Documents - 1 cited in "Sentenza 1861/2018 della Corte Dappello Di Milano Prima Sezione Civile"

Marchi, Pubblicità su Internet a partire da parole chiave ("keyword advertising"), Direttiva 89/104/CEE, Artt. 5-7, Visualizzazione di annunci a partire da una parola chiave identica a un marchio, Visualizzazione di annunci a partire da parole chiave che riproducono un marchio con "piccoli errori", Pubblicità per prodotti d’occasione, Prodotti fabbricati e messi in commercio dal titolare del marchio, Esaurimento del diritto conferito dal marchio, Apposizione di etichette recanti il nome del rivenditore e rimozione di quelle contenenti il marchio, Pubblicità, a partire da un marchio altrui, per prodotti d’occasione comprendenti, oltre a prodotti fabbricati dal titolare del marchio, prodotti di altra provenienza.
Parole chiave Massima Parole chiave 1. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico o simile per prodotti identici — Pubblicità nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet — Presupposto del diritto del titolare (Direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 1) 2. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico o simile per prodotti o servizi identici — Pubblicità nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet — Limitazione degli effetti del marchio — Presupposto (Direttiva del Consiglio 89/104, artt. 5, n. 1, e 6, n. 1) 3. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 89/104 — Prodotto immesso in commercio nella Comunità o nello Spazio economico europeo dal titolare del marchio o con il suo consenso — Pubblicità per la rivendita del prodotto nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet — Opposizione del titolare — Ammissibilità in base alle deroghe al principio dell’esaurimento previste dall’art. 7, n. 2, della direttiva — Presupposti (Direttiva del Consiglio 89/104, art. 7) Massima 1. L’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 sui marchi deve essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio ha il diritto di vietare che un inserzionista faccia – a partire da una parola chiave identica o simile a tale marchio, da lui scelta, senza il consenso del detto titolare, nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet – pubblicità per prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio in questione è registrato, qualora tale pubblicità non consenta o consenta soltanto difficilmente all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi cui si riferisce l’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo ovvero, al contrario, da un terzo. Qualora l’annuncio del terzo suggerisca l’esistenza di un collegamento economico tra tale terzo e il titolare del marchio, si dovrà concludere che sussiste un pregiudizio della funzione di indicazione d’origine. Allo stesso modo, anche quando l’annuncio, pur non suggerendo l’esistenza di un collegamento economico, rimanga talmente vago sull’origine dei prodotti o dei servizi in questione che un utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento non sia in grado di sapere, sulla base del link promozionale e del messaggio commerciale che lo accompagna, se l’inserzionista è un terzo rispetto al titolare del marchio o, al contrario, è economicamente collegato a quest’ultimo, si dovrà concludere che sussiste un pregiudizio della suddetta funzione del marchio. (v. punti 34-35, 52-54, dispositivo 1) 2. L’art. 6 della direttiva 89/104 sui marchi deve essere interpretato nel senso che, quando l’uso, da parte di inserzionisti, di segni identici o simili a marchi come parole chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet sia suscettibile di divieto ai sensi dell’art. 5 della medesima direttiva, tali inserzionisti non possono, di regola, avvalersi della deroga stabilita dall’art. 6, n. 1, di questa direttiva per sottrarsi al divieto stesso. Spetta tuttavia al giudice nazionale verificare, alla luce delle circostanze proprie del caso di specie, se effettivamente non sussista alcun utilizzo dei segni in questione ai sensi del menzionato art. 6, n. 1, il quale possa ritenersi effettuato in conformità agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale. (v. punto 72, dispositivo 2) 3. L’art. 7 della direttiva 89/104 sui marchi, come modificata dall’Accordo sullo Spazio economico europeo, deve essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio non ha il diritto di vietare che un inserzionista faccia – a partire da un segno identico o simile a tale marchio, da lui scelto, senza il consenso del detto titolare, come parola chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet – pubblicità per la rivendita di prodotti fabbricati dal citato titolare del marchio e immessi in commercio nello Spazio economico europeo da questi stesso o con il suo consenso, salvo che sussista un motivo legittimo, ai sensi dell’art. 7, n. 2, della citata direttiva, idoneo a giustificare l’opposizione di tale titolare, come, ad esempio, un uso del segno in questione che induca a ritenere esistente un collegamento economico tra il rivenditore e il titolare stesso oppure un uso che rechi un serio pregiudizio alla notorietà del marchio. Il giudice nazionale, cui spetta valutare se sussista o no un motivo legittimo siffatto nella controversia sottoposta alla sua cognizione: - non può, sulla base del semplice fatto che un inserzionista utilizza un marchio altrui con l’aggiunta di termini, come «usato» o «d’occasione», indicanti che i prodotti in questione costituiscono l’oggetto di una rivendita, concludere che l’annuncio suggerisca l’esistenza di un collegamento economico tra il rivenditore e il titolare del marchio o rechi un serio pregiudizio alla notorietà di tale marchio; - è tenuto a constatare l’esistenza di un motivo legittimo siffatto, qualora il rivenditore, senza il consenso del titolare del marchio che egli utilizza nell’ambito della pubblicità per le proprie attività di rivendita, abbia rimosso la menzione di tale marchio figurante sui prodotti fabbricati e immessi in commercio dal titolare stesso e l’abbia sostituita con un’etichetta recante il proprio nome, in modo da occultare il marchio in questione, e - è tenuto a dichiarare che non si può vietare ad un rivenditore specializzato nella vendita di prodotti d’occasione di un marchio altrui di utilizzare tale marchio per annunciare al pubblico attività di rivendita comprendenti, oltre alla vendita di prodotti d’occasione del marchio in questione, la vendita di altri prodotti d’occasione, a meno che la rivendita di questi altri prodotti non rischi, in ragione della sua ampiezza, delle sue modalità di presentazione o della sua scarsa qualità, di menomare gravemente l’immagine che il titolare è riuscito a creare intorno al proprio marchio. (v. punto 93, dispositivo 3)