vi ha fatto precedentemente apporre un segno identico o simile a un segno tutelato come marchio, non fa a sua volta un uso di tale segno che può essere vietato ai sensi della suddetta disposizione. Allorché siffatto prestatore consente ai suoi clienti di fare uso di segni simili a marchi, il suo ruolo non può essere valutato alla luce delle disposizioni della direttiva 89/104, ma va, eventualmente, esaminato nella prospettiva di altre norme di diritto. Peraltro, la conclusione secondo cui il titolare di un marchio non può agire, sul solo fondamento della direttiva 89/104, nei confronti del prestatore di servizio non determina affatto la conseguenza di consentire al cliente di tale prestatore di aggirare la tutela offerta al suddetto titolare dalla direttiva in esame, scindendo il processo di produzione ed affidando i vari elementi di tale processo a prestatori di servizi. Dette prestazioni potrebbero, infatti, essere imputabili al citato cliente, il quale rimane dunque responsabile ai sensi della suddetta direttiva. (v. punti 35-37 e dispositivo)
Marchi, Internet, Offerta in vendita, in un mercato online destinato ai consumatori nell’Unione, di prodotti contrassegnati da un marchio destinati, dal titolare, ad essere venduti negli Stati terzi, Eliminazione dell’imballaggio di detti prodotti, Direttiva 89/104/CEE, Regolamento (CE) n. 40/94, Responsabilità del gestore del mercato online, Direttiva 2000/31/CE ("direttiva sul commercio elettronico"), Ingiunzioni giudiziarie nei confronti di tale gestore, Direttiva 2004/48/CE ("direttiva sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale").
Parole chiave Massima Parole chiave 1. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Uso del marchio ai sensi degli artt. 9 del regolamento e 5 della direttiva — Vendita, offerta in vendita o pubblicità, di prodotti che si trovano in uno Stato terzo, in un mercato online destinato ai consumatori nell’Unione (Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9; direttiva del Consiglio 89/104, art. 5) 2. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Esaurimento del diritto conferito dal marchio — Presupposti — Prodotto immesso sul mercato nella Comunità o nello Spazio economico europeo (Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 13, n. 1; direttiva del Consiglio 89/104, art. 7, n. 1) 3. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Uso del marchio ai sensi degli artt. 9 del regolamento e 5 della direttiva — Rivendita di profumi o di prodotti cosmetici privati dell’imballaggio (Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9; direttive del Consiglio 76/768, art. 6, n. 1, e 89/104, art. 5) 4. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Uso del marchio ai sensi degli artt. 9 del regolamento e 5 della direttiva — Pubblicità nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet [Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9, n. 1, lett. a); direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 1, lett. a)] 5. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Uso del marchio ai sensi degli artt. 9 del regolamento e 5 della direttiva — Nozione — Gestione di un mercato online — Esclusione (Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9; direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2000/31, artt. 12-15; direttiva del Consiglio 89/104, art. 5) 6. Ravvicinamento delle legislazioni — Commercio elettronico — Direttiva 2000/31 — Responsabilità dei prestatori intermedi — Hosting (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2000/31, art. 14, n. 1) 7. Ravvicinamento delle legislazioni — Rispetto dei diritti di proprietà intellettuale — Direttiva 2004/48 — Misure, procedure e mezzi di ricorso — Misure adottate a seguito di decisione sul merito (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2004/48, art. 11) Massima 1. Allorché prodotti che si trovano in uno Stato terzo – recanti un marchio registrato in uno Stato membro dell’Unione o un marchio comunitario e non commercializzati precedentemente nello Spazio economico europeo o, nel caso di marchio comunitario, non commercializzati precedentemente nell’Unione – sono venduti da un operatore economico, attraverso un mercato online e senza il consenso del titolare di detto marchio ad un consumatore che si trova nel territorio per il quale il marchio di cui trattasi è stato registrato, o sono oggetto di un’offerta in vendita o di pubblicità in un mercato siffatto destinata a consumatori che si trovino nel suddetto territorio, il titolare del marchio può opporsi alla vendita, all’offerta in vendita o alla pubblicità summenzionate in forza delle norme di cui all’art. 5 della prima direttiva 89/104, in materia di marchi, o all’art. 9 del regolamento n. 40/94, sul marchio comunitario. È compito dei giudici nazionali valutare caso per caso se sussistano elementi pertinenti per concludere che un’offerta in vendita o una pubblicità che compare in un mercato online accessibile in detto territorio sia destinata a consumatori che si trovano in quest’ultimo. Le norme della direttiva 89/104 e del regolamento n. 40/94 si applicano dal momento in cui appare evidente che l’offerta in vendita del prodotto contrassegnato da un marchio che si trova in uno Stato terzo è destinata a consumatori che si trovano nel territorio per il quale il marchio è stato registrato. In caso contrario, infatti, gli operatori che fanno ricorso al commercio elettronico, proponendo in vendita, in un mercato online destinato a consumatori che si trovano nell’Unione, prodotti contrassegnati da un marchio che si trovano in uno Stato terzo, che possono essere visualizzati sullo schermo e ordinati mediante detto mercato online, non avrebbero, relativamente alle offerte in vendita di questo tipo, nessun obbligo di conformarsi alle norme dell’Unione in materia di proprietà intellettuale. Una situazione del genere vanificherebbe l’effetto utile di tali norme. In proposito, ai sensi dell’art. 5, n. 3, lett. b) e d), della direttiva 89/104 e dell’art. 9, n. 2, lett. b) e d), del regolamento n. 40/94, l’uso, da parte di terzi, di segni identici o simili a marchi al quale possono opporsi i titolari di questi ultimi comprende l’uso di detti segni nelle offerte in vendita e nella pubblicità. Sarebbe pregiudicata l’efficacia di tali norme qualora l’uso, in un’offerta in vendita o in una pubblicità su Internet destinata a consumatori che si trovano nell’Unione, di un segno identico o simile a un marchio registrato nell’Unione fosse sottratto all’applicazione di tali norme per il solo fatto che il terzo all’origine di detta offerta o pubblicità sia stabilito in uno Stato terzo, che il server del sito Internet da lui utilizzato si trovi in tale Stato o ancora che il prodotto oggetto di detta offerta o pubblicità si trovi in uno Stato terzo. Nondimeno, la mera accessibilità di un sito Internet nel territorio per il quale il marchio è stato registrato non è sufficiente per concludere che le offerte in vendita che compaiono in esso sono destinate a consumatori che si trovano in tale territorio. Infatti, laddove l’accessibilità in tale territorio di un mercato online fosse sufficiente a far sì che gli annunci che compaiono in quest’ultimo rientrino nell’ambito di applicazione della direttiva 89/104 e del regolamento n. 40/94, sarebbero indebitamente assoggettati al diritto dell’Unione siti e annunci che, pur essendo manifestamente destinati esclusivamente a consumatori situati in Stati terzi, sono tuttavia tecnicamente accessibili nel territorio dell’Unione. (v. punti 61-64, 67, dispositivo 1) 2. La fornitura da parte del titolare di un marchio ai propri distributori autorizzati di articoli recanti tale marchio, destinati alla dimostrazione ai consumatori nei punti vendita autorizzati, nonché di flaconi recanti detto marchio, dai quali possono essere prelevate piccole quantità di prodotto da fornire ai consumatori quali campioni gratuiti, non costituisce, in mancanza di elementi probatori contrari, un’immissione in commercio ai sensi della direttiva 89/104, in materia di marchi, o del regolamento n. 40/94, sul marchio comunitario. (v. punto 73, dispositivo 2) 3. L’art. 5 della prima direttiva 89/104, in materia di marchi, e l’art. 9 del regolamento n. 40/94, sul marchio comunitario, devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio può, in forza del diritto esclusivo conferitogli da quest’ultimo, opporsi alla rivendita di profumi o di prodotti cosmetici per il fatto che il rivenditore ha eliminato l’imballaggio di tali prodotti, qualora in conseguenza della rimozione di tale imballaggio informazioni essenziali, come quelle relative all’identificazione del produttore o del responsabile dell’immissione in commercio del prodotto cosmetico, risultino mancanti. Nel caso in cui la rimozione dell’imballaggio non abbia condotto a siffatta mancanza di informazioni, il titolare del marchio può nondimeno opporsi a che un profumo o un prodotto cosmetico contrassegnato dal marchio di cui è titolare sia rivenduto privato dell’imballaggio, laddove dimostri che la rimozione dell’imballaggio ha arrecato pregiudizio all’immagine del prodotto in questione e quindi alla reputazione del marchio. In considerazione della varietà di gamme di profumi e di prodotti cosmetici, la questione se la rimozione dell’imballaggio di un prodotto del genere pregiudichi l’immagine di quest’ultimo e, quindi, la reputazione del marchio da cui è contrassegnato va esaminata caso per caso. Infatti, l’aspetto di un profumo o di un prodotto cosmetico senza imballaggio può talvolta trasmettere efficacemente l’immagine di prestigio e di lusso di tale prodotto, mentre, in altri casi, l’eliminazione di detto imballaggio ha proprio la conseguenza di arrecare pregiudizio a tale immagine. Un pregiudizio siffatto può aversi allorché l’imballaggio contribuisce, a pari titolo o più del flacone o del contenitore, alla presentazione dell’immagine del prodotto creata dal titolare del marchio e dai suoi distributori autorizzati. È del pari possibile che l’assenza di talune o di tutte le informazioni richieste dall’art. 6, n. 1, della direttiva 76/768, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici, arrechi pregiudizio all’immagine del prodotto. Incombe al titolare del marchio comprovare la sussistenza degli elementi costitutivi di tale pregiudizio. Inoltre, avendo la funzione essenziale di garantire al consumatore l’identità d’origine del prodotto, il marchio serve proprio ad attestare che tutti i prodotti da esso contrassegnati sono stati fabbricati o forniti sotto il controllo di un’unica impresa alla quale può essere attribuita la responsabilità della loro qualità. Orbene, allorché talune informazioni richieste per legge, come quelle relative all’identificazione del produttore o del responsabile dell’immissione in commercio del prodotto cosmetico, sono mancanti, è pregiudicata la funzione di indicazione di origine del marchio, in quanto quest’ultimo è privato del suo effetto essenziale consistente nel garantire che i prodotti da esso contrassegnati sono forniti sotto il controllo di un’unica impresa alla quale può essere attribuita la responsabilità della loro qualità. Peraltro, la questione se l’offerta in vendita o la vendita di prodotti recanti un marchio privati del loro imballaggio e quindi di talune informazioni richieste ai sensi dell’art. 6, n. 1, della direttiva 76/768 sia o meno penalmente perseguibile in diritto nazionale non può avere influenza sull’applicabilità delle norme dell’Unione in materia di tutela dei marchi. (v. punti 78-83, dispositivo 3) 4. L’art. 5, n. 1, lett. a), della prima direttiva 89/104, in materia di marchi, e l’art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94, sul marchio comunitario, devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio può vietare al gestore di un mercato online di fare pubblicità, partendo da una parola chiave identica a tale marchio selezionata da tale gestore nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet, ai prodotti recanti detto marchio messi in vendita nel suddetto mercato, qualora siffatta pubblicità non consenta, o consenta soltanto difficilmente, all’utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento di sapere se tali prodotti o servizi provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo oppure, al contrario, da un terzo. Laddove il gestore di un mercato online abbia utilizzato parole chiave corrispondenti a marchi per promuovere offerte in vendita di prodotti contrassegnati da marchio provenienti dai suoi clienti venditori, egli ne ha fatto uso per prodotti o servizi identici a quelli per i quali tali marchi sono stati registrati. In proposito, l’espressione «per prodotti o servizi» non si riferisce esclusivamente ai prodotti o ai servizi del terzo che fa uso dei segni corrispondenti ai marchi, ma può riguardare anche i prodotti o i servizi di altre persone. La circostanza, infatti, che un operatore economico utilizzi un segno corrispondente ad un marchio per prodotti che non gli appartengono, nel senso che egli non dispone di alcun titolo su di essi, di per sé non impedisce che detto uso rientri nell’ambito dell’art. 5 della direttiva 89/104 e dell’art. 9 del regolamento n. 40/94. Proprio con riferimento ad una situazione in cui il fornitore di un servizio fa uso di un segno corrispondente ad un marchio altrui per promuovere prodotti che uno dei propri clienti commercializza grazie a tale servizio, un siffatto uso rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 e dell’art. 9, n. 1, del regolamento n. 40/94, laddove ciò avvenga in modo tale da creare un nesso tra detto segno e tale servizio. (v. punti 91-92, 97, dispositivo 4) 5. Il gestore di un mercato online non fa «uso», ai sensi dell’art. 5 della prima direttiva 89/104, in materia di marchi, e dell’art. 9 del regolamento n. 40/94, sul marchio comunitario, dei segni identici o simili a marchi che figurano in offerte in vendita che compaiono sul suo sito. Infatti, l’esistenza di un «uso» di un segno identico o simile al marchio del titolare da parte di un terzo, ai sensi dell’art. 5 della direttiva 89/104 e dell’art. 9 del regolamento n. 40/94, comporta, quanto meno, che quest’ultimo utilizzi il segno nell’ambito della propria comunicazione commerciale. Orbene, nei limiti in cui tale terzo fornisce un servizio consistente nel permettere ai propri clienti di far comparire, nell’ambito delle loro attività commerciali quali le loro offerte in vendita, segni corrispondenti a marchi sul proprio sito, non è lui stesso a fare, su tale sito, un uso dei detti segni nel senso indicato dalla summenzionata normativa dell’Unione. Ne consegue che l’uso di segni identici o simili a marchi in offerte in vendita che compaiono in un mercato online ha luogo ad opera dei clienti venditori del gestore di tale mercato e non ad opera del gestore stesso. Nei limiti in cui consente ai propri clienti di fare tale uso, il ruolo del gestore del mercato online non può essere valutato alla luce delle disposizioni della direttiva 89/104 e del regolamento n. 40/94, ma deve essere esaminato nella prospettiva di altre norme di diritto, quali quelle enunciate nella direttiva 2000/31, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («direttiva sul commercio elettronico»), specificamente alla sezione 4 del capo II della medesima, che riguarda la «responsabilità dei prestatori intermediari» nel commercio elettronico e che comprende gli artt. 12-15 della stessa direttiva. (v. punti 102-105, dispositivo 5) 6. L’art. 14, n. 1, della direttiva 2000/31, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («direttiva sul commercio elettronico»), deve essere interpretato nel senso che esso si applica al gestore di un mercato online qualora non abbia svolto un ruolo attivo che gli permetta di avere conoscenza o controllo circa i dati memorizzati. Detto gestore svolge un ruolo siffatto allorché presta un’assistenza che consiste in particolare nell’ottimizzare la presentazione delle offerte in vendita di cui trattasi o nel promuoverle. Quando non ha svolto un ruolo attivo nel senso indicato al paragrafo precedente e dunque la sua prestazione di servizio rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 14, n. 1, della direttiva 2000/31, il gestore di un mercato online, in una causa che può comportare una condanna al pagamento di un risarcimento dei danni, non può tuttavia avvalersi dell’esonero dalla responsabilità previsto nella suddetta disposizione qualora sia stato al corrente di fatti o circostanze in base ai quali un operatore economico diligente avrebbe dovuto constatare l’illiceità delle offerte in vendita di cui trattasi e, nell’ipotesi in cui ne sia stato al corrente, non abbia prontamente agito conformemente al n. 1, lett. b), del suddetto art. 14. (v. punti 123-124, dispositivo 6) 7. L’art. 11, terza frase, della direttiva 2004/48, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, deve essere interpretato nel senso che esso impone agli Stati membri di far sì che gli organi giurisdizionali nazionali competenti in materia di tutela dei diritti di proprietà intellettuale possano ingiungere al gestore di un mercato online di adottare provvedimenti che contribuiscano non solo a far cessare le violazioni di tali diritti ad opera degli utenti di detto mercato, ma anche a prevenire nuove violazioni della stessa natura. Tali ingiunzioni devono essere efficaci, proporzionate, dissuasive e non devono creare ostacoli al commercio legittimo. (v. punto 144, dispositivo 7)
Marchi, Internet, Motore di ricerca, Pubblicità a partire da parole chiave ("keyword advertising"), Visualizzazione, a partire da parole chiave corrispondenti a marchi di impresa, di link verso siti di concorrenti dei titolari di detti marchi ovvero verso siti sui quali sono offerti prodotti di imitazione, Direttiva 89/104/CEE, Art. 5, Regolamento (CE) n. 40/94, Art. 9, Responsabilità del gestore del motore di ricerca, Direttiva 2000/31/CE ("direttiva sul commercio elettronico").
Parole chiave Massima Parole chiave 1. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Uso del marchio ai sensi degli artt. 9, n. 1, del regolamento e 5, nn. 1 e 2, della direttiva (Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9, n. 1; direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, nn. 1 e 2) 2. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Uso del marchio ai sensi degli artt. 9, n. 1, lett. a), del regolamento e 5, n. 1, lett. a), della direttiva [Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9, n. 1, lett. a); direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 1, lett. a)] 3. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Pubblicità nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet [Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9, n. 1, lett. a); direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 1, lett. a)] 4. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Pubblicità nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet [Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9, n. 1, lett. a); direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 1, lett. a)] 5. Ravvicinamento delle legislazioni — Commercio elettronico — Direttiva 2000/31 — Responsabilità dei prestatori intermedi (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2000/31, art. 14) Massima 1. Il prestatore di un servizio di posizionamento su Internet che memorizzi come parola chiave un segno identico a un marchio e organizzi, a partire da quest’ultima, la visualizzazione di annunci non fa un uso di tale segno ai sensi dell’art. 5, nn. 1 e 2, della direttiva 89/104 sui marchi d’impresa o dell’art. 9, n. 1, del regolamento n. 40/94 sul marchio comunitario. È pacifico che tale prestatore esercita un’attività commerciale e mira a un vantaggio economico quando memorizza, per conto di taluni suoi clienti, segni identici a marchi come parole chiave e, a partire dalle stesse, organizza la visualizzazione di annunci. È altresì pacifico che tale servizio non è fornito soltanto ai titolari di detti marchi o agli operatori abilitati a commercializzare i prodotti o i servizi degli stessi, ma esso avviene senza il consenso dei titolari ed è fornito a concorrenti degli stessi o ad imitatori. Benché da tali elementi risulti chiaramente che il prestatore del servizio di posizionamento opera «nel commercio» quando consente agli inserzionisti di selezionare, quali parole chiave, segni identici a marchi, quando memorizza tali segni e quando visualizza a partire da questi ultimi gli annunci dei propri clienti, ciò non significa che lo stesso prestatore faccia un «uso» di tali segni ai sensi degli artt. 5 della direttiva 89/104 e 9 del regolamento n. 40/94. L’uso di un segno identico o simile al marchio del titolare da parte di un terzo comporta, quanto meno, che quest’ultimo utilizzi il segno nell’ambito della propria comunicazione commerciale. Nel caso del prestatore di un servizio di posizionamento, quest’ultimo consente ai propri clienti di usare segni identici o simili a marchi, senza fare egli stesso uso di detti segni. Tale conclusione non può essere smentita dal fatto che il prestatore percepisca un compenso per l’uso di detti segni da parte dei suoi clienti. Infatti, la circostanza che si creino le condizioni tecniche necessarie per l’uso di un segno e si percepisca un compenso per tale servizio, non significa che colui che fornisce tale servizio faccia a sua volta uso di detto segno. (v. punti 53-57, 105, dispositivo 2) 2. L’uso come parola chiave che l’inserzionista fa del segno identico al marchio di un concorrente nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet affinché l’utente conosca non soltanto i prodotti o i servizi offerti da tale concorrente ma anche quelli di detto inserzionista, è un uso per i prodotti o i servizi di tale inserzionista. Peraltro, si ha uso «per prodotti o servizi» anche nel caso in cui, attraverso il proprio uso del segno identico al marchio come parola chiave, l’inserzionista non miri a presentare i propri prodotti o servizi agli utenti di Internet come un’alternativa rispetto ai prodotti o ai servizi del titolare del marchio, ma, al contrario, intenda indurre in errore gli utenti di Internet sull’origine dei propri prodotti o servizi, lasciando credere loro che gli stessi provengono dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente legata a quest’ultimo. Infatti, un uso del genere esiste comunque quando il terzo usa il segno identico al marchio in modo tale da creare un legame tra detto segno e i prodotti commercializzati o i servizi forniti dal terzo. Ne deriva che l’impiego da parte dell’inserzionista di un segno identico al marchio, come parola chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet, rientra nella nozione di uso «per prodotti o servizi» ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 sui marchi d’impresa. (v. punti 71-73) 3. Gli artt. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104, sui marchi d’impresa, e 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94 sul marchio comunitario, devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio può vietare ad un inserzionista di fare pubblicità – a partire da una parola chiave identica a detto marchio, selezionata da tale inserzionista nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet senza il consenso dello stesso titolare – a prodotti o servizi identici a quelli per cui detto marchio è registrato, qualora la pubblicità di cui trattasi non consenta, o consenta soltanto difficilmente, all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi indicati nell’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente connessa a quest’ultimo o invece da un terzo. Infatti, in una situazione del genere, caratterizzata del resto dal fatto che l’annuncio in questione appare subito dopo che l’utente di Internet interessato abbia inserito il marchio come parola da ricercare ed è visualizzato in un momento in cui il marchio, in qualità di parola da ricercare, è parimenti indicato sullo schermo, l’utente di Internet può confondersi sull’origine dei prodotti o dei servizi in questione. In tali circostanze, l’uso del segno identico al marchio da parte del terzo, come parola chiave che lancia la visualizzazione di detto annuncio, è idoneo ad avvalorare l’esistenza di un collegamento materiale nel commercio tra i prodotti o servizi interessati e il titolare del marchio. Considerata la funzione principale del marchio, che, nell’ambito del commercio elettronico, consiste in particolare nel consentire agli utenti di Internet che scorrono gli annunci visualizzati, risultanti da una ricerca avente ad oggetto un determinato marchio, di distinguere i prodotti o i servizi del titolare di tale marchio da quelli di diversa provenienza, detto titolare deve poter vietare la visualizzazione di annunci di terzi che gli utenti di Internet rischiano di percepire erroneamente come provenienti da lui. Spetta al giudice nazionale accertare, caso per caso, se i fatti della controversia sottopostagli siano caratterizzati da una violazione, o da un rischio di violazione, della funzione di indicazione di origine. Qualora l’annuncio del terzo adombri l’esistenza di un collegamento economico tra tale terzo e il titolare del marchio, si dovrà concludere che sussiste una violazione della funzione di indicazione di origine. Qualora l’annuncio, pur non adombrando l’esistenza di un collegamento economico, sia talmente vago sull’origine dei prodotti o dei servizi in questione che un utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento non sia in grado di sapere, sulla base del link pubblicitario e del messaggio commerciale allegato, se l’inserzionista sia un terzo rispetto al titolare del marchio o, al contrario, sia economicamente collegato a quest’ultimo, si dovrà parimenti concludere che sussiste violazione della funzione del marchio. (v. punti 84-85, 87-90, 99, dispositivo 1) 4. Atteso che il commercio è caratterizzato da un’offerta varia di prodotti e di servizi, il titolare di un marchio non solo può prefiggersi di indicare, mediante tale marchio, l’origine dei propri prodotti o dei propri servizi, ma può anche voler impiegare il suo marchio per scopi pubblicitari con l’intento di informare e persuadere il consumatore. Pertanto, il titolare di un marchio può vietare l’uso, senza il suo consenso, di un segno identico al suo marchio per prodotti o servizi identici a quelli per i quali tale marchio è registrato, qualora tale uso pregiudichi l’impiego del marchio, da parte del suo titolare, quale strumento di promozione delle vendite o di strategia commerciale. Per quanto attiene all’uso da parte degli inserzionisti su Internet del segno identico al marchio altrui come parola chiave ai fini della visualizzazione di messaggi pubblicitari, è evidente che tale uso può produrre alcune ripercussioni sull’utilizzo a fini pubblicitari di detto marchio da parte del suo titolare nonché sulla strategia commerciale di quest’ultimo. Infatti, considerato l’importante ruolo svolto nel commercio dalla pubblicità su Internet, è plausibile che il titolare del marchio iscriva il proprio marchio come parola chiave presso il fornitore del servizio di posizionamento, al fine di ottenere un annuncio nella rubrica «link sponsorizzati». Qualora ciò avvenga, il titolare del marchio dovrà, se del caso, accettare di pagare un prezzo per click più elevato rispetto a quello di taluni altri operatori economici, se vuole ottenere che il suo annuncio compaia prima di quelli di detti operatori che hanno parimenti selezionato il suo marchio come parola chiave. Inoltre, anche laddove il titolare del marchio sia disposto a pagare un prezzo per click più elevato di quello offerto dai terzi che del pari hanno selezionato detto marchio, non v’è garanzia che il suo annuncio compaia prima di quelli di detti terzi, dal momento che nel determinare l’ordine di visualizzazione degli annunci sono presi in considerazione anche altri elementi. Tuttavia, tali ripercussioni dell’uso del segno identico al marchio da parte di terzi non costituiscono di per sé una violazione della funzione di pubblicità del marchio. (v. punti 91-95) 5. L’art. 14 della direttiva 2000/31, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («direttiva sul commercio elettronico»), deve essere interpretato nel senso che la norma ivi contenuta si applica al prestatore di un servizio di posizionamento su Internet qualora detto prestatore non abbia svolto un ruolo attivo atto a conferirgli la conoscenza o il controllo dei dati memorizzati. Se non ha svolto un siffatto ruolo, detto prestatore non può essere ritenuto responsabile per i dati che egli ha memorizzato su richiesta di un inserzionista, salvo che, essendo venuto a conoscenza della natura illecita di tali dati o di attività di tale inserzionista, egli abbia omesso di prontamente rimuovere tali dati o disabilitare l’accesso agli stessi. Spetta al giudice nazionale valutare se il ruolo svolto da un prestatore di servizi di posizionamento su Internet sia neutro, in quanto il suo comportamento è meramente tecnico, automatico e passivo, comportante una mancanza di conoscenza o di controllo dei dati che esso memorizza. (v. punti 114, 119-120, dispositivo 3)