Sentenza 1861/2018 della Corte Dappello Di Milano Prima Sezione Civile

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.R.G. 2392/2016 CORTE D’APPELLO DI MILANO PRIMA SEZIONE CIVILE Riunita in camera di consiglio nelle persone dei Magistrati:
giu1 Presidente
giu2 Consigliere relatore giu3 Consigliere

ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di appello iscritto al numero di ruolo sopra riportato, promosso da:
CM
(C.F. XXX), rappresentato e difeso dagli Avv.ti EP e FP ed elettivamente domiciliato presso il loro studio sito in XXX, giusta procura in atti. APPELLANTE
contro G S.P.A. (gia R S.R.L.) (P.IVA XXX) rappresentata e difesa dagli Avv.ti_ FZL e PFDS ed clettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo sito in XXX, giusta procura in atti. APPELLATA
CONCLUSIONI
Per parte appellante - Nel merito: in accoglimento dei motivi di gravame,
rigettare integralmente le domande tutta formulate in primo grado da G S.p.a. (già R S.r. )giacché non provate e comunque infondate, tanto in fatto quanto in diritto, per i motivi tutti ampiamente dedotti.
In ogni caso, con vittoria di spese e competenze professionali di tutti i gradi di giudizio.
Per parte appellata In via principale: 1. nel caso in cui questa Ecc.ma Corte di Appello non dovesse dichiarare inammissibile, ai sensi dell’ art. 348-bis c.p. c., l’ Appello proposto avverso la sentenza n. 5451/2016 emessa dal Tribunale di Milano, rigettare lo stesso Appello perché privo di fondamento giuridico e fattuale; 2. confermare per intero il contenuto della sentenza n. 5451/2016 del Tribunale di Milano. Con il favore delle spese, anche forfettarie, onorari e diritti in giudizio oltre IVA e CPA come per legge. Sentenza n. 1861/2018 pubbl. il 12/04/2018 RG n. 2392/2016 Repert. n. 1013/2018 del 12/04/2018


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. Con

sentenza n. 5451/2016 , il Tribunale di Milano

, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al N.R.G. 40348/2013, cosi statuiva:

a. Inibisce al convenuto CM l'utilizzo del segno REMAIL in relazione al servizio ADWords, con le modalita tali da pregiudicare la funzione del marchio di garanzia della provenienza del prodotto. b. Condanna il convenuto CM al risarcimento dei danni, quantificati complessivamente in euro 13.000,00, oltre rivalutazione ed interessi legali, decorrenti, sui capitali rivalutati anno per anno, dal 30 aprile 2013 al saldo. c. Condanna il convenuto CM a rifondere integralmente alla societa attrice le spese di lite, liquidate in Euro 12.500,00 per compensi ed euro 1.000,00 per spese, oltre spese generali, iva e cpa come per legge.
d. Pone definitivamente a carico dei convenuti le spese di CTU.
Avverso la predetta sentenza il Sig. CM ha proposto impugnazione deducendo l’erroneità del decisum per avere il Tribunale: errato nel ritenere illecita la condotta tenuta dal Sig. M e, per l’effetto, averlo considerato responsabile di atti di concorrenza sleale e di contraffazione di marchio registrato; - valutato in maniera non corretta le risultanze istruttorie provenienti dalla CTU;
- ritenuto il Sig. M direttamente responsabile dello sfruttamento illecito del segno registrato dalla controparte per non essersi attivato immediatamente nell’eliminare il collegamento generato dalla parola chiave REMAIL con i siti internet di sua proprieta;
- liquidato in maniera erronea il danno utilizzando parametri non comprensibili enon conformi alla norma di legge richiamata. L'appellata, costituitasi in giudizio, ha chiesto il rigetto del gravame nel favore delle spese processuali.


La Corte, verificata la regolarita del contraddittorio, ha fissato udienza di precisazione delle conclusioni. In data 22 novembre 2017 la causa é stata posta in decisione, con assegnazione dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle rispettive repliche.

MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello proposto dal Sig. CM merita accoglimento per i motivi di seguito esposti. 1. Prima di entrare nel merito della pronuncia, è opportuno descrivere il funzionamento del servizio AdWords di Google. Trattasi di un servizio online a pagamento che permette ai clienti di pubblicizzare i propri siti internet. Ogni utente può registrare nel proprio account una o più parole chiave prevedendo che, ogni qual volta queste vengano digitate nel motore di ricerca, compaiano, oltre ai normali risultati della ricerca ed agli annunci pubblicitari selezionati in base ad un algoritmo, anche i siti di proprieta del cliente (che solitamente sono posizionati all’inizio della pagina web). Il servizio AdWords permette agli inserzionisti di porre in essere anche l'operazione contraria a quella appena descritta. Questa operazione viene definita “corrispondenza inversa”. Tale funzione consente di associare una parola chiave ad uno o più indirizzi internet, ma con la finalita di impedire agli utenti che dovessero digitare quella parola chiave la visibilità nella pagina web, tra i risultati di ricerca, dei siti di cui il cliente é proprietario. 2. Chiariti questi aspetti, giova sottolineare che può essere considerato pregiudizievole della funzione identificativa di un marchio registrato il comportamento di un soggetto concorrente che attivi sul proprio account AdWords una parola chiave identica a quel marchio, consentendo che ogni qualvolta questa venga digitata compaiano i suoi annunci pubblicitari. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea sul punto ha precisato che: “sussiste violazione della funzione di cui trattasi quando l’annuncio non consente soltanto difficilmente all’utente di Internet, normalmente informato e ragionevolmente attento, di sapere se i prodotti o i servizi a cui l’annuncio si riferisce provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo oppure, al contrario, da un terzo ( Corte Giustizia UE, 2/07/11, causa C-558/08 , caso P). Infatti, “in una situazione del genere — caratterizzata dal fatto che l’annuncio in questione appare subito dopo l'inserimento del marchio quale termine di ricerca ed é mostrato in un momento in cui il marchio, in quanto termine da ricercare,è parimenti indicato sullo schermo — l'utente di Internet può confondersi sull’origine dei prodotti 0 dei servizi in questione” (Corte Giustizia UE, 22/09/11 caso GF). Inoltre, nelle stesse cause appena citate, la Corte di Giustizia si è cosi pronunciata: “qualora l’annuncio del terzo adombri l'esistenza di un collegamento economico tra tale terzo e il titolare del marchio, si dovra concludere che sussiste una violazione della funzione di indicazione d'origine di detto marchio. Qualora l'annuncio, pur non adombrando I'esistenza di un collegamento economico, sia talmente vago sull origine dei prodotti o dei servizi in questione che un utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento non sia in grado di sapere, sulla base del link promozionale e del messaggio commerciale ad esso allegato, se l'inserzionista sia un terzo rispetto al titolare del marchio o, al contrario, sia economicamente collegato a quest'ultimo, si deve parimenti concludere che sussiste violazione della funzione del marchio”. 3. La situazione che si era venuta a creare nel caso che qui ci occupa era la seguente: allorché un qualsiasi utente Google avesse digitato come termine di ricerca la parola “Remail” avrebbe visto comparire, tra gli annunci pubblicitari, non solo quelli relativi alla societa R, titolare del marchio, bensi anche i siti www.vascanuova.it, quivita.it e quivita.com., tutti di proprieta del Sig. M. II quale, al pari della R, svolge un’attivita commerciale di trasformazione delle vasche da bagno in docce. Il fatto pud dirsi comprovato dalla documentazione prodotta in primo grado. Inoltre, gli annunci replicavano le parole contenute nei messaggi pubblicitari di R, senza identificare quale fosse la societa o il soggetto specializzato in quei servizi. Tale situazione era senz’altro idonea a creare confusione nell’ utente.
4. Ciò premesso, giova tuttavia osservare che, in tema di illecito extracontrattuale, la condotta del danneggiante deve essere connotata da dolo o colpa.
5. Il giudice di primo grado ha fondato il proprio convincimento su argomenti meramente presuntivi, assumendo che la visibilita nella pagina internet di siti appartenenti al Sig. M, allorché gli utenti avessero digitato come termine di ricerca la parola “Remail”, non poteva che dipendere dal fatto che quest’ultimo io AdWords. E benché avesse registrato la parola chiave “Remail” tramite il set la CTU espletata non avesse oggettivamente rintracciato siffatta evenienza, nondimeno il Tribunale ha ritenuto di non poterla escludere, attesa la incompletezza della perizia. L’iter logico motivazionale non può essere condiviso.
6. Ed invero, il collegamento tra le parole digitate nei motori di ricerca e gli annunci pubblicitari che compaiono nella pagina internet non sempre dipende dalla registrazione di precise parole chiave da parte dei clienti AdWords. Non si può, infatti, escludere che questo collegamento sia generato automaticamente da Google, attraverso modalita legate a particolari algoritmi che selezionano i risultati delle ricerche secondo criteri di analogia e pertinenza. Il servizio AdWords permette, infatti, di associare le parole chiave agli annunci pubblicitari tramite vari tipi di corrispondenze, uno dei quali é la corrispondenza generica. Questa corrispondenza viene spiegata in questi termini nella guida AdWord “La corrispondenza generica é il tipo predefinito assegnato a tutte le tue parole chiave. Pud mostrare gli annunci anche per ricerche che includono errori di ortografia, sinonimi, ricerche correlate e altre varianti pertinenti. Se la parola chiave è "cappelli da donna", chi cerca "acquista cappelli femminili potrebbe vedere il tuo annuncio”. Non si puo pertanto affermare, con sufficiente certezza, che il rimando ai siti del M fosse dovuto al fatto che egli avesse registrato come parola chiave il termine “Remail” al fine di sfruttare illecitamente il marchio REMAIL per attirare i clienti sui propri siti. Anche laddove il M avesse registrato parole chiave diverse da “Remail”, ma pertinenti ad essa, si sarebbe potuta determinare una associazione per corrispondenza generica generata dagli algoritmi di Google.
7. Neanche la consulenza disposta dall’ufficio ha permesso di raggiungere la prova della illiceita della condotta addebitata all’appellante. Ed invero, con riferimento al sito vascanuova.it, il CTU ha escluso categoricamente che il M avesse registrato come parola chiave il termine “Remail”; relativamente agli altri due ha, invece, osservato che non vi era alcuna prova della esistenza di ulteriori account AdWords di proprietà del M attraverso i quali poteva essere gestita la campagna pubblicitaria sui siti guivita.it e quivita.com. L’onere della prova dei fatti costituitivi dell’illecito grava sulla societa R ed in base ai princi di riparto dell’ onere probatorio va censurata la conclusione cui è pervenuto il giudice di primo grado nella parte in cui, in assenza di una prova concludente, ha fondato il proprio convincimento su mere presunzioni. Al contrario deve osservarsi che l’esperimento della CTU effettuata nel corso del giudizio di primo grado ha consentito di escludere elementi di dolo e/o colpa nella condotta del M.
8. Nemmeno decisiva, ai fini della decisione della controversia, potrebbe configurarsi una rinnovazione della CTU in sede di appello, posto che, come affermato dal consulente, il servizio AdWords conserva una cronologia non superiore ai due anni e i presunti comportamenti illeciti del M risalgono agli anni 2012 e 2013.
9. Secondo il Tribunale l’appellante sarebbe dovuto intervenire immediatamente, a seguito della diffida inoltrata da R in data DD/MM/2012, e non attendere fino al 3 aprile 2013 per attivarsi nell’eliminare il collegamento che si creava tra i suoi annunci pubblicitari e il marchio registrato dalla controparte. Ad avviso di questa Corte tale intervallo temporale pud ritenersi ragionevole, tenuto conto che il M doveva agire in modo tale da escludere qualsiasi collegamento tra i suoi annunci e il marchio REMAIL e, allo stesso tempo, impedire che i propri annunci subissero una rarefazione nella loro visibilita Il bilanciamento tra gli interessi in gioco imponeva, dunque, un intervento scrupoloso e meditato.

10. Esclusa, conclusivamente, la illiceità della condotta del M nella vicenda in esame, resta assorbito il motivo d’appello riguardante la corretta quantificazione del danno operata dal giudice di primo grado.
11. La novita della questione trattata e la peculiarita del caso, che vede l’interferenza di un soggetto terzo (Google) nella involontaria confusione generata sulla provenienza dei prodotti pubblicizzati, induce la Corte a ritenere opportuna la compensazione delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione assorbita c/o disattesa, in totale riforma della sentenza n. 5451/2016 resa dal Tribunale di AM Milano cosi provvede:
accoglie l’appello proposto avverso la sentenza n. 5451/2016 resa dal Tribunale di Milano e, per l’effetto, rigetta le domande formulate in primo grado da G SPA; compensa tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio. Cosi deciso in Milano, in Camera di Consiglio il 13/02/2018 Il Consigliere estensore giu2 Il Presidente giu1