Invero il marchio di fatto assume rilevanza nei rapporti commerciali e tra imprenditori solo dal momento in cui esso risulta effettivamente utilizzato per contraddistinguere un determinato prodotto o servizio e solo da tale momento esso può assumere un valore apprezzabile quale segno distintivo che può consentire l’attribuzione al soggetto che ne fa uso del potere di interdire i terzi dall’uso del medesimo segno ove esso abbia raggiunti idonei livelli di conoscenza e diffusione sul mercato. Nel caso di specie la fase meramente ideativa di esso – con particolare riferimento alla caratterizzazione grafica del segno, posto che i documenti prodotti al più si riferiscono alla ricerca di una stile grafico particolare ma nulla dicono quanto al soggetto che aveva ideato la parte denominativa del segno – non può avere dunque alcun rilievo al fine di riconoscere o meno in capo alla convenuta la titolarità di detto segno di fatto, sulla base del quale essa ha proceduto alla formale registrazione del medesimo sia in sede nazionale che in sede comunitaria. L’accoglimento delle domande di trasferimento del marchio nazionale e di nullità del marchio dell’Unione Europea risulta del tutto assorbente quanto alle ulteriori domande di decadenza svolte dalle parti attrici. Né sussistono altresì i presupposti per procedere alla quantificazione di un risarcimento del danno in relazione alle violazioni innanzi accertate, posto che nessun concreto elemento di valutazione appare rinvenibile negli atti del procedimento.
marchi, ordinanza cautelare, inibitoria, contraffazione, giudizio cautelare, titolare del marchio, marchio registrato, distributore, identità o somiglianza dei prodotti, rischio di confusione, rischio di associazione
L’utilizzo dei segni in questione da parte delle ricorrenti risulta dai documenti nn.4 e 11 (costituito dalle fotografie di svariati prodotti, anche di classi diverse dalla 25, che riproducono il marchio e il segno STRISCIA COLORATA e i marchi K-WAY). [...] • Ai sensi dell’ art. 9 lettera b) del Regolamento (CE) n.207/2009 il marchio comunitario conferisce al titolare il diritto di farne uso in modo esclusivo e di vietare a terzi l’adozione di “un segno che a motivo della sua identità o somiglianza col marchio comunitario e dell’identità o somiglianza dei prodotti e servizi contraddistinti dal marchio comunitario e del segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione tra segno e marchio”. Tali requisiti di somiglianza che determinano il rischio di confusione sussistono nel presente caso, tenuto conto della quasi integrale riproduzione da parte delle resistenti del marchio comunitario registrato da B e dell’utilizzo di esso per contraddistinguere prodotti della stessa classe per la quale il marchio striscia colorata è stato registrato. Rafforza infine il rischio di associazione tra il prodotto non originale e il marchio registrato e quindi la riconduzione del primo all’azienda e alla catena produttiva delle ricorrenti l’adozione, sul medesimo capo, di un altro marchio (questa volta denominativo) di titolarità di B s.p.a. utilizzato dalle ricorrenti per caratterizzare i propri prodotti, anche in abbinamento con il marchio striscia colorata, ossia la denominazione K WAY (Per le cui multiple registrazioni v. doc.10, oltre che i documenti 31 e 32). [...] • Infatti, come esposto dalle ricorrenti l’immissione sul mercato di prodotti non originali ma associabili ai marchi registrati espone le titolari del marchio al concreto rischio di subire un calo delle vendite, una conseguente riduzione della quota di mercato, oltre che un inevitabile fenomeno di “annacquamento” della capacità attrattiva del segno distintivo, tutte lesioni patrimonali di difficile quantificazione e soprattutto di difficile effettiva reintegrazione.[...]
Appare operazione di carattere preliminare verificare la tutela effettivamente riconoscibile in favore dei prodotti in questioni, commercializzati dalla società attrice L S.A.S. con il marchio “Le Pliage” su licenza ottenuta dalla titolare del marchio JC S.A.S., a sua volta avente causa dal creatore del modello di borsa PC. [...] • In effetti, al di là dell’innegabile successo commerciale di tale modello di borsa, non risultano nemmeno allegati gli elementi che dovrebbero confermare la presenza di un valore artistico nella creazione dell’aspetto esteriore del modello di borsa in questione, la cui prova spetta alla parte che ne invoca la protezione. Come è noto tale valore artistico può essere desunto da una serie di parametri oggettivi, non necessariamente tutti presenti in concreto, quali il riconoscimento, da parte degli ambienti culturali ed istituzionali, circa la sussistenza di qualità estetiche ed artistiche, l'esposizione in mostre o musei, la pubblicazione su riviste specializzate, l'attribuzione di premi, l'acquisto di un valore di mercato così elevato da trascendere quello legato soltanto alla sua funzionalità ovvero la creazione da parte di un noto artista (così da ultimo Cass. 23292/15 ). [...] • E’ stata poi dedotta la natura di marchio di forma di fatto che l’aspetto del modello di borsa in questione rivestirebbe. [...] • La norma comunitaria così come quella interna escludono dalla possibilità di valida registrazione come marchio, oltre alla forma del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico, anche la forma che dia valore sostanziale al prodotto. [...] • In altra occasione la stessa Corte di Giustizia ha affermato che quando il design di un prodotto rappresenta un elemento che svolge un ruolo molto importante nel determinare la scelta del consumatore anche se quest’ultimo prende in considerazione altre caratteristiche del prodotto in questione, si deve ritenere che il design costituisca motivo ostativo per la protezione come marchio di forma, stante l'esclusione di cui sopra. [...] • L’impedimento del “valore sostanziale” può non essere di ostacolo alla registrazione di una forma, pur gradevole dal punto di vista estetico, nella quale tuttavia prevalga il valore simbolico di richiamo alla provenienza del prodotto da una determinata impresa, piuttosto che non l'elemento attrattivo determinato dalla sua estetica. La forma che dà un valore sostanziale al prodotto deve dunque considerarsi in definitiva quella che incide in modo determinante, o appunto “sostanziale”, sull’apprezzamento del prodotto, con esclusione invece di quelle forme di presentazione o di confezionamento che, pur caratterizzando il prodotto di una impresa anche sotto il profilo della gradevolezza della sua presentazione, non sono determinanti nella sua scelta. Nel caso di specie la pur ampia rappresentazione documentale fornita dalle attrici circa il notevole apprezzamento ed il successo nel mercato di tale modello di borsa non consente di ritenere che l’innegabile valore del suo originale aspetto estetico sia profilo del tutto minimale rispetto agli elementi che ne consentono il collegamento ad una determinata impresa. In effetti appare del tutto conforme alla realtà della fattispecie ritenere che la principale motivazione all’acquisto da parte del consumatore sia proprio il particolare ed apprezzato aspetto esteriore del modello di borsa, profilo che in un relativamente breve arco di tempo dalla sua immissione in commercio ne ha determinato il riconosciuto successo. [...] • Detta riproduzione risulta essere eseguita in maniera per così dire “fotografica”, come si evince dalla documentazione in atti ed è stata confermata dall’esito del sequestro eseguito ante causam. [...] • Ciò posto quanto alla natura dell’illecito riscontrabile nella fattispecie, deve procedersi alla determinazione del danno risarcibile. [...] • Va invero rilevato che l’unico punto di riferimento apprezzabile appare obbiettivamente il quantitativo di prodotti oggetto di imitazione servile reperiti all’esito delle operazioni di sequestro eseguite ante causam, posto che nessuna ulteriore attività istruttoria è stata di fatto richiesta dalle stesse attrici nell’ambito della causa di merito in quanto le stesse alla prima udienza di comparizione delle parti del DD/MM/ 2 016 hanno chiesto rinvio per precisazione delle conclusioni.[...]
pubblicazione della sentenza, contraffazione, concorrenza sleale, marchi, inibitoria, rischio di confusione, rischio di associazione, uso del segno, pubblico interessato, diritto esclusivo, pubblicità, buona fede, corrispondenza commerciale, marchio registrato, notorietà, particolare del marchio, divieto
Siffatta scelta può determinare innanzitutto ex art. 20 lett. b) CPI un rischio di confusione sulla provenienza dei beni, anche e soprattutto sotto il profilo del rischio di associazione, inteso come probabile errore del pubblico circa l’ esistenza di rapporti contrattuali o di gruppo fra il titolare e il secondo registrante. [...] • Le norme comunitarie (e poi quelle nazionali) hanno inteso tutelare il diritto esclusivo sul segno come elemento attrattivo e comunicazionale, impedendone l’ appropriazione ogni volta che questa possa determinare, in via alternativa, un indebito vantaggio per l’ usurpatore o in pregiudizio al titolare. Esistono vari livelli di rinomanza, che va dai segni noti alla generalità della popolazione a quelli solo largamente accreditati presso un segmento del pubblico dei consumatori, cui si accompagnano diverse estensioni della tutela, al di là dell’ ambito merceologico e del rischio di confusione in senso stretto (dovendo ritenersi sufficiente un ingiustificato agganciamento, che consenta di collocarsi sul mercato sfruttando le valenze evocative del segno rinomato). Il diverso livello di rinomanza incide sull’ onere della prova, ben potendo -in caso di segni notori, quali quello che ci occupa- farsi ricorso anche alle nozioni di comune esperienza. Infine, va ricordato che, per il principio di unitarietà dei segni distintivi di cui all’art. 22 CPI è vietato adottare come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna o nome a dominio aziendale un segno uguale o simile all’altrui marchio se possa determinarsi quel medesimo rischio di confusione del pubblico o quell’approfittamento, con conseguente pregiudizio, di cui all’art. 20 CPI. [...] • L’accordo transattivo deve essere interpretato secondo le regole di cui all’art. 1362 e segg. c.c., ricordando che i criteri legali di ermeneutica contrattuale sono governati da una gerarchia interna. [...] • Spetterà quindi alle odierne parti attrici, in caso di contestazione, offrire la rigorosa prova che in quella specifica circostanza non era possibile, per la normativa specifica di settore, utilizzare altra indicazione, quali appunto i marchi, che comunque consentisse di risalire all’impresa produttrice/commercializzatrice. Certamente, la generalità dell’uso di una denominazione sociale così interferente non può farsi discendere in via generale dalla normativa del Codice del Consumo (D. lvo 206/05), in particolare gli artt. 6 e 22, laddove si prevede il contenuto minimo della comunicazione che i consumatori devono ricevere. Infatti, le disposizioni richiamate equiparano il marchio alla ragione sociale del produttore e tale indicazione è sufficiente ad evitare l’ingannevolezza di cui all’art. 22, contenendo tutte le informazioni rilevanti di cui un consumatore medio ha bisogno per prendere una decisione consapevole. [...] • Anche l’utilizzazione della ragione sociale del produttore e/o commercializzatore sui siti di titolarità degli attori deve essere fatta al mero fine di informazione nel contesto di una descrizione narrativa dei prodotti forniti e della loro origine produttiva, senza il ricorso a caratteri speciali o di particolare evidenza e sempre accompagnata dal chiarimento, come indicato nell’accordo al punto 7, che non vi sono rapporti con la GV s.p.a. Va infine chiarito, come l’accordo autorizzi solo l’uso della denominazione sociale, dovendo ritenersi esclusi gli altri usi interferenti indicati dall’art. 22 CPI, quali la ditta, l’insegna, il nome a dominio aziendale. [...] • Siffatto uso della denominazione della ricorrente, il cui cuore identificativo è certamente rappresentato dal patronimico VERSACE, eccedeva certamente le esigenze di rispetto della normativa comunitaria e di quella posta a tutela dei consumatori, al fine di rendere identificabile il produttore, e rappresentava una forma di utilizzazione quale segno distintivo in senso stretto, in contrasto con gli accordi transattivi invocati, come tale da ritenersi di natura contraffattiva ex art. 20 lett. b) e c) CPI.[...]
avente ad oggetto nullità di marchio, contraffazione e risarcimento danni
L'istituto della priorità ha la funzione di consentire al richiedente di disporre di un “periodo di riflessione" durante il quale valutare l'ambito territoriale in cui ricercare effettivamente la tutela, evitando di dover depositare contemporaneamente le domande in tutti i Paesi di interesse potenziale, mantenendo comunque salvo il requisito della novità nei vari Paesi. [...] • Tale data vale come momento di determinazione della novità anche negli Stati in cui il deposito sarà effettuato successivamente, nel caso di specie a livello comunitario. [...] • La nullità del marchio per mancanza di novità ex art. 12 c.p. i. e per conflitto con i diritti anteriori di terzi elencati agli artt. 8 e 14.1 c.p.i. è infatti una nullità sanabile mediante convalida ex art. 28 c.p. i.. [...] • Il meccanismo della convalida (ai sensi tanto del c.p.i quanto del r.m.c. ) prevede un consolidarsi del diritto sul marchio posteriore che diviene inattaccabile dai titolari dei diritti anteriori mediante azioni di nullità e contraffazione al ricorrere di: una tolleranza - protratta per cinque anni consecutivi - da parte del titolare dei diritti anteriori dell’uso del marchio posteriore e di uno stato di buona fede del titolare del marchio posteriore al deposito di quest’ultimo. Perché si possa parlare di tolleranza occorre, logicamente, che il titolare del diritto anteriore sia consapevole dell’uso del marchio posteriore e che, nonostante ciò, egli non reagisca facendo valere il proprio diritto. Si deve trattare di una effettiva consapevolezza e non di una mera conoscibilità, cui non può collegarsi il requisito della tolleranza. Il dies a quo del quinquennio, pertanto, coincide con il momento in cui il titolare del diritto anteriore sia venuto a conoscenza dell’uso del marchio posteriore. L’art. 54 r.m.c., al comma secondo, delimita però l’ambito di applicazione della convalida, stabilendo che la tolleranza da parte del titolare di un marchio anteriore deve afferire “all’uso di un marchio comunitario posteriore nello stato membro in cui il marchio anteriore è tutelato". Pertanto, affinché un marchio posteriore possa essere convalidato, deve essere in uso (anche) nel medesimo Stato membro in cui è in uso il marchio anteriore in questione. [...] • Al punto 52 della medesima sentenza si legge: “il termine di preclusione per tolleranza non può cominciare a decorrere a partire dal mero uso di un marchio posteriore, anche qualora il suo titolare in seguito abbia provveduto alla sua registrazione". [...] • Peraltro un marchio (anche di fatto) perché sia tutelabile deve essere nuovo e cioè diverso dai marchi anteriori, altrimenti non è un segno distintivo e, nel caso del marchio di fatto, non è legittimamente usato. [...] • L’uso illecito di un marchio non può infatti essere computato ai fini della valutazione del suo uso effettivo. [...] • E’ fatto salvo, però, il caso in cui il mancato uso sia giustificato da un motivo legittimo. [...] • Si può ancora ricordare che gli effetti del non uso, cioè la perdita del diritto per decadenza, si verificano solo in seguito ad un accertamento costitutivo; prima della proposizione della domanda, infatti, la decadenza non si verifica in modo automatico, nonostante la decorrenza del quinquennio di non uso.[...]
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