Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 22 settembre 2011. Budějovický Budvar, národní podnik contro Anheuser-Busch Inc.. Domanda di pronuncia pregiudiziale : Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) - Regno Unito. Marchi - Direttiva 89/104/CEE - Art. 9, n. 1 - Nozione di "tolleranza" - Preclusione per tolleranza - Punto di partenza del termine di preclusione - Condizioni necessarie a far decorrere il termine di preclusione - Art. 4, n. 1, lett. a) - Registrazione di due marchi identici che designano prodotti identici - Funzioni del marchio - Uso simultaneo in buona fede. Causa C-482/09.
Causa C-482/09
Budějovický Budvar, národní podnik
contro
Anheuser-Busch Inc.
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division)]
«Marchi — Direttiva 89/104/CEE — Art. 9, n. 1 — Nozione di “tolleranza” — Preclusione per tolleranza — Dies a quo del termine di preclusione — Condizioni necessarie a far decorrere il termine di preclusione — Art. 4, n. 1, lett. a) — Registrazione di due marchi identici che designano prodotti identici — Funzioni del marchio — Uso simultaneo in buona fede»
Massime della sentenza
Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 89/104 — Preclusione per tolleranza — Nozione
Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 89/104 — Preclusione per tolleranza — Termine di decadenza — Dies a quo
Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Direttiva 89/104 — Impedimenti relativi alla registrazione o motivi di nullità — Esistenza di un marchio anteriore identico tutelato per prodotti identici — Eccezione — Uso simultaneo in buona fede e di lunga durata che non pregiudica la funzione essenziale del marchio
[Direttiva del Consiglio 89/104, art. 4, n. 1, lett. a)]
1. La tolleranza, nel senso dell’art. 9, n. 1, della prima direttiva sui marchi, costituisce una nozione del diritto dell’Unione, e non si può ritenere che il titolare di un marchio anteriore abbia tollerato l’uso in buona fede consolidato e di lunga durata, di cui era al corrente da lungo tempo, da parte di un terzo, di un marchio posteriore identico al suo, qualora non disponesse di alcuna possibilità di opporsi a tale uso.
Da una parte, infatti, l’undicesimo ‘considerando’ di detta direttiva precisa che il titolare del marchio anteriore deve avere «coscientemente tollerato» l’uso di un marchio posteriore al suo per un lungo periodo, ossia «deliberatamente», «con cognizione di causa». Il medesimo ‘considerando’ specifica che occorre evitare di «ledere ingiustamente» gli interessi del titolare di un marchio anteriore. Orbene, sarebbe ingiusto precludere al titolare del marchio anteriore la possibilità di richiedere la nullità o di opporsi all’uso di un marchio posteriore identico allorché egli non ha avuto la possibilità di farlo.
D’altra parte, la direttiva 89/104 mira a contemperare gli interessi del titolare di un marchio d’impresa a salvaguardare la funzione essenziale di quest’ultimo con l’interesse di altri operatori economici alla disponibilità di segni idonei a identificare i loro prodotti e servizi. Tale finalità implica che, per salvaguardare tale funzione essenziale, il titolare di un marchio anteriore sia in condizione, nell’ambito dell’applicazione dell’art. 9, n. 1, di tale direttiva, di opporsi all’uso di un marchio posteriore identico al suo.
Qualsiasi ricorso amministrativo o giurisdizionale proposto dal titolare del marchio anteriore nel corso del periodo previsto dall’art. 9, n. 1, della direttiva 89/104 sortisce l’effetto di interrompere il termine di preclusione per tolleranza.
(v. punti 47-50, dispositivo 1)
2. La registrazione del marchio anteriore nello Stato membro interessato non costituisce una condizione necessaria per far decorrere il termine di preclusione per tolleranza sancito dall’art. 9, n. 1, della prima direttiva 89/104 sui marchi. Le condizioni necessarie per far decorrere tale termine sono, in primo luogo, la registrazione del marchio posteriore nello Stato membro interessato; in secondo luogo, la circostanza che il deposito di tale marchio sia stato effettuato in buona fede; in terzo luogo, l’uso del marchio posteriore da parte del suo titolare nello Stato membro in cui è stato registrato e, in quarto luogo, la circostanza che il titolare del marchio anteriore sia al corrente che il marchio posteriore è stato registrato e viene usato dopo la sua registrazione.
(v. punto 62, dispositivo 2)
3. L’art. 4, n. 1, lett. a), della prima direttiva 89/104 sui marchi dev’essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio anteriore non può ottenere l’annullamento di un marchio posteriore identico che designa prodotti identici in caso di uso simultaneo in buona fede e di lunga durata di tali due marchi d’impresa quando tale uso non pregiudica o non può pregiudicare la funzione essenziale del marchio d’impresa, consistente nel garantire ai consumatori l’origine dei prodotti o dei servizi. Quest’ultima condizione è soddisfatta quando, malgrado l’identità dei marchi, i prodotti sono chiaramente identificabili come prodotti di imprese diverse.
(v. punti 80-81, 84, dispositivo 3)
SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)
22 settembre 2011 (*)
«Marchi – Direttiva 89/104/CEE – Art. 9, n. 1 – Nozione di “tolleranza” – Preclusione per tolleranza – Dies a quo del termine di preclusione – Condizioni necessarie a far decorrere il termine di preclusione – Art. 4, n. 1, lett. a) – Registrazione di due marchi identici che designano prodotti identici – Funzioni del marchio – Uso simultaneo in buona fede»
Nel procedimento C-482/09,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dalla Court of Appeal (England & Wales), Civil Division (Regno Unito), con decisione 12 novembre 2009, pervenuta in cancelleria il 30 novembre 2009, nella causa
Budějovický Budvar, národní podnik,
contro
Anheuser-Busch Inc.,
LA CORTE (Prima Sezione),
composta dal sig. A. Tizzano, presidente di sezione, dai sigg. M. Ilešič, E. Levits, M. Safjan (relatore) e dalla sig.ra M. Berger, giudici,
avvocato generale: sig.ra V. Trstenjak
cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 24 novembre 2010,
considerate le osservazioni presentate:
– per la Budějovický Budvar, národní podnik, dai sigg. J. Mellor e S. Malynicz, barrister, su mandato del sig. M. Blair, solicitor;
– per l’Anheuser-Busch Inc., dall’avv. B. Goebel, Rechtsanwalt;
– per il governo del Regno Unito, dal sig. S. Ossowski, in qualità di agente;
– per il governo ceco, dal sig. M. Smolek, in qualità di agente;
– per il governo italiano, dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dal sig. S. Fiorentino, avvocato dello Stato;
– per il governo portoghese, dal sig. L. Inez Fernandes, in qualità di agente;
– per il governo slovacco, dalla sig.ra B. Ricziová, in qualità di agente;
– per la Commissione europea, dalla sig.ra J. Samnadda, in qualità di agente,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 3 febbraio 2011,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 4, n. 1, lett. a), e 9, n. 1, della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1).
Tale domanda trae origine da una controversia tra la Budĕjovický Budvar, národní podnik (in prosieguo: la «Budvar»), una società che produce birra avente sede nella città di Česke Budějovice (Repubblica ceca), e l’Anheuser-Busch Inc. (in prosieguo: l’«Anheuser-Busch»), una società che produce birra con sede in Saint Louis (Stati Uniti), in merito al marchio Budweiser, di cui entrambe sono titolari dal 19 maggio 2000.
Contesto normativo
La normativa dell’Unione
L’art. 4 della direttiva 89/104, rubricato «Altri impedimenti alla registrazione o motivi di nullità relativi ai conflitti con diritti anteriori», disponeva quanto segue:
«1. Un marchio di impresa è escluso dalla registrazione o, se registrato, può essere dichiarato nullo:
a) se il marchio di impresa è identico a un marchio di impresa anteriore e se i prodotti o servizi per cui il marchio di impresa è stato richiesto o è stato registrato sono identici a quelli per cui il marchio di impresa anteriore è tutelato;
(...)
2. Per “marchi di impresa anteriori” ai sensi del paragrafo 1 si intendono:
a) i marchi di impresa la cui data di domanda di registrazione sia anteriore alla data di domanda del marchio di impresa, tenuto conto, ove occorra, del diritto di priorità invocato per i medesimi e che appartengano alle categorie seguenti:
i) i marchi comunitari;
ii) i marchi di impresa registrati nello Stato membro o per quanto riguarda il Belgio, il Lussemburgo ed i Paesi Bassi presso l’Ufficio dei marchi del Benelux;
iii) i marchi di impresa che sono oggetto di una registrazione internazionale con effetto nello Stato membro;
b) i marchi di impresa comunitari che, conformemente al regolamento sul marchio comunitario, rivendicano validamente l’anteriorità rispetto ad un marchio di impresa di cui ai punti i), ii) e iii), anche se quest’ultimo sia oggetto di una rinuncia o si sia estinto;
c) le domande di marchi di impresa di cui alle lettere a) e b), sotto riserva di registrazione degli stessi;
d) i marchi di impresa che, alla data di presentazione della domanda di registrazione di marchio, o, se del caso, alla data della priorità invocata a sostegno della domanda di marchio, sono “notoriamente conosciuti” nello Stato membro ai sensi dell’articolo 6 bis della convenzione di Parigi.
(...)».
L’art. 5 della direttiva 89/104, intitolato «Diritti conferiti dal marchio di impresa», prevedeva, al n. 1:
«Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. II titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:
a) un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;
(...)».
A norma dell’art. 9 della direttiva 89/104, rubricato «Preclusione per tolleranza»:
«1. Il titolare di un marchio di impresa anteriore di cui all’articolo 4, paragrafo 2, il quale abbia, durante cinque anni consecutivi, tollerato l’uso in uno Stato membro di un marchio di impresa posteriore registrato in detto Stato membro, del quale era a conoscenza, non può domandare la dichiarazione di nullità del marchio di impresa posteriore né opporsi all’uso dello stesso sulla base del proprio marchio di impresa anteriore per i prodotti o servizi per i quali è stato utilizzato il marchio di impresa posteriore, salvo il caso in cui il marchio di impresa posteriore sia stato domandato in malafede.
2. Qualsiasi Stato membro può prevedere che il paragrafo 1 sia applicabile al titolare di un marchio di impresa anteriore di cui all’articolo 4, paragrafo 4, lettera a) o di un altro diritto anteriore di cui all’articolo 4, paragrafo 4, lettere b) o c).
3. Nei casi di cui al paragrafo 1 o 2, il titolare di un marchio di impresa registrato posteriormente non può opporsi all’uso del diritto anteriore, benché detto diritto non possa essere fatto valere contro il marchio di impresa posteriore».
La direttiva 89/104 è stata abrogata e sostituita dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 ottobre 2008, 2008/95/CE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU L 299, pag. 25), entrata in vigore il 28 novembre 2008. Tuttavia, in considerazione della data dei fatti, la causa principale rimane disciplinata dalla direttiva 89/104.
La normativa nazionale
Le disposizioni della direttiva 89/104 sono state recepite nel diritto interno del Regno Unito con la legge del 1994 sui marchi (Trade Marks Act 1994), entrata in vigore il 31 ottobre 1994.
Per dare attuazione alla direttiva 89/104, la legge del 1994 sui marchi ha sostituito la legge del 1938 sui marchi (Trade Marks Act 1938).
Causa principale e questioni pregiudiziali
Secondo la decisione di rinvio, sin dal loro ingresso nel mercato del Regno Unito, rispettivamente negli anni 1973 e 1974, la Budvar e l’Anheuser-Busch commercializzano ognuna le proprie birre con il segno verbale «Budweiser» o con termini che includono questo segno.
Sempre secondo quanto emerge dalla decisione di rinvio, sebbene le loro denominazioni siano identiche, le birre della Budvar e dell’Anheuser-Busch non presentano le stesse caratteristiche. Gusto, prezzo e presentazione sono sempre stati diversi e, nei mercati in cui la Budvar e l’Anheuser-Busch sono entrambe presenti, i consumatori percepiscono chiaramente la differenza, nonostante tra esse esista un limitato grado di confusione.
Nel novembre 1976 la Budvar ha chiesto la registrazione come marchio d’impresa del termine «Bud». L’Anheuser-Busch vi si è opposta.
Nel 1979 l’Anheuser-Busch ha citato in giudizio la Budvar per usurpazione di nome commerciale richiedendo che le si vietasse di utilizzare il termine «Budweiser». La Budvar ha presentato una domanda riconvenzionale per usurpazione di nome commerciale domandando a sua volta che fosse fatto divieto all’Anheuser-Busch di utilizzare il termine «Budweiser».
In attesa dell’esito di tali azioni per usurpazione di nome commerciale, il procedimento di opposizione relativo alla registrazione del termine «Bud» è stato sospeso.
L’11 dicembre 1979 l’Anheuser-Busch ha chiesto la registrazione come marchio del termine «Budweiser» per i prodotti «birra, ale [birra chiara ad elevata gradazione alcolica] e porter [birra scura]». La Budvar si è opposta a tale domanda.
La domanda iniziale e la domanda riconvenzionale per usurpazione di nome commerciale sono state respinte sia in primo grado sia in appello, in quanto i giudici aditi hanno ritenuto che nessuna delle parti creasse un’impressione ingannevole e che il segno verbale «Budweiser» godesse di duplice notorietà.
Il termine «Bud» è stato in seguito regolarmente registrato come marchio d’impresa a favore della Budvar, mentre l’opposizione presentata dall’Anheuser-Busch è stata respinta.
Il 28 giugno 1989 la Budvar ha presentato una domanda riconvenzionale diretta alla registrazione del termine «Budweiser» come marchio d’impresa. L’Anheuser-Busch si è opposta a tale domanda.
Nel febbraio 2000 la Court of Appeal (England & Wales), Civil Division, ha respinto entrambe le opposizioni alla registrazione del termine «Budweiser» ed ha deciso che sia la Budvar sia l’Anheuser-Busch potevano far registrare tale termine come marchio d’impresa. In applicazione della legge del 1994 sui marchi, tale giudice si è basato sulla legge del 1938 sui marchi, che consentiva espressamente che marchi identici o simili al punto di essere confusi fossero registrati in modo concomitante, in caso di uso simultaneo in buona fede («honest concurrent use») ovvero in altre circostanze eccezionali.
In seguito a tale decisione giurisdizionale, il 19 maggio 2000 ciascuna parte è stata iscritta nel registro dei marchi del Regno Unito in qualità di titolare del marchio denominativo Budweiser per i prodotti «birra, ale e porter».
Di conseguenza, la Budvar ha ottenuto nel Regno Unito due registrazioni di marchio, una per Bud (domanda presentata nel mese di novembre 1976), e l’altra per Budweiser (domanda presentata nel mese di giugno 1989). L’Anheuser-Busch è titolare del marchio registrato Budweiser (domanda presentata nel mese di dicembre 1979).
Il 18 maggio 2005, ossia quattro anni e 364 giorni dopo la registrazione del marchio Budweiser a favore della Budvar e dell’Anheuser-Busch, quest’ultima ha presentato all’Ufficio marchi del Regno Unito una domanda di nullità della registrazione di tale marchio d’impresa da parte della Budvar.
Nella sua domanda di nullità, l’Anheuser-Busch ha affermato, in primo luogo, che sebbene i marchi Budweiser siano stati registrati lo stesso giorno a favore delle due imprese interessate, il marchio d’impresa di cui è titolare l’Anheuser-Busch è un marchio anteriore, ai sensi dell’art. 4, n. 2, della direttiva 89/104, poiché il deposito della domanda di registrazione è avvenuto in una data precedente a quella della domanda della Budvar. In secondo luogo, dato che i marchi e i prodotti sono identici ai sensi dell’art. 4, n. 1, lett. a), di tale direttiva, l’Anheuser-Busch, in quanto titolare di un marchio anteriore, avrebbe diritto ad ottenere la nullità del marchio della Budvar. In terzo luogo, non si sarebbe verificata la preclusione per tolleranza in quanto non è scaduto il termine di cinque anni previsto dal art. 9, n. 1, di detta direttiva.
L’Ufficio marchi del Regno Unito ha accolto la domanda di nullità della registrazione proposta dall’Anheuser-Busch.
Il 19 febbraio 2008 la High Court of Justice (England & Wales) (Chancery Division) ha respinto il ricorso dinanzi ad essa presentato dalla Budvar per quanto riguarda i prodotti «birra, ale e porter».
La Budvar ha impugnato questa decisione dinanzi al giudice del rinvio. Quest’ultimo spiega di nutrire dubbi in merito all’interpretazione dell’art. 9 della direttiva 89/104, soprattutto per quanto riguarda le nozioni di «tolleranza» e di «periodo» contenute in tale articolo. Il giudice del rinvio si chiede quale interpretazione occorra fornire all’art. 4, n. 1, lett. a), della medesima direttiva. In proposito rileva che la Budvar ha dichiarato, dinanzi ad esso giudice, che, nonostante la tutela apparentemente assoluta di cui gode il marchio anteriore quando un marchio d’impresa identico successivo designa prodotti identici, si potrebbe ammettere un’eccezione a tale tutela nell’ipotesi di un uso simultaneo in buona fede e di lunga durata di tali due marchi. In un caso del genere, infatti, l’uso dei marchi d’impresa identici ad opera di ciascuna delle parti non arrecherebbe pregiudizio alla garanzia di origine dei prodotti che il marchio d’impresa fornisce, in quanto tali marchi non si limiterebbero a designare i prodotti di una sola impresa, bensì designerebbero quelli di entrambe.
In tali circostanze, la Court of Appeal (England & Wales), Civil Division, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Quale sia il significato di “tollerato” ai sensi dell’art. 9, n. 1, della direttiva 89/104 e, in particolare:
a) se sia una nozione di diritto comunitario o se il giudice nazionale possa applicare norme di diritto interno al fine di definire tale tolleranza (inclusi la durata o l’uso simultaneo in buona fede e di lunga durata);
b) qualora “tollerato” sia una nozione di diritto comunitario, se si possa ritenere che il titolare di un marchio d’impresa abbia tollerato un uso in buona fede consolidato e di lunga durata di un marchio identico da parte di terzi quando ne sia stato consapevole da tempo, ma non sia stato in grado di evitarlo;
c) se, in ogni caso, sia necessario che il titolare di un marchio d’impresa debba averne ottenuto la registrazione prima di poter iniziare a “tollerare” l’uso da parte di terzi di (i) un marchio d’impresa identico o di (ii) un marchio d’impresa confondibile con esso.
2) Quale sia il momento in cui inizia a decorrere il periodo di “cinque anni consecutivi” e, in particolare, se esso possa avere inizio (e, in caso di risposta affermativa, se esso possa avere termine) prima che il titolare del marchio d’impresa anteriore ottenga la concreta registrazione del suo marchio e, nel caso di risposta affermativa, quali condizioni siano necessarie per fissare la decorrenza del termine.
3) Se l’art. 4, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 vada applicato nel senso che consente al titolare di un marchio d’impresa anteriore di vedere prevalere il proprio diritto anche in presenza di un uso simultaneo in buona fede e di lunga durata di due marchi d’impresa identici per prodotti identici, così che la garanzia di provenienza del marchio d’impresa anteriore non significhi che il marchio identifica i prodotti del titolare del marchio d’impresa anteriore e nessun altro, ma che, invece, identifica i suoi prodotti o quelli dell’altro utilizzatore».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione, lett. a) e b)
Con la prima questione, lett. a) e b), il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la «tolleranza» ai sensi dell’art. 9, n. 1, della direttiva 89/104, sia una nozione del diritto dell’Unione e, in caso di soluzione affermativa, se si possa ritenere che il titolare di un marchio d’impresa abbia tollerato, conformemente a tale disposizione, l’uso in buona fede consolidato e di lunga durata da parte di un terzo di un marchio d’impresa identico a quello di tale titolare quando quest’ultimo è da lungo tempo al corrente di tale uso, ma non ha potuto impedirlo.
Occorre innanzi tutto constatare che l’art. 9, n. 1, della direttiva 89/104 non contiene una definizione della nozione di «tolleranza», nozione che non è determinata neppure negli altri articoli di tale direttiva. Inoltre, quest’ultima non presenta alcun espresso rinvio al diritto degli Stati membri per quanto riguarda tale nozione.
Per costante giurisprudenza della Corte, l’applicazione uniforme tanto del diritto dell’Unione quanto del principio di uguaglianza esigono che una disposizione del diritto dell’Unione che non contiene alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri per quanto riguarda la determinazione del suo senso e della sua portata debba di norma dar luogo, in tutta l’Unione europea, ad un’interpretazione autonoma e uniforme da effettuarsi tenendo conto del contesto della disposizione stessa e dello scopo perseguito dalla normativa di cui trattasi (v., in particolare, sentenze 18 gennaio 1984, causa 327/82, Ekro, Racc. pag. 107, punto 11; 19 settembre 2000, causa C-287/98, Linster, Racc. pag. I-6917, punto 43, e 21 ottobre 2010, causa C-467/08, Padawan, Racc. pag. I-10055, punto 32).
Anche se, a tenore del terzo ‘considerando’ della direttiva 89/104, «non appare attualmente necessario procedere ad un ravvicinamento completo delle legislazioni degli Stati membri in tema di marchi di impresa», è pur vero che tale direttiva contiene un’armonizzazione relativa a norme sostanziali che rivestono un’importanza fondamentale in materia, vale a dire, secondo lo stesso ‘considerando’, norme relative a disposizioni nazionali che hanno un’incidenza più diretta sul funzionamento del mercato interno, e che detto ‘considerando’ non esclude che l’armonizzazione relativa a dette norme sia completa (sentenze 16 luglio 1998, causa C-355/96, Silhouette International Schmied, Racc. pag. I-4799, punto 23, e 11 marzo 2003, causa C-40/01, Ansul, Racc. pag. I-2439, punto 27).
Peraltro, il settimo ‘considerando’ della direttiva 89/104 ricorda che la «realizzazione degli obiettivi perseguiti [dal ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri] presuppone che l’acquisizione e la conservazione del diritto sul marchio di impresa registrato siano in linea di massima subordinate, in tutti gli Stati membri, alle stesse condizioni». Quanto al nono ‘considerando’ della stessa direttiva, esso recita che «è fondamentale, per agevolare la libera circolazione dei prodotti e la libera prestazione dei servizi, [fare in modo] che i marchi di impresa registrati abbiano [da ora in poi] negli ordinamenti giuridici di tutti gli Stati membri la medesima tutela». Infine, l’undicesimo ‘considerando’ della stessa direttiva afferma che «occorre, per ragioni di [certezza del diritto], e senza ledere ingiustamente gli interessi del titolare di un marchio di impresa anteriore, prevedere che questi non possa più richiedere la nullità ovvero opporsi all’uso di un marchio di impresa posteriore al proprio, qualora ne abbia coscientemente tollerato l’uso per un lungo periodo, tranne ove il marchio di impresa posteriore sia stato domandato in malafede».
Alla luce dei ‘considerando’ della direttiva 89/104, la Corte ha statuito che gli artt. 5-7 di tale direttiva procedono ad un’armonizzazione completa delle norme relative ai diritti conferiti dal marchio e definiscono in tal modo i diritti di cui godono i titolari dei marchi all’interno dell’Unione (sentenze Silhouette International Schmied, cit., punto 25; 20 novembre 2001, cause riunite da C-414/99 a C-416/99, Zino Davidoff e Levi Strauss, Racc. pag. I-8691, punto 39, nonché 3 giugno 2010, causa C-127/09, Coty Prestige Lancaster Group, Racc. pag. I-4965, punto 27).
Parimenti, si inferisce da tali ‘considerando’ che l’art. 9 della direttiva 89/104 procede ad un’armonizzazione completa delle condizioni alle quali il titolare di un marchio posteriore registrato può, nel contesto della preclusione per tolleranza, conservare il suo diritto su tale marchio quando il titolare di un marchio anteriore identico chiede la nullità o si oppone all’uso di tale marchio posteriore.
A questo proposito occorre rammentare che, secondo la giurisprudenza della Corte, dalle disposizioni della direttiva 89/104 e, in particolare, dal suo art. 9 emerge che essa è diretta, in maniera generale, a contemperare, da un lato, gli interessi del titolare di un marchio a salvaguardare la funzione essenziale di quest’ultimo e, dall’altro, l’interesse di altri operatori economici alla disponibilità di segni idonei a identificare i loro prodotti e servizi (sentenza 27 aprile 2006, causa C-145/05, Levi Strauss, Racc. pag. I-3703, punti 28 e 29).
È inoltre importante rilevare che la stessa nozione di «tolleranza» è utilizzata all’art. 54, n. 1, del regolamento (CE) del Consiglio 26 febbraio 2009, n. 207, sul marchio comunitario (GU L 78, pag. 1), nello stesso senso dell’art. 9, n. 1, della direttiva 89/104.
Orbene, il regime comunitario dei marchi rappresenta un sistema autonomo, costituito da un insieme di norme e che persegue obiettivi ad esso specifici, la cui applicazione resta indipendente da qualsiasi sistema nazionale (v. sentenze 25 ottobre 2007, causa C-238/06 P, Develey/UAMI, Racc. pag. I-9375, punto 65, nonché 16 luglio 2009, cause riunite C-202/08 P e C-208/08 P, American Clothing Associates/UAMI e UAMI/American Clothing Associates, Racc. pag. I-6933, punto 58).
Di conseguenza, la «tolleranza», nel senso dell’art. 9, n. 1, della direttiva 89/104, costituisce una nozione del diritto dell’Unione, il cui senso e la cui portata devono essere identici in tutti gli Stati membri. Pertanto, spetta alla Corte interpretarla in modo uniforme ed autonomo nell’ordinamento giuridico dell’Unione.
Riguardo alla prima questione, lett. b), il giudice del rinvio rileva che se, ai sensi dell’art. 9, n. 1, della direttiva 89/104, la nozione di «tolleranza» abbraccia le situazioni in cui il titolare di un marchio d’impresa non può impedire l’uso da parte di un terzo di un marchio d’impresa identico, l’Anheuser-Busch e la Budvar, nell’ambito della causa principale, avrebbero per forza di cose tollerato il reciproco uso del segno verbale «Budweiser» nel Regno Unito per più di 30 anni.
Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, la determinazione del significato e della portata dei termini per i quali il diritto dell’Unione non fornisce alcuna definizione va operata conformemente al loro senso abituale nel linguaggio corrente, tenendo conto al contempo del contesto in cui essi sono utilizzati e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essi fanno parte (v., in particolare, sentenze 10 marzo 2005, causa C-336/03, easyCar, Racc. pag. I-1947, punto 21; 22 dicembre 2008, causa C-549/07, Wallentin-Hermann, Racc. pag. I-11061, punto 17, e 29 luglio 2010, causa C-151/09, UGT-FSP, Racc. pag. I-7591, punto 39).
Inoltre, il preambolo di un atto comunitario è idoneo a precisare il contenuto di esso (v. sentenze 10 gennaio 2006, causa C-344/04, IATA e ELFAA, Racc. pag. I-403, punto 76, nonché Wallentin-Hermann, cit., punto 17).
Innanzi tutto, va detto che, nella maggior parte delle versioni linguistiche della direttiva 89/104, per designare la «tolleranza» viene utilizzata la stessa parola sia all’undicesimo ‘considerando’ sia all’art. 9, n. 1. La circostanza che la versione in lingua inglese impieghi i termini «tolerated» all’undicesimo ‘considerando’ e «acquiesced in» all’art. 9, n. 1, è irrilevante, dato che, come rileva il governo del Regno Unito nelle sue osservazioni scritte, l’uso della parola «tolerated» non implica un’interpretazione meno vincolante di tale art. 9, n. 1.
Si deve inoltre rilevare che nella lingua corrente il verbo «tollerare» possiede svariati significati, tra cui quello che coincide con «lasciar sussistere» o «non impedire».
La «tolleranza» si distingue pertanto dal «consenso», come contemplato all’art. 7, n. 1, della direttiva 89/104, che dev’essere espresso in modo che indichi con certezza la volontà di rinunciare a tale diritto (v. sentenza Zino Davidoff e Levi Strauss, cit., punto 45).
Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 70 delle conclusioni, con riferimento in particolare alle versioni in lingua danese e svedese dell’art. 9 della direttiva 89/104, colui che tollera si dimostra passivo, astenendosi dall’adottare le contromisure di cui dispone per rimediare ad una situazione di cui è a conoscenza e che non è necessariamente desiderata. In altre parole, la nozione di «tolleranza» implica che chi tollera resti inerte al cospetto di una situazione alla quale avrebbe la possibilità di opporsi.
Ai fini dell’art. 9, n. 1, della direttiva 89/104, questa nozione di «tolleranza» deve pertanto essere interpretata nel senso che non si può ritenere che il titolare di un marchio anteriore abbia tollerato l’uso in buona fede consolidato e di lunga durata, di cui era al corrente da lungo tempo, da parte di un terzo, di un marchio posteriore identico a quello di tale titolare qualora quest’ultimo non disponesse di nessuna possibilità di opporsi a tale uso.
Questa interpretazione è corroborata dal contesto dell’art. 9, n. 1, della direttiva 89/104 nonché dalle finalità di quest’ultima.
Da una parte, infatti, l’undicesimo ‘considerando’ di detta direttiva precisa che il titolare del marchio anteriore deve avere «coscientemente tollerato» l’uso di un marchio posteriore al suo per un lungo periodo, ossia «deliberatamente», «con cognizione di causa». Il medesimo ‘considerando’ specifica che occorre evitare di «ledere ingiustamente» gli interessi del titolare di un marchio anteriore. Orbene, come l’avvocato generale rileva al paragrafo 72 delle conclusioni, sarebbe ingiusto precludere al titolare del marchio anteriore la possibilità di richiedere la nullità o di opporsi all’uso di un marchio posteriore identico allorché egli non ha avuto la possibilità di farlo.
D’altra parte, come già esposto al punto 34 di questa sentenza, la direttiva 89/104 mira a contemperare gli interessi del titolare di un marchio d’impresa a salvaguardare la funzione essenziale di quest’ultimo con l’interesse di altri operatori economici alla disponibilità di segni idonei a identificare i loro prodotti e servizi. Tale finalità implica che, per salvaguardare tale funzione essenziale, il titolare di un marchio anteriore sia in condizione, nell’ambito dell’applicazione dell’art. 9, n. 1, di tale direttiva, di opporsi all’uso di un marchio posteriore identico al suo.
Occorre aggiungere che, come sottolineato dalla Commissione europea, qualsiasi ricorso amministrativo o giurisdizionale proposto dal titolare del marchio anteriore nel corso del periodo previsto dall’art. 9, n. 1, della direttiva 89/104 sortisce l’effetto di interrompere il termine di preclusione per tolleranza.
Alla luce delle considerazioni sin qui svolte occorre risolvere la prima questione, lett. a) e b), dichiarando che la tolleranza, nel senso dell’art. 9, n. 1, della direttiva 89/104, costituisce una nozione del diritto dell’Unione, e che non si può ritenere che il titolare di un marchio anteriore abbia tollerato l’uso in buona fede consolidato e di lunga durata, di cui era al corrente da lungo tempo, da parte di un terzo, di un marchio posteriore identico al suo, qualora non disponesse di alcuna possibilità di opporsi a tale uso.
Sulla prima questione, lett. c), e sulla seconda questione
Con la prima questione, lett. c), e con la seconda questione, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il termine di preclusione per tolleranza stabilito dall’art. 9, n. 1, della direttiva 89/104 possa cominciare a decorrere prima che il titolare del marchio anteriore ottenga la registrazione del suo marchio d’impresa e, in caso di soluzione affermativa, quali condizioni siano necessarie per far decorrere tale termine di preclusione.
In limine occorre rammentare che, come risulta dall’undicesimo ‘considerando’ della direttiva 89/104, la regola della preclusione per tolleranza sancita dall’art. 9 di tale direttiva è stata introdotta per considerazioni di certezza del diritto.
Dalla lettera dell’art. 9, n. 1, della direttiva 89/104 si evince che, per far decorrere il termine di preclusione per tolleranza in caso di uso di un marchio posteriore identico al marchio anteriore o talmente simile da creare confusione, devono essere soddisfatte quattro condizioni.
In primo luogo, dal momento che detto art. 9, n. 1, fa riferimento ad un «marchio d’impresa posteriore registrato», la registrazione di tale marchio nello Stato membro interessato costituisce una condizione necessaria. Pertanto, il termine di preclusione per tolleranza non può cominciare a decorrere a partire dal mero uso di un marchio posteriore, anche qualora il suo titolare in seguito abbia provveduto alla sua registrazione.
Per quanto attiene alla registrazione del marchio posteriore nello Stato membro interessato, va rilevato che il quinto ‘considerando’ della direttiva 89/104 precisa che gli «Stati membri mantengono (…) la piena libertà di fissare le disposizioni procedurali relative alla registrazione, alla decadenza o alla nullità dei marchi di impresa acquisiti in seguito a registrazione; che spetta loro, ad esempio, stabilire la forma delle procedure di registrazione e di nullità, decidere se debbano essere fatti valere diritti anteriori nella procedura di registrazione o nella procedura di nullità ovvero in entrambe, o ancora, qualora possano essere fatti valere diritti anteriori nella procedura di registrazione, prevedere una procedura di opposizione o un esame d’ufficio, ovvero entrambi; che gli Stati membri mantengono la facoltà di determinare gli effetti della decadenza o della nullità dei marchi di impresa».
In secondo luogo, il deposito del marchio posteriore da parte del titolare deve essere avvenuto in buona fede.
In terzo luogo, il titolare del marchio posteriore deve avvalersene nello Stato membro in cui esso è stato registrato.
In quarto luogo, il titolare del marchio anteriore deve essere al corrente della registrazione del marchio posteriore e dell’uso di tale marchio dopo la sua registrazione.
È compito del giudice del rinvio verificare se nella causa principale queste quattro condizioni necessarie per far decorrere il termine di preclusione per tolleranza siano soddisfatte.
Ciò detto, occorre aggiungere che la registrazione del marchio anteriore nello Stato membro interessato non costituisce una condizione necessaria affinché il termine di preclusione per tolleranza cominci a decorrere.
L’art. 9, n. 1, della direttiva 89/104 dispone infatti che il «marchio anteriore» è «[il marchio] di cui all’articolo 4, paragrafo 2» di tale direttiva. Orbene, ai sensi di quest’ultima disposizione, un marchio può essere considerato anteriore nonostante non sia stato oggetto di una registrazione, come nei casi delle «domande di marchi d’impresa (...) sotto riserva di registrazione» e dei marchi «notoriamente conosciuti», contemplati rispettivamente all’art. 4, n. 2, lett. c) e d), di detta direttiva.
La prima questione, lett. c), e la seconda questione vanno dunque risolte nel senso che la registrazione del marchio anteriore nello Stato membro interessato non costituisce una condizione necessaria per far decorrere il termine di preclusione per tolleranza sancito dall’art. 9, n. 1, della direttiva 89/104. Le condizioni necessarie per far decorrere tale termine, che devono essere verificate dal giudice nazionale, sono, in primo luogo, la registrazione del marchio posteriore nello Stato membro interessato; in secondo luogo, la circostanza che il deposito di tale marchio sia stato effettuato in buona fede; in terzo luogo, l’uso del marchio posteriore da parte del suo titolare nello Stato membro in cui è stato registrato e, in quarto luogo, la circostanza che il titolare del marchio anteriore sia al corrente che il marchio posteriore è stato registrato e viene usato dopo la sua registrazione.
Sulla terza questione
Con la terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 4, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 debba essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio anteriore può ottenere l’annullamento di un marchio posteriore identico che designa prodotti identici in caso di uso simultaneo in buona fede e di lunga durata di tali due marchi.
In limine, occorre rilevare che l’Anheuser-Busch contesta la ricevibilità di tale questione, adducendo che è fondata sull’erronea supposizione che il marchio Budweiser designi sia i suoi prodotti sia quelli della Budvar. L’Anheuser-Busch, inoltre, utilizzerebbe il marchio Budweiser, in quanto tale, sul mercato del Regno Unito, mentre la Budvar commercializzerebbe i suoi prodotti con i termini «Budweiser Budvar».
Tuttavia, secondo una costante giurisprudenza della Corte, le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale nel contesto normativo e di fatto che egli individua sotto la propria responsabilità, e del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di pertinenza (v. sentenze 16 dicembre 2008, causa C-210/06, Cartesio, Racc. pag. I-9641, punto 67; 7 ottobre 2010, causa C-515/08, dos Santos Palhota e a., Racc. pag. I-9133, punto 20, nonché 5 aprile 2011, causa C-119/09, Société fiduciaire nationale d’expertise comptable, Racc. pag. I-2551, punto 21).
Di conseguenza, la terza questione è ricevibile.
Per risolvere tale questione occorre ricordare che l’art. 4 della direttiva 89/104 definisce gli altri impedimenti alla registrazione o motivi di nullità in caso di conflitti relativi a diritti anteriori. Il n. 1, lett. a), di tale articolo dispone infatti che un marchio d’impresa registrato può essere dichiarato nullo se è identico a un marchio di impresa anteriore e se i prodotti o servizi per cui il marchio di impresa è stato registrato sono identici a quelli per cui il marchio di impresa anteriore è tutelato.
In proposito, il decimo ‘considerando’ della direttiva 89/104 recita che la tutela che è accordata dal marchio di impresa registrato e che mira, in particolare, a garantire la funzione d’origine del marchio di impresa, è assoluta in caso di identità tra il marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi.
Secondo la giurisprudenza della Corte, le condizioni per l’applicazione dell’art. 4, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 corrispondono in sostanza a quelle dell’art. 5, n. 1, lett. a), di tale direttiva, che individua i casi in cui il titolare di un marchio d’impresa è autorizzato a vietare a terzi di avvalersi di segni identici al suo marchio per prodotti o servizi identici a quelli per cui detto marchio è registrato (sentenza 20 marzo 2003, causa C-291/00, LTJ Diffusion, Racc. pag. I-2799, punto 41).
Pertanto, l’interpretazione da parte della Corte dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 s’applica anche all’art. 4, n. 1, lett. a), di quest’ultima, in quanto detta interpretazione è trasponibile, mutatis mutandis, a quest’ultima disposizione (v. sentenza LTJ Diffusion, cit., punto 43)
Orbene, dalla giurisprudenza della Corte risulta che il diritto esclusivo di cui all’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 è stato concesso al fine di consentire al titolare del marchio d’impresa di tutelare i propri interessi specifici quale titolare di quest’ultimo, ossia garantire che il marchio possa adempiere le sue proprie funzioni. L’esercizio di tale diritto deve essere pertanto riservato ai casi in cui l’uso del segno da parte di un terzo pregiudichi o possa pregiudicare le funzioni del marchio. Fra dette funzioni è da annoverare non solo la funzione essenziale del marchio consistente nel garantire ai consumatori l’origine del prodotto o del servizio, ma anche le altre funzioni del marchio, come quella di garantire la qualità del prodotto o del servizio di cui si tratti, o quelle di comunicazione, investimento o pubblicità (v., in particolare, sentenze 18 giugno 2009, causa C-487/07, L’Oréal e a., Racc. pag. I-5185, punto 58, nonché 23 marzo 2010, cause riunite da C-236/08 a C-238/08, Google France e Google, Racc. pag. I-2417, punto 77).
Occorre aggiungere che l’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 non richiede la prova dell’esistenza di un possibile rischio di confusione per il pubblico per concedere una tutela assoluta in caso di identità del segno e del marchio nonché dei prodotti o servizi (sentenza LTJ Diffusion, cit., punto 49).
Nel presente rinvio pregiudiziale, il giudice nazionale chiede lumi alla Corte in merito all’interpretazione dell’art. 4, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 quanto alla funzione essenziale del marchio d’impresa.
In questo contesto, da quanto precede risulta che tale disposizione deve essere interpretata dichiarando che un marchio posteriore registrato può essere dichiarato nullo se è identico a un marchio di impresa anteriore, i prodotti per cui il marchio di impresa è stato registrato sono identici a quelli per cui il marchio di impresa anteriore è tutelato e l’uso del marchio posteriore pregiudica o può pregiudicare la funzione essenziale del marchio consistente nel garantire ai consumatori l’origine dei prodotti.
Orbene, in questa fattispecie occorre constatare che l’uso da parte della Budvar del marchio Budweiser nel Regno Unito non pregiudica o non può pregiudicare la funzione essenziale del marchio Budweiser di cui l’Anheuser-Busch è titolare.
In proposito è opportuno rilevare che le circostanze che hanno originato la causa principale presentano un carattere eccezionale.
Infatti, in primo luogo, il giudice del rinvio rileva che l’Anheuser-Busch e la Budvar commercializzano entrambe nel Regno Unito le loro birre con il segno verbale «Budweiser» o con un marchio d’impresa che comprende tale segno da circa 30 anni prima della loro registrazione.
In secondo luogo, l’Anheuser-Busch e la Budvar sono state autorizzate a registrare congiuntamente e simultaneamente i loro marchi Budweiser in seguito ad una sentenza pronunciata dalla Court of Appeal (England & Wales), Civil Division, nel febbraio 2000.
In terzo luogo, dalla decisione di rinvio risulta anche che, se l’Anheuser-Busch ha presentato una domanda di registrazione del termine «Budweiser» come marchio d’impresa nel Regno Unito prima della Budvar, è altrettanto vero che entrambe le imprese utilizzano i loro marchi Budweiser in buona fede sin dall’origine.
In quarto luogo, come rilevato al punto 10 di questa sentenza, il giudice del rinvio ha constatato che, sebbene le denominazioni siano identiche, i consumatori del Regno Unito percepiscono chiaramente la differenza tra le birre della Budvar e quelle dell’Anheuser-Busch, in quanto il loro gusto, il loro prezzo e la loro presentazione sono sempre stati diversi.
In quinto luogo, dalla coesistenza di questi due marchi d’impresa sul mercato del Regno Unito si evince che, nonostante i due marchi fossero identici, le birre dell’Anheuser-Busch e della Budvar erano chiaramente identificabili come prodotte da imprese diverse.
Di conseguenza, come ha correttamente rilevato la Commissione nelle osservazioni scritte, l’art. 4, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 deve essere interpretato nel senso che, in circostanze come quelle della causa principale, l’uso simultaneo in buona fede e di lunga durata di due marchi d’impresa identici che designano prodotti identici non pregiudica o non può pregiudicare la funzione essenziale del marchio d’impresa, consistente nel garantire ai consumatori l’origine dei prodotti o dei servizi.
Si deve aggiungere che, qualora in futuro si verificassero comportamenti disonesti nell’uso dei marchi Budweiser, tale situazione potrebbe essere vagliata alla luce delle norme in materia di concorrenza sleale.
Alla luce delle osservazioni che precedono, occorre risolvere la terza questione dichiarando che l’art. 4, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 dev’essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio anteriore non può ottenere l’annullamento di un marchio posteriore identico che designa prodotti identici in caso di uso simultaneo in buona fede e di lunga durata di tali due marchi d’impresa quando, in circostanze come quelle della causa principale, tale uso non pregiudica o non può pregiudicare la funzione essenziale del marchio d’impresa, consistente nel garantire ai consumatori l’origine dei prodotti o dei servizi.
Sulle spese
Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:
La tolleranza, nel senso dell’art. 9, n. 1, della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, costituisce una nozione del diritto dell’Unione, e non si può ritenere che il titolare di un marchio anteriore abbia tollerato l’uso in buona fede consolidato e di lunga durata, di cui era al corrente da lungo tempo, da parte di un terzo, di un marchio posteriore identico al suo, qualora non disponesse di alcuna possibilità di opporsi a tale uso.
La registrazione del marchio anteriore nello Stato membro interessato non costituisce una condizione necessaria per far decorrere il termine di preclusione per tolleranza sancito dall’art. 9, n. 1, della direttiva 89/104. Le condizioni necessarie per far decorrere tale termine, che devono essere verificate dal giudice nazionale, sono, in primo luogo, la registrazione del marchio posteriore nello Stato membro interessato; in secondo luogo, la circostanza che il deposito di tale marchio sia stato effettuato in buona fede; in terzo luogo, l’uso del marchio posteriore da parte del suo titolare nello Stato membro in cui è stato registrato e, in quarto luogo, la circostanza che il titolare del marchio anteriore sia al corrente che il marchio posteriore è stato registrato e viene usato dopo la sua registrazione.
L’art. 4, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 dev’essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio anteriore non può ottenere l’annullamento di un marchio posteriore identico che designa prodotti identici in caso di uso simultaneo in buona fede e di lunga durata di tali due marchi d’impresa quando, in circostanze come quelle della causa principale, tale uso non pregiudica o non può pregiudicare la funzione essenziale del marchio d’impresa, consistente nel garantire ai consumatori l’origine dei prodotti o dei servizi.
Firme
* Lingua processuale: l’inglese.