Documents - 3 citing "Judgment of the Court (First Chamber) of 10 April 2008. adidas AG andt adidas Benelux BV v Marca Mode CV and Others. Reference for a preliminary ruling : Hoge Raad der Nederlanden - Netherlands. Trade marks - Articles 5(1)(b), 5(2) and 6(1)(b) of Directive 89/104/EEC - Requirement of availability - Three-stripe figurative marks - Two-stripe motifs used by competitors as decoration - Complaint alle"

Marchi, Direttiva 2008/95/CE, Articolo 12, paragrafo 2, lettera a), Decadenza, Marchio divenuto, per il fatto dell’attività o inattività del suo titolare, la generica denominazione commerciale di un prodotto o servizio per il quale è registrato, Percezione del segno denominativo “KORNSPITZ” da parte dei venditori, da un lato, e degli utilizzatori finali, dall’altro, Perdita del carattere distintivo dal punto di vista dei soli utilizzatori finali.
Causa C-409/12 Backaldrin Österreich The Kornspitz Company GmbH contro Pfahnl Backmittel GmbH (domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Oberster Patent- und Markensenat) «Marchi — Direttiva 2008/95/CE — Articolo 12, paragrafo 2, lettera a) — Decadenza — Marchio divenuto, per il fatto dell’attività o inattività del suo titolare, la generica denominazione commerciale di un prodotto o servizio per il quale è registrato — Percezione del segno denominativo “KORNSPITZ” da parte dei venditori, da un lato, e degli utilizzatori finali, dall’altro — Perdita del carattere distintivo dal punto di vista dei soli utilizzatori finali» Massime – Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 6 marzo 2014 Ravvicinamento delle legislazioni – Marchi – Direttiva 2008/95 – Motivi di decadenza del marchio – Marchio divenuto una generica denominazione commerciale – Perdita del carattere distintivo a causa dell’attività o inattività del titolare del marchio – Valutazione alla luce della percezione del segno da parte dei soli utilizzatori finali. [Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2008/95, art. 12, § 2, a)] Ravvicinamento delle legislazioni – Marchi – Direttiva 2008/95 – Motivi di decadenza del marchio – Marchio divenuto una generica denominazione commerciale – Perdita del carattere distintivo a causa dell’attività o inattività del titolare del marchio – Nozione di inattività [Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2008/95, art. 12, § 2, a)] Ravvicinamento delle legislazioni – Marchi – Direttiva 2008/95 – Motivi di decadenza del marchio – Marchio divenuto una generica denominazione commerciale – Obbligo di accertare, prima della pronuncia della decadenza, l’eventuale esistenza di altre designazioni per il prodotto o servizio di cui trattasi – Insussistenza [Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2008/95, art. 12, § 2, a)] Fra le diverse funzioni del marchio, la funzione di indicazione d’origine ricopre un ruolo fondamentale. Essa consente di identificare il prodotto o il servizio designato dal marchio come proveniente da una determinata impresa e quindi di distinguere tale prodotto o servizio da quelli delle altre imprese. Detta impresa è quella sotto il cui controllo il prodotto o servizio viene commercializzato. Il legislatore dell’Unione europea ha sancito tale funzione essenziale del marchio disponendo, all’articolo 2 della direttiva 2008/95, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, che i segni riproducibili graficamente possono costituire un marchio a condizione ch’essi siano adatti a distinguere i prodotti o servizi di un’impresa da quelli di altre imprese. Da tale condizione vengono poi tratte talune conclusioni, in particolare agli articoli 3 e 12 della citata direttiva. Mentre il suo articolo 3 elenca i casi in cui il marchio non è idoneo, ab initio, a svolgere la funzione di indicazione di origine, l’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della medesima direttiva riguarda la situazione in cui il marchio è divenuto la generica denominazione ed ha pertanto perso il suo carattere distintivo, sicché non adempie più tale funzione. Il titolare di tale marchio può allora perdere i diritti conferitigli dall’articolo 5 della direttiva 2008/95. Vero è che chiarire se un marchio sia divenuto la generica denominazione commerciale di un prodotto o servizio per cui è registrato è una questione che deve essere valutata non solo alla luce della percezione dei consumatori o degli utilizzatori finali, bensì anche – in funzione delle caratteristiche del mercato in questione – alla luce della percezione dei professionisti, come, ad esempio, i venditori. Tuttavia, in generale la percezione dei consumatori o degli utilizzatori finali ha un ruolo determinante. La circostanza che i venditori siano consapevoli dell’esistenza del citato marchio e dell’origine che esso indica non può, di per sé, escludere tale decadenza. Pertanto, l’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95 deve essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio si espone al rischio di decadenza di tale marchio relativamente ad un prodotto per cui esso è registrato quando, per il fatto dell’attività o inattività di tale titolare, il citato marchio è divenuto la generica denominazione di detto prodotto dal punto di vista dei soli utilizzatori finali dello stesso. (v. punti 20-22, 28-30, dispositivo 1) Il legislatore dell’Unione, procedendo al contemperamento degli interessi del titolare di un marchio e di quelli dei suoi concorrenti connessi alla disponibilità dei segni, ha ritenuto, nell’adottare l’articolo 12, paragrafo 2, lettera a) della direttiva 2008/95, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, che la perdita del carattere distintivo del suddetto marchio possa essere opposta al titolare di quest’ultimo solo se essa è dovuta alla sua attività o inattività. A tal proposito, può ricadere nella nozione di «inattività» l’omesso ricorso in tempo utile, da parte del titolare di un marchio, al suo diritto esclusivo sancito all’articolo 5 di tale direttiva, al fine di chiedere all’autorità competente di vietare ai terzi interessati di usare il segno per cui sussiste un rischio di confusione con codesto marchio, poiché siffatte domande mirano a preservare il carattere distintivo del suddetto marchio. Tuttavia, a meno che non si voglia rinunciare alla ricerca dell’equilibrio descritto, detta nozione non è affatto circoscritta a questo tipo di omissione, bensì comprende tutte quelle con cui il titolare di un marchio si dimostri insufficientemente vigilante sulla preservazione del suo carattere distintivo. Quindi, in una situazione in cui i venditori del prodotto ottenuto dal preparato fornito dal titolare del marchio non informano, di norma, i loro clienti che il segno utilizzato per designare il prodotto in questione è stato registrato come marchio e contribuiscono quindi al mutamento di quest’ultimo in generica denominazione, la carenza di questo titolare, il quale non assume alcuna iniziativa diretta ad incitare questi venditori ad utilizzare maggiormente tale marchio, può essere qualificata alla stregua di inattività nell’accezione dell’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95. Pertanto, l’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95 deve essere interpretato nel senso che è possibile qualificare alla stregua di «inattività» ai sensi di tale disposizione la circostanza che il titolare di un marchio si astenga dall’incitare i venditori ad utilizzare maggiormente detto marchio per commercializzare un prodotto per cui il citato marchio è registrato. (v. punti 32-34, 36, dispositivo 2) L’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, deve essere interpretato nel senso che la pronuncia della decadenza di un marchio non presuppone che si accerti se, per un prodotto di cui detto marchio è divenuto la generica denominazione commerciale, esistano altre designazioni. Infatti, l’eventuale esistenza di designazioni alternative per il prodotto o servizio in oggetto è irrilevante poiché non può incidere sulla constatazione della perdita del carattere distintivo di tale marchio come conseguenza della trasformazione di quest’ultimo in generica denominazione commerciale. (v. punti 39, 40, dispositivo 3) Causa C-409/12 Backaldrin Österreich The Kornspitz Company GmbH contro Pfahnl Backmittel GmbH (domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Oberster Patent- und Markensenat) «Marchi — Direttiva 2008/95/CE — Articolo 12, paragrafo 2, lettera a) — Decadenza — Marchio divenuto, per il fatto dell’attività o inattività del suo titolare, la generica denominazione commerciale di un prodotto o servizio per il quale è registrato — Percezione del segno denominativo “KORNSPITZ” da parte dei venditori, da un lato, e degli utilizzatori finali, dall’altro — Perdita del carattere distintivo dal punto di vista dei soli utilizzatori finali» Massime – Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 6 marzo 2014 Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 2008/95 — Motivi di decadenza del marchio — Marchio divenuto una generica denominazione commerciale — Perdita del carattere distintivo a causa dell’attività o inattività del titolare del marchio — Valutazione alla luce della percezione del segno da parte dei soli utilizzatori finali. [Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2008/95, art. 12, § 2, a)] Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 2008/95 — Motivi di decadenza del marchio — Marchio divenuto una generica denominazione commerciale — Perdita del carattere distintivo a causa dell’attività o inattività del titolare del marchio — Nozione di inattività [Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2008/95, art. 12, § 2, a)] Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 2008/95 — Motivi di decadenza del marchio — Marchio divenuto una generica denominazione commerciale — Obbligo di accertare, prima della pronuncia della decadenza, l’eventuale esistenza di altre designazioni per il prodotto o servizio di cui trattasi — Insussistenza [Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2008/95, art. 12, § 2, a)] Fra le diverse funzioni del marchio, la funzione di indicazione d’origine ricopre un ruolo fondamentale. Essa consente di identificare il prodotto o il servizio designato dal marchio come proveniente da una determinata impresa e quindi di distinguere tale prodotto o servizio da quelli delle altre imprese. Detta impresa è quella sotto il cui controllo il prodotto o servizio viene commercializzato. Il legislatore dell’Unione europea ha sancito tale funzione essenziale del marchio disponendo, all’articolo 2 della direttiva 2008/95, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, che i segni riproducibili graficamente possono costituire un marchio a condizione ch’essi siano adatti a distinguere i prodotti o servizi di un’impresa da quelli di altre imprese. Da tale condizione vengono poi tratte talune conclusioni, in particolare agli articoli 3 e 12 della citata direttiva. Mentre il suo articolo 3 elenca i casi in cui il marchio non è idoneo, ab initio, a svolgere la funzione di indicazione di origine, l’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della medesima direttiva riguarda la situazione in cui il marchio è divenuto la generica denominazione ed ha pertanto perso il suo carattere distintivo, sicché non adempie più tale funzione. Il titolare di tale marchio può allora perdere i diritti conferitigli dall’articolo 5 della direttiva 2008/95. Vero è che chiarire se un marchio sia divenuto la generica denominazione commerciale di un prodotto o servizio per cui è registrato è una questione che deve essere valutata non solo alla luce della percezione dei consumatori o degli utilizzatori finali, bensì anche – in funzione delle caratteristiche del mercato in questione – alla luce della percezione dei professionisti, come, ad esempio, i venditori. Tuttavia, in generale la percezione dei consumatori o degli utilizzatori finali ha un ruolo determinante. La circostanza che i venditori siano consapevoli dell’esistenza del citato marchio e dell’origine che esso indica non può, di per sé, escludere tale decadenza. Pertanto, l’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95 deve essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio si espone al rischio di decadenza di tale marchio relativamente ad un prodotto per cui esso è registrato quando, per il fatto dell’attività o inattività di tale titolare, il citato marchio è divenuto la generica denominazione di detto prodotto dal punto di vista dei soli utilizzatori finali dello stesso. (v. punti 20-22, 28-30, dispositivo 1) Il legislatore dell’Unione, procedendo al contemperamento degli interessi del titolare di un marchio e di quelli dei suoi concorrenti connessi alla disponibilità dei segni, ha ritenuto, nell’adottare l’articolo 12, paragrafo 2, lettera a) della direttiva 2008/95, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, che la perdita del carattere distintivo del suddetto marchio possa essere opposta al titolare di quest’ultimo solo se essa è dovuta alla sua attività o inattività. A tal proposito, può ricadere nella nozione di «inattività» l’omesso ricorso in tempo utile, da parte del titolare di un marchio, al suo diritto esclusivo sancito all’articolo 5 di tale direttiva, al fine di chiedere all’autorità competente di vietare ai terzi interessati di usare il segno per cui sussiste un rischio di confusione con codesto marchio, poiché siffatte domande mirano a preservare il carattere distintivo del suddetto marchio. Tuttavia, a meno che non si voglia rinunciare alla ricerca dell’equilibrio descritto, detta nozione non è affatto circoscritta a questo tipo di omissione, bensì comprende tutte quelle con cui il titolare di un marchio si dimostri insufficientemente vigilante sulla preservazione del suo carattere distintivo. Quindi, in una situazione in cui i venditori del prodotto ottenuto dal preparato fornito dal titolare del marchio non informano, di norma, i loro clienti che il segno utilizzato per designare il prodotto in questione è stato registrato come marchio e contribuiscono quindi al mutamento di quest’ultimo in generica denominazione, la carenza di questo titolare, il quale non assume alcuna iniziativa diretta ad incitare questi venditori ad utilizzare maggiormente tale marchio, può essere qualificata alla stregua di inattività nell’accezione dell’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95. Pertanto, l’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95 deve essere interpretato nel senso che è possibile qualificare alla stregua di «inattività» ai sensi di tale disposizione la circostanza che il titolare di un marchio si astenga dall’incitare i venditori ad utilizzare maggiormente detto marchio per commercializzare un prodotto per cui il citato marchio è registrato. (v. punti 32-34, 36, dispositivo 2) L’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, deve essere interpretato nel senso che la pronuncia della decadenza di un marchio non presuppone che si accerti se, per un prodotto di cui detto marchio è divenuto la generica denominazione commerciale, esistano altre designazioni. Infatti, l’eventuale esistenza di designazioni alternative per il prodotto o servizio in oggetto è irrilevante poiché non può incidere sulla constatazione della perdita del carattere distintivo di tale marchio come conseguenza della trasformazione di quest’ultimo in generica denominazione commerciale. (v. punti 39, 40, dispositivo 3)
Marchi, Pubblicità su Internet a partire da parole chiave ("keyword advertising"), Direttiva 89/104/CEE, Artt. 5-7, Visualizzazione di annunci a partire da una parola chiave identica a un marchio, Visualizzazione di annunci a partire da parole chiave che riproducono un marchio con "piccoli errori", Pubblicità per prodotti d’occasione, Prodotti fabbricati e messi in commercio dal titolare del marchio, Esaurimento del diritto conferito dal marchio, Apposizione di etichette recanti il nome del rivenditore e rimozione di quelle contenenti il marchio, Pubblicità, a partire da un marchio altrui, per prodotti d’occasione comprendenti, oltre a prodotti fabbricati dal titolare del marchio, prodotti di altra provenienza.
Parole chiave Massima Parole chiave 1. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico o simile per prodotti identici — Pubblicità nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet — Presupposto del diritto del titolare (Direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 1) 2. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico o simile per prodotti o servizi identici — Pubblicità nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet — Limitazione degli effetti del marchio — Presupposto (Direttiva del Consiglio 89/104, artt. 5, n. 1, e 6, n. 1) 3. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 89/104 — Prodotto immesso in commercio nella Comunità o nello Spazio economico europeo dal titolare del marchio o con il suo consenso — Pubblicità per la rivendita del prodotto nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet — Opposizione del titolare — Ammissibilità in base alle deroghe al principio dell’esaurimento previste dall’art. 7, n. 2, della direttiva — Presupposti (Direttiva del Consiglio 89/104, art. 7) Massima 1. L’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 sui marchi deve essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio ha il diritto di vietare che un inserzionista faccia – a partire da una parola chiave identica o simile a tale marchio, da lui scelta, senza il consenso del detto titolare, nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet – pubblicità per prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio in questione è registrato, qualora tale pubblicità non consenta o consenta soltanto difficilmente all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi cui si riferisce l’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo ovvero, al contrario, da un terzo. Qualora l’annuncio del terzo suggerisca l’esistenza di un collegamento economico tra tale terzo e il titolare del marchio, si dovrà concludere che sussiste un pregiudizio della funzione di indicazione d’origine. Allo stesso modo, anche quando l’annuncio, pur non suggerendo l’esistenza di un collegamento economico, rimanga talmente vago sull’origine dei prodotti o dei servizi in questione che un utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento non sia in grado di sapere, sulla base del link promozionale e del messaggio commerciale che lo accompagna, se l’inserzionista è un terzo rispetto al titolare del marchio o, al contrario, è economicamente collegato a quest’ultimo, si dovrà concludere che sussiste un pregiudizio della suddetta funzione del marchio. (v. punti 34-35, 52-54, dispositivo 1) 2. L’art. 6 della direttiva 89/104 sui marchi deve essere interpretato nel senso che, quando l’uso, da parte di inserzionisti, di segni identici o simili a marchi come parole chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet sia suscettibile di divieto ai sensi dell’art. 5 della medesima direttiva, tali inserzionisti non possono, di regola, avvalersi della deroga stabilita dall’art. 6, n. 1, di questa direttiva per sottrarsi al divieto stesso. Spetta tuttavia al giudice nazionale verificare, alla luce delle circostanze proprie del caso di specie, se effettivamente non sussista alcun utilizzo dei segni in questione ai sensi del menzionato art. 6, n. 1, il quale possa ritenersi effettuato in conformità agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale. (v. punto 72, dispositivo 2) 3. L’art. 7 della direttiva 89/104 sui marchi, come modificata dall’Accordo sullo Spazio economico europeo, deve essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio non ha il diritto di vietare che un inserzionista faccia – a partire da un segno identico o simile a tale marchio, da lui scelto, senza il consenso del detto titolare, come parola chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet – pubblicità per la rivendita di prodotti fabbricati dal citato titolare del marchio e immessi in commercio nello Spazio economico europeo da questi stesso o con il suo consenso, salvo che sussista un motivo legittimo, ai sensi dell’art. 7, n. 2, della citata direttiva, idoneo a giustificare l’opposizione di tale titolare, come, ad esempio, un uso del segno in questione che induca a ritenere esistente un collegamento economico tra il rivenditore e il titolare stesso oppure un uso che rechi un serio pregiudizio alla notorietà del marchio. Il giudice nazionale, cui spetta valutare se sussista o no un motivo legittimo siffatto nella controversia sottoposta alla sua cognizione: - non può, sulla base del semplice fatto che un inserzionista utilizza un marchio altrui con l’aggiunta di termini, come «usato» o «d’occasione», indicanti che i prodotti in questione costituiscono l’oggetto di una rivendita, concludere che l’annuncio suggerisca l’esistenza di un collegamento economico tra il rivenditore e il titolare del marchio o rechi un serio pregiudizio alla notorietà di tale marchio; - è tenuto a constatare l’esistenza di un motivo legittimo siffatto, qualora il rivenditore, senza il consenso del titolare del marchio che egli utilizza nell’ambito della pubblicità per le proprie attività di rivendita, abbia rimosso la menzione di tale marchio figurante sui prodotti fabbricati e immessi in commercio dal titolare stesso e l’abbia sostituita con un’etichetta recante il proprio nome, in modo da occultare il marchio in questione, e - è tenuto a dichiarare che non si può vietare ad un rivenditore specializzato nella vendita di prodotti d’occasione di un marchio altrui di utilizzare tale marchio per annunciare al pubblico attività di rivendita comprendenti, oltre alla vendita di prodotti d’occasione del marchio in questione, la vendita di altri prodotti d’occasione, a meno che la rivendita di questi altri prodotti non rischi, in ragione della sua ampiezza, delle sue modalità di presentazione o della sua scarsa qualità, di menomare gravemente l’immagine che il titolare è riuscito a creare intorno al proprio marchio. (v. punto 93, dispositivo 3)
Marchi, Internet, Pubblicità a partire da parole chiave ("keyword advertising"), Visualizzazione, a partire da parole chiave identiche o simili a marchi, di link verso siti di concorrenti dei titolari di tali marchi, Direttiva 89/104/CEE, Art. 5, n. 1.
Parole chiave Massima Parole chiave 1. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico o simile per prodotti o servizi identici o simili — Uso del marchio ai sensi dell’art. 5, n. 1, della direttiva — Nozione [Direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 1, lett. a) e b)] 2. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico per prodotti identici — Pubblicità nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet — Pregiudizio alla funzione di indicazione d’origine [Direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 1, lett. a)] 3. Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico o simile per prodotti o servizi identici o simili — Pubblicità nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet — Rischio di confusione (Direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 1) Massima 1. Il segno scelto dall’inserzionista come parola chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet è lo strumento da lui utilizzato per rendere possibile la visualizzazione del proprio annuncio, ed è dunque oggetto di un uso «nel commercio» ai sensi dell’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 sui marchi. Si tratta inoltre di un uso per prodotti o servizi dell’inserzionista, anche qualora il segno scelto quale parola chiave non compaia nell’annuncio stesso. Tuttavia, il titolare del marchio non può opporsi al detto uso del segno identico o simile al proprio marchio se non sono soddisfatte tutte le condizioni previste a tal fine dall’art. 5 della direttiva 89/104 e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia relativa a tale articolo. Nell’ipotesi di cui all’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104, in cui l’uso da parte di un terzo di un segno identico a un marchio avviene per prodotti o servizi identici a quelli per i quali tale marchio è stato registrato, il titolare del marchio ha il diritto di vietare detto uso qualora quest’ultimo possa compromettere una delle funzioni del marchio. Nell’altra ipotesi, contemplata dall’art. 5, n. 1, lett. b), di tale direttiva, in cui il terzo fa uso di un segno identico o simile ad un marchio per prodotti o servizi identici o simili a quelli per i quali tale marchio è stato registrato, il titolare del marchio può opporsi all’uso di detto segno solo ove esista un rischio di confusione. (v. punti 18-22) 2. Il titolare del marchio non può opporsi all’uso di un segno identico a quest’ultimo, a norma dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 sui marchi, quando tale uso non è idoneo a compromettere alcuna delle funzioni del marchio suddetto. Per quanto riguarda la funzione di indicazione d’origine, la questione se tale funzione subisca un pregiudizio allorché, sulla base di una parola chiave identica ad un marchio, agli utenti di Internet viene mostrato l’annuncio di un terzo dipende in particolare dal modo in cui tale annuncio è presentato. La funzione di indicazione di origine del marchio risulta pregiudicata qualora l’annuncio non consenta o consenta soltanto difficilmente all’utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento di sapere se i prodotti o i servizi a cui l’annuncio si riferisce provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo ovvero, al contrario, da un terzo. A tale riguardo, qualora l’annuncio del terzo suggerisca l’esistenza di un legame economico tra tale terzo e il titolare del marchio, si dovrà concludere che sussiste un pregiudizio della funzione di indicazione di origine. Allo stesso modo, qualora l’annuncio, pur non suggerendo l’esistenza di un legame economico, sia talmente vago sull’origine dei prodotti o dei servizi in questione che un utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento non sia in grado di sapere, sulla base del link promozionale e del messaggio commerciale allegato, se l’inserzionista sia un terzo rispetto al titolare del marchio o, al contrario, sia economicamente collegato a quest’ultimo, si dovrà parimenti concludere che sussiste un pregiudizio della detta funzione del marchio. (v. punti 30, 35-36) 3. L’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 sui marchi deve essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio ha il diritto di vietare che un inserzionista – sulla base di una parola chiave identica o simile a tale marchio, da lui scelta, senza il consenso del detto titolare, nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet – faccia pubblicità a prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio in questione è stato registrato, qualora tale pubblicità non consenta o consenta solo difficilmente all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi cui si riferisce l’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo ovvero, al contrario, da un terzo. (v. punto 41)