Sentenza della Corte (grande sezione) del 18 ottobre 2011. Oliver Brüstle contro Greenpeace eV. Domanda di pronuncia pregiudiziale : Bundesgerichtshof - Germania. Direttiva 98/44/CE - Art 6, n. 2, lett. c) - Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche - Ottenimento di cellule progenitrici a partire da cellule staminali embrionali umane - Brevettabilità - Esclusione dell’"utilizzazione di embrioni umani a fini industriali o commerciali" - Nozioni di "embrione umano" e di "utilizzazione a fini industriali o commerciali". Causa C-34/10.
Causa C-34/10
Oliver Brüstle
contro
Greenpeace eV
(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesgerichtshof)
«Direttiva 98/44/CE — Art 6, n. 2, lett. c) — Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche — Ottenimento di cellule progenitrici a partire da cellule staminali embrionali umane — Brevettabilità — Esclusione dell’“utilizzazione di embrioni umani a fini industriali o commerciali” — Nozioni di “embrione umano” e di “utilizzazione a fini industriali o commerciali”»
Massime della sentenza
Ravvicinamento delle legislazioni — Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche — Direttiva 98/44 — Nozione di embrione umano — Interpretazione autonoma
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 98/44, art. 6, n. 2)
Ravvicinamento delle legislazioni — Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche — Direttiva 98/44 — Esclusione dalla brevettabilità per contrarietà all’ordine pubblico o al buon costume — Utilizzazione di embrioni umani a fini industriali o commerciali — Nozione di embrione umano
[Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 98/44, art. 6, n. 2, lett. c)]
Ravvicinamento delle legislazioni — Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche — Direttiva 98/44 — Esclusione dalla brevettabilità per contrarietà all’ordine pubblico o al buon costume — Utilizzazione di embrioni umani a fini industriali o commerciali — Portata
[Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 98/44, art. 6, n. 2, lett. c)]
Ravvicinamento delle legislazioni — Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche — Direttiva 98/44 — Esclusione dalla brevettabilità per contrarietà all’ordine pubblico o al buon costume — Utilizzazione di embrioni umani a fini industriali o commerciali — Portata
[Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 98/44, art. 6, n. 2, lett. c)]
1. Ai fini dell’applicazione della direttiva 98/44, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, i termini «embrione umano», figuranti all’art. 6, n. 2, di detta direttiva 98, devono essere considerati come volti a designare una nozione autonoma del diritto dell’Unione, che deve essere interpretata in modo uniforme sul territorio di quest’ultima. Tale conclusione è confermata dal senso e dallo scopo della direttiva. Infatti, la mancanza di una definizione uniforme della nozione di embrione umano determinerebbe il rischio che gli autori di talune invenzioni biotecnologiche siano tentati di chiedere la brevettabilità di queste ultime negli Stati membri che concepiscono nel modo più restrittivo la nozione di embrione umano e, quindi, i più permissivi per quanto riguarda le possibilità di brevettare le invenzioni di cui trattasi, a motivo del fatto che la brevettabilità delle stesse sarebbe esclusa negli altri Stati membri. Una tale situazione costituirebbe una lesione al buon funzionamento del mercato interno, che costituisce lo scopo della direttiva di cui trattasi.
(v. punti 26, 28)
2. Se è vero che la direttiva 98/44, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, mira a incoraggiare gli investimenti nel settore della biotecnologia, lo sfruttamento del materiale biologico di origine umana deve avvenire nel rispetto dei diritti fondamentali e, in particolare, della dignità umana. Il contesto e lo scopo della direttiva rivelano pertanto che il legislatore dell’Unione ha inteso escludere qualsiasi possibilità di ottenere un brevetto quando il rispetto dovuto alla dignità umana può esserne pregiudicato. Da ciò risulta che la nozione di «embrione umano» ai sensi dell’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva deve essere intesa in senso ampio.
Ciò premesso, tale disposizione deve essere interpretata nel senso che costituisce un «embrione umano» qualunque ovulo umano fin dalla fecondazione, qualunque ovulo umano non fecondato in cui sia stato impiantato il nucleo di una cellula umana matura e qualunque ovulo umano non fecondato che, attraverso partenogenesi, sia stato indotto a dividersi e a svilupparsi. Spetta al giudice nazionale stabilire, in considerazione degli sviluppi della scienza, se una cellula staminale ricavata da un embrione umano nello stadio di blastocisti costituisca un «embrione umano» ai sensi di tale disposizione.
(v. punti 32, 34, 38 e dispositivo 1)
3. L’esclusione dalla brevettabilità relativa all’utilizzazione di embrioni umani a fini industriali o commerciali enunciata all’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva 98/44, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, riguarda altresì l’utilizzazione a fini di ricerca scientifica, mentre solo l’utilizzazione per finalità terapeutiche o diagnostiche che si applichi all’embrione umano e sia utile a quest’ultimo può essere oggetto di un brevetto. Infatti, la concessione di un brevetto implica, in linea di principio, lo sfruttamento industriale e commerciale della stessa e anche se lo scopo di ricerca scientifica deve essere distinto dai fini industriali e commerciali, l’utilizzazione di embrioni umani a fini di ricerca che sia oggetto della domanda di brevetto non può essere scorporata dal brevetto medesimo e dai diritti da esso derivanti.
(v. punti 41, 43, 46 e dispositivo 2)
4. Nel contesto di una causa avente ad oggetto la brevettabilità di un’invenzione relativa alla produzione di cellule progenitrici neurali, che presuppone l’utilizzazione di cellule staminali ricavate da un embrione umano nello stadio di blastocisti, anche se le rivendicazioni del brevetto non vertono sull’utilizzazione di embrioni umani, un’invenzione deve essere esclusa dalla brevettabilità ove l’attuazione dell’invenzione richieda la distruzione di embrioni umani. Infatti, anche in tal caso si deve ritenere che vi sia un’utilizzazione di embrioni umani ai sensi dell’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva 98/44 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche. Il fatto che tale distruzione abbia luogo, eventualmente, in una fase ben precedente rispetto all’attuazione dell’invenzione, come nell’ipotesi della produzione di cellule staminali embrionali ricavate da una linea di cellule staminali la cui creazione, di per sé, ha comportato la distruzione di embrioni umani, è, al riguardo, irrilevante.
In tale contesto, l’art. 6, n. 2, lett. c), di detta direttiva deve essere interpretato nel senso che esclude la brevettabilità di un’invenzione qualora l’insegnamento tecnico oggetto della domanda di brevetto richieda la previa distruzione di embrioni umani o la loro utilizzazione come materiale di partenza, indipendentemente dallo stadio in cui esse hanno luogo e anche qualora la descrizione dell’insegnamento tecnico oggetto di rivendicazione non menzioni l’utilizzazione di embrioni umani.
(v. punti 48-49, 52 e dispositivo 3)
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
18 ottobre 2011 (*)
«Direttiva 98/44/CE – Art 6, n. 2, lett. c) – Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche – Ottenimento di cellule progenitrici a partire da cellule staminali embrionali umane – Brevettabilità – Esclusione dell’“utilizzazione di embrioni umani a fini industriali o commerciali” – Nozioni di “embrione umano” e di “utilizzazione a fini industriali o commerciali”»
Nel procedimento C-34/10,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dal Bundesgerichtshof (Germania) con decisione 17 dicembre 2009, pervenuta in cancelleria il 21 gennaio 2010, nella causa
Oliver Brüstle
contro
Greenpeace eV ,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A. Tizzano, J.N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts, e J.-C. Bonichot, M. Safjan (relatore) e dalla sig.ra A. Prechal, presidenti di sezione, dal sig. A. Rosas, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. K. Schiemann, D. Šváby, dalla sig.ra M. Berger e dal sig. E. Jarašiūnas, giudici,
avvocato generale: sig. Y. Bot
cancelliere: sig. B. Fülöp, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 12 gennaio 2011,
considerate le osservazioni presentate:
– per Oliver Brüstle, dall’avv. F.-W. Engel, Rechtsanwalt, dal sig. M. Grund e dalla sig.ra C. Sattler de Sousa e Brito, Patentanwälte;
– per Greenpeace eV, dal sig. V. Vorwerk, dai sigg. R. Schnekenbühl, Patentanwalt, e C. Then, Experte;
– per l’Irlanda, dal sig. G. Durcan, in qualità di agente;
– per il governo portoghese, dal sig. L. Inez Fernandes, in qualità di agente;
– per il governo svedese, dalla sig.ra A. Falk e dal sig. A. Engman, in qualità di agenti;
– per il governo del Regno Unito, dalle sig.re F. Penlington e C. Murrell, in qualità di agenti, assistite dalla sig.ra C. May, barrister;
– per la Commissione europea, dai sigg. F. W. Bulst e H. Krämer, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 10 marzo 2011,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
La presente domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 luglio 1998, 98/44/CE, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche (GU L 213, pag. 13; in prosieguo: la «direttiva»).
Questa domanda è stata presentata nel contesto di un procedimento di annullamento, promosso da Greenpeace eV, del brevetto tedesco detenuto dal sig. Brüstle, che riguarda cellule progenitrici neurali e procedimenti per la loro produzione a partire da cellule staminali embrionali, nonché la loro utilizzazione a fini terapeutici.
Contesto normativo
Gli accordi che vincolano l’Unione europea e/o gli Stati membri
L’art. 27 dell’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio, riprodotto nell’allegato 1 C dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), firmato a Marrakech il 15 aprile 1994 e approvato con decisione del Consiglio 22 dicembre 1994, 94/800/CE, relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell’Uruguay Round (1986-1994) (GU L 336, pag. 1), prevede quanto segue:
«1. Fatte salve le disposizioni dei paragrafi 2 e 3, possono costituire oggetto di brevetto le invenzioni, di prodotto o di procedimento, in tutti i campi della tecnologia, che siano nuove, implichino un’attività inventiva e siano atte ad avere un’applicazione industriale.. Fatti salvi l’articolo 65, paragrafo 4, l’articolo 70, paragrafo 8 e il paragrafo 3 del presente articolo, il conseguimento dei brevetti e il godimento dei relativi diritti non sono soggetti a discriminazioni in base al luogo d’invenzione, al settore tecnologico e al fatto che i prodotti siano d’importazione o di fabbricazione locale.
2. I membri possono escludere dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale nel loro territorio deve essere impedito per motivi di ordine pubblico o di moralità pubblica, nonché per proteggere la vita o la salute dell’uomo, degli animali o dei vegetali o per evitare gravi danni ambientali, purché l’esclusione non sia dettata unicamente dal fatto che lo sfruttamento è vietato dalle loro legislazioni».
L’art. 52, n. 1, della Convenzione sulla concessione di brevetti europei, firmata a Monaco il 5 ottobre 1973 (in prosieguo: la «CBE»), di cui l’Unione europea non è parte, ma di cui sono firmatari gli Stati membri, è così formulato:
«I brevetti europei sono concessi per le invenzioni in ogni campo tecnologico, a condizione che siano nuove, implichino un’attività inventiva e siano atte ad avere un’applicazione industriale».
L’art. 53 della CBE stabilisce:
«Non vengono concessi brevetti europei per:
a) le invenzioni il cui sfruttamento commerciale sarebbe contrario all’ordine pubblico o al buon costume; tale contrarietà non può essere dedotta dal solo fatto che lo sfruttamento è vietato da una disposizione legale o amministrativa in tutti gli Stati contraenti o in parte di essi».
La normativa dell’Unione
Il preambolo della direttiva indica quanto segue:
«(…)
(2) considerando che, soprattutto nel campo dell’ingegneria genetica, la ricerca e lo sviluppo esigono una notevole quantità di investimenti ad alto rischio che soltanto una protezione giuridica adeguata può consentire di rendere redditizi;
3) considerando che una protezione efficace e armonizzata in tutti gli Stati membri è essenziale al fine di mantenere e promuovere gli investimenti nel settore della biotecnologia;
(…)
(5) considerando che nel settore della protezione delle invenzioni biotecnologiche esistono divergenze tra le legislazioni e le pratiche dei diversi Stati membri; che tali disparità creano ostacoli agli scambi e costituiscono quindi un ostacolo al funzionamento del mercato interno;
(6) considerando che dette divergenze potrebbero accentuarsi con l’adozione, da parte degli Stati membri, di nuove e divergenti legislazioni e prassi amministrative o con la diversa evoluzione delle giurisprudenze nazionali su tali legislazioni;
(7) considerando che uno sviluppo eterogeneo delle legislazioni nazionali sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche nella Comunità rischia di disincentivare maggiormente gli scambi commerciali a scapito dello sviluppo industriale di tali invenzioni e del corretto funzionamento del mercato interno;
(…)
(14) considerando che un brevetto di invenzione non autorizza il titolare ad attuare l’invenzione, ma si limita a conferirgli il diritto di vietare ai terzi di sfruttarla a fini industriali e commerciali e che, di conseguenza, il diritto dei brevetti non può sostituire né rendere superflue le legislazioni nazionali, europee o internazionali che fissino eventuali limiti o divieti, o dispongano controlli sulla ricerca e sull’utilizzazione o sulla commercializzazione dei suoi risultati, con particolare riguardo alle esigenze di sanità pubblica, sicurezza, tutela dell’ambiente, protezione degli animali, conservazione della diversità genetica e relativamente all’osservanza di alcune norme etiche;
(…)
(16) considerando che il diritto dei brevetti dev’essere esercitato nel rispetto dei principi fondamentali che garantiscono la dignità e l’integrità dell’uomo; che occorre ribadire il principio secondo cui il corpo umano, in ogni stadio della sua costituzione e del suo sviluppo, comprese le cellule germinali, la semplice scoperta di uno dei suoi elementi o di uno dei suoi prodotti, nonché la sequenza o sequenza parziale di un gene umano, non sono brevettabili; che tali principi sono conformi ai criteri di brevettabilità previsti dal diritto dei brevetti, secondo i quali una semplice scoperta non può costituire oggetto di brevetto;
(17) considerando che è già stato possibile realizzare progressi decisivi nel trattamento delle malattie, grazie all’esistenza di medicinali derivati da elementi isolati dal corpo umano o altrimenti prodotti, di medicinali risultanti da un procedimento tecnico inteso ad ottenere elementi di struttura simile a quella di elementi naturali esistenti nel corpo umano e che, di conseguenza, è opportuno incoraggiare, tramite il sistema dei brevetti, la ricerca intesa ad ottenere tali elementi;
(…)
(20) considerando, quindi, che è necessario dichiarare che un’invenzione relativa ad un elemento isolato dal corpo umano, o diversamente prodotto, tramite un procedimento tecnico, e utilizzabile a fini industriali, non è esclusa dalla brevettabilità, anche se la struttura dell’elemento è identica a quella di un elemento naturale, fermo restando che i diritti attribuiti dal brevetto non si estendono al corpo umano e ai suoi elementi nel loro ambiente naturale;
(21) considerando che tale elemento isolato dal corpo umano o diversamente prodotto non è escluso dalla brevettabilità perché, ad esempio, è il risultato di procedimenti tecnici che l’hanno identificato, purificato, caratterizzato e moltiplicato al di fuori del corpo umano, procedimenti tecnici che soltanto l’uomo è capace di mettere in atto e che la natura di per sé stessa non è in grado di compiere;
(…)
(37) considerando che, nella presente direttiva, va altresì riaffermato il principio secondo cui sono escluse dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale sia contrario all’ordine pubblico o al buon costume;
(38) considerando che è altresì importante inserire nel dispositivo stesso della presente direttiva un elenco indicativo di invenzioni escluse dalla brevettabilità, per fornire ai giudici e agli uffici nazionali dei brevetti orientamenti di massima ai fini dell’interpretazione del riferimento all’ordine pubblico o al buon costume; che questo elenco non può certo essere considerato esauriente; che i procedimenti la cui applicazione reca pregiudizio alla dignità umana, come ad esempio i procedimenti per la produzione di esseri ibridi risultanti da cellule germinali o totipotenti umane o animali, devono ovviamente essere esclusi anch’essi dalla brevettabilità;
(39) considerando che l’ordine pubblico e il buon costume corrispondono in particolare a principi etici o morali riconosciuti in uno Stato membro e la cui osservanza è indispensabile in particolare in materia di biotecnologia, data la portata potenziale delle invenzioni in questo settore ed il loro nesso intrinseco con la materia vivente; che questi principi etici o morali completano le normali verifiche giuridiche previste dal diritto dei brevetti, a prescindere dal settore tecnico dell’invenzione;
(…)
(42) considerando inoltre che le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali devono a loro volta essere escluse dalla brevettabilità; che tale esclusione non riguarda comunque le invenzioni a finalità terapeutiche o diagnostiche che si applicano e che sono utili all’embrione umano;
(43) considerando che l’articolo F, paragrafo 2, del Trattato sull’Unione europea stabilisce che l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario;
(…)».
La direttiva dispone come segue:
« Articolo 1
1. Gli Stati membri proteggono le invenzioni biotecnologiche tramite il diritto nazionale dei brevetti. Essi, se necessario, adeguano il loro diritto nazionale dei brevetti per tener conto delle disposizioni della presente direttiva.
2. La presente direttiva non pregiudica gli obblighi degli Stati membri derivanti da accordi internazionali, in particolare dall’accordo TRIPS e dalla Convenzione sulla diversità biologica.
(…)
Articolo 3
1. Ai fini della presente direttiva, sono brevettabili le invenzioni nuove che comportino un’attività inventiva e siano suscettibili di applicazione industriale, anche se hanno ad oggetto un prodotto consistente in materiale biologico o che lo contiene, o un procedimento attraverso il quale viene prodotto, lavorato o impiegato materiale biologico.
2. Un materiale biologico che viene isolato dal suo ambiente naturale o viene prodotto tramite un procedimento tecnico può essere oggetto di invenzione, anche se preesisteva allo stato naturale.
(…)
Articolo 5
1. Il corpo umano, nei vari stadi della sua costituzione e del suo sviluppo, nonché la mera scoperta di uno dei suoi elementi, ivi compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene, non possono costituire invenzioni brevettabili.
2. Un elemento isolato dal corpo umano, o diversamente prodotto, mediante un procedimento tecnico, ivi compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene, può costituire un’invenzione brevettabile, anche se la struttura di detto elemento è identica a quella di un elemento naturale.
(…)
Articolo 6
1. Sono escluse dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale è contrario all’ordine pubblico o al buon costume; lo sfruttamento di un’invenzione non può di per sé essere considerato contrario all’ordine pubblico o al buon costume per il solo fatto che è vietato da una disposizione legislativa o regolamentare.
2. Ai sensi del paragrafo 1, sono considerati non brevettabili in particolare:
(…)
c) le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali.
(…)».
Il diritto nazionale
L’art. 2 della legge relativa ai brevetti (Patentgesetz), nella sua versione modificata ai fini della trasposizione dell’art. 6 della direttiva (BGB1 2005 I, pag. 2521; in prosieguo: il «PatG»), ha il seguente tenore:
«1. Non possono costituire oggetto di brevetto le invenzioni il cui sfruttamento commerciale sarebbe contrario all’ordine pubblico o al buon costume; tale contrarietà non può essere dedotta dal solo fatto che lo sfruttamento è vietato da una disposizione di legge o regolamentare.
2. In particolare, non sono concessi brevetti per:
(…)
3) le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali;
(…)
Ai fini dell’applicazione dei punti 1–3 sono determinanti le norme pertinenti della legge sulla protezione degli embrioni (Embryonenschutzgesetz, in prosieguo: l’«ESchG»).
L’art. 21 del PatG prevede quanto segue:
«1) Il brevetto è revocato (art. 61) ove risulti
1. che l’oggetto del brevetto non è brevettabile in forza degli artt. 1-5».
Ai sensi dell’art. 22, n. 1, del PatG:
«Il brevetto è dichiarato nullo su domanda (art. 81) se risulta che esiste uno dei motivi elencati all’art. 21, n. 1, o che la portata della tutela conferita dal brevetto sia stata ampliata».
Ai sensi degli artt. 1, n. 1, punto 2, e 2, nn. 1 e 2, dell’ESchG del 13 dicembre 1990, sono sanzionati penalmente la fecondazione artificiale di ovuli per uno scopo diverso dall’induzione di gravidanza della donna da cui provengono, la vendita di embrioni umani concepiti in provetta o prelevati da una donna prima della fine del processo di annidamento nell’utero o la loro cessione, acquisto o utilizzazione per uno scopo che non sia la conservazione degli stessi, nonché lo sviluppo in provetta di embrioni umani per scopi diversi da quello di indurre una gravidanza.
L’art. 8, n. 1, dell’ESchG definisce l’embrione umano come l’ovulo umano fecondato, in grado di svilupparsi, sin dalla fusione dei nuclei, nonché qualsiasi altra cellula estratta da un embrione detta «totipotente», vale a dire in grado, in presenza delle altre condizioni necessarie a tal fine, di dividersi e di svilupparsi diventando un individuo. Occorre distinguere queste ultime dalle cellule pluripotenti, ossia le cellule staminali che, sebbene possano svilupparsi diventando qualsiasi tipo di cellule, tuttavia non possono divenire un individuo completo.
Ai sensi dell’art. 4 della legge 28 maggio 2002 sulla garanzia della protezione degli embrioni nel contesto dell’importazione e dell’utilizzazione di cellule staminali embrionali umane (Gesetz zur Sicherstellung des Embryonenschutzes im Zusammenhang mit Einfuhr und Verwendung menschlicher embryonaler Stammzellen, BGB1. 2002 I, pag. 2277):
«(1) Sono vietate l’importazione e l’utilizzazione di cellule staminali embrionali.
(2) In deroga al n. 1, l’importazione e l’utilizzazione di cellule staminali embrionali sono autorizzate a fini di ricerca alle condizioni previste al n. 6 purché
1. l’autorità incaricata delle autorizzazioni si sia sincerata che
a) le cellule staminali embrionali siano state ottenute prima del 1° maggio 2007 nel paese di origine conformemente alla sua normativa nazionale in vigore e siano conservate in coltura o stoccate successivamente a quella fase secondo tecniche di conservazione criogeniche (linea di cellule staminali embrionali);
b) gli embrioni sui quali sono state prelevate siano stati ottenuti mediante fecondazione in vitro medicalmente assistita al fine di indurre una gravidanza e siano divenuti definitivamente superflui a tale scopo senza che vi siano elementi per sostenere che questo dipende da motivi riconducibili agli embrioni stessi;
c) nessuna retribuzione o altro beneficio quantificabile sia stato accordato o promesso per la donazione di embrioni al fine di ottenere cellule staminali e che
2. l’importazione e l’utilizzazione di cellule staminali embrionali non violano altre disposizioni di legge, in particolare quelle dell’ESchG.
(3) L’autorizzazione è negata qualora le cellule staminali embrionali siano state manifestamente ottenute violando i principi fondatori dell’ordinamento giuridico tedesco. Essa non può essere rifiutata per il fatto che le cellule staminali provengono da embrioni umani».
Ai sensi dell’art. 5, n. 1, della detta legge 28 maggio 2002:
«Possono essere effettuati lavori di ricerca sulle cellule staminali embrionali soltanto qualora sia scientificamente dimostrato che
1. questi lavori sono funzionali a eminenti obiettivi che si ritiene possano incrementare le conoscenze scientifiche nel settore della ricerca fondamentale o ampliare le conoscenze mediche al fine di sviluppare procedimenti di diagnostica, preventivi o terapeutici a uso umano (...)».
Causa principale e questioni pregiudiziali
Il sig. Brüstle è titolare di un brevetto tedesco, depositato il 19 dicembre 1997, relativo a cellule progenitrici neurali isolate e depurate, a procedimenti per la produzione delle stesse a partire da cellule staminali embrionali e alla loro utilizzazione per il trattamento di anomalie neurali.
Nel fascicolo del brevetto depositato dal sig. Brüstle è indicato che l’impianto di cellule cerebrali nel sistema nervoso costituisce un metodo promettente per il trattamento di numerose malattie neurologiche. Esistono già prime applicazioni cliniche, segnatamente su pazienti affetti dal morbo di Parkinson.
Al fine di poter rimediare ad anomalie neurali è, infatti, necessario impiantare cellule progenitrici, ancora in grado di evolvere. Orbene, questo tipo di cellule esiste sostanzialmente soltanto durante la fase di sviluppo del cervello. Il ricorso ai tessuti cerebrali di embrioni umani pone importanti problemi etici e non consente di far fronte al fabbisogno di cellule progenitrici necessarie per rendere accessibile al pubblico la cura mediante terapia cellulare.
Per contro, in base al fascicolo di cui trattasi, le cellule staminali embrionali aprono nuove prospettive di produzione di cellule destinate ai trapianti. Pluripotenti, esse possono differenziarsi in tutti i tipi di cellule e di tessuti ed essere conservate nel corso di numerosi passaggi in tale stato di pluripotenza e proliferare. Il brevetto di cui trattasi mira a porre rimedio, in tali circostanze, al problema tecnico di una produzione in quantità praticamente illimitata di cellule progenitrici isolate e depurate, aventi proprietà neuronali o gliali, ricavate da cellule staminali embrionali.
Su domanda di Greenpeace eV, il Bundespatentgericht (Tribunale federale dei brevetti) ha constatato, fondandosi sull’art. 22, n. 1, del PatG, la nullità del brevetto di cui trattasi, in quanto quest’ultimo riguarda le cellule progenitrici ottenute a partire da cellule staminali embrionali umane e su procedimenti per la produzione di tali cellule progenitrici. Il convenuto ha impugnato tale sentenza dinanzi al Bundesgerichtshof.
Secondo il giudice del rinvio, la decisione in merito al ricorso di annullamento dipende dalla questione se l’insegnamento tecnico di cui al brevetto controverso non sia brevettabile ai sensi dell’art. 2, n. 2, primo comma, punto 3, del PatG, nei limiti in cui riguarda cellule progenitrici ricavate da cellule staminali embrionali umane. La risposta a tale questione dipende a sua volta dall’interpretazione che occorre fare, in particolare, dell’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva.
Infatti, secondo il giudice del rinvio, dal momento che l’art. 6, n. 2, della direttiva non lascia agli Stati membri alcun margine discrezionale per quanto riguarda la non brevettabilità dei procedimenti e delle utilizzazioni ivi menzionate (v. sentenze 9 ottobre 2001, causa C-377/98, Paesi Bassi/Parlamento e Consiglio, Racc. pag. I-7079, punto 39, nonché 16 giugno 2005, causa C-456/03, Commissione/Italia, Racc. pag. I-5335, punti 78 e segg.), il rinvio effettuato dall’art. 2, n. 2, secondo comma, del PatG all’ESchG, in particolare alla definizione dell’embrione data dall’art. 8, n. 1, di tale testo normativo, non può essere interpretato nel senso che è deferito agli Stati membri il compito di dare concreta attuazione all’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva a questo riguardo, malgrado quest’ultima non precisi espressamente la nozione di embrione. L’interpretazione di tale nozione non può che essere europea e unitaria. In altri termini, l’art. 2, n. 2, secondo comma, del PatG e, in particolare, la nozione di embrione che utilizza non possono ricevere un’interpretazione diversa da quella della nozione corrispondente figurante all’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva.
In tale prospettiva, il giudice del rinvio cerca, in particolare, di stabilire se le cellule staminali embrionali umane che fungono da materiale di partenza per i procedimenti brevettati costituiscano «embrioni» nel senso dell’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva e se gli organismi a partire dai quali tali cellule staminali embrionali umane possono essere ottenute costituiscano «embrioni umani» ai sensi del detto articolo. A tale riguardo, il giudice osserva che non tutte le cellule staminali embrionali umane che fungono da materiale di partenza per i procedimenti brevettati costituiscono cellule totipotenti, in quanto talune sono soltanto cellule pluripotenti, ottenute a partire da embrioni allo stadio di blastocisti. Il giudice del rinvio si chiede altresì come debbano essere qualificate, alla luce della nozione di embrione, le blastocisti a partire dalle quali possono anche essere ottenute cellule staminali embrionali umane.
Alla luce di tali circostanze, il Bundesgerichtshof ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Come debba essere intesa la nozione di “embrioni umani” di cui all’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva (...):
a) Se siano compresi tutti gli stadi di sviluppo della vita umana a partire dalla fecondazione dell’ovulo o se debbano essere rispettate ulteriori condizioni, come, ad esempio, il raggiungimento di un determinato stadio di sviluppo.
b) Se siano compresi in tale nozione anche i seguenti organismi:
– ovuli umani non fecondati in cui sia stato impiantato un nucleo proveniente da una cellula umana matura;
– ovuli umani non fecondati, stimolati attraverso la partenogenesi a dividersi e svilupparsi.
c) Se siano comprese anche cellule staminali ricavate da embrioni umani nello stadio di blastocisti.
2) Come si debba intendere la nozione di “utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali”:se essa comprenda qualsiasi sfruttamento commerciale nell’accezione dell’art. 6, n. 1, della direttiva, in particolare anche un’utilizzazione finalizzata alla ricerca scientifica.
3) Se sia esclusa la brevettabilità, ai sensi dell’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva (...), di un determinato insegnamento tecnico anche qualora l’utilizzo di embrioni umani non rientri nell’insegnamento tecnico rivendicato con il brevetto, ma costituisca la premessa necessaria per l’utilizzo del medesimo,
– perché il brevetto riguarda un prodotto la cui creazione comporta la previa distruzione di embrioni umani, ovvero
– perché il brevetto riguarda un procedimento che richiede come materiale di partenza un siffatto prodotto».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione
Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede alla Corte di interpretare la nozione di «embrione umano» ai sensi e ai fini dell’applicazione dell’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva, vale a dire all’unico scopo di stabilire l’ambito del divieto di brevettabilità previsto da tale disposizione.
Si deve ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, l’applicazione uniforme tanto del diritto dell’Unione quanto del principio di uguaglianza esige che una disposizione del diritto dell’Unione che non contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri per quanto riguarda la determinazione del suo senso e della sua portata debba normalmente dar luogo, in tutta l’Unione, ad un’interpretazione autonoma e uniforme (v., in particolare, sentenze 18 gennaio 1984, causa 327/82, Ekro, Racc. pag. I-107, punto 11; 19 settembre 2000, causa C-287/98, Linster, Racc. pag. I-6917, punto 43; 16 luglio 2009, causa C-5/08, Infopaq International, Racc. pag. I-6569, punto 27, e 21 ottobre 2010, causa C-467/08, Padawan, Racc. pag. I-10055, punto 32).
Orbene, sebbene il testo della direttiva non fornisca alcuna definizione dell’embrione umano, nemmeno rinvia ai diritti nazionali per quanto riguarda il significato da attribuire a questi termini. Ne risulta pertanto che esso dev’essere considerato, ai fini dell’applicazione della direttiva, come volto a designare una nozione autonoma del diritto dell’Unione, che deve essere interpretata in modo uniforme sul territorio di quest’ultima.
Tale conclusione è confermata dal senso e dallo scopo della direttiva. Dal terzo nonché dal quinto, sesto e settimo ‘considerando’ della direttiva risulta infatti che quest’ultima mira, per il tramite di un’armonizzazione delle regole relative alla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, a rimuovere gli ostacoli agli scambi commerciali e al buon funzionamento del mercato interno posti dalle divergenze legislative e giurisprudenziali tra Stati membri e, pertanto, a incoraggiare la ricerca e lo sviluppo industriale nell’ambito dell’ingegneria genetica (v., in tal senso, sentenza Paesi Bassi/Parlamento e Consiglio, cit., punti 16 e 27).
Orbene, la mancanza di una definizione uniforme della nozione di embrione umano determinerebbe il rischio che gli autori di talune invenzioni biotecnologiche siano tentati di chiedere la brevettabilità di queste ultime negli Stati membri che concepiscono nel modo più restrittivo la nozione di embrione umano e, quindi, i più permissivi per quanto riguarda le possibilità di brevettare le invenzioni di cui trattasi, a motivo del fatto che la brevettabilità delle stesse sarebbe esclusa negli altri Stati membri. Una tale situazione costituirebbe una lesione al buon funzionamento del mercato interno, che costituisce lo scopo della direttiva di cui trattasi.
Tale conclusione è altresì corroborata dalla portata dell’elenco, contenuto nell’art. 6, n. 2, della direttiva, dei procedimenti e delle utilizzazioni esclusi dalla brevettabilità. Infatti, dalla giurisprudenza della Corte emerge che, contrariamente all’art. 6, n. 1, di tale direttiva, che lascia alle autorità amministrative ed ai giudici degli Stati membri un ampio margine discrezionale nell’operare l’esclusione dalla brevettabilità delle invenzioni il cui sfruttamento commerciale sia contrario all’ordine pubblico o al buon costume, il n. 2 del detto articolo non accorda agli Stati membri alcuna discrezionalità per quanto riguarda la non brevettabilità dei procedimenti e delle utilizzazioni ivi menzionati, dato che tale disposizione è diretta proprio a circoscrivere l’esclusione prevista al n. 1 della medesima norma. Ne risulta che, escludendo espressamente la brevettabilità dei procedimenti e delle utilizzazioni ivi menzionati, l’art. 6, n. 2, della direttiva mira a riconoscere precisi diritti su tale punto (v. sentenza Commissione/Italia, cit., punti 78 e 79).
Quanto al significato da attribuire alla nozione di «embrione umano» prevista all’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva, si deve sottolineare che, sebbene la definizione dell’embrione umano costituisca un tema sociale particolarmente delicato in numerosi Stati membri, contrassegnato dalla diversità dei loro valori e delle loro tradizioni, la Corte non è chiamata, con il presente rinvio pregiudiziale, ad affrontare questioni di natura medica o etica, ma deve limitarsi ad un’interpretazione giuridica delle pertinenti disposizioni della direttiva (v., in tal senso, sentenza 26 febbraio 2008, causa C-506/06, Mayr, Racc. pag. I-1017, punto 38).
Si deve ricordare, inoltre, che la determinazione del significato e della portata dei termini per i quali il diritto dell’Unione non fornisce alcuna definizione va operata, in particolare, tenendo conto del contesto in cui essi sono utilizzati e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essi fanno parte (v. in tal senso, in particolare, sentenze 10 marzo 2005, causa C-336/03, easyCar, Racc. pag. I-1947, punto 21; 22 dicembre 2008, causa C-549/07, Wallentin-Hermann, Racc. pag. I-11061, punto 17, e 29 luglio 2010, causa C-151/09, UGT-FSP, non ancora publicata nella Raccolta, punto 39).
A tale riguardo, dal preambolo della direttiva emerge che, se è vero che quest’ultima mira a incoraggiare gli investimenti nel settore della biotecnologia, lo sfruttamento del materiale biologico di origine umana deve avvenire nel rispetto dei diritti fondamentali e, in particolare, della dignità umana. Il sedicesimo ‘considerando’ della direttiva, in particolare, sottolinea che «il diritto dei brevetti dev’essere esercitato nel rispetto dei principi fondamentali che garantiscono la dignità e l’integrità dell’uomo».
A tal fine, come la Corte ha già osservato, l’art. 5, n. 1, della direttiva vieta che il corpo umano, nei vari stadi della sua costituzione e del suo sviluppo, possa costituire un’invenzione brevettabile. Un’ulteriore protezione è fornita dall’art. 6 della direttiva, il quale indica come contrari all’ordine pubblico o al buon costume, e per tale ragione esclusi dalla brevettabilità, i procedimenti di clonazione di esseri umani, i procedimenti di modificazione dell’identità genetica germinale dell’essere umano e le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali. Il trentottesimo ‘considerando’ della direttiva precisa che questo elenco non è esauriente e che anche tutti i procedimenti la cui applicazione reca pregiudizio alla dignità umana devono essere esclusi dalla brevettabilità (v. sentenza Paesi Bassi/Parlamento e Consiglio, cit., punti 71 e 76).
Il contesto e lo scopo della direttiva rivelano pertanto che il legislatore dell’Unione ha inteso escludere qualsiasi possibilità di ottenere un brevetto quando il rispetto dovuto alla dignità umana può esserne pregiudicato. Da ciò risulta che la nozione di «embrione umano» ai sensi dell’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva deve essere intesa in senso ampio.
In tal senso, sin dalla fase della sua fecondazione qualsiasi ovulo umano deve essere considerato come un «embrione umano», ai sensi e per gli effetti dell’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva, dal momento che la fecondazione è tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano.
Deve essere riconosciuta questa qualificazione anche all’ovulo umano non fecondato in cui sia stato impiantato il nucleo di una cellula umana matura e all’ovulo umano non fecondato indotto a dividersi e a svilupparsi attraverso partenogenesi. Anche se tali organismi non sono stati oggetto, in senso proprio, di una fecondazione, gli stessi, come emerge dalle osservazioni scritte depositate dinanzi alla Corte, per effetto della tecnica utilizzata per ottenerli, sono tali da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano come l’embrione creato mediante fecondazione di un ovulo.
Per quanto riguarda le cellule staminali ricavate da un embrione umano nello stadio di blastocisti, spetta al giudice nazionale stabilire, in considerazione degli sviluppi della scienza, se esse siano tali da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano e, di conseguenza, rientrino nella nozione di «embrione umano» ai sensi e per gli effetti dell’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva.
Alla luce delle precedenti considerazioni, la prima questione deve essere risolta come segue:
– costituisce un «embrione umano» qualunque ovulo umano fin dalla fecondazione, qualunque ovulo umano non fecondato in cui sia stato impiantato il nucleo di una cellula umana matura e qualunque ovulo umano non fecondato che, attraverso partenogenesi, sia stato indotto a dividersi e a svilupparsi;
– spetta al giudice nazionale stabilire, in considerazione degli sviluppi della scienza, se una cellula staminale ricavata da un embrione umano nello stadio di blastocisti costituisca un «embrione umano» ai sensi dell’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva.
Sulla seconda questione
Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede se la nozione di «utilizzazione di embrioni umani a fini industriali o commerciali» ai sensi dell’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva includa anche l’utilizzazione di embrioni umani a fini di ricerca scientifica.
A tale proposito, si deve precisare che la direttiva non è intesa a disciplinare l’utilizzazione di embrioni umani nell’ambito di ricerche scientifiche. Essa ha ad oggetto esclusivamente la brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche.
Trattandosi, quindi, esclusivamente di stabilire se l’esclusione dalla brevettabilità relativa all’utilizzazione di embrioni umani a fini industriali o commerciali verta altresì sull’utilizzazione di embrioni umani per la ricerca scientifica o se la ricerca scientifica che implica l’utilizzazione di embrioni umani possa ottenere la protezione del diritto dei brevetti, si deve osservare che il fatto di accordare a un’invenzione un brevetto implica, in linea di principio, lo sfruttamento industriale e commerciale della stessa.
Tale interpretazione è corroborata dal quattordicesimo ‘considerando’ della direttiva. Nell’enunciare che il brevetto di invenzione conferisce al suo titolare il «diritto di vietare ai terzi di sfruttarla a fini industriali e commerciali», esso indica che i diritti derivanti da un brevetto, in linea di principio, sono relativi ad atti di natura industriale e commerciale.
Orbene, anche se lo scopo di ricerca scientifica deve essere distinto dai fini industriali e commerciali, l’utilizzazione di embrioni umani a fini di ricerca che sia oggetto della domanda di brevetto non può essere scorporata dal brevetto medesimo e dai diritti da esso derivanti.
La precisazione fornita dal quarantaduesimo ‘considerando’ della direttiva, secondo cui l’esclusione dalla brevettabilità prevista dall’art. 6, n. 2, lett. c), di questa stessa direttiva «non riguarda (...) le invenzioni a finalità terapeutiche o diagnostiche che si applicano e che sono utili all’embrione umano» conferma anch’essa che l’utilizzazione, oggetto di una domanda di brevetto, di embrioni umani a fini di ricerca scientifica non può essere distinta da uno sfruttamento industriale e commerciale e, pertanto, sottrarsi all’esclusione dalla brevettabilità.
Quest’interpretazione coincide del resto con quella adottata dalla grande commissione di ricorso dell’Ufficio europeo dei brevetti in merito all’art. 28, lett. c), del regolamento di esecuzione della CBE, che riporta in termini identici il tenore dell’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva (v. decisione 25 novembre 2008, G 2/06, Gazzetta Ufficiale UEB , maggio 2009, pag. 306, punti 25-27).
Si deve quindi risolvere la seconda questione nel senso che l’esclusione dalla brevettabilità relativa all’utilizzazione di embrioni umani a fini industriali o commerciali enunciata all’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva riguarda altresì l’utilizzazione a fini di ricerca scientifica, mentre solo l’utilizzazione per finalità terapeutiche o diagnostiche che si applichi all’embrione umano e sia utile a quest’ultimo può essere oggetto di un brevetto.
Sulla terza questione
Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, alla Corte se un’invenzione sia esclusa dalla brevettabilità, anche ove essa non abbia di per sé ad oggetto l’utilizzazione di embrioni umani, qualora verta su un prodotto il cui ottenimento presuppone la previa distruzione di embrioni umani o riguardi un procedimento che richiede un materiale di base ottenuto mediante la distruzione di embrioni umani.
La questione di cui trattasi è sollevata nel contesto di una causa avente ad oggetto la brevettabilità di un’invenzione relativa alla produzione di cellule progenitrici neurali, che presuppone l’utilizzazione di cellule staminali ricavate da un embrione umano nello stadio di blastocisti. Orbene, dalle osservazioni sottoposte alla Corte emerge che il prelievo di una cellula staminale su un embrione umano nello stadio di blastocisti comporta la distruzione dell’embrione.
Pertanto, per i medesimi motivi esposti ai punti 32-35 della presente sentenza, un’invenzione deve essere esclusa dalla brevettabilità, anche se le rivendicazioni del brevetto non vertono sull’utilizzazione di embrioni umani, ove l’attuazione dell’invenzione richieda la distruzione di embrioni umani. Anche in tal caso si deve ritenere che vi sia un’utilizzazione di embrioni umani ai sensi dell’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva. Il fatto che tale distruzione abbia luogo, eventualmente, in una fase ben precedente rispetto all’attuazione dell’invenzione, come nell’ipotesi della produzione di cellule staminali embrionali ricavate da una linea di cellule staminali la cui creazione, di per sé, ha comportato la distruzione di embrioni umani è, al riguardo, irrilevante.
Non applicare l’esclusione dalla brevettabilità enunciata all’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva nei riguardi di un insegnamento tecnico oggetto di rivendicazione, per il fatto che esso non menziona l’utilizzazione – implicante previa distruzione – di embrioni umani, avrebbe la conseguenza di privare di effetto utile la disposizione in oggetto, consentendo al richiedente il brevetto di eluderne l’applicazione mediante un’abile stesura della rivendicazione.
Anche a quel riguardo, la grande commissione di ricorso dell’Ufficio europeo dei brevetti, interrogata sull’interpretazione dell’art. 28, lett. c), del regolamento di esecuzione della CBE, il cui tenore è identico a quello dell’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva (v. punto 22 della decisione 25 novembre 2008, menzionata al punto 45 della presente sentenza), è giunta alla medesima conclusione.
Si deve pertanto risolvere la terza questione nel senso che l’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva esclude la brevettabilità di un’invenzione qualora l’insegnamento tecnico oggetto della domanda di brevetto richieda la previa distruzione di embrioni umani o la loro utilizzazione come materiale di partenza, indipendentemente dallo stadio in cui esse hanno luogo e anche qualora la descrizione dell’insegnamento tecnico oggetto di rivendicazione non menzioni l’utilizzazione di embrioni umani.
Sulle spese
Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
L’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 luglio 1998, 98/44/CE, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, deve essere interpretato nel senso che:
– costituisce un «embrione umano» qualunque ovulo umano fin dalla fecondazione, qualunque ovulo umano non fecondato in cui sia stato impiantato il nucleo di una cellula umana matura e qualunque ovulo umano non fecondato che, attraverso partenogenesi, sia stato indotto a dividersi e a svilupparsi;
– spetta al giudice nazionale stabilire, in considerazione degli sviluppi della scienza, se una cellula staminale ricavata da un embrione umano nello stadio di blastocisti costituisca un «embrione umano» ai sensi dell’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva 98/44.
L’esclusione dalla brevettabilità relativa all’utilizzazione di embrioni umani a fini industriali o commerciali enunciata all’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva 98/44 riguarda altresì l’utilizzazione a fini di ricerca scientifica, mentre solo l’utilizzazione per finalità terapeutiche o diagnostiche che si applichi all’embrione umano e sia utile a quest’ultimo può essere oggetto di un brevetto.
L’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva 98/44 esclude la brevettabilità di un’invenzione qualora l’insegnamento tecnico oggetto della domanda di brevetto richieda la previa distruzione di embrioni umani o la loro utilizzazione come materiale di partenza, indipendentemente dallo stadio in cui esse hanno luogo e anche qualora la descrizione dell’insegnamento tecnico oggetto di rivendicazione non menzioni l’utilizzazione di embrioni umani.
Firme
* Lingua processuale: il tedesco.