Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 25 ottobre 2012. Bernhard Rintisch contro Klaus Eder. Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesgerichtshof. Marchi — Direttiva 89/104/CEE — Articolo 10, paragrafi 1 e 2, lettera a) — Uso effettivo — Uso in una forma, anch’essa registrata come marchio, che differisce per alcuni elementi che non alterano il carattere distintivo del marchio — Effetti di una sentenza nel tempo. Causa C‑553/11.
SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Bundesgerichtshof (Germania), con decisione del 17 agosto 2011, pervenuta in cancelleria il 2 novembre 2011, nel procedimento
Bernhard Rintisch
contro
Klaus Eder,
LA CORTE (Terza Sezione),
composta dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, facente funzione di presidente della Terza Sezione, dai sigg. K. Lenaerts (relatore), E. Juhász, T. von Danwitz e D. Šváby, giudici,
avvocato generale: sig.ra V. Trstenjak
cancelliere: sig. A. Calot Escobar
vista la fase scritta del procedimento,
considerate le osservazioni presentate:
— |
per K. Eder, da M. Douglas, Rechtsanwalt; |
— |
per il governo tedesco, da T. Henze e J. Kemper, in qualità di agenti; |
— |
per la Commissione europea, da F. Bulst, in qualità di agente, |
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 10, paragrafi 1 e 2, lettera a), della prima direttiva 89/104/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa ( GU 1989, L 40, pag. 1 ). |
Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra il sig. Rintisch e il sig. Eder in merito all’uso effettivo di un marchio, utilizzato in una forma che differisce, per taluni elementi che non alterano il suo carattere distintivo, dalla forma in cui tale marchio è stato registrato, quando la forma utilizzata è anch’essa registrata come marchio. |
Contesto normativo
Il diritto internazionale
L’articolo 5, C, paragrafo 2, della Convenzione per la protezione della proprietà industriale, sottoscritta a Parigi il 20 marzo 1883, da ultimo riveduta a Stoccolma il 14 luglio 1967 e modificata il 28 settembre 1979 ( Recueil des traités des Nations unies , vol. 828, n. 11851, pag. 305; in prosieguo: la «convenzione di Parigi»), così dispone: «L’uso di un marchio di fabbrica o di commercio da parte del proprietario, sotto una forma che differisca per alcuni elementi che non alterino il carattere distintivo del marchio nella forma in cui questo è stato registrato in un paese dell’Unione [costituita dai paesi ai quali si applica la convenzione di Parigi], non comporterà l’invalidazione della registrazione né diminuirà la protezione accordata al marchio». |
Il diritto dell’Unione
Il dodicesimo considerando della direttiva 89/104 è del seguente tenore: «considerando che tutti gli Stati membri della Comunità sono parti contraenti della convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale; che è necessario che le disposizioni della presente direttiva siano in perfetta armonia con quelle della convenzione di Parigi; che la presente direttiva non pregiudica gli obblighi degli Stati membri derivanti da detta convenzione; che, ove necessario, è applicabile l’articolo [267], secondo comma [TFUE]». |
L’articolo 10, paragrafi 1 e 2, lettera a), della direttiva 89/104, come ripreso immutato dall’articolo 10 della direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa ( GU L 299, pag. 25 ), con l’unica modifica della numerazione dei paragrafi di detto articolo, dispone al suo titolo «Uso del marchio di impresa» quanto segue: «1. Se, entro cinque anni dalla data in cui si è chiusa la procedura di registrazione, il marchio di impresa non ha formato oggetto da parte del titolare di un uso effettivo nello Stato membro interessato per i prodotti o servizi per i quali è stato registrato, o se tale uso è stato sospeso per un periodo ininterrotto di cinque anni, il marchio di impresa è sottoposto alle sanzioni previste nella presente direttiva, salvo motivo legittimo per il mancato uso. 2. Ai sensi del paragrafo 1 sono inoltre considerati come uso:
|
Il diritto tedesco
L’articolo 26, paragrafo 3, della legge sulla tutela dei marchi e degli altri segni distintivi (Gesetz über den Schutz von Marken und sonstigen Kennzeichen), del 25 ottobre 1994 (BGBl. 1994 I, pag. 3082; in prosieguo: il «MarkenG»), prevede quanto segue: «L’uso del marchio in una forma che differisce per taluni elementi da quella in cui esso è stato registrato è del pari considerato uso di un marchio registrato, purché le differenze non alterino il carattere distintivo del marchio. La prima frase si applica parimenti qualora il marchio sia registrato nella forma in cui è stato usato». |
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
Il sig. Rintisch, ricorrente nel procedimento principale, è titolare dei marchi denominativi PROTIPLUS, registrato il 20 maggio 1996 con il n. 395 49 559.8, e PROTI, registrato il 3 marzo 1997 con il n. 397 02 429, nonché del marchio denominativo e figurativo Proti Power, registrato il 5 marzo 1997 con il n. 396 08 644.6. Detti marchi nazionali sono registrati segnatamente per prodotti a contenuto proteico. |
Il sig. Eder, convenuto nel procedimento principale, è titolare del marchio denominativo posteriore Protifit, registrato l’11 febbraio 2003 con il n. 302 47 818, per integratori alimentari, preparati a base di vitamine e alimenti dietetici. |
Il sig. Rintisch proponeva un’azione diretta, in primo luogo, ad ottenere che il sig. Eder acconsentisse all’annullamento del marchio Protifit e, in secondo luogo, a vietare l’uso del medesimo, invocando i diritti derivanti dai suoi marchi anteriori. A tale titolo, egli fondava le sue domande principalmente sul marchio PROTI, e in subordine, sui marchi PROTIPLUS e Proti Power. Egli chiedeva altresì la condanna del convenuto al risarcimento del danno che egli asseriva aver subìto. |
Il sig. Eder eccepiva il mancato uso del marchio PROTI da parte del sig. Rintisch. Quest’ultimo replicava di aver invece fatto uso di tale marchio attraverso l’utilizzo delle denominazioni «PROTIPLUS» e «Proti Power». Il giudice di primo grado respingeva le pretese del sig. Rintisch, a motivo del fatto che i diritti derivanti dal marchio PROTI non potevano essere invocati nei confronti del marchio Protifit. Adìto in appello, l’Oberlandesgericht Köln confermava il rigetto delle pretese del sig. Rintisch. |
Veniva proposto ricorso per cassazione («Revision»), da parte del sig. Rintisch, dinanzi al Bundesgerichtshof il quale rileva, innanzitutto, che, ai sensi delle norme di diritto processuale tedesco, nella fase attuale del procedimento, si deve considerare come ammesso il fatto che, nonostante le modifiche che esse presentano rispetto al marchio PROTI, le denominazioni «PROTIPLUS» e «Proti Power» non alterano il carattere distintivo di tale marchio e che il ricorrente ha fatto un uso effettivo dei marchi PROTIPLUS e Proti Power prima della pubblicazione della registrazione del marchio Protifit. Il giudice del rinvio si basa quindi sulla premessa a tenore della quale si deve considerare che il marchio PROTI è stato oggetto di uso effettivo ai sensi dell’articolo 26, paragrafo 3, del MarkenG. |
Tuttavia il giudice del rinvio s’interroga sulla questione se e, all’occorrenza, a quali condizioni l’articolo 26, paragrafo 3, seconda frase, del MarkenG sia conforme all’articolo 10, paragrafi 1 e 2, lettera a), della direttiva 89/104. |
In tali circostanze, il Bundesgerichtshof decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
|
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla ricevibilità
Il sig. Eder sostiene che la domanda di pronuncia pregiudiziale è irricevibile, in quanto irrilevante per la definizione del procedimento principale, dal momento che l’Oberlandesgericht Köln si è pronunciato sulle questioni di fatto e di diritto in occasione del procedimento dinanzi ad esso. |
Occorre ricordare in proposito che, secondo costante giurisprudenza, nell’ambito di un procedimento ex articolo 267 TFUE, basato sulla netta separazione di funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, ogni accertamento e valutazione dei fatti del procedimento principale, nonché l’interpretazione e l’applicazione del diritto nazionale, rientrano nella competenza esclusiva del giudice nazionale. Parimenti, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze del caso, sia la necessità sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate vertono sull’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (sentenze del 12 aprile 2005, Keller, C-145/03, Racc. pag. I-2529 , punto 33; del 18 luglio 2007, Lucchini, C-119/05, Racc. pag. I-6199 , punto 43, nonché dell’11 settembre 2008, Eckelkamp e a., C-11/07, Racc. pag. I-6845 , punti 27 e 32). |
Pertanto, il rigetto, da parte della Corte, di una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o l’oggetto del procedimento principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi in fatto e in diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (sentenza del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito, C-618/10, punto 77 e giurisprudenza ivi citata). |
Orbene, è giocoforza constatare che, nella fattispecie, non ricorre tale ipotesi. La richiesta interpretazione dell’articolo 10, paragrafi 1 e 2, lettera a), della direttiva 89/104 può infatti incidere sul quadro normativo applicabile al procedimento principale e, di conseguenza, sulla soluzione che esso esige. La domanda di pronuncia pregiudiziale deve pertanto essere dichiarata ricevibile. |
Sulla prima questione e sulla terza questione, lettera a)
Con la sua prima questione e la sua terza questione, lettera a), che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 10, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 89/104 debba essere interpretato nel senso che osta al fatto che il titolare di un marchio registrato, per stabilire l’uso di quest’ultimo ai sensi di tale disposizione, possa valersi del suo utilizzo in una forma che differisce da quella in cui tale marchio è stato registrato, senza che le differenze tra queste due forme alterino il carattere distintivo di detto marchio, e ciò sebbene tale diversa forma sia anch’essa registrata come marchio. |
In proposito si deve ricordare, da un lato, che il carattere distintivo di un marchio, nel senso di cui alle disposizioni della direttiva 89/104, significa che tale marchio permette di identificare il prodotto per il quale è chiesta la registrazione come proveniente da un’impresa determinata e, dunque, di distinguere tale prodotto da quelli di altre imprese (v., per analogia, sentenze del 29 aprile 2004, Procter & Gamble/UAMI, da C-468/01 P a C-472/01 P, Racc. pag. I-5141 , punto 32; del 21 ottobre 2004, UAMI/Erpo Möbelwerk, C-64/02 P, Racc. pag. I-10031 , punto 42; dell’8 maggio 2008, Eurohypo/UAMI, C-304/06 P, Racc. pag. I-3297 , punto 66, e del 12 luglio 2012, Smart Technologies/UAMI, C-311/11 P, punto 23). |
Si deve rilevare, dall’altro, che non risulta affatto dalla formulazione letterale dell’articolo 10, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 89/104 che la diversa forma in cui il marchio è utilizzato non possa anch’essa essere registrata come marchio. La sola condizione sancita da tale disposizione è infatti quella secondo la quale la forma utilizzata può differenziarsi dalla forma in cui tale marchio è stato registrato unicamente per taluni elementi che non alterano il carattere distintivo di quest’ultimo. |
Quanto all’obiettivo dell’articolo 10, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 89/104, si deve rilevare che tale disposizione, evitando di esigere una stretta conformità tra la forma utilizzata in commercio e quella in cui il marchio è stato registrato, è diretta a consentire al titolare di quest’ultimo di apportare al segno, in occasione del suo sfruttamento commerciale, le variazioni che, senza modificarne il carattere distintivo, permettono di meglio adattarlo alle esigenze di commercializzazione e di promozione dei prodotti o dei servizi relativi. |
Orbene, tale obiettivo sarebbe compromesso se, per stabilire l’uso del marchio registrato, fosse richiesto un requisito ulteriore, secondo il quale la diversa forma in cui tale marchio è stato utilizzato non dovrebbe essere anch’essa oggetto di registrazione come marchio. La registrazione di nuove forme di un marchio consente infatti, all’occorrenza, di anticipare i cambiamenti che possono intervenire nell’immagine del marchio e, di conseguenza, di adattarlo alle caratteristiche di un mercato in evoluzione. |
Risulta inoltre dal dodicesimo considerando della direttiva 89/104 che le disposizioni di quest’ultima devono essere «in perfetta armonia con quelle della convenzione di Parigi». Si deve pertanto interpretare l’articolo 10, paragrafo 2, lettera a), di detta direttiva in conformità all’articolo 5, C, paragrafo 2, di tale convenzione. Orbene, nulla di quanto previsto da quest’ultima disposizione lascia intendere che la registrazione di un segno come marchio comporta la conseguenza che l’uso del medesimo non può più essere invocato per stabilire l’uso di un altro marchio registrato dal quale differisce soltanto in un modo tale che il carattere distintivo di quest’ultimo non ne risulta alterato. |
Ne consegue che la registrazione come marchio della forma in cui un altro marchio registrato è utilizzato, forma che differisce da quella in cui quest’ultimo marchio è registrato, pur non alterandone il carattere distintivo, non osta all’applicazione dell’articolo 10, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 89/104. |
Tale interpretazione non contraddice quella che risulta dalla citata sentenza Il Ponte Finanziaria/UAMI, e segnatamente dal punto 86 di quest’ultima, menzionato nella decisione di rinvio. |
Nella causa che ha avuto esito in detta sentenza, la Corte era investita di una controversia nell’ambito della quale una parte invocava la protezione di una «famiglia» o «serie» di marchi simili, per valutare il rischio di confusione con il marchio la cui registrazione era richiesta. Tale controversia rientrava nell’ambito di applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario ( GU 1994, L 11, pag. 1 ), disposizione che corrispondeva, all’epoca dei fatti di detta controversia, all’articolo 10, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 89/104, essendo in sostanza identica la formulazione letterale di tali disposizioni. |
Avendo statuito, al punto 63, della citata sentenza Il Ponte Finanziaria/UAMI, che, in presenza di una «famiglia» o «serie» di marchi, il rischio di confusione è la conseguenza, più precisamente, del fatto che il consumatore possa ingannarsi circa la provenienza o l’origine dei prodotti o servizi contrassegnati dal marchio del quale è richiesta la registrazione, ritenendo, erroneamente, che questo appartenga a tale famiglia o serie di marchi, la Corte ha dichiarato che, per accertare l’esistenza di una «famiglia» o «serie» di marchi, si deve dimostrare l’uso di un numero sufficiente di marchi in grado di costituire tale «famiglia» o «serie». |
La Corte ha successivamente statuito, al punto 64 della citata sentenza Il Ponte Finanziaria/UAMI, che non ci si può aspettare da un consumatore, in mancanza di uso di un numero sufficiente di marchi in grado di costituire una «famiglia» o una «serie», che lo stesso individui un elemento comune in tale famiglia o serie di marchi e/o associ a tale famiglia o serie un altro marchio contenente il medesimo elemento comune. Pertanto, affinché esista un rischio che il pubblico si inganni circa l’appartenenza ad una «famiglia» o «serie» del marchio del quale è richiesta la registrazione, i marchi anteriori facenti parte di tale «famiglia» o «serie» devono essere presenti sul mercato. |
È nell’illustrato peculiare contesto dell’asserita esistenza di una «famiglia» o «serie» di marchi che deve collocarsi l’affermazione della Corte, di cui al punto 86 della citata sentenza Il Ponte Finanziaria/UAMI, secondo la quale l’articolo 15, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 40/94, e di conseguenza l’articolo 10, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 89/104, non consente di estendere, attraverso la prova del suo uso, la tutela di cui beneficia un marchio registrato ad un altro marchio registrato il cui uso non è stato dimostrato, a motivo che tale ultimo marchio sarebbe solo una leggera variante del primo. L’uso di un marchio non può, infatti, essere invocato per giustificare l’uso di un altro marchio, dal momento che l’obiettivo è accertare l’uso di un numero sufficiente di marchi di una stessa «famiglia». |
Sulla scorta di quanto precede, si deve rispondere alla prima questione ed alla terza questione, lettera a), dichiarando che l’articolo 10, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 89/104 dev’essere interpretato nel senso che non osta al fatto che il titolare di un marchio registrato, per stabilire l’uso di quest’ultimo ai sensi di tale disposizione, possa valersi del suo utilizzo in una forma che differisce da quella in cui tale marchio è stato registrato, senza che le differenze tra queste due forme alterino il carattere distintivo di detto marchio, e ciò sebbene tale diversa forma sia anch’essa registrata come marchio. |
Sulla seconda questione
Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede in sostanza se l’articolo 10, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 89/104 debba essere interpretato nel senso che osta ad un’interpretazione della disposizione nazionale diretta a trasporre detto articolo 10, paragrafo 2, lettera a), nel diritto interno, secondo la quale quest’ultima disposizione non si applica ad un marchio «difensivo» la cui registrazione ha la mera finalità di garantire o ampliare l’ambito di tutela di un altro marchio, che, per parte sua, è registrato nella forma in cui esso è utilizzato. |
In proposito si deve rilevare che nulla consente di attribuire all’articolo 10, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 89/104 un’interpretazione che escluderebbe l’applicazione di tale disposizione ad una fattispecie quale quella di cui al punto precedente. Infatti, l’intenzione soggettiva che presiede alla registrazione di un marchio è del tutto irrilevante per l’applicazione di detta disposizione e, ciò precisato, una nozione di marchi «difensivi» siffatta, ai quali essa non si applicherebbe, non trova riscontro nella direttiva 89/104 né in altre disposizioni del diritto dell’Unione. |
Risulta da quanto precede che si deve rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 10, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 89/104 dev’essere interpretato nel senso che osta ad un’interpretazione della disposizione nazionale diretta a trasporre detto articolo 10, paragrafo 2, lettera a), nel diritto interno, secondo la quale quest’ultima disposizione non si applica ad un marchio «difensivo» la cui registrazione ha la mera finalità di garantire o ampliare l’ambito di tutela di un altro marchio, che, per parte sua, è registrato nella forma in cui esso è utilizzato. |
Sulla terza questione, lettera b)
Con la sua terza questione, lettera b), il giudice del rinvio s’interroga, in sostanza, sulla questione di determinare a quali condizioni una sentenza della Corte, quale la citata sentenza Il Ponte Finanziaria/UAMI, debba produrre i suoi effetti, o taluni di essi, soltanto per il periodo successivo alla data in cui essa è stata pronunciata. |
Il giudice del rinvio solleva la terza questione nel suo complesso «in caso di risposta affermativa della prima questione o di risposta negativa della seconda questione». Nel caso di specie, la risposta alla seconda questione rientra in tale seconda ipotesi. |
Tuttavia la terza questione, lettera b), si fonda sulla premessa secondo la quale esisterebbe un’incompatibilità tra una disposizione nazionale, ovvero l’articolo 26, paragrafo 3, seconda frase, del MarkenG, ed una disposizione di una direttiva, nel caso di specie l’articolo 10, paragrafi 1 e 2, lettera a), della direttiva 89/104. Orbene, né la risposta alla prima questione ed alla terza questione, lettera a), né quella alla seconda questione corrispondono a siffatta premessa. |
Da quanto precede risulta che non si deve rispondere alla terza questione, lettera b). |
Sulle spese
Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. |
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara: |
|
|
Firme |
( *1 ) Lingua processuale: il tedesco.