Documents - 6 citing "Judgment of the Court (First Chamber) of 18 June 2009. L'Oréal SA, Lancôme parfums et beauté & Cie SNC and Laboratoire Garnier & Cie v Bellure NV, Malaika Investments Ltd and Starion International Ltd. Reference for a preliminary ruling : Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) - United Kingdom. Directive 89/104/EEC - Trade marks - Article 5(1) and (2) - Use in comparative advertising -"

Rinvio pregiudiziale, Marchi, Direttiva 89/104/CEE, Diritti conferiti dal marchio, Marchio notorio, Tutela estesa a prodotti o servizi non simili, Utilizzo da parte di un terzo senza giusto motivo di un segno identico o simile al marchio notorio, Nozione di “giusto motivo”.
Causa C-65/12 Leidseplein Beheer BV e Hendrikus de Vries contro Red Bull GmbH e Red Bull Nederland BV (domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Hoge Raad der Nederlanden) «Rinvio pregiudiziale — Marchi — Direttiva 89/104/CEE — Diritti conferiti dal marchio — Marchio notorio — Tutela estesa a prodotti o servizi non simili — Utilizzo da parte di un terzo senza giusto motivo di un segno identico o simile al marchio notorio — Nozione di “giusto motivo”» Massime – Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 6 febbraio 2014 Ravvicinamento delle legislazioni – Marchi – Direttiva 89/104 – Marchio notorio – Facoltà di prevedere una tutela estesa a prodotti o servizi non simili (articolo 5, paragrafo 2, della direttiva) – Obbligo per gli Stati membri che si avvalgono di tale facoltà di prevedere la citata tutela anche in caso di utilizzo di un segno per prodotti o servizi identici o simili (Direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, § 2) Diritto dell’Unione europea – Interpretazione – Metodi – Interpretazione letterale, sistematica e teleologica Ravvicinamento delle legislazioni – Marchi – Direttiva 89/104 – Marchio notorio – Tutela estesa a prodotti o servizi non simili (articolo 5, paragrafo 2, della direttiva) – Presupposti – Utilizzo senza giusto motivo di un segno identico o simile che trae indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio o che reca pregiudizio agli stessi – Nozione di «giusto motivo» – Portata (Direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, § 2) Ravvicinamento delle legislazioni – Marchi – Direttiva 89/104 – Marchio notorio – Tutela estesa a prodotti o servizi non simili (articolo 5, paragrafo 2, della direttiva) – Presupposti – Utilizzo senza giusto motivo di un segno identico o simile che trae indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio o che reca pregiudizio agli stessi – Nozione di «giusto motivo» – Segno utilizzato anteriormente alla registrazione del marchio (Direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, § 2) V. il testo della decisione. (v. punti 21 e 34) V. il testo della decisione. (v. punto 28) La prima direttiva 89/104 sui marchi è diretta, in maniera generale, a contemperare, da un lato, l’interesse del titolare di un marchio a salvaguardare la funzione essenziale di quest’ultimo e, dall’altro, l’interesse di altri operatori economici alla disponibilità di segni idonei a identificare i loro prodotti e servizi. Ne consegue che la tutela dei diritti che il titolare di un marchio trae dalla citata direttiva non è incondizionata, poiché tale tutela è segnatamente limitata, allo scopo di contemperare i suddetti interessi, ai casi in cui tale titolare si mostri sufficientemente vigile opponendosi all’utilizzazione, da parte di altri operatori, di segni idonei a ledere il suo marchio. Orbene, in un sistema di tutela dei marchi come quello adottato, sul fondamento della direttiva 89/104, dalla Convenzione del Benelux sulla proprietà intellettuale (marchi, disegni o modelli), l’interesse di un terzo ad usare nel commercio un segno simile ad un marchio notorio è preso in considerazione, nel contesto dell’articolo 5, paragrafo 2, di tale direttiva, mediante la possibilità per l’utilizzatore di tale segno di addurre un «giusto motivo». Infatti, quando il titolare del marchio notorio riesce a provare l’esistenza di uno dei pregiudizi previsti dall’articolo 5, paragrafo 2, di tale direttiva e, in particolare, l’indebito vantaggio tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà del citato marchio, spetta al terzo che ha usato un segno simile al marchio notorio dimostrare di avere un giusto motivo per l’uso di tale segno. Ne consegue che la nozione di «giusto motivo» non può comprendere unicamente ragioni oggettivamente imperative, ma può anche collegarsi agli interessi soggettivi di un terzo che utilizza un segno identico o simile al marchio notorio. Quindi, la nozione di «giusto motivo» mira non a dirimere un conflitto tra un marchio notorio e un segno simile il cui utilizzo è anteriore alla registrazione di tale marchio o a limitare i diritti riconosciuti al titolare del citato marchio, bensì a trovare un equilibrio tra gli interessi in questione tenendo conto, nel contesto specifico dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 89/104 e in considerazione della tutela estesa di cui gode il medesimo marchio, degli interessi del terzo utilizzatore di tale segno. In tal modo, l’invocazione da parte di un terzo di un giusto motivo per l’uso di un segno simile a un marchio notorio non può condurre al riconoscimento, a suo vantaggio, dei diritti connessi ad un marchio registrato, bensì obbliga il titolare del marchio notorio a tollerare l’utilizzo del segno simile. La Corte stessa ha così deciso, al punto 91 della sentenza C-323/09, Interflora e Interflora British Unit, relativa ad una causa sull’utilizzo di parole chiave per un posizionamento su Internet, che, qualora l’annuncio pubblicitario che è mostrato su Internet a partire da una parola chiave corrispondente ad un marchio notorio proponga, senza offrire una semplice imitazione dei prodotti o dei servizi del titolare di tale marchio, senza pregiudicare la notorietà del marchio né il suo carattere distintivo e senza del resto pregiudicare le funzioni di detto marchio, un’alternativa rispetto ai prodotti o ai servizi del titolare del marchio notorio, si deve concludere che un uso siffatto rientra, in linea di principio, in una concorrenza sana e leale nel settore dei prodotti o dei servizi considerati e abbia quindi luogo per un «giusto motivo». Di conseguenza, la nozione di «giusto motivo» non può essere interpretata nel senso che sia limitata a ragioni oggettivamente imperative. (v. punti da 41 a 48) L’articolo 5, paragrafo 2, della prima direttiva 89/104 sui marchi dev’essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio notorio può essere obbligato, in forza di un «giusto motivo» ai sensi di tale disposizione, a tollerare l’utilizzo da parte di un terzo di un segno simile a tale marchio per un prodotto identico a quello per il quale tale marchio è stato registrato, qualora sia assodato che tale segno è stato utilizzato anteriormente alla registrazione del medesimo marchio e l’utilizzo fatto per il prodotto identico ha avuto luogo in buona fede. Per valutare se ciò si verifichi, spetta al giudice nazionale tener conto, in particolare: — del radicamento e della notorietà di tale segno presso il pubblico interessato, — del grado di contiguità fra i prodotti e i servizi per i quali lo stesso segno è stato originariamente utilizzato e il prodotto per il quale il marchio notorio è stato registrato e — della pertinenza economica e commerciale dell’utilizzo per tale prodotto del segno simile al citato marchio. (v. punto 60 e dispositivo) Causa C-65/12 Leidseplein Beheer BV e Hendrikus de Vries contro Red Bull GmbH e Red Bull Nederland BV (domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Hoge Raad der Nederlanden) «Rinvio pregiudiziale — Marchi — Direttiva 89/104/CEE — Diritti conferiti dal marchio — Marchio notorio — Tutela estesa a prodotti o servizi non simili — Utilizzo da parte di un terzo senza giusto motivo di un segno identico o simile al marchio notorio — Nozione di “giusto motivo”» Massime – Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 6 febbraio 2014 Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 89/104 — Marchio notorio — Facoltà di prevedere una tutela estesa a prodotti o servizi non simili (articolo 5, paragrafo 2, della direttiva) — Obbligo per gli Stati membri che si avvalgono di tale facoltà di prevedere la citata tutela anche in caso di utilizzo di un segno per prodotti o servizi identici o simili (Direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, § 2) Diritto dell’Unione europea — Interpretazione — Metodi — Interpretazione letterale, sistematica e teleologica Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 89/104 — Marchio notorio — Tutela estesa a prodotti o servizi non simili (articolo 5, paragrafo 2, della direttiva) — Presupposti — Utilizzo senza giusto motivo di un segno identico o simile che trae indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio o che reca pregiudizio agli stessi — Nozione di «giusto motivo» — Portata (Direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, § 2) Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 89/104 — Marchio notorio — Tutela estesa a prodotti o servizi non simili (articolo 5, paragrafo 2, della direttiva) — Presupposti — Utilizzo senza giusto motivo di un segno identico o simile che trae indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio o che reca pregiudizio agli stessi — Nozione di «giusto motivo» — Segno utilizzato anteriormente alla registrazione del marchio (Direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, § 2) V. il testo della decisione. (v. punti 21 e 34) V. il testo della decisione. (v. punto 28) La prima direttiva 89/104 sui marchi è diretta, in maniera generale, a contemperare, da un lato, l’interesse del titolare di un marchio a salvaguardare la funzione essenziale di quest’ultimo e, dall’altro, l’interesse di altri operatori economici alla disponibilità di segni idonei a identificare i loro prodotti e servizi. Ne consegue che la tutela dei diritti che il titolare di un marchio trae dalla citata direttiva non è incondizionata, poiché tale tutela è segnatamente limitata, allo scopo di contemperare i suddetti interessi, ai casi in cui tale titolare si mostri sufficientemente vigile opponendosi all’utilizzazione, da parte di altri operatori, di segni idonei a ledere il suo marchio. Orbene, in un sistema di tutela dei marchi come quello adottato, sul fondamento della direttiva 89/104, dalla Convenzione del Benelux sulla proprietà intellettuale (marchi, disegni o modelli), l’interesse di un terzo ad usare nel commercio un segno simile ad un marchio notorio è preso in considerazione, nel contesto dell’articolo 5, paragrafo 2, di tale direttiva, mediante la possibilità per l’utilizzatore di tale segno di addurre un «giusto motivo». Infatti, quando il titolare del marchio notorio riesce a provare l’esistenza di uno dei pregiudizi previsti dall’articolo 5, paragrafo 2, di tale direttiva e, in particolare, l’indebito vantaggio tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà del citato marchio, spetta al terzo che ha usato un segno simile al marchio notorio dimostrare di avere un giusto motivo per l’uso di tale segno. Ne consegue che la nozione di «giusto motivo» non può comprendere unicamente ragioni oggettivamente imperative, ma può anche collegarsi agli interessi soggettivi di un terzo che utilizza un segno identico o simile al marchio notorio. Quindi, la nozione di «giusto motivo» mira non a dirimere un conflitto tra un marchio notorio e un segno simile il cui utilizzo è anteriore alla registrazione di tale marchio o a limitare i diritti riconosciuti al titolare del citato marchio, bensì a trovare un equilibrio tra gli interessi in questione tenendo conto, nel contesto specifico dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 89/104 e in considerazione della tutela estesa di cui gode il medesimo marchio, degli interessi del terzo utilizzatore di tale segno. In tal modo, l’invocazione da parte di un terzo di un giusto motivo per l’uso di un segno simile a un marchio notorio non può condurre al riconoscimento, a suo vantaggio, dei diritti connessi ad un marchio registrato, bensì obbliga il titolare del marchio notorio a tollerare l’utilizzo del segno simile. La Corte stessa ha così deciso, al punto 91 della sentenza C-323/09, Interflora e Interflora British Unit, relativa ad una causa sull’utilizzo di parole chiave per un posizionamento su Internet, che, qualora l’annuncio pubblicitario che è mostrato su Internet a partire da una parola chiave corrispondente ad un marchio notorio proponga, senza offrire una semplice imitazione dei prodotti o dei servizi del titolare di tale marchio, senza pregiudicare la notorietà del marchio né il suo carattere distintivo e senza del resto pregiudicare le funzioni di detto marchio, un’alternativa rispetto ai prodotti o ai servizi del titolare del marchio notorio, si deve concludere che un uso siffatto rientra, in linea di principio, in una concorrenza sana e leale nel settore dei prodotti o dei servizi considerati e abbia quindi luogo per un «giusto motivo». Di conseguenza, la nozione di «giusto motivo» non può essere interpretata nel senso che sia limitata a ragioni oggettivamente imperative. (v. punti da 41 a 48) L’articolo 5, paragrafo 2, della prima direttiva 89/104 sui marchi dev’essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio notorio può essere obbligato, in forza di un «giusto motivo» ai sensi di tale disposizione, a tollerare l’utilizzo da parte di un terzo di un segno simile a tale marchio per un prodotto identico a quello per il quale tale marchio è stato registrato, qualora sia assodato che tale segno è stato utilizzato anteriormente alla registrazione del medesimo marchio e l’utilizzo fatto per il prodotto identico ha avuto luogo in buona fede. Per valutare se ciò si verifichi, spetta al giudice nazionale tener conto, in particolare: — del radicamento e della notorietà di tale segno presso il pubblico interessato, — del grado di contiguità fra i prodotti e i servizi per i quali lo stesso segno è stato originariamente utilizzato e il prodotto per il quale il marchio notorio è stato registrato e — della pertinenza economica e commerciale dell’utilizzo per tale prodotto del segno simile al citato marchio. (v. punto 60 e dispositivo)
Marchi, Direttiva 89/104/CEE, Art. 9, n. 1, Nozione di "tolleranza", Preclusione per tolleranza, Punto di partenza del termine di preclusione, Condizioni necessarie a far decorrere il termine di preclusione, Art. 4, n. 1, lett. a), Registrazione di due marchi identici che designano prodotti identici, Funzioni del marchio, Uso simultaneo in buona fede.
Parole chiave Massima Parole chiave 1. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 89/104 — Preclusione per tolleranza — Nozione (Direttiva del Consiglio 89/104, art. 9, n. 1) 2. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 89/104 — Preclusione per tolleranza — Termine di decadenza — Dies a quo (Direttiva del Consiglio 89/104, art. 9, n. 1) 3. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 89/104 — Impedimenti relativi alla registrazione o motivi di nullità — Esistenza di un marchio anteriore identico tutelato per prodotti identici — Eccezione — Uso simultaneo in buona fede e di lunga durata che non pregiudica la funzione essenziale del marchio [Direttiva del Consiglio 89/104, art. 4, n. 1, lett. a)] Massima 1. La tolleranza, nel senso dell’art. 9, n. 1, della prima direttiva sui marchi, costituisce una nozione del diritto dell’Unione, e non si può ritenere che il titolare di un marchio anteriore abbia tollerato l’uso in buona fede consolidato e di lunga durata, di cui era al corrente da lungo tempo, da parte di un terzo, di un marchio posteriore identico al suo, qualora non disponesse di alcuna possibilità di opporsi a tale uso. Da una parte, infatti, l’undicesimo ‘considerando’ di detta direttiva precisa che il titolare del marchio anteriore deve avere «coscientemente tollerato» l’uso di un marchio posteriore al suo per un lungo periodo, ossia «deliberatamente», «con cognizione di causa». Il medesimo ‘considerando’ specifica che occorre evitare di «ledere ingiustamente» gli interessi del titolare di un marchio anteriore. Orbene, sarebbe ingiusto precludere al titolare del marchio anteriore la possibilità di richiedere la nullità o di opporsi all’uso di un marchio posteriore identico allorché egli non ha avuto la possibilità di farlo. D’altra parte, la direttiva 89/104 mira a contemperare gli interessi del titolare di un marchio d’impresa a salvaguardare la funzione essenziale di quest’ultimo con l’interesse di altri operatori economici alla disponibilità di segni idonei a identificare i loro prodotti e servizi. Tale finalità implica che, per salvaguardare tale funzione essenziale, il titolare di un marchio anteriore sia in condizione, nell’ambito dell’applicazione dell’art. 9, n. 1, di tale direttiva, di opporsi all’uso di un marchio posteriore identico al suo. Qualsiasi ricorso amministrativo o giurisdizionale proposto dal titolare del marchio anteriore nel corso del periodo previsto dall’art. 9, n. 1, della direttiva 89/104 sortisce l’effetto di interrompere il termine di preclusione per tolleranza. (v. punti 47-50, dispositivo 1) 2. La registrazione del marchio anteriore nello Stato membro interessato non costituisce una condizione necessaria per far decorrere il termine di preclusione per tolleranza sancito dall’art. 9, n. 1, della prima direttiva 89/104 sui marchi. Le condizioni necessarie per far decorrere tale termine sono, in primo luogo, la registrazione del marchio posteriore nello Stato membro interessato; in secondo luogo, la circostanza che il deposito di tale marchio sia stato effettuato in buona fede; in terzo luogo, l’uso del marchio posteriore da parte del suo titolare nello Stato membro in cui è stato registrato e, in quarto luogo, la circostanza che il titolare del marchio anteriore sia al corrente che il marchio posteriore è stato registrato e viene usato dopo la sua registrazione. (v. punto 62, dispositivo 2) 3. L’art. 4, n. 1, lett. a), della prima direttiva 89/104 sui marchi dev’essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio anteriore non può ottenere l’annullamento di un marchio posteriore identico che designa prodotti identici in caso di uso simultaneo in buona fede e di lunga durata di tali due marchi d’impresa quando tale uso non pregiudica o non può pregiudicare la funzione essenziale del marchio d’impresa, consistente nel garantire ai consumatori l’origine dei prodotti o dei servizi. Quest’ultima condizione è soddisfatta quando, malgrado l’identità dei marchi, i prodotti sono chiaramente identificabili come prodotti di imprese diverse. (v. punti 80-81, 84, dispositivo 3)
Marchi, Pubblicità su Internet a partire da parole chiave ("keyword advertising"), Selezione, da parte dell’inserzionista, di una parola chiave corrispondente ad un marchio che gode di notorietà di un concorrente, Direttiva 89/104/CEE, Art. 5, nn. 1, lett. a), e 2, Regolamento (CE) n. 40/94, Art. 9, n. 1, lett. a) e c), Condizione della violazione di una delle funzioni del marchio, Pregiudizio arrecato al carattere distintivo di un marchio che gode di notorietà ("diluizione"), Profitto indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà di tale marchio ("parassitismo").
Parole chiave Massima Parole chiave 1. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Obiettivo — Limiti [Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9, n. 1, lett. a); direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 1, lett. a)] 2. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Pubblicità nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet [Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9, n. 1, lett. a); direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 1, lett. a)] 3. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Marchio notorio — Pubblicità nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet [Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9, n. 1, lett. c); direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 2] Massima 1. Si evince dalla formulazione dell’art. 5, n. 1, della prima direttiva 89/104, in materia di marchi, e dal decimo considerando di quest’ultima che il diritto degli Stati membri è stato armonizzato nel senso che il diritto esclusivo conferito da un marchio offre al titolare di quest’ultimo una protezione «assoluta» contro l’uso fatto da terzi di segni identici a tale marchio per prodotti o servizi identici, mentre, laddove non sussista questa duplice identità, solo l’esistenza di un rischio di confusione consente al titolare di far utilmente valere il proprio diritto esclusivo. Tale distinzione tra la tutela offerta dal n. 1, lett. a), di detto articolo e quella enunciata nella disposizione di cui alla lett. b) del medesimo n. 1 è stata riproposta, per quanto riguarda il marchio comunitario, dal settimo considerando e dall’art. 9, n. 1, del regolamento n. 40/94, sul marchio comunitario. Pur se il legislatore dell’Unione ha qualificato come «assoluta» la tutela contro l’uso non consentito di segni identici ad un marchio per prodotti o servizi identici a quelli per i quali tale marchio è stato registrato, la Corte ha contestualizzato tale qualificazione rilevando che, per quanto importante essa possa essere, la protezione offerta dall’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 mira solo a consentire al titolare del marchio di tutelare i propri interessi specifici in quanto titolare di quest’ultimo, ossia a garantire che il marchio possa adempiere le sue proprie funzioni. La Corte ha da ciò ricavato che l’esercizio del diritto esclusivo conferito dal marchio deve essere riservato ai casi in cui l’uso del segno da parte di un terzo pregiudichi o possa pregiudicare le funzioni del marchio e, in particolare, la sua funzione essenziale di garantire ai consumatori la provenienza del prodotto. Siffatta interpretazione degli artt. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94 è stata precisata nel senso che tali disposizioni consentono al titolare del marchio di invocare il proprio diritto esclusivo in caso di violazione o di rischio di violazione di una delle funzioni del marchio, che si tratti della funzione essenziale di indicazione d’origine del prodotto o del servizio contrassegnato dal marchio oppure di una delle altre funzioni di quest’ultimo, quali quelle consistenti nel garantire la qualità di detto prodotto o servizio, oppure di comunicazione, investimento o pubblicità. È vero che si presuppone che un marchio soddisfi sempre la propria funzione di indicazione d’origine, mentre esso garantisce le proprie altre funzioni solo nei limiti in cui il suo titolare lo sfrutti in tal senso, in particolare a fini di pubblicità o di investimento. Nondimeno tale differenza tra la funzione essenziale del marchio e le altre funzioni di quest’ultimo non può in alcun modo giustificare il fatto che, allorché un marchio soddisfa una o più di tali altre funzioni, violazioni di quest’ultime siano escluse dall’ambito di applicazione degli artt. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94. Analogamente, non si può considerare che solo i marchi che godono di notorietà possano avere funzioni diverse da quelle dell’indicazione d’origine. (v. punti 36-38, 40) 2. Gli artt. 5, n. 1, lett. a), della prima direttiva 89/104, in materia di marchi, e 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94, sul marchio comunitario, devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio ha il diritto di vietare ad un concorrente di fare pubblicità – a partire da una parola chiave identica a detto marchio che tale concorrente, senza il consenso del titolare del marchio, ha scelto nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet – a prodotti o servizi identici a quelli per i quali tale marchio è stato registrato, quando il predetto uso è idoneo a violare una delle funzioni del marchio. Siffatto uso: – viola la funzione di indicazione d’origine del marchio allorché la pubblicità che compare a partire dalla suddetta parola chiave non consente o consente solo difficilmente all’utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento di sapere se i prodotti o i servizi menzionati nell’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo oppure, al contrario, da un terzo; – non viola, nell’ambito di un servizio di posizionamento quale Adwords, la funzione di pubblicità del marchio; – viola la funzione di investimento del marchio ove intralci in modo sostanziale l’utilizzo, da parte del titolare in questione, del proprio marchio per acquisire o mantenere una reputazione idonea ad attirare i consumatori e a renderli fedeli. Quanto alla funzione di indicazione d’origine, qualora l’annuncio del terzo adombri l’esistenza di un collegamento economico tra tale terzo e il titolare del marchio, si dovrà concludere che sussiste una violazione della funzione di indicazione d’origine di detto marchio. Analogamente, qualora l’annuncio, pur non adombrando l’esistenza di un collegamento economico, sia talmente vago sull’origine dei prodotti o dei servizi in questione che un utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento non sia in grado di sapere, sulla base del link promozionale e del messaggio commerciale ad esso allegato, se l’inserzionista sia un terzo rispetto al titolare del marchio o, al contrario, sia economicamente collegato a quest’ultimo, si deve concludere che sussiste violazione di detta funzione del marchio. In relazione alla funzione di pubblicità, il solo fatto che l’uso, da parte di un terzo, di un segno identico ad un marchio per prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio in questione è stato registrato costringa il titolare di tale marchio ad intensificare i propri sforzi pubblicitari per mantenere o aumentare la propria visibilità presso i consumatori non è sufficiente, in tutti i casi, a far concludere che sussista una violazione della funzione di pubblicità di detto marchio. In proposito, pur se il marchio costituisce un elemento essenziale del sistema di concorrenza non falsato che il diritto dell’Unione intende istituire, esso non ha tuttavia lo scopo di proteggere il suo titolare dalle pratiche che sono intrinseche al gioco della concorrenza. Orbene, la pubblicità su Internet a partire da parole chiave corrispondenti a marchi costituisce una pratica siffatta, in quanto, in generale, essa ha meramente lo scopo di proporre agli utenti di Internet alternative rispetto ai prodotti o ai servizi dei titolari di detti marchi. Per quanto riguarda la funzione di investimento, non si può ammettere che il titolare di un marchio possa opporsi a che un concorrente faccia, in condizioni di concorrenza leale e rispettosa della funzione di indicazione d’origine del marchio, uso di un segno identico a quest’ultimo per prodotti o servizi identici a quelli per i quali tale marchio è stato registrato, qualora siffatto uso abbia come sola conseguenza di costringere il titolare dello stesso marchio ad adeguare i propri sforzi per acquisire o mantenere una reputazione idonea ad attirare i consumatori e a renderli fedeli. Analogamente, la circostanza che detto uso induca taluni consumatori ad abbandonare i prodotti o servizi contrassegnati da tale marchio non può essere utilmente fatta valere dal titolare del marchio stesso. (v. punti 45, 57-58, 62, 64, 66, dispositivo 1) 3. Gli artt. 5, n. 2, della prima direttiva 89/104, in materia di marchi, e 9, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, sul marchio comunitario, devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio che gode di notorietà ha il diritto di vietare ad un concorrente di fare pubblicità a partire da una parola chiave corrispondente a tale marchio che il suddetto concorrente, senza il consenso del titolare del marchio, ha scelto nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet, qualora detto concorrente tragga così indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio (parassitismo) oppure qualora tale pubblicità arrechi pregiudizio a detto carattere distintivo (diluizione) o a detta notorietà (corrosione). Un annuncio pubblicitario a partire da una parola chiave siffatta arreca pregiudizio al carattere distintivo del marchio che gode di notorietà (diluizione), in particolare, ove contribuisca a trasformare la natura di tale marchio rendendolo un termine generico. Per contro, il titolare di un marchio che gode di notorietà non può vietare, in particolare, annunci pubblicitari fatti comparire dai suoi concorrenti a partire da parole chiave che corrispondono a detto marchio e propongono, senza offrire una semplice imitazione dei prodotti o dei servizi del titolare di tale marchio, senza provocare una diluizione o una corrosione e senza peraltro arrecare pregiudizio alle funzioni di detto marchio che gode di notorietà, un’alternativa rispetto ai prodotti o ai servizi del titolare di detto marchio. (v. punti 93-95, dispositivo 2)
Marchi, Internet, Offerta in vendita, in un mercato online destinato ai consumatori nell’Unione, di prodotti contrassegnati da un marchio destinati, dal titolare, ad essere venduti negli Stati terzi, Eliminazione dell’imballaggio di detti prodotti, Direttiva 89/104/CEE, Regolamento (CE) n. 40/94, Responsabilità del gestore del mercato online, Direttiva 2000/31/CE ("direttiva sul commercio elettronico"), Ingiunzioni giudiziarie nei confronti di tale gestore, Direttiva 2004/48/CE ("direttiva sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale").
Parole chiave Massima Parole chiave 1. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Uso del marchio ai sensi degli artt. 9 del regolamento e 5 della direttiva — Vendita, offerta in vendita o pubblicità, di prodotti che si trovano in uno Stato terzo, in un mercato online destinato ai consumatori nell’Unione (Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9; direttiva del Consiglio 89/104, art. 5) 2. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Esaurimento del diritto conferito dal marchio — Presupposti — Prodotto immesso sul mercato nella Comunità o nello Spazio economico europeo (Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 13, n. 1; direttiva del Consiglio 89/104, art. 7, n. 1) 3. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Uso del marchio ai sensi degli artt. 9 del regolamento e 5 della direttiva — Rivendita di profumi o di prodotti cosmetici privati dell’imballaggio (Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9; direttive del Consiglio 76/768, art. 6, n. 1, e 89/104, art. 5) 4. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Uso del marchio ai sensi degli artt. 9 del regolamento e 5 della direttiva — Pubblicità nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet [Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9, n. 1, lett. a); direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 1, lett. a)] 5. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Uso del marchio ai sensi degli artt. 9 del regolamento e 5 della direttiva — Nozione — Gestione di un mercato online — Esclusione (Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9; direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2000/31, artt. 12-15; direttiva del Consiglio 89/104, art. 5) 6. Ravvicinamento delle legislazioni — Commercio elettronico — Direttiva 2000/31 — Responsabilità dei prestatori intermedi — Hosting (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2000/31, art. 14, n. 1) 7. Ravvicinamento delle legislazioni — Rispetto dei diritti di proprietà intellettuale — Direttiva 2004/48 — Misure, procedure e mezzi di ricorso — Misure adottate a seguito di decisione sul merito (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2004/48, art. 11) Massima 1. Allorché prodotti che si trovano in uno Stato terzo – recanti un marchio registrato in uno Stato membro dell’Unione o un marchio comunitario e non commercializzati precedentemente nello Spazio economico europeo o, nel caso di marchio comunitario, non commercializzati precedentemente nell’Unione – sono venduti da un operatore economico, attraverso un mercato online e senza il consenso del titolare di detto marchio ad un consumatore che si trova nel territorio per il quale il marchio di cui trattasi è stato registrato, o sono oggetto di un’offerta in vendita o di pubblicità in un mercato siffatto destinata a consumatori che si trovino nel suddetto territorio, il titolare del marchio può opporsi alla vendita, all’offerta in vendita o alla pubblicità summenzionate in forza delle norme di cui all’art. 5 della prima direttiva 89/104, in materia di marchi, o all’art. 9 del regolamento n. 40/94, sul marchio comunitario. È compito dei giudici nazionali valutare caso per caso se sussistano elementi pertinenti per concludere che un’offerta in vendita o una pubblicità che compare in un mercato online accessibile in detto territorio sia destinata a consumatori che si trovano in quest’ultimo. Le norme della direttiva 89/104 e del regolamento n. 40/94 si applicano dal momento in cui appare evidente che l’offerta in vendita del prodotto contrassegnato da un marchio che si trova in uno Stato terzo è destinata a consumatori che si trovano nel territorio per il quale il marchio è stato registrato. In caso contrario, infatti, gli operatori che fanno ricorso al commercio elettronico, proponendo in vendita, in un mercato online destinato a consumatori che si trovano nell’Unione, prodotti contrassegnati da un marchio che si trovano in uno Stato terzo, che possono essere visualizzati sullo schermo e ordinati mediante detto mercato online, non avrebbero, relativamente alle offerte in vendita di questo tipo, nessun obbligo di conformarsi alle norme dell’Unione in materia di proprietà intellettuale. Una situazione del genere vanificherebbe l’effetto utile di tali norme. In proposito, ai sensi dell’art. 5, n. 3, lett. b) e d), della direttiva 89/104 e dell’art. 9, n. 2, lett. b) e d), del regolamento n. 40/94, l’uso, da parte di terzi, di segni identici o simili a marchi al quale possono opporsi i titolari di questi ultimi comprende l’uso di detti segni nelle offerte in vendita e nella pubblicità. Sarebbe pregiudicata l’efficacia di tali norme qualora l’uso, in un’offerta in vendita o in una pubblicità su Internet destinata a consumatori che si trovano nell’Unione, di un segno identico o simile a un marchio registrato nell’Unione fosse sottratto all’applicazione di tali norme per il solo fatto che il terzo all’origine di detta offerta o pubblicità sia stabilito in uno Stato terzo, che il server del sito Internet da lui utilizzato si trovi in tale Stato o ancora che il prodotto oggetto di detta offerta o pubblicità si trovi in uno Stato terzo. Nondimeno, la mera accessibilità di un sito Internet nel territorio per il quale il marchio è stato registrato non è sufficiente per concludere che le offerte in vendita che compaiono in esso sono destinate a consumatori che si trovano in tale territorio. Infatti, laddove l’accessibilità in tale territorio di un mercato online fosse sufficiente a far sì che gli annunci che compaiono in quest’ultimo rientrino nell’ambito di applicazione della direttiva 89/104 e del regolamento n. 40/94, sarebbero indebitamente assoggettati al diritto dell’Unione siti e annunci che, pur essendo manifestamente destinati esclusivamente a consumatori situati in Stati terzi, sono tuttavia tecnicamente accessibili nel territorio dell’Unione. (v. punti 61-64, 67, dispositivo 1) 2. La fornitura da parte del titolare di un marchio ai propri distributori autorizzati di articoli recanti tale marchio, destinati alla dimostrazione ai consumatori nei punti vendita autorizzati, nonché di flaconi recanti detto marchio, dai quali possono essere prelevate piccole quantità di prodotto da fornire ai consumatori quali campioni gratuiti, non costituisce, in mancanza di elementi probatori contrari, un’immissione in commercio ai sensi della direttiva 89/104, in materia di marchi, o del regolamento n. 40/94, sul marchio comunitario. (v. punto 73, dispositivo 2) 3. L’art. 5 della prima direttiva 89/104, in materia di marchi, e l’art. 9 del regolamento n. 40/94, sul marchio comunitario, devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio può, in forza del diritto esclusivo conferitogli da quest’ultimo, opporsi alla rivendita di profumi o di prodotti cosmetici per il fatto che il rivenditore ha eliminato l’imballaggio di tali prodotti, qualora in conseguenza della rimozione di tale imballaggio informazioni essenziali, come quelle relative all’identificazione del produttore o del responsabile dell’immissione in commercio del prodotto cosmetico, risultino mancanti. Nel caso in cui la rimozione dell’imballaggio non abbia condotto a siffatta mancanza di informazioni, il titolare del marchio può nondimeno opporsi a che un profumo o un prodotto cosmetico contrassegnato dal marchio di cui è titolare sia rivenduto privato dell’imballaggio, laddove dimostri che la rimozione dell’imballaggio ha arrecato pregiudizio all’immagine del prodotto in questione e quindi alla reputazione del marchio. In considerazione della varietà di gamme di profumi e di prodotti cosmetici, la questione se la rimozione dell’imballaggio di un prodotto del genere pregiudichi l’immagine di quest’ultimo e, quindi, la reputazione del marchio da cui è contrassegnato va esaminata caso per caso. Infatti, l’aspetto di un profumo o di un prodotto cosmetico senza imballaggio può talvolta trasmettere efficacemente l’immagine di prestigio e di lusso di tale prodotto, mentre, in altri casi, l’eliminazione di detto imballaggio ha proprio la conseguenza di arrecare pregiudizio a tale immagine. Un pregiudizio siffatto può aversi allorché l’imballaggio contribuisce, a pari titolo o più del flacone o del contenitore, alla presentazione dell’immagine del prodotto creata dal titolare del marchio e dai suoi distributori autorizzati. È del pari possibile che l’assenza di talune o di tutte le informazioni richieste dall’art. 6, n. 1, della direttiva 76/768, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici, arrechi pregiudizio all’immagine del prodotto. Incombe al titolare del marchio comprovare la sussistenza degli elementi costitutivi di tale pregiudizio. Inoltre, avendo la funzione essenziale di garantire al consumatore l’identità d’origine del prodotto, il marchio serve proprio ad attestare che tutti i prodotti da esso contrassegnati sono stati fabbricati o forniti sotto il controllo di un’unica impresa alla quale può essere attribuita la responsabilità della loro qualità. Orbene, allorché talune informazioni richieste per legge, come quelle relative all’identificazione del produttore o del responsabile dell’immissione in commercio del prodotto cosmetico, sono mancanti, è pregiudicata la funzione di indicazione di origine del marchio, in quanto quest’ultimo è privato del suo effetto essenziale consistente nel garantire che i prodotti da esso contrassegnati sono forniti sotto il controllo di un’unica impresa alla quale può essere attribuita la responsabilità della loro qualità. Peraltro, la questione se l’offerta in vendita o la vendita di prodotti recanti un marchio privati del loro imballaggio e quindi di talune informazioni richieste ai sensi dell’art. 6, n. 1, della direttiva 76/768 sia o meno penalmente perseguibile in diritto nazionale non può avere influenza sull’applicabilità delle norme dell’Unione in materia di tutela dei marchi. (v. punti 78-83, dispositivo 3) 4. L’art. 5, n. 1, lett. a), della prima direttiva 89/104, in materia di marchi, e l’art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94, sul marchio comunitario, devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio può vietare al gestore di un mercato online di fare pubblicità, partendo da una parola chiave identica a tale marchio selezionata da tale gestore nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet, ai prodotti recanti detto marchio messi in vendita nel suddetto mercato, qualora siffatta pubblicità non consenta, o consenta soltanto difficilmente, all’utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento di sapere se tali prodotti o servizi provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo oppure, al contrario, da un terzo. Laddove il gestore di un mercato online abbia utilizzato parole chiave corrispondenti a marchi per promuovere offerte in vendita di prodotti contrassegnati da marchio provenienti dai suoi clienti venditori, egli ne ha fatto uso per prodotti o servizi identici a quelli per i quali tali marchi sono stati registrati. In proposito, l’espressione «per prodotti o servizi» non si riferisce esclusivamente ai prodotti o ai servizi del terzo che fa uso dei segni corrispondenti ai marchi, ma può riguardare anche i prodotti o i servizi di altre persone. La circostanza, infatti, che un operatore economico utilizzi un segno corrispondente ad un marchio per prodotti che non gli appartengono, nel senso che egli non dispone di alcun titolo su di essi, di per sé non impedisce che detto uso rientri nell’ambito dell’art. 5 della direttiva 89/104 e dell’art. 9 del regolamento n. 40/94. Proprio con riferimento ad una situazione in cui il fornitore di un servizio fa uso di un segno corrispondente ad un marchio altrui per promuovere prodotti che uno dei propri clienti commercializza grazie a tale servizio, un siffatto uso rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 e dell’art. 9, n. 1, del regolamento n. 40/94, laddove ciò avvenga in modo tale da creare un nesso tra detto segno e tale servizio. (v. punti 91-92, 97, dispositivo 4) 5. Il gestore di un mercato online non fa «uso», ai sensi dell’art. 5 della prima direttiva 89/104, in materia di marchi, e dell’art. 9 del regolamento n. 40/94, sul marchio comunitario, dei segni identici o simili a marchi che figurano in offerte in vendita che compaiono sul suo sito. Infatti, l’esistenza di un «uso» di un segno identico o simile al marchio del titolare da parte di un terzo, ai sensi dell’art. 5 della direttiva 89/104 e dell’art. 9 del regolamento n. 40/94, comporta, quanto meno, che quest’ultimo utilizzi il segno nell’ambito della propria comunicazione commerciale. Orbene, nei limiti in cui tale terzo fornisce un servizio consistente nel permettere ai propri clienti di far comparire, nell’ambito delle loro attività commerciali quali le loro offerte in vendita, segni corrispondenti a marchi sul proprio sito, non è lui stesso a fare, su tale sito, un uso dei detti segni nel senso indicato dalla summenzionata normativa dell’Unione. Ne consegue che l’uso di segni identici o simili a marchi in offerte in vendita che compaiono in un mercato online ha luogo ad opera dei clienti venditori del gestore di tale mercato e non ad opera del gestore stesso. Nei limiti in cui consente ai propri clienti di fare tale uso, il ruolo del gestore del mercato online non può essere valutato alla luce delle disposizioni della direttiva 89/104 e del regolamento n. 40/94, ma deve essere esaminato nella prospettiva di altre norme di diritto, quali quelle enunciate nella direttiva 2000/31, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («direttiva sul commercio elettronico»), specificamente alla sezione 4 del capo II della medesima, che riguarda la «responsabilità dei prestatori intermediari» nel commercio elettronico e che comprende gli artt. 12-15 della stessa direttiva. (v. punti 102-105, dispositivo 5) 6. L’art. 14, n. 1, della direttiva 2000/31, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («direttiva sul commercio elettronico»), deve essere interpretato nel senso che esso si applica al gestore di un mercato online qualora non abbia svolto un ruolo attivo che gli permetta di avere conoscenza o controllo circa i dati memorizzati. Detto gestore svolge un ruolo siffatto allorché presta un’assistenza che consiste in particolare nell’ottimizzare la presentazione delle offerte in vendita di cui trattasi o nel promuoverle. Quando non ha svolto un ruolo attivo nel senso indicato al paragrafo precedente e dunque la sua prestazione di servizio rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 14, n. 1, della direttiva 2000/31, il gestore di un mercato online, in una causa che può comportare una condanna al pagamento di un risarcimento dei danni, non può tuttavia avvalersi dell’esonero dalla responsabilità previsto nella suddetta disposizione qualora sia stato al corrente di fatti o circostanze in base ai quali un operatore economico diligente avrebbe dovuto constatare l’illiceità delle offerte in vendita di cui trattasi e, nell’ipotesi in cui ne sia stato al corrente, non abbia prontamente agito conformemente al n. 1, lett. b), del suddetto art. 14. (v. punti 123-124, dispositivo 6) 7. L’art. 11, terza frase, della direttiva 2004/48, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, deve essere interpretato nel senso che esso impone agli Stati membri di far sì che gli organi giurisdizionali nazionali competenti in materia di tutela dei diritti di proprietà intellettuale possano ingiungere al gestore di un mercato online di adottare provvedimenti che contribuiscano non solo a far cessare le violazioni di tali diritti ad opera degli utenti di detto mercato, ma anche a prevenire nuove violazioni della stessa natura. Tali ingiunzioni devono essere efficaci, proporzionate, dissuasive e non devono creare ostacoli al commercio legittimo. (v. punto 144, dispositivo 7)
Marchi, Pubblicità su Internet a partire da parole chiave ("keyword advertising"), Direttiva 89/104/CEE, Artt. 5-7, Visualizzazione di annunci a partire da una parola chiave identica a un marchio, Visualizzazione di annunci a partire da parole chiave che riproducono un marchio con "piccoli errori", Pubblicità per prodotti d’occasione, Prodotti fabbricati e messi in commercio dal titolare del marchio, Esaurimento del diritto conferito dal marchio, Apposizione di etichette recanti il nome del rivenditore e rimozione di quelle contenenti il marchio, Pubblicità, a partire da un marchio altrui, per prodotti d’occasione comprendenti, oltre a prodotti fabbricati dal titolare del marchio, prodotti di altra provenienza.
Parole chiave Massima Parole chiave 1. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico o simile per prodotti identici — Pubblicità nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet — Presupposto del diritto del titolare (Direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 1) 2. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico o simile per prodotti o servizi identici — Pubblicità nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet — Limitazione degli effetti del marchio — Presupposto (Direttiva del Consiglio 89/104, artt. 5, n. 1, e 6, n. 1) 3. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 89/104 — Prodotto immesso in commercio nella Comunità o nello Spazio economico europeo dal titolare del marchio o con il suo consenso — Pubblicità per la rivendita del prodotto nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet — Opposizione del titolare — Ammissibilità in base alle deroghe al principio dell’esaurimento previste dall’art. 7, n. 2, della direttiva — Presupposti (Direttiva del Consiglio 89/104, art. 7) Massima 1. L’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 sui marchi deve essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio ha il diritto di vietare che un inserzionista faccia – a partire da una parola chiave identica o simile a tale marchio, da lui scelta, senza il consenso del detto titolare, nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet – pubblicità per prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio in questione è registrato, qualora tale pubblicità non consenta o consenta soltanto difficilmente all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi cui si riferisce l’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo ovvero, al contrario, da un terzo. Qualora l’annuncio del terzo suggerisca l’esistenza di un collegamento economico tra tale terzo e il titolare del marchio, si dovrà concludere che sussiste un pregiudizio della funzione di indicazione d’origine. Allo stesso modo, anche quando l’annuncio, pur non suggerendo l’esistenza di un collegamento economico, rimanga talmente vago sull’origine dei prodotti o dei servizi in questione che un utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento non sia in grado di sapere, sulla base del link promozionale e del messaggio commerciale che lo accompagna, se l’inserzionista è un terzo rispetto al titolare del marchio o, al contrario, è economicamente collegato a quest’ultimo, si dovrà concludere che sussiste un pregiudizio della suddetta funzione del marchio. (v. punti 34-35, 52-54, dispositivo 1) 2. L’art. 6 della direttiva 89/104 sui marchi deve essere interpretato nel senso che, quando l’uso, da parte di inserzionisti, di segni identici o simili a marchi come parole chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet sia suscettibile di divieto ai sensi dell’art. 5 della medesima direttiva, tali inserzionisti non possono, di regola, avvalersi della deroga stabilita dall’art. 6, n. 1, di questa direttiva per sottrarsi al divieto stesso. Spetta tuttavia al giudice nazionale verificare, alla luce delle circostanze proprie del caso di specie, se effettivamente non sussista alcun utilizzo dei segni in questione ai sensi del menzionato art. 6, n. 1, il quale possa ritenersi effettuato in conformità agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale. (v. punto 72, dispositivo 2) 3. L’art. 7 della direttiva 89/104 sui marchi, come modificata dall’Accordo sullo Spazio economico europeo, deve essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio non ha il diritto di vietare che un inserzionista faccia – a partire da un segno identico o simile a tale marchio, da lui scelto, senza il consenso del detto titolare, come parola chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet – pubblicità per la rivendita di prodotti fabbricati dal citato titolare del marchio e immessi in commercio nello Spazio economico europeo da questi stesso o con il suo consenso, salvo che sussista un motivo legittimo, ai sensi dell’art. 7, n. 2, della citata direttiva, idoneo a giustificare l’opposizione di tale titolare, come, ad esempio, un uso del segno in questione che induca a ritenere esistente un collegamento economico tra il rivenditore e il titolare stesso oppure un uso che rechi un serio pregiudizio alla notorietà del marchio. Il giudice nazionale, cui spetta valutare se sussista o no un motivo legittimo siffatto nella controversia sottoposta alla sua cognizione: - non può, sulla base del semplice fatto che un inserzionista utilizza un marchio altrui con l’aggiunta di termini, come «usato» o «d’occasione», indicanti che i prodotti in questione costituiscono l’oggetto di una rivendita, concludere che l’annuncio suggerisca l’esistenza di un collegamento economico tra il rivenditore e il titolare del marchio o rechi un serio pregiudizio alla notorietà di tale marchio; - è tenuto a constatare l’esistenza di un motivo legittimo siffatto, qualora il rivenditore, senza il consenso del titolare del marchio che egli utilizza nell’ambito della pubblicità per le proprie attività di rivendita, abbia rimosso la menzione di tale marchio figurante sui prodotti fabbricati e immessi in commercio dal titolare stesso e l’abbia sostituita con un’etichetta recante il proprio nome, in modo da occultare il marchio in questione, e - è tenuto a dichiarare che non si può vietare ad un rivenditore specializzato nella vendita di prodotti d’occasione di un marchio altrui di utilizzare tale marchio per annunciare al pubblico attività di rivendita comprendenti, oltre alla vendita di prodotti d’occasione del marchio in questione, la vendita di altri prodotti d’occasione, a meno che la rivendita di questi altri prodotti non rischi, in ragione della sua ampiezza, delle sue modalità di presentazione o della sua scarsa qualità, di menomare gravemente l’immagine che il titolare è riuscito a creare intorno al proprio marchio. (v. punto 93, dispositivo 3)
Marchi, Internet, Pubblicità a partire da parole chiave ("keyword advertising"), Visualizzazione, a partire da parole chiave identiche o simili a marchi, di link verso siti di concorrenti dei titolari di tali marchi, Direttiva 89/104/CEE, Art. 5, n. 1.
Parole chiave Massima Parole chiave 1. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico o simile per prodotti o servizi identici o simili — Uso del marchio ai sensi dell’art. 5, n. 1, della direttiva — Nozione [Direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 1, lett. a) e b)] 2. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Pubblicità nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet — Pregiudizio alla funzione di indicazione d’origine [Direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 1, lett. a)] 3. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico o simile per prodotti o servizi identici o simili — Pubblicità nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet — Rischio di confusione (Direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 1) Massima 1. Il segno scelto dall’inserzionista come parola chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet è lo strumento da lui utilizzato per rendere possibile la visualizzazione del proprio annuncio, ed è dunque oggetto di un uso «nel commercio» ai sensi dell’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 sui marchi. Si tratta inoltre di un uso per prodotti o servizi dell’inserzionista, anche qualora il segno scelto quale parola chiave non compaia nell’annuncio stesso. Tuttavia, il titolare del marchio non può opporsi al detto uso del segno identico o simile al proprio marchio se non sono soddisfatte tutte le condizioni previste a tal fine dall’art. 5 della direttiva 89/104 e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia relativa a tale articolo. Nell’ipotesi di cui all’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104, in cui l’uso da parte di un terzo di un segno identico a un marchio avviene per prodotti o servizi identici a quelli per i quali tale marchio è stato registrato, il titolare del marchio ha il diritto di vietare detto uso qualora quest’ultimo possa compromettere una delle funzioni del marchio. Nell’altra ipotesi, contemplata dall’art. 5, n. 1, lett. b), di tale direttiva, in cui il terzo fa uso di un segno identico o simile ad un marchio per prodotti o servizi identici o simili a quelli per i quali tale marchio è stato registrato, il titolare del marchio può opporsi all’uso di detto segno solo ove esista un rischio di confusione. (v. punti 18-22) 2. Il titolare del marchio non può opporsi all’uso di un segno identico a quest’ultimo, a norma dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 sui marchi, quando tale uso non è idoneo a compromettere alcuna delle funzioni del marchio suddetto. Per quanto riguarda la funzione di indicazione d’origine, la questione se tale funzione subisca un pregiudizio allorché, sulla base di una parola chiave identica ad un marchio, agli utenti di Internet viene mostrato l’annuncio di un terzo dipende in particolare dal modo in cui tale annuncio è presentato. La funzione di indicazione di origine del marchio risulta pregiudicata qualora l’annuncio non consenta o consenta soltanto difficilmente all’utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento di sapere se i prodotti o i servizi a cui l’annuncio si riferisce provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo ovvero, al contrario, da un terzo. A tale riguardo, qualora l’annuncio del terzo suggerisca l’esistenza di un legame economico tra tale terzo e il titolare del marchio, si dovrà concludere che sussiste un pregiudizio della funzione di indicazione di origine. Allo stesso modo, qualora l’annuncio, pur non suggerendo l’esistenza di un legame economico, sia talmente vago sull’origine dei prodotti o dei servizi in questione che un utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento non sia in grado di sapere, sulla base del link promozionale e del messaggio commerciale allegato, se l’inserzionista sia un terzo rispetto al titolare del marchio o, al contrario, sia economicamente collegato a quest’ultimo, si dovrà parimenti concludere che sussiste un pregiudizio della detta funzione del marchio. (v. punti 30, 35-36) 3. L’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 sui marchi deve essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio ha il diritto di vietare che un inserzionista – sulla base di una parola chiave identica o simile a tale marchio, da lui scelta, senza il consenso del detto titolare, nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet – faccia pubblicità a prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio in questione è stato registrato, qualora tale pubblicità non consenta o consenta solo difficilmente all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi cui si riferisce l’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo ovvero, al contrario, da un terzo. (v. punto 41)