Documents - 12 citing "REGIO DECRETO 28 ottobre 1940, n. 1443 - Article 190"

giudizio di merito, contraffazione, uso del segno, marchi, divieto, inibitoria, marchio registrato, giudizio ordinario, provvedimenti cautelari, pubblicità
Occorre infatti ricordare che, nella interpretazione della norma fornita dalla Corte di Giustizia è chiarito che l’espressione “luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire” riportata nella norma citata concerne sia il luogo in cui il danno si è concretizzato sia il luogo del fatto generatore di tale danno, cosicché il convenuto può essere citato, a scelta del ricorrente, dinanzi ai giudici di entrambi i luoghi in parola” (sentenza eDate Advertising e a. del 25 ottobre 2011 in causa C-509/09 e C-161/2010). Il provvedimento cautelare tedesco dunque può ritenersi, anche alla luce del richiamato principio di territorialità, avere di fatto operatività limitata al territorio tedesco e, conseguentemente, inidoneità alla circolazione al di fuori di detto territorio. Non configurandosi litispendenza, ne risulta assorbita anche l’eccezione di incompetenza fondata sull’art. 29.3. del Reg. , che presuppone appunto l’operatività dell’istituto della litispendenza. 3 Art. 2 Reg 1215/2012: “Ai fini del presente regolamento s’intende per: «decisione»: a prescindere dalla denominazione usata, qualsiasi decisione emessa da un’autorità giurisdizionale di uno Stato membro, compresi un decreto, un’ordinanza, una decisione o un mandato di esecuzione, nonché una decisione relativa alla determinazione delle spese giudiziali da parte del cancelliere Ai fini del capo III, la «decisione» comprende anche i provvedimenti provvisori e cautelari emessi da un’autorità giurisdizionale competente a conoscere nel merito ai sensi del presente regolamento. Essa non comprende i provvedimenti provvisori e cautelari emessi da tale autorità giurisdizionale senza che il convenuto sia stato invitato a comparire, a meno che la decisione contenente il provvedimento sia stata notificata o comunicata al convenuto prima dell’esecuzione; 8.
contraffazione, concorrenza sleale, marchio registrato, inibitoria, danno morale, inosservanza, pubblicazione della sentenza, Marchi, risarcimento del danno, registrazione del marchio, preuso, diritto di vietare ai terzi, identità o somiglianza, rischio di confusione, rischio di associazione
Infine, viene rilevata la genericità e l’indeterminatezza, oltre che l’infondatezza della domanda risarcitoria. Ai sensi dell’art.20 lettera b) c. p. i. , il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell'attività economica un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell'identità o somiglianza fra i segni e dell'identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni. Nel caso di specie, il giudizio sulla confondibilità tra i due segni non può prescindere dalla considerazione che il tipo di consumatore destinatario della pubblicizzazione del marchio è il medesimo, essendo entrambi rivolti al settore sposi e matrimonio nella medesima provincia di Como. Riguardo a tale produzione, nessuna contestazione ha sollevato la convenuta, così come nulla ha eccepito in relazione alla produzione documentale della controparte (docc.28- 30) che dimostra che la polizia locale di XXX ha elevato una contravvenzione per affissione abusiva di cartelloni pubblicitari, inviando, per errore, a T s. r. l. la relativa sanzione a causa della confusione del marchio “COMO SPOSI” con il marchio “VIVA GLI SPOSI”. Per tutte le considerazioni che precedono, la lamentata contraffazione del marchio dell’attrice deve pertanto ritenersi provata. Anche in ipotesi concorrenziali, ove si suole dire che il danno sarebbe “in re ipsa” e da valutare equitativamente ex art. 1226 c. c. , la parte che invoca il risarcimento è comunque onerata di svolgere quelle deduzioni che possono conferire concretezza alla specifica pretesa di quantificazione, fornendo al giudice una base sulla quale esprimere la propria valutazione (cfr. Cass. 18748/10).
mala fede, Marchi, contraffazione, concorrenza sleale, uso del segno, inosservanza, risarcimento del danno, rischio di confusione, notorietà, uso effettivo, pubblicità, registrazione del marchio, preuso, preutente, diritto alla registrazione, marchio registrato
Analoghe considerazioni possono svolgersi con riferimento alla denominazione sociale ASER. Alla norma può quindi darsi il significato di accordare (una anticipata) tutela a chi, pur avendo già destinato il segno a fungere come proprio marchio, non vi abbia ancora provveduto e, viceversa, di negarla a chi, avendo conoscenza di tale destinazione, frapponga ostacoli, in mala fede, appunto a tale “programma” depositando a proprio nome l’”altrui” segno. Tanto premesso, va quindi osservato nel caso di specie in primo luogo che, in conformità della stessa prospettazione della parte attrice e per come effettivamente accertato nei punti che precedono la società è titolare di un diritto (seppure concorrente) sul segno “ASER”, per l’attività di servizi funebri e limitatamente al territorio delle province di Ravenna e Faenza. Sicché la situazione soggettiva della società A non può qualificarsi in termini di legittima aspettativa alla registrazione del marchio ASER per servizi relativi al settore delle onoranze funebri (il segno peraltro sarebbe stato utilizzato ininterrottamente dal 2006). E tale aspettativa non si configura per la società attrice neanche con riferimento all’utilizzo del segno non limitato alle province di Ravenna e Faenza, non essendovi traccia di tale prospettazione nell’atto introduttivo. dunque non ricorrono i presupposti della tutela richiesta. Con riferimento alla seconda ipotesi (appropriazione di pregi) può senz’altro ritenersi la carenza della allegazione, non essendo stati specificamente allegati i pregi la cui appropriazione da parte delle società convenute consentirebbe di integrare illecito. Qualora il pregio fosse invece costituito proprio dal segno, le conclusioni non potrebbero divergere da quanto osservato al punto che precede.16.
Declaratoria di decadenza parziale di marchio registrato
In materia di decadenza del marchio per non uso, chi invoca il fatto negativo estintivo del diritto ha l’onere di provare la mancata utilizzazione del segno. Conformemente al costante orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, l'onere della prova gravante su chi agisce (o resiste) in giudizio non subisce deroghe nemmeno quando abbia ad oggetto fatti negativi. L’ammissibilità della prova presuntiva è, peraltro, anche espressamente prevista nell’art. 121.1. CPI, ai sensi del quale “La prova della decadenza del marchio per non uso può essere fornita con qualsiasi mezzo comprese le presunzioni semplici”. La giurisprudenza e la dottrina hanno individuato, a titolo esemplificativo, i seguenti elementi presuntivi del non uso del marchio: - l’assenza del marchio e dei relativi prodotti nei listini pubblicati da un’associazione di categoria; - l’assenza del marchio e dei relativi prodotti nei cataloghi dell’impresa titolare della privativa; - il fatto che il settore merceologico per il quale il marchio è stato registrato sia notevolmente distante dall’oggetto sociale della società titolare della registrazione; - l’assenza del segno dal sito web della convenuta; -la mancanza di risultati tramite ricerche per parole chiave su Google e tramite ricerche sul sito www. archive. org. Alla luce degli elementi di prova emersi, va pertanto dichiarata la decadenza del marchio avversario, per non uso negli ultimi cinque anni, in applicazione del combinato disposto dagli artt. 235 e 47 R. D. 929/1942, nonché 26(c), 24 e 27 CPI.6.
Marchio
Il semplice uso, in sé e per sé considerato, non è idoneo a produrre l’effetto acquisitivo del diritto su un marchio di fatto, essendo a tal fine necessario che l’uso si traduca nella cosiddetta notorietà “qualificata" del segno nel mercato, ovvero nella percezione del segno da parte dei consumatori come distintivo dei beni da esso contraddistinti. Nella fattispecie la prova di tale percezione – che era onere delle C fornire – non si può desumere dalle modalità concrete di impiego dei segni interessati. [...] Da tali significativi e concordanti elementi pare ragionevole ritenere che i consumatori del settore delle autovetture abbiano considerato come identificativo del nuovo modello il segno 5 P, avendolo percepito come autonomo e distinto dal segno ContiSportContact™, identificativo della già nota linea di pneumatici sportivi estivi. [...] Deve quindi ritenersi corretta la statuizione del Tribunale: il marchio P5 va infatti considerato un segno “difensivo", in quanto rafforza la protezione, anche rispetto alla contraffazione per associazione, sia dei marchi P6 e P7, dei quali ha la stessa struttura alfanumerica, sia del marchio P5000, con il quale ha in comune la lettera e il primo numero. [...] La produzione di documenti con i quali le appellate hanno provato che il marchio generale P scritto con la P maiuscola allungata è ampiamente usato, da lungo tempo e anche per prodotti di settori merceologici diversi dagli pneumatici, non è pertanto rilevante ai fini dell’accertamento della contraffazione. In relazione alla loro struttura, costituita semplicemente dalla lettera P seguita da un numero arabo di volta in volta diverso, i marchi P+numero sono, di per sé, dotati di modesto carattere distintivo, considerato che nel settore automobilistico sono comunemente utilizzate le combinazioni alfanumeriche per identificare alcune caratteristiche dei prodotti. L’acquisto di una forte capacità distintiva attraverso l’uso doveva essere provato in relazione a ciascuno di essi. [...] Al fine della sussistenza di tale rischio di confusione, occorre tuttavia che, da un lato, sia provato l’uso di un numero sufficiente di marchi in grado di costituire una “famiglia" o una “serie" e, dall’altro lato, che il consumatore individui un elemento comune in tale famiglia o serie di marchi e associ a tale famiglia o serie un altro marchio contenente il medesimo elemento comune. [...] Anche i marchi PZERO, il cui uso è documentato dai cataloghi P, non appare idoneo a far ritenere che detto segno sia ricompreso nella serie P+numeri, perché il numero ZERO scritto in lettere, che è l’elemento dominante del segno, appare eterogeneo rispetto ai numeri arabi. [...] Manca però la prova della frequenza e rilevanza dell’uso dei marchi P in Italia e nel territorio comunitario negli ultimi anni. [...] Non ricorrono pertanto i presupposti per ritenere né la rinomanza, né una particolare forza distintiva di alcuno dei marchi P+numero all’epoca in cui la domanda di contraffazione è stata proposta. [...] In particolare, gli pneumatici sono accessori di essenziale importanza per garantire una guida sicura del veicolo e per conferire allo stesso un particolare valore estetico. [...] Un consumatore attento non può non cogliere le differenze visive e strutturali determinata dall’inversione della lettera e del numero presenti nel segno 5P rispetto alla lettera e ai numeri presenti nei suddetti marchi di P. Anche le differenze fonetiche sono rilevanti, dato che i due segni che più si assomigliano, in quanto contengono entrambi il numero 5, si pronunciano rispettivamente come “p-i-c-i-n-q-u-e" e “c-i-n-q-u-e-p-i". [...] Per tutte le considerazioni fin qui svolte, assorbenti rispetto a ogni altra domanda, eccezione o questione avanzata e trattata dalle parti, tutte le domande di contraffazione e di concorrenza sleale e quelle consequenziali di inibitoria e risarcimento danni proposte dalle P devono essere rigettate, in accoglimento dell’appello principale proposto dalle C e dell’appello incidentale proposto dal AC.[...]
ordinanza cautelare, concorrenza sleale, marchi, risarcimento dei danni, notorietà, preuso, contraffazione, giudizio di merito, rischio di confusione, carattere distintivo, imitazione servile, inibitoria, provvedimenti cautelari, misure cautelari, compenso
In ragione dell’uso continuativo, diffuso e protratto nel tempo, non circoscritto al solo territorio di XXX e provincia, bensì articolato, attraverso agenzie collegate in franchising, su tutto il territorio della XXX, vi è altresì fondato motivo di ritenere che tali segni abbiano acquisito la natura di marchi di fatto, nonché una significativa capacità distintiva con riferimento al settore merceologico sopra indicato ed anche una certa notorietà in ambito ultralocale, estesa, cioè, quantomeno all’intero territorio regionale. [...] Le iniziative così assunte dalla ditta convenuta, tuttavia, non appaiono idonee ad elidere i profili di illegittimità allegati da controparte, atteso che la parola “Maggiore”, costituente, come sopra esposto, marchio di fatto e segno distintivo dell’impresa attrice, ha continuato ad essere impiegata dalla concorrente all’interno del proprio nome a dominio, nell’indirizzo internet di “you tube” e negli indirizzi di posta elettronica direttamente riferibili alla stessa ditta e/o alla sua titolare. Tale persistente impiego da parte della convenuta del segno “Maggiore”, da solo o abbinato alla parola “Infortunistica”, e di simboli (bilancia), come detto in preuso da parte dell’attrice, per contraddistinguere i medesimi servizi dalla prima prestati nello stesso settore merceologico (infortunistica), e in un ambito territoriale sostanzialmente coincidente o, comunque, estremamente contiguo, senza alcun dubbio provoca tra i fruitori un serio rischio di confusione circa l’effettiva origine imprenditoriale di dette attività, tenuto anche conto della perfetta identità del nome utilizzato. Nella complessità strutturale del marchio di fatto in preuso da parte dell’attrice, appare pure evidente che la parola “Maggiore” rappresenti l’elemento dotato di maggiore carattere distintivo (c. d cuore), sicchè la circostanza che la convenuta ne faccia uso, nelle forme e con le modalità sopra indicate, associandolo al termine “Duo”, non neutralizza in toto il riscontrato rischio di confusione, segnatamente da contatto, in quanto i segni a confronto si sovrappongono sostanzialmente, con specifico riguardo al termine “Maggiore” dotato, per le ragioni in precedenza illustrate, di più elevata capacità distintiva. Alla luce delle considerazioni che precedono, deve, per ciò, ritenersi positivamente accertata la dedotta responsabilità della convenuta per contraffazione di marchio (di fatto) di cui al combinato disposto degli artt. 20, 1 e 2 CPI, la quale, in ragione della oggettiva coincidenza e sovrapponibilità dei fatti e conseguenze allegati in citazione, assorbe l’ulteriore profilo di responsabilità da concorrenza sleale confusoria ex art. 2598 n. 1 c.c. [...] Del resto, i mezzi istruttori sul punto articolati dall’attrice, per la genericità e per il contenuto essenzialmente valutativo delle circostanze oggetto di capitolato testimoniale, non appaiono assolutamente idonei a dimostrare l’esistenza e l’entità del lamentato pregiudizio patrimoniale.[...]
divieto, scadenza del termine, risarcimento del danno, contraffazione, titolare del marchio, rischio di compartimentazione, diritto esclusivo, diritti del, consenso espresso, distributore, consenso del titolare, principio della libera circolazione delle merci
Ragioni di chiarezza espositiva e ordine logico suggeriscono di procedere alla trattazione dei motivi del gravame nell'ordine che segue. » L'art. 5 CPI, così come introdotto dall’ art. 7 della direttiva CEE 89/91, prevede l'esaurimento dei diritti del titolare del marchio una volta che i prodotti protetti da un diritto di proprietà industriale siano stati messi in commercio dal titolare o con il suo consenso — non solo espresso ma anche implicito - nel territorio dello Stato o nel territorio dello Spazio Economico Europeo (SEE). [...] In particolare, l'appello ruota intorno alla prova del consenso implicito rispetto, sia all’assetto degli oneri probatori, sia alle circostanze per le quali l’appellante avrebbe potuto legittimamente dedurre il consenso. [...] Tale sistema implica per ogni area determinata (nel caso VD, ogni Stato membro) un solo distributore esclusivo ed importatore generale, il quale è contrattualmente obbligato a non alienare tali prodotti a intermediari per la commercializzazione degli stessi al di fuori della zona attribuitagli. [...] Il principio comunitario della libera circolazione delle merci avrebbe potuto, pertanto, venir facilmente violato dal titolare del marchio (S) in quanto, una volta che l’operatore convenuto (L) avesse fornito la prova anche solo del luogo in cui aveva acquistato i prodotti, immessi segretamente in uno dei territori del mercato europeo dal titolare del marchio, quest’ultimo avrebbe facilmente potuto continuare ad ostacolare la commercializzazione all’interno di tutto lo spazio SEE dei prodotti acquistati, eliminando di sua iniziativa la possibilità che il fornitore del luogo individuato, facente parte della catena distributiva esclusiva, continuasse ad approvvigionare in futuro di quei beni il convenuto. [...] Solo dopo il terzo avrebbe dovuto fornire la prova dell’esistenza del consenso del titolare alla successiva commercializzazione dei prodotti in territorio comunitario. [...] Adottando, infatti, un sistema di distribuzione selettiva risulta molto più difficile per il titolare del marchio: (i) non solo capire quale sia il distributore “traditore”, ossia colui che disattendendo l’ordine del titolare del marchio di distribuire il prodotto solo su una determinata area, lo distribuisce anche a fornitori esterni; (ii) ma anche ottenere una ricerca di mercato che evidenzi profili di convenienza nel vendere il prodotto solo in quel territorio. Precisamente, quel che s'intende rilevare è che il titolare del marchio, avvalendosi di un sistema di distribuzione esclusivo, esercita un forte controllo nella distribuzione della merce, tale per cui (i) per rintracciare il distributore “traditore” è sufficiente identificare il luogo del primo fornitore (se il fornitore intermediario è inglese è facile che il distributore esclusivo traditore sia quello inglese); (ii) è possibile una ricerca di marketing più efficace rispetto a quando venditori e, quindi, consumatori, attraverso un sistema di distribuzione selettivo, possono essere forniti da distributori dislocati in vari paesi. [...] Infatti, alla luce delle considerazioni svolte al punto precedente, in presenza del sistema distributivo adottato da T il rischio di compartimentazione dei mercati nazionali, presupposto per l’inversione, è da ritenersi inesistente diversamente che nel caso VD, dove invece tale rischio era concreto. [...] Tale protezione, prevista dall’art. 7 della direttiva e anche dall’art. 5 CPI, verrebbe meno se fosse sufficiente che il titolare del diritto di marchio avesse dato il proprio consenso all’immissione sul mercato in tale territorio di prodotti identici o simili a quelli per i quali l'esaurimento è invocato. Nel caso di specie, l’elemento distintivo tra il prodotto soggetto all’esaurimento comunitario (scarponcino T n. 10061 W) e quello per il quale è stato invocato l’esaurimento comunitario (scarponcino T n. 10061 M) è la taglia. Ebbene, quest’ultima costituisce proprio uno di quei requisiti che possono qualificare il prodotto come diverso seppur il modello sia identico e, pertanto, fornire la prova che il prodotto fosse destinato ad un mercato di commercializzazione al di fuori dello Spazio Economico Europeo. Quindi, se da un punto di vista oggettivo non poteva essere dedotto il consenso implicito alla commercializzazione del prodotto litigioso nel SEE, C è responsabile per non avere controllato la legittimità della commercializzazione nel SEE di quel modello. [...] La sentenza appellata deve quindi essere confermata.[...]
Oggetto: contraffazione di marchio e concorrenza sleale.
Infatti, le confezioni cartonate risultano identiche in tutti i loro elementi, tranne la denominazione del prodotto (scritta comunque con il medesimo colore e carattere), qualche leggera modifica alle istruzioni laterali ed il marchio su uno dei lati corti. [...] D’altra parte, l’apposizione di un diverso nome e marchio sulle confezioni non risulta decisivo, derivando dalla identicità dei packaging un richiamo che porta il consumatore a confonderli o quantomeno a collegare i due prodotti e ritenere che provengano dal medesimo produttore. Anche il minor prezzo si ascrive a tale evenienza, dal momento che il consumatore potrebbe ritenere trattarsi di un prodotto diverso (e ciò anche per la diversa qualità e le ridotte dimensioni delle confezioni) di provenienza della medesima impresa. Le ulteriori circostanze dedotte a provate da parte attrice, ovvero l’offerta contestuale dei due prodotti nel medesimo esercizio commerciale, la evidentissima differenza di prezzo (vedi docc. 10 e 11), nonché la diversa qualità degli stessi, non fanno che aggravare la portata della condotta tenuta da parte convenuta. [...] Tuttavia, la giurisprudenza formatasi sulla base delle previsioni codicistiche di cui all’ art. 2598 c.c. - già prima della formulazione dell’ art. 125 c.p. i. – aveva elaborato il concetto che il risarcimento del danno derivante da detti illeciti potesse essere quantificato assumendo come riferimento l’utile conseguito dal contraffattore.[...]
Brevetto di invenzione - 170001.
Nella valutazione della fondatezza delle domande di nullità della frazione italiana del brevetto della K S.p.A. e di contraffazione della medesima frazione da parte della CA S.p.A. deve pertanto tenersi conto del testo del brevetto EP 1 063 376 così come modificato in seguito alla decisione del Board of Appeal. 2. [...] In particolare l'oggetto inventivo del brevetto K EP 1 063 376 B1, come risultante dalla decisione dell’EPO, presenta un ambito di tutela più limitato rispetto all'ambito di tutela originariamente concesso ed individuato come valido nella relazione tecnica d'ufficio e nel relativo supplemento depositati nel primo grado del giudizio”. [...] Tali censure non sono fondate. [...] In altre parole, i citati fianchi affacciati definiscono l'alloggiamento per il corpo mobile ma non determinano un suo effettivo contenimento durante lo spostamento e quindi non lo guidano lungo la direzione Y”. Determinante ai fini delle diverse conclusioni dell’ing. P è stata quindi la presenza e, viceversa, l’assenza di elementi che potessero essere considerati degli equivalenti funzionali e strutturali della coppia di aste di guida orientate, rispettivamente, lungo la direzione X e lungo la direzione Y. Nella memoria di osservazioni tecniche alla bozza della relazione del C.T.U., il C.T.P. della K S.p.A., dott. P, ha sostenuto che “l'alloggiamento del corpo mobile da parte della conformazione a C del supporto e delle piastre” realizza “elementi lungiformi e rettilinei, tra loro paralleli; e orientati in direzione Y che intervengano durante la traslazione in direzione Y del corpo mobile”, che ne determinano “un effettivo contenimento durante lo spostamento”, affermando, in proposito, che, anche se è vero — come risulta dalla figura 2 — che le superfici “s4” delle sedi risultano “macroscopicamente distanziate dalle ali piatte”, le superfici “*s3” e “s2” sono “affacciate e a contatto sulle ali piatte” e le superfici “s1” sono “affacciate con un piccolo gioco meccanico alle superfici MI, M2 del corpo mobile”.[...]
buona fede, marchio registrato, marchi, rigetto della domanda, divieto, registrazione del marchio, concorrenza sleale, scadenza del termine, vendita organizzata, titolare del marchio, compenso
L’accordo de quo, infatti, reca soltanto l’esplicita menzione dell’avvenuto deposito della domanda con la precisazione che, a quella data, la relativa privativa non era stata concessa. Né l’esistenza di una siffatta pattuizione, antecedente o, comunque, coeva alla stipulazione del contratto avrebbe potuto essere dimostrata dall’attrice mediante prova per testi, stante il chiaro divieto posto dall’art. 2722 cod. civ. Altrettando deve, poi, dirsi, circa l’asserita essenzialità di tale disposizione negoziale, che, qualora avesse effettivamente rivestito per la licenziataria un grado di importanza così elevato da renderla imprescindibile, verosimilmente sarebbe stata espressamente e testualmente inclusa nella regolamentazione scritta del rapporto inter partes. [...] Infatti, se detta registrazione avesse rivestito, nell’economia del rapporto, una siffatta importanza, la licenziataria si sarebbe sicuramente avvalsa della facoltà, espressamente riconosciutale in contratto, di recedere dal rapporto, liberandosi, per ciò solo, da ogni vincolo ed impegno negoziale. [...] Per quel che concerne la presunta condotta anticoncorrenziale ed ostruzionistica della convenuta concedente, le allegazioni svolte al riguardo dalla società attrice risultano estremamente generiche e, comunque, sono rimaste del tutto indimostrate. [...] Inoltre, secondo il successivo art. 7.1, “la licenziataria garantisce la disponibilità di una propria rete di vendita organizzata a mezzo di agenzie che coprono il territorio nazionale e presso il portafoglio dei suoi clienti attivi. [...] Infine, come espressamente previsto dall’art. 13.2, “la strategia pubblicitaria e la politica commerciale relativa ai prodotti commercializzati con il marchio oggetto di licenza saranno gestite dalla licenziataria, che si impegna, in ogni caso, a comunicare e pianificare con la concedente, preliminarmente al lancio di ogni collezione, la programmazione pubblicitaria”. Dal contenuto delle disposizioni negoziali sopra riportate, quindi, risulta in modo chiaro ed evidente che alla società licenziataria era stata conferita la più ampia libertà ed autonomia organizzativo-esecutivo-decisionale, con riferimento a tutte le fasi attraverso cui avrebbe dovuto svilupparsi il rapporto, dalla commercializzazione dei prodotti oggetto di licenza, alla produzione, alla vendita e fino alle iniziative di carattere promozionale. [...] Al riguardo, va rilevata l’assoluta carenza di elementi di giudizio da cui poter fondatamente desumere che la società concedente avesse contrattualmente garantito alla licenziataria pregressi standard qualitativi del marchio superiori a quelli realmente conseguiti e, inoltre, che l’eventuale ridimensionamento della suddetta privativa, a sua volta ascritto dalla convenuta alla licenziataria, sia dipeso da fattori a quest’ultima non imputabili. In relazione al tema in esame, e a confutazione delle asserzioni svolte dall’attrice, va, peraltro, rilevato che, in base alle precise disposizioni negoziali (art. 3.1 e art. 13.2 e 7.2), spettava alla licenziataria attrice scegliere le ditte produttrici dei capi d’abbigliamento e curare lo standard qualitativo dei medesimi, assumere le iniziative pubblicitarie volte a promuovere la vendita dei prodotti, nonché, come sopra esposto, creare un’idonea rete distributiva. [...] Anzi, dalle deposizioni rese dai testi indotti dalla convenuta risulta che la licenziataria non disponesse, ab initio, delle capacità professionali necessarie per onorare gli impegni contrattualmente assunti. [...] Si tratta di violazioni degli obblighi nascenti dal contratto inter partes, la cui gravità, oltre che già apprezzata e stabilita convenzionalmente dalle stesse parti contraenti, appare in ogni caso evidente stante la indubbia rilevanza che, nella complessiva economia di un contratto di licenza d’uso di marchio, rivestono sia la fedele e puntuale rendicontazione da parte della licenziataria, che l’esatto pagamento delle dovute royalties. Oltretutto, una valutazione comparativa degli inadempimenti reciprocamente dedotti, impone, sulla scorta delle acquisite risultanze istruttorie, documentali e testimoniali, un giudizio maggiormente critico e negativo a carico della licenziataria, la quale, non soltanto non ha sufficientemente allegato e dimostrato i fatti posti a fondamento delle proprie richieste, ma, soprattutto, è incorsa in violazioni della disciplina negoziale concernenti aspetti essenziali e fondamentali per lo svolgimento e la persistenza del rapporto inter partes, privandolo, così, di ogni suo reale contenuto e funzione.[...]