Tali marchi “deboli”, caratterizzati da minore originalità, sono dunque tutelabili soltanto se riprodotti integralmente o imitati in modo molto prossimo. Invero, la funzione distintiva del marchio, a cui corrisponde un diritto di esclusiva in capo al titolare del segno, comporta che la tutela del marchio operi principalmente quando l’adozione di esso, o di un segno ad esso simile, da parte di un terzo, possa provocare un rischio di confusione o associazione per il pubblico, che produca appunto un pregiudizio per la sua funzione distintiva. Priva di pregio, stante quanto fin qui esposto, deve ritenersi la doglianza relativa al ritenuto erroneo rigetto da parte del giudice di prime cure della domanda di accertamento di concorrenza sleale.
azione di rivendica, nella qualità di co-inventore o inventore, di un brevetto per invenzione industriale, domanda di risarcimento del danno.
L’invenzione è brevettabile in quanto sia atta ad avere un’applicazione pratica industriale ovvero, come rammentato in dottrina, sia idonea a realizzarsi concretamente “in cose materiali” o “con mezzi materiali specifici”, requisiti che si esplicano nella c. d. “industrialità”. Appare allora evidente che quella dell’attore descrive una mera idea alquanto rudimentale che non consente di comprendere se essa sia idonea a realizzarsi concretamente nel mondo della tecnica, conseguendo un determinato risultato attraverso determinati mezzi; ciò che rivendica l’attore non gode di tali requisiti;C E evidente allora la distanza tra l’idea rudimentale dell’attore ed il brevetto sopra descritto. Il sistema brevettato da AB non si basa su uno scambio continuo e costante tra il sistema di molle, che costituirebbe il nucleo dell’idea inventiva dell’attore. Nel trovato dei convenuti le molle invero non si caricano e scaricano a vicenda ma vengono caricate dalla rotazione di un albero e rilasciano l’energia accumulata a favore del medesimo albero di rotazione. Ritiene quindi il Collegio che la conoscenza approssimativa di alcune parti del brevetto avversario da parte del Q sia del tutto omogenea alla ricostruzione della vicenda operata dai convenuti, ossia dall’osservazione esterna del prototipo predisposto da AA. Del resto, i video depositati dall’attore giocano un ruolo assolutamente neutro rispetto alla sua tesi, non essendo riscontrabili argomenti di prova che consentano di ricondurre l’invenzione all’attore.
Il maltitolo è un dolcificante, che è tradizionalmente utilizzato in forma di sciroppo, dal momento che ne è difficile la cristallizzazione: le forme cristalline o semi- cristalline, infatti, possono presentare vari problemi come la formazione di grumi, una cattiva scorrevolezza o una scarsa solubilità. Tale rivendicazione è caratterizzata da una specifica finalità di ottenimento dell’effetto tecnico soggiacente all’uso proposto, includendo come denotazione tecnica anche il raggiungimento di un determinato risultato (si vedano decisioni G2/88, G6/88, Guidelines C-VI 9.7, vedi AII. 18-1, 18-3, 19 della convenuta). Ed è proprio questa caratteristica a escludere che la rivendicazione del brevetto de quo sia equivalente alla rivendicazione di procedimento n.9 del medesimo brevetto, ritenuta, però, carente di novità dinanzi alla Divisione di Opposizione EPO (argomento proposto da C a sostegno dell’appello incidentale). Tale tipologia di brevetti ha, quindi, come requisito, una specifica oggettiva intenzionalità. Nel caso di specie ciò che contraddistingue l’uso del maltotriitolo rivendicato da R è la capacità di orientare la forma di cristallizzazione del maltitolo. Questo utilizzo dell’impurezza maltotriitolo consiste in un suo controllo attivo a una certa percentuale durante il procedimento di produzione del maltitolo. Il testo brevettuale deve essere interpretato alla luce dell’art. 52 CPI, che prevede, al secondo comma, che “i limiti della protezione sono determinati dal tenore delle rivendicazioni; tuttavia, la descrizione e i disegni servono a interpretare le rivendicazioni” e, al terzo comma, che “la disposizione del comma 2 deve essere intesa in modo da garantire nel contempo un'equa protezione al titolare e una ragionevole sicurezza giuridica ai terzi”. Dal testo normativo, si evince, come la descrizione sia un elemento fondamentale nell’interpretazione del brevetto per portare in maniera chiara e completa un’invenzione a conoscenza di terzi (Comma 2). Tuttavia, questa descrizione non si pone solo a vantaggio del titolare del brevetto, ma è essa stessa un limite al diritto di privativa. Quindi, il brevetto deve essere interpretato restrittivamente, alla luce di quanto risulta espresso dal titolare all’interno del testo, senza possibilità di ampliarne il significato.
Invero il marchio di fatto assume rilevanza nei rapporti commerciali e tra imprenditori solo dal momento in cui esso risulta effettivamente utilizzato per contraddistinguere un determinato prodotto o servizio e solo da tale momento esso può assumere un valore apprezzabile quale segno distintivo che può consentire l’attribuzione al soggetto che ne fa uso del potere di interdire i terzi dall’uso del medesimo segno ove esso abbia raggiunti idonei livelli di conoscenza e diffusione sul mercato. Nel caso di specie la fase meramente ideativa di esso – con particolare riferimento alla caratterizzazione grafica del segno, posto che i documenti prodotti al più si riferiscono alla ricerca di una stile grafico particolare ma nulla dicono quanto al soggetto che aveva ideato la parte denominativa del segno – non può avere dunque alcun rilievo al fine di riconoscere o meno in capo alla convenuta la titolarità di detto segno di fatto, sulla base del quale essa ha proceduto alla formale registrazione del medesimo sia in sede nazionale che in sede comunitaria. L’accoglimento delle domande di trasferimento del marchio nazionale e di nullità del marchio dell’Unione Europea risulta del tutto assorbente quanto alle ulteriori domande di decadenza svolte dalle parti attrici. Né sussistono altresì i presupposti per procedere alla quantificazione di un risarcimento del danno in relazione alle violazioni innanzi accertate, posto che nessun concreto elemento di valutazione appare rinvenibile negli atti del procedimento.
Il semplice uso, in sé e per sé considerato, non è idoneo a produrre l’effetto acquisitivo del diritto su un marchio di fatto, essendo a tal fine necessario che l’uso si traduca nella cosiddetta notorietà “qualificata" del segno nel mercato, ovvero nella percezione del segno da parte dei consumatori come distintivo dei beni da esso contraddistinti. Nella fattispecie la prova di tale percezione – che era onere delle C fornire – non si può desumere dalle modalità concrete di impiego dei segni interessati. [...] • Da tali significativi e concordanti elementi pare ragionevole ritenere che i consumatori del settore delle autovetture abbiano considerato come identificativo del nuovo modello il segno 5 P, avendolo percepito come autonomo e distinto dal segno ContiSportContact™, identificativo della già nota linea di pneumatici sportivi estivi. [...] • Deve quindi ritenersi corretta la statuizione del Tribunale: il marchio P5 va infatti considerato un segno “difensivo", in quanto rafforza la protezione, anche rispetto alla contraffazione per associazione, sia dei marchi P6 e P7, dei quali ha la stessa struttura alfanumerica, sia del marchio P5000, con il quale ha in comune la lettera e il primo numero. [...] • La produzione di documenti con i quali le appellate hanno provato che il marchio generale P scritto con la P maiuscola allungata è ampiamente usato, da lungo tempo e anche per prodotti di settori merceologici diversi dagli pneumatici, non è pertanto rilevante ai fini dell’accertamento della contraffazione. In relazione alla loro struttura, costituita semplicemente dalla lettera P seguita da un numero arabo di volta in volta diverso, i marchi P+numero sono, di per sé, dotati di modesto carattere distintivo, considerato che nel settore automobilistico sono comunemente utilizzate le combinazioni alfanumeriche per identificare alcune caratteristiche dei prodotti. L’acquisto di una forte capacità distintiva attraverso l’uso doveva essere provato in relazione a ciascuno di essi. [...] • Al fine della sussistenza di tale rischio di confusione, occorre tuttavia che, da un lato, sia provato l’uso di un numero sufficiente di marchi in grado di costituire una “famiglia" o una “serie" e, dall’altro lato, che il consumatore individui un elemento comune in tale famiglia o serie di marchi e associ a tale famiglia o serie un altro marchio contenente il medesimo elemento comune. [...] • Anche i marchi PZERO, il cui uso è documentato dai cataloghi P, non appare idoneo a far ritenere che detto segno sia ricompreso nella serie P+numeri, perché il numero ZERO scritto in lettere, che è l’elemento dominante del segno, appare eterogeneo rispetto ai numeri arabi. [...] • Manca però la prova della frequenza e rilevanza dell’uso dei marchi P in Italia e nel territorio comunitario negli ultimi anni. [...] • Non ricorrono pertanto i presupposti per ritenere né la rinomanza, né una particolare forza distintiva di alcuno dei marchi P+numero all’epoca in cui la domanda di contraffazione è stata proposta. [...] • In particolare, gli pneumatici sono accessori di essenziale importanza per garantire una guida sicura del veicolo e per conferire allo stesso un particolare valore estetico. [...] • Un consumatore attento non può non cogliere le differenze visive e strutturali determinata dall’inversione della lettera e del numero presenti nel segno 5P rispetto alla lettera e ai numeri presenti nei suddetti marchi di P. Anche le differenze fonetiche sono rilevanti, dato che i due segni che più si assomigliano, in quanto contengono entrambi il numero 5, si pronunciano rispettivamente come “p-i-c-i-n-q-u-e" e “c-i-n-q-u-e-p-i". [...] • Per tutte le considerazioni fin qui svolte, assorbenti rispetto a ogni altra domanda, eccezione o questione avanzata e trattata dalle parti, tutte le domande di contraffazione e di concorrenza sleale e quelle consequenziali di inibitoria e risarcimento danni proposte dalle P devono essere rigettate, in accoglimento dell’appello principale proposto dalle C e dell’appello incidentale proposto dal AC.[...]
contraffazione, brevetto europeo, concorrenza sleale, inibitoria, distributore, risarcimento dei danni, brevetto per invenzione, giudizio di merito, corrispondenza contabile, compenso, protezione del brevetto, pubblicità, singole parti, concessione del brevetto
La limitazione così apportata al testo del brevetto, secondo il CTU, supererebbe i rilievi di carenza di novità già svolti rispetto al testo originario del brevetto non rilevandosi nei documenti anteriori depositati alcuna identica descrizione. 4. L’esame di validità si è dunque concentrato sulla sussistenza di altezza inventiva del trovato. [...] • IL CTU ha ritenuto che, seppure tale caratteristica richiami la valutazione di un parametro inevitabilmente soggettivo difficilmente quantificabile o rilevabile con esattezza, la descrizione del brevetto sia sufficientemente chiara nella prospettazione del concetto, laddove afferma che il termine “sapore pulito" significa che quando il composto oggetto dell’invenzione è addizionato ad un alimento o mangime in quantità adatte, “qualsiasi particolare sapore e/o nota, tipica del microrganismo da cui la composizione è ottenuta, e qualsiasi sapore o nota tipo brodo, minestra o simile, proveniente dal microrganismo, è minima o assente in detto cibo o mangime" (par. 0040). [...] • Tuttavia ha ritenuto il CTU che tali indicazioni – nel loro contesto originario - non fossero sufficienti per il tecnico del ramo per comprendere chiaramente il problema alla base della soluzione rivendicata nella forma limitata del brevetto proposta, al fine di orientarlo specificamente verso tale soluzione, che nel testo originario era inserita tra le tante alternative possibili. [...] • Il CTU ha altresì verificato se qualche indicazione sulla soluzione rivendicata in sede di limitazione fosse offerta dagli esempi del brevetto in causa, così come sostenuto dalle parti attrici. [...] • La sola circostanza che, trattandosi di rivendicazione di processo, essa descriva un procedimento connotato da maggiore semplicità non appare invero sufficiente al fine di poter ritenere valida detta rivendicazione, posto che l’ottenimento del sapore pulito sarebbe comunque caratteristica necessaria – in quanto esplicitamente presente nella rivendicazione – per confermare l’altezza inventiva della soluzione, a prescindere da ogni ulteriore valutazione delle anteriorità che potrebbero investire la stessa sequenza del procedimento (brevetto statunitense 4 623 723; brevetto statunitense 17 8. [...] • Le osservazioni critiche svolte dalle parti attrici rispetto alle valutazioni svolte dal CTU non risultano tali da poter pregiudicare la coerenza e l’aderenza alla documentazione in atti delle conclusioni raggiunte. [...] • In buona sostanza dette osservazioni risultano inidonee ad incrinare il chiaro contenuto dei rilievi del CTU, essendo di fatto limitate a contestare con affermazioni contrarie e con l’evidenziazione di singole parti del testo brevettuale i rilievi che investono nel suo complesso detto testo. L’insistenza sulla menzione della forma di attuazione descritta nella originaria riv. 1 e poi enucleata nella forma modificata della stessa rivendicazione come già prevista come “più preferita" appare invero del tutto insensibile alle articolate valutazioni del CTU che hanno evidenziato plurimi profili di contraddittorietà e quindi di obbiettiva incertezza che caratterizzano il trovato stesso oltre a non considerare la sostanziale arbitrarietà – in quanto non associata all’indicazione di uno specifico ed ulteriore effetto tecnico atto a differenziare lo specifico intervallo individuato da quelli contestualmente proposti nella originaria riv. 3 – della scelta limitativa operata, in un contesto che aveva già visto il CTU valutare negativamente l’originaria formulazione sia in quanto anticipata sia in quanto inidonea ad indicare effettive alternative brevettuale o fornire eventuali conferme rispetto ad aspetti non contenuti nel titolo stesso. [...] • Quanto all’illecito concorrenziale relativo all’autoattribuzione da parte di PROSOL s.p.a. della qualità di unica società occidentale specializzata nella produzione e lavorazione di derivati dell’RNA che risulterebbe presente sul video diffuso su You Tube (doc. 25 fasc. attr. ), deve rilevarsi che il tenore delle affermazioni ivi rilevabili non pare eccedere l’ambito di normale liceità del messaggio pubblicitario, posto che non appare contestato che esse sono accompagnate da ulteriori affermazioni che pongono la stessa PROSOL s.p.a. in un contesto in cui più soggetti nel mondo provvedono alla produzione e lavorazione dell’RNA. In tale contesto l’elevata specializzazione dei soggetti cui detti messaggi sono rivolti non pare poter indurre la convinzione effettiva ed ingannevole dell’unicità della P s.p.a. nello specifico e specialistico campo di attività legato alla produzione e lavorazione dell’RNA. [...] • Alla soccombenza del tutto prevalente segue la condanna delle parti attrici alla rifusione delle spese processuali in favore della convenuta nei limiti stabiliti in dispositivo nonché delle spese di consulenza tecnica nella misura già liquidata in corso di causa e dei consulenti di parte della società convenuta nei limiti di quanto liquidato in favore del CTU.[...]
Il marchio in questione era collegato ad un omonimo prodotto assicurativo proposto agli Sci Club, CAI e Associazioni Sportive, al fine di tutelare i loro associati da sinistri occorsi durante l’attività sciistica. [...] • I detti segni, registrati ed utilizzati per la stessa classe di servizi, sono estremamente simili, distinguendosi, dal punto di vista fonetico, solo per la mancanza nel segno della convenuta di una vocale. [...] • La prova assunta nel giudizio di contestazione del preuso è altresì in contrasto con la prova assunta dalla parte prima dell’instaurazione del giudizio allorché negava non il preuso ma la diffusione limitata a suo dire alle regioni Lombardia e Piemomte (doc. 7 attore). [...] • L’accertamento del preuso da parte della convenuta del marchio sci sicuro determina il diritto da parte della convenuta Assilife alla prosecuzione della sua utilizzazione all’interno del territorio in cui è stato diffuso e quindi la liceità del suo uso. L’uso precedente del segno, anche qualora non importasse notorietà o rappresentasse una notorietà puramente locale ( ma così non è nel caso di specie), conferirebbe al preutente il diritto di continuare l’uso, nei limiti in cui se ne è valso ( cfr art 12 CPI e art. 2751 c.c. ). 9. [...] • Il preuso è distruttivo della novità del segno quando è notorio ai consumatori come segno utilizzato per prodotti o servizi dello stesso genere. A tale fine non è necessaria una notorietà diffusa a tutto il territorio nazionale, ma è sufficiente che non sia meramente locale. [...] • La nullità del marchio ScioSICURO, per difetto di novità, rende superfluo l’esame dell’invocata fattispecie della nullità per malafede, nonché l’eccezione di decadenza formulata dalla convenuta. [...] • Ai sensi dell’art. 28 CPI, il titolare di un diritto di preuso che importi notorietà non puramente locale, il quale abbia, durante cinque anni consecutivi, tollerato, essendone a conoscenza, l'uso di un marchio posteriore registrato uguale o simile, non può domandare la dichiarazione di nullità del marchio posteriore né opporsi all'uso dello stesso, salvo il caso in cui il marchio posteriore sia stato domandato in mala fede. [...] • Per consolidato orientamento giurisprudenziale, la pronuncia di condanna generica al risarcimento del danno presuppone soltanto l'accertamento di un fatto potenzialmente produttivo del danno, rimanendo l'accertamento della concreta esistenza dello stesso riservato al giudice della liquidazione, che potrebbe eventualmente anche negare la sussistenza del danno, senza che ciò comporti alcuna violazione del giudicato formatosi sull'"an" ( Cass. n 15595/2014; 24002/11; 15335/12 ).[...]
concorrenza sleale, inosservanza, mala fede, pagamento di un indennizzo, inibitoria, contraffazione, prezzo, rilascio della documentazione, ordine di ritiro, risarcimento dei danni, pubblicazione della sentenza, pubblicità, carattere individuale, acquisto, caratteristiche dei prodotti, marchi di forma, divieto, aspetti pertinenti, diritti del titolare, danno morale, ordinanza cautelare
Come è noto, il primo requisito è di non identità rispetto alle anteriorità rilevanti, da considerarsi l’una isolatamente dall’altra e confrontate con la privativa azionata, per valutare se sussista un’ oggettiva identità di forme, essendo sufficiente anche un modesto gradiente di differenziazione per la sussistenza della novità. Quanto al requisito principale di protezione, cioè il carattere individuale, è ormai pacifico che lo stesso, introdotto dalle riforme normative imposte dall’ adeguamento alla direttiva CE 98/71, risulta assai meno pregnante rispetto a quella vera e propria potenzialità di far evolvere il gusto richiesta dalla normativa previgente (“speciale ornamento"), sicchè l’ ambito delle forme tutelabili ne risulta ampliato a tutte quelle che presentano una originalità estetica che possa da sola orientare le scelte di acquisto del consumatore finale. Il “carattere individuale" presuppone infatti che la forma sia distinguibile sul mercato per l’ utilizzatore informato, che -nel campo che ci occupa- è rappresentato da quell’ acquirente finale sensibile alle forme dei prodotti e che possiede una conoscenza del settore merceologico di riferimento, in quanto attento alle novità del mercato. Siffatto utilizzatore, se non coincide con il professionista del settore, è comunque titolare -grazie alle informazioni che possiede, riguardanti i modelli anteriori e l’evoluzione del settore stesso- di elevate capacità, che gli consentono di rilevare compiutamente le differenti caratteristiche dei prodotti. [...] • Trattandosi di prodotti con limitazioni indotte da esigenze funzionali, e quindi con ridotto margine di differenziazione, è necessario che l’ impressione di insieme offerta dal modello susciti in un siffatto consumatore un’impressione di evidente dissomiglianza rispetto alle anteriorità rilevanti. Inoltre la forma protetta deve avere un livello di individualità tale non solo da attirare l’ attenzione del consumatore, ma anche da costituire motivo di preferenza per l’ acquisto. Spetta al registrante, laddove la registrazione, come d’ uso, non sia accompagnata da rivendicazioni specifiche, allegare gli elementi che conferiscono al disegno/ modello siffatto carattere individuale –così definendo i confini della privativa- mentre è onere di chi sia convenuto in contraffazione la rigorosa prova della carenza di entrambi i requisiti, offrendo al giudice un panorama dei modelli e prodotti presenti sul mercato, che consenta un’adeguata valutazione della privativa e comunque la definizione dei suoi confini. [...] • Tuttavia, proprio dalle produzioni documentali della convenuta emerge come tale tipologia sia stata poi oggetto di una molteplicità di interpretazioni, ciascuna dotata di elementi di originalità ed individualità, tali da essere riconosciute dissimili dall’utilizzatore informato e costituire ragione per orientarne l’acquisto. [...] • L’effetto complessivo di siffatte lavorazioni è tale da ingenerare nel consumatore informato un’impressione di evidente dissomiglianza. [...] • In presenza di dissomiglianze tali, nella forma di insieme, da essere percepite e valutate dall’utilizzatore informato ai fini dell’acquisto, pare di dovere disattendere anche l’ulteriore doglianza di non registrabilità per preminenza delle caratteristiche funzionali dell’aspetto del prodotto registrato. [...] • Può quindi procedersi alla valutazione della dedotta contraffazione, considerando se il carattere individuale -cioè l’ impressione di insieme prodotta nel consumatore informato- dei due modelli (quello registrato e quello della calzatura contestata) coincida o comunque presenti differenze impercettibili (soprattutto ad una comparazione non contestuale), oppure se se ne discosti adeguatamente. [...] • Né vale ad escludere la contraffazione la circostanza che i predetti elementi siano ripresi su un prodotto imitativo in materiale meno pregiato e contrassegnato da altro segno denominativo -che secondo la convenuta eviterebbe qualsiasi rischio di confusionetrattandosi non di imitazione servile, bensì di sfruttamento indebito di linee stilistiche di per sé oggetto di privativa per modello, indipendentemente dai materiali utilizzati.[...]
marchi, contraffazione, marchio registrato, risarcimento dei danni, inibitoria, pubblicità, titolare del marchio, uso del segno, pubblicazione della sentenza, notorietà, divieto, rischio di associazione, commerciante, preutente, concorrenza sleale, vendita diretta, mala fede
Pertanto, di per sé siffatta dicitura non può costituire il cuore di un segno, in quanto, se non accompagnata da elementi di differenziazione, incontrerebbe ab origine il divieto di registrabilità di cui all’art. 13 CPI, consistendo esclusivamente dall’indicazione descrittiva della funzione e destinazione del prodotto, perfettamente percepibile dal consumatore medio, anche di scarsa formazione culturale. [...] • In altri termini, la finalità della norma (una delle prime definizioni del punto di equilibrio necessario tra le contrapposte esigenze dei monopoli legittimi e della libertà di concorrenza) è quella di impedire che si crei un diritto di esclusiva su parole, figure o segni che nel linguaggio comune sono collegate o collegabili al tipo merceologico, che debbono rimanere patrimonio comune onde evitare ogni ingiustificato ostacolo ai concorrenti, mediante la trasformazione dell’esclusiva sul segno in monopolio di fabbricazione. Se i segni di titolarità delle contendenti appaiono entrambi connotati da una rilevante espressività, che se non descrive il prodotto in sè, si riferisce direttamente al suo uso per il trattamento dell’ipoacusia, ne consegue che l’elemento su cui si concentra l’attitudine individualizzante, in grado di far svolgere ai marchi qui contrapposti la loro funzione di indicatore di provenienza da una precisa realtà imprenditoriale, va individuato nei suffissi che accompagnano “audi”, che sono di mera fantasia (non essendo corrispondente al vero che “audium” abbia di per sé un significato nella lingua latina). Si tratta quindi di segni indubbiamente “deboli”, caratteristica di cui deve tenersi conto nel raffronto tra loro, sia in astratto che globalmente, con riguardo anche all’ uso concreto, ai fini di considerare la loro confondibilità nel giudizio del pubblico. [...] • A fronte di tali caratteristiche differenzianti, esaminate globalmente, in astratto ed in concreto, pare possa escludersi il rischio di una effettiva confondibilità per il pubblico ex art. 12 lett. b) CPI ed ex art. 20 lett. b) CPI, anche sotto il profilo del rischio di associazione. [...] • La dedotta rinomanza del marchio attoreo non risulta tempestivamente allegata nell’atto introduttivo e comunque non sarebbe comprovata dalla documentazione prodotta, che evidenzia le tipiche pubblicità cui ricorre un commerciante presente al livello locale (sia pure nella più grande ed importante città del paese): cartellonistica stradale, inserzioni sulle pagine locali di quotidiani e sulle “Pagine Gialle”. [...] • Concorrenza sleale Le conclusioni cui si è pervenuti in tema di non interferenza dei marchi delle convenute rispetto a quello attoreo, escludono che il loro uso possa essere considerato illecito ex art. 2598 n. 1 c.c. [...] • Come è noto, “ai fini dell’ identificazione della causa petendi posta alla base della domanda non rilevano tanto le ragioni giuridiche addotte a fondamento della pretesa avanzata in giudizio, bensì l’ insieme delle circostanze di fatto che la parte pone a base della propria richiesta, sicchè è compito precipuo del giudice la corretta identificazione degli effetti giuridici scaturenti dai fatti dedotti in causa” ( Cass. 4598/07 ). Più specificamente, appartenendo quelli risarcitori alla categoria dei diritti c.d. eteroindividuati, la relativa fonte deve essere compiutamente definita. [...] • In questa seconda ipotesi, infatti, vengono dedotti diritti che richiedono, quale indispensabile elemento di valutazione, l’ allegazione dei fatti costitutivi sui quali essi si fondano”(secondo il sempre imprescindibile insegnamento di Cass. 4712/96 ). Quindi ogni mutamento ed inserimento di nuovi fatti determina un radicale mutamento della causa petendi, che non è ammissibile in corso di causa. [...] • Avendo l’attrice allegato l’illiceità concorrenziale sotto il profilo della fattispecie confusoria ex art. 2598 n. 1 (“atti idonei a creare confusione con i prodotti e le attività di un concorrente”), sarebbe stato necessario che l’attrice dimostrasse l’efficacia in qualche modo “individualizzante” e diversificatrice delle condotte asseritamente imitate rispetto ad altre simili.[...]
pubblicazione della sentenza, contraffazione, concorrenza sleale, marchi, inibitoria, rischio di confusione, rischio di associazione, uso del segno, pubblico interessato, diritto esclusivo, pubblicità, buona fede, corrispondenza commerciale, marchio registrato, notorietà, particolare del marchio, divieto
Siffatta scelta può determinare innanzitutto ex art. 20 lett. b) CPI un rischio di confusione sulla provenienza dei beni, anche e soprattutto sotto il profilo del rischio di associazione, inteso come probabile errore del pubblico circa l’ esistenza di rapporti contrattuali o di gruppo fra il titolare e il secondo registrante. [...] • Le norme comunitarie (e poi quelle nazionali) hanno inteso tutelare il diritto esclusivo sul segno come elemento attrattivo e comunicazionale, impedendone l’ appropriazione ogni volta che questa possa determinare, in via alternativa, un indebito vantaggio per l’ usurpatore o in pregiudizio al titolare. Esistono vari livelli di rinomanza, che va dai segni noti alla generalità della popolazione a quelli solo largamente accreditati presso un segmento del pubblico dei consumatori, cui si accompagnano diverse estensioni della tutela, al di là dell’ ambito merceologico e del rischio di confusione in senso stretto (dovendo ritenersi sufficiente un ingiustificato agganciamento, che consenta di collocarsi sul mercato sfruttando le valenze evocative del segno rinomato). Il diverso livello di rinomanza incide sull’ onere della prova, ben potendo -in caso di segni notori, quali quello che ci occupa- farsi ricorso anche alle nozioni di comune esperienza. Infine, va ricordato che, per il principio di unitarietà dei segni distintivi di cui all’art. 22 CPI è vietato adottare come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna o nome a dominio aziendale un segno uguale o simile all’altrui marchio se possa determinarsi quel medesimo rischio di confusione del pubblico o quell’approfittamento, con conseguente pregiudizio, di cui all’art. 20 CPI. [...] • L’accordo transattivo deve essere interpretato secondo le regole di cui all’art. 1362 e segg. c.c., ricordando che i criteri legali di ermeneutica contrattuale sono governati da una gerarchia interna. [...] • Spetterà quindi alle odierne parti attrici, in caso di contestazione, offrire la rigorosa prova che in quella specifica circostanza non era possibile, per la normativa specifica di settore, utilizzare altra indicazione, quali appunto i marchi, che comunque consentisse di risalire all’impresa produttrice/commercializzatrice. Certamente, la generalità dell’uso di una denominazione sociale così interferente non può farsi discendere in via generale dalla normativa del Codice del Consumo (D. lvo 206/05), in particolare gli artt. 6 e 22, laddove si prevede il contenuto minimo della comunicazione che i consumatori devono ricevere. Infatti, le disposizioni richiamate equiparano il marchio alla ragione sociale del produttore e tale indicazione è sufficiente ad evitare l’ingannevolezza di cui all’art. 22, contenendo tutte le informazioni rilevanti di cui un consumatore medio ha bisogno per prendere una decisione consapevole. [...] • Anche l’utilizzazione della ragione sociale del produttore e/o commercializzatore sui siti di titolarità degli attori deve essere fatta al mero fine di informazione nel contesto di una descrizione narrativa dei prodotti forniti e della loro origine produttiva, senza il ricorso a caratteri speciali o di particolare evidenza e sempre accompagnata dal chiarimento, come indicato nell’accordo al punto 7, che non vi sono rapporti con la GV s.p.a. Va infine chiarito, come l’accordo autorizzi solo l’uso della denominazione sociale, dovendo ritenersi esclusi gli altri usi interferenti indicati dall’art. 22 CPI, quali la ditta, l’insegna, il nome a dominio aziendale. [...] • Siffatto uso della denominazione della ricorrente, il cui cuore identificativo è certamente rappresentato dal patronimico VERSACE, eccedeva certamente le esigenze di rispetto della normativa comunitaria e di quella posta a tutela dei consumatori, al fine di rendere identificabile il produttore, e rappresentava una forma di utilizzazione quale segno distintivo in senso stretto, in contrasto con gli accordi transattivi invocati, come tale da ritenersi di natura contraffattiva ex art. 20 lett. b) e c) CPI.[...]