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Oggetto: Marchio e denominazione sociale
Con particolare riferimento alla domanda di parte attrice relativa al risarcimento del danno sulla base della disposizione di cui all’art. 1226 c. c. , va rilevato come la tutela risarcitoria sia concepita nell’ordinamento quale strumento riparatorio rispetto a un pregiudizio patito a seguito di un comportamento contra ius. Essa ha dunque la funzione di tenere in salvo il titolare del diritto leso dalle conseguenze dannose cagionate dall’autore dell’illecito. In conseguenza di ciò, il risarcimento del danno patrimoniale non può prescindere dalla prova del pregiudizio patito e dalla sua riconducibilità causale alla condotta del soggetto autore dell’illecito. Un simile principio trova applicazione anche nell’ambito operativo della valutazione equitativa di cui all’art. 1226 c. c.. La ratio della disposizione infatti va individuata nella necessità di fornire uno strumento di chiusura del sistema per la quantificazione del danno, applicabile limitatamente a quei casi in cui lo stesso non possa essere provato “nel suo esatto ammontare”. Il mero richiamo a una presunta “difficoltà di provare e quantificare il danno” non può infatti valere di per sé solo a giustificare l’applicazione del criterio risarcitorio equitativo di cui all’art. 1226 c. c. , facendo la disposizione in esame unicamente riferimento all’eventualità che il danno non possa essere provato “nel suo esatto ammontare”.
avente ad oggetto: Marchio
Tali marchi “deboli”, caratterizzati da minore originalità, sono dunque tutelabili soltanto se riprodotti integralmente o imitati in modo molto prossimo. Invero, la funzione distintiva del marchio, a cui corrisponde un diritto di esclusiva in capo al titolare del segno, comporta che la tutela del marchio operi principalmente quando l’adozione di esso, o di un segno ad esso simile, da parte di un terzo, possa provocare un rischio di confusione o associazione per il pubblico, che produca appunto un pregiudizio per la sua funzione distintiva. Priva di pregio, stante quanto fin qui esposto, deve ritenersi la doglianza relativa al ritenuto erroneo rigetto da parte del giudice di prime cure della domanda di accertamento di concorrenza sleale.
Violazione marchio; nullità, decadenza marchio
Infatti, si tratta di un marchio complesso. [...] La denominazione contratta “tuma d’fè” acquisisce, pertanto, valore originale e distintivo e, anche se in certe valli è usata spesso in alternativa a “tuma feja” per identificare il formaggio di pecora, tuttavia non costituisce specificamente un termine dialettale, ma una variante originale dello stesso, la cui tutela esclusiva e registrazione come marchio non impediscono agli altri produttori di poter identificare il formaggio in questione con il termine dialettale comune (oltre che, in ogni caso, con il termine italiano generale). [...] A pena di decadenza il marchio deve formare oggetto di uso effettivo da parte del titolare o con il suo consenso, per i prodotti o servizi per i quali è stato registrato, entro cinque anni dalla registrazione, e tale uso non deve essere sospeso per un periodo ininterrotto di cinque anni, salvo che il mancato uso non sia giustificato da un motivo legittimo... 3. Salvo il caso di diritti acquistati sul marchio da terzi con il deposito o con l'uso, la decadenza non può essere fatta valere qualora fra la scadenza del quinquennio di non uso e la proposizione della domanda o dell'eccezione di decadenza sia iniziato o ripreso l'uso effettivo del marchio. Tuttavia se il titolare effettua i preparativi per l'inizio o per la ripresa dell'uso del marchio solo dopo aver saputo che sta per essere proposta la domanda o eccezione di decadenza, tale inizio o ripresa non vengono presi in considerazione se non effettuati almeno tre mesi prima della proposizione della domanda o eccezione di decadenza; tale periodo assume peraltro rilievo solo se decorso successivamente alla scadenza del quinquennio di mancato uso”; -art. 121 CPI: “1. L'onere di provare la nullità o la decadenza del titolo di proprietà industriale incombe in ogni caso a chi impugna il titolo. [...] La prova della decadenza del marchio per non uso può essere fornita con qualsiasi mezzo comprese le presunzioni semplici”. [...] Da tali elementi probatori è desumibile l’assenza di uso effettivo dei marchi in esame. [...] Pertanto, va dichiarata la decadenza per non uso dei citati marchi.[...]
rischio di confusione, titolare del marchio, concorrenza sleale, inosservanza, risarcimento dei danni, contraffazione, pubblicazione della sentenza, giudizio cautelare, giudizio di merito, marchi, identità o somiglianza, rischio di associazione, registrazione del marchio, inibitoria
È infatti evidente la somiglianza verbale e fonetica (nel caso della fattura vi è addirittura un’identità) tra i segni a confronto. Le considerazioni che precedono in merito alla somiglianza tra segni e alla affinità tra prodotti, sono utili ai fini della valutazione sulla confondibilità tra prodotti da parte del consumatore. Appare assai probabile, alla luce dell'identità merceologica e funzionale dei beni contrassegnati, che si possa determinare un rischio di confusione per il pubblico. Perché il comportamento del terzo sia vietato, non basta l’uso da parte del medesimo di un segno simile per prodotti affini, ma serve qualcosa in più: serve che tale uso sia idoneo a indurre il pubblico a pensare che i prodotti del terzo provengano in realtà dall’impresa del segno che si presume essere contraffatto. La commercializzazione degli apparecchi in oggetto da parte della convenuta può indurre il consumatore finale a pensare che i prodotti del terzo provengano in realtà dall’impresa titolare del marchio registrato.
giudizio di merito, contraffazione, uso del segno, marchi, divieto, inibitoria, marchio registrato, giudizio ordinario, provvedimenti cautelari, pubblicità
Occorre infatti ricordare che, nella interpretazione della norma fornita dalla Corte di Giustizia è chiarito che l’espressione “luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire” riportata nella norma citata concerne sia il luogo in cui il danno si è concretizzato sia il luogo del fatto generatore di tale danno, cosicché il convenuto può essere citato, a scelta del ricorrente, dinanzi ai giudici di entrambi i luoghi in parola” (sentenza eDate Advertising e a. del 25 ottobre 2011 in causa C-509/09 e C-161/2010). Il provvedimento cautelare tedesco dunque può ritenersi, anche alla luce del richiamato principio di territorialità, avere di fatto operatività limitata al territorio tedesco e, conseguentemente, inidoneità alla circolazione al di fuori di detto territorio. Non configurandosi litispendenza, ne risulta assorbita anche l’eccezione di incompetenza fondata sull’art. 29.3. del Reg. , che presuppone appunto l’operatività dell’istituto della litispendenza. 3 Art. 2 Reg 1215/2012: “Ai fini del presente regolamento s’intende per: «decisione»: a prescindere dalla denominazione usata, qualsiasi decisione emessa da un’autorità giurisdizionale di uno Stato membro, compresi un decreto, un’ordinanza, una decisione o un mandato di esecuzione, nonché una decisione relativa alla determinazione delle spese giudiziali da parte del cancelliere Ai fini del capo III, la «decisione» comprende anche i provvedimenti provvisori e cautelari emessi da un’autorità giurisdizionale competente a conoscere nel merito ai sensi del presente regolamento. Essa non comprende i provvedimenti provvisori e cautelari emessi da tale autorità giurisdizionale senza che il convenuto sia stato invitato a comparire, a meno che la decisione contenente il provvedimento sia stata notificata o comunicata al convenuto prima dell’esecuzione; 8.
risarcimento del danno, pubblicazione della sentenza, contraffazione, marchio registrato, titolare del marchio, marchio simile, carattere distintivo, registrazione del marchio, mancato guadagno, inibitoria
Ciò in considerazione del fatto che non è stata fornita alcuna prova in ordine all’esistenza di una determinata tipologia di borsa, con specifiche e comuni caratteristiche, dato che la parola “postina” è idonea a descrivere solo il mestiere del postino svolto da una donna, ma minimamente è riferito ad un determinato e, tanto meno, univoco prodotto. [...] Ha, quindi, escluso la ricorrenza di alcun danno ex artt. 1223 e 2600 c.c., dal momento che manca un qualsivoglia documento di carattere contabile idoneo a dimostrare il danno lamentato dall’appellante. [...] Occorre premettere che la liquidazione equitativa del danno ai sensi dell’ art. 1226 c.c. presuppone che il pregiudizio economico reclamato sia certo nella sua esistenza storica ( v. Cass. civ. n. 3794/08 ). La S.C. ha osservato che “la liquidazione equitativa del danno patrimoniale, ai sensi degli artt. 2056 e 1226 cod. civ. , richiede comunque la prova, anche presuntiva, circa la certezza della sua reale esistenza, prova in difetto della quale non vi è spazio per alcuna forma di attribuzione patrimoniale. Occorre pertanto che dagli atti risultino elementi oggettivi di carattere lesivo, la cui proiezione futura nella sfera patrimoniale del soggetto sia certa, e che si traducano in un pregiudizio economicamente valutabile ed apprezzabile, che non sia meramente potenziale o possibile, ma che appaia invece - anche semplicemente in considerazione dell'"id quod plerumque accidit" - connesso all'illecito in termini di certezza o, almeno, con un grado di elevata probabilità, pur non essendo eventualmente suscettibile di prova del quantum” ( v. Cass. civ. n. 17677/09 ). Trasfondendo tali condivisibili arresti nel caso in esame, è di tutta evidenza come la difesa dell’appellante non abbia minimamente provveduto ad una necessaria attività di allegazione e, tanto meno, di prova. Non è in atti alcun documento contabile dimostrativo del danno emergente e del mancato guadagno sofferti dal titolare del diritto; né è in atti alcuna allegazione in punto di ragionevole royalty che il contraffattore avrebbe pagato se avesse ottenuto regolare licenza per commercializzare il prodotto; né soccorrono, infine, eventuali stime circa il profitto conseguito dal contraffattore o emergono altri fatti materiali idonei a dimostrare flessioni di fatturato ragionevolmente riconducibili all’attività di disturbo da parte dell’appellata. Per tali motivi, non è da riconoscere alcuna somma a titolo di risarcimento del danno, che non può essere ritenuto in re ipsa, in difetto, quanto meno, dell’allegazione circa l’impossibilità relativa di fornire adeguata prova dello stesso. [...] Alla luce delle sopra esposte considerazioni, pertanto, in riforma della sentenza di prime cure, la Corte accerta che la condotta posta in essere dall’odierna appellata costituisce violazione dei diritti esclusivi di proprietà industriale facenti capo al GZ. [...] L’esito del gravame comporta l’assorbimento dell’ulteriore questione relativa alla volgarizzazione del marchio. 22.[...]
inibitoria, contraffazione, concorrenza sleale, risarcimento dei danni, pubblicazione della sentenza, sito internet, carattere individuale, imitazione servile, ordine di ritiro dal commercio, interessi di mora nella misura legale, giudizio di merito
Vi è in atti la prova documentale dell’attività di vendita da parte di C e di SV di prodotti recanti le medesime caratteristiche delle privative di titolarità di S (cfr. pag. 7 – 13)I bracciali offerti in vendita da C e da SV, con e senza etichette recanti la denominazione MM, presentano infatti forme identiche, realizzate con le stesse proporzioni e le medesime linee dei modelli S, riproducendo così tutti i dettagli conferenti carattere individuale. Ne consegue che l’utilizzatore informato di fronte a tali prodotti ricaverà un’impressione generale del tutto simile a quella derivante dalla visualizzazione dei modelli azionati in questa sede dai ricorrenti. Il liquidatore di SV ha dichiarato di avere cessato ogni attività commerciale e quindi anche la condotta in contestazione. Tuttavia tale circostanza – come già ritenuto dal giudice della cautela - non è idonea ad escludere la necessità dell’inibitoria, poiché non determina – da sola – l’oggettiva impossibilità di una eventuale futura ripresa e/o ripetizione della stessa condotta illecita da parte della predetta società resistente.
Oggetto:Brevetto (invenzione e modello)-Marchio: Altre ipotesi
Il principio di tolleranza previsto all’art. 9 – e corrispondente al principio di convalidazione dell’art. 28 cpi- prevede un’ipotesi in cui il titolare di un marchio posteriore registrato, a determinate condizioni, può continuare a utilizzarlo nonostante un marchio uguale o simile sia stato registrato anteriormente. La Corte di Giustizia individua i requisiti di applicazione della convalidazione, che devono essere uguali in tutti gli Stati membri: la registrazione del marchio posteriore nello Stato membro interessato; la circostanza che il deposito di tale marchio sia stato effettuato in buona fede; l’uso del marchio posteriore da parte del suo titolare nello Stato membro in cui è registrato e la circostanza che il titolare del marchio anteriore sia al corrente che il marchio posteriore è stato registrato e che viene usato dopo la sua registrazione. Inoltre, la pacifica coesistenza per lungo periodo fa sorgere un legittimo affidamento del titolare del marchio posteriore a poter continuare l’uso del proprio marchio, tanto più in virtù del fatto che egli ha conquistato una propria non interferente porzione di mercato. I consumatori, d’altro canto, con il passare del tempo, acquisiscono la consapevolezza delle differenze tra i prodotti e i marchi, e compiono scelte consapevoli.
avente ad oggetto: diritto all’equo premio ex art. 64 C.p.i.
Le circostanze suddette sono altresì idonee a provare che i diritti sorti in capo all’odierna appellante, società italiana del gruppo, siano stati ceduti alla società statunitense che ha poi chiesto e ottenuto il brevetto. L’obbligo dell’odierna appellante di corrispondere l’equo premio in quanto datrice di lavoro dell’inventore, nonostante l’invenzione risulti brevettata da un avente causa, può essere affermato anche in relazione all’art. 23 cit. (che, a differenza dell’art. 64 c. p. i. , non contiene l’espresso riferimento agli “aventi causa”), poiché risulta coerente con la “ratio” della norma, che vuole riconoscere un concreto profitto al lavoratore ponendolo a carico del soggetto a cui favore è stabilita la deroga al principio che il titolare dei diritti sull’invenzione è l’inventore. L’art. 23 co. 1 r. d. cit. , che prevede le invenzioni di servizio alle quali l’appellante vorrebbe ricondurre l’invenzione per cui è causa, riguarda le invenzioni industriali fatte nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o d’impiego, in cui “l’attività inventiva è prevista come oggetto del contratto o del rapporto e a tale scopo retribuita”, invenzioni per le quali, a differenza delle invenzioni di azienda di cui al secondo comma della norma, non spetta alcun premio, proprio perché è prevista “ex ante” una retribuzione che remunera l’attività inventiva. Spetta al giudice del merito - con accertamento"ex ante" e non"ex post", senza che assuma rilievo la maggiore o minore probabilità che dall'attività lavorativa possa scaturire l'invenzione - valutare se le parti abbiano voluto pattuire una retribuzione quale corrispettivo dell'obbligo del dipendente di svolgere una attività inventiva” (Cass. 6367/11). Applicando il principio alla presente fattispecie risulta condivisibile la valutazione del Tribunale che ha escluso trattarsi di invenzione di servizio.
marchio anteriore, inosservanza, risarcimento del danno, concorrenza sleale, pubblicità, marchio registrato, titolare del marchio, contraffazione, inibitoria
Ciò detto resta tuttavia da esaminare la ulteriore questione della sussistenza di un illecito concorrenziale per imitazione servile in capo alla convenuta. Va pertanto senz’altro ordinata la pubblicazione del dispositivo della sentenza sulla medesima rivista sulla quale è apparso il messaggio pubblicitario di cui sopra come richiesto.
Azione di contraffazione di modello comunitario registrato, concorrenza sleale; risarcimento del danno; pubblicazione.
Tale orientamento è del resto in linea con quello consolidatosi sin dalla fine degli anni „80 nella materia industriale e ribadito, anche di recente, nella giurisprudenza di merito, secondo il quale la frazione della condotta censurata posta in essere nella circoscrizione territoriale del giudice adito (ovvero anche il danno lamentato) deve essere riferibile necessariamente al soggetto chiamato in giudizio (eventualmente anche unitamente agli altri). [...] Nel caso in esame pertanto, tenuto conto della prospettazione della domanda, la stretta connessione oggettiva che lega le posizioni delle tre convenute –la cui azione si colloca nelle diverse fasi della condotta illecita: ovvero produzione, commercializzazione e vendita al dettaglio– consente senza dubbio l‟evocazione in giudizio in questa sede anche di L: e ciò non alla luce dell‟ art. 33 c.p.c., bensì del primo comma dell‟ art. 103 c.p.c. (v. anche in generale Cass. 12444/13 ). [...] Va premesso che il requisito del carattere individuale è rinvenibile -secondo la migliore dottrina- nella c.d. differenza qualificata, non limitata a dettagli irrilevanti, ma incidente sull‟impressione generale suscitata dal modello. L‟indirizzo qui seguito, seppure non univoco, ritiene tale presupposto assai meno pregnante rispetto a quello prescritto dalla normativa previgente, che richiedeva una vera e propria potenzialità nel far evolvere il gusto e nel configurare una nuova estetica (speciale ornamento). Con la conseguenza che, sotto il nuovo regime, “l’ambito delle forme tutelabili ne risulta ampliato a tutte quelle che presentano una originalità estetica che possa da sola orientare le scelte di acquisto del consumatore finale" (cfr. Tribunale di Milano, sentenza n. 3036/2010 ). E queste forme -attributive proprio di quel livello di individualità tali, secondo alcuni, non solo da attirare l‟attenzione del consumatore, ma altresì da costituire motivo di preferenza per l‟acquisto (cfr. in ordine a tale ultimo orientamento, Tribunale Bologna, 23.9.2009 , G. Est. Bariscia)- sono proprio quelle che segnano il confine della privativa tutelabile, giacché è proprio a quel quid di distinzione che viene conferita tutela. Nel caso in esame, le due anteriorità non sono tuttavia distruttive. [...] La contraffazione del modello Passando alla contraffazione, il confronto tra il design dell‟attrice e il prodotto commercializzato dalle convenute evidenzia un‟assoluta coincidenza del carattere individuale, ossia l‟impressione generale prodotta nell‟utilizzatore informato, senza alcuna reale discontinuità. [...] Tali differenze risultano tuttavia quasi impercettibili, quindi inidonee a suscitare una diversa impressione generale. L deduce inoltre come ad un consumatore informato non possano sfuggire i diversi materiali utilizzati nonché la sensibile differenza di prezzo. Premesso che l‟ottica è quella dell‟apprezzamento dell‟utilizzatore informato, i materiali utilizzati non rientrano tra le scelte oggetto del monopolio e, quanto al prezzo, tale circostanza non elide il rischio confusorio, tenuto conto della c.d. post sale confusion. [...] Il comando giudiziale Accertata la validità dei modelli attorei e la contraffazione degli stessi da parte delle convenute, vanno inibito alle convenute la fabbricazione, l‟importazione, la commercializzazione, l‟esportazione, la pubblicizzazione e la promozione delle calzature interferenti.[...]
contraffazione, concorrenza sleale, marchio registrato, inibitoria, danno morale, inosservanza, pubblicazione della sentenza, Marchi, risarcimento del danno, registrazione del marchio, preuso, diritto di vietare ai terzi, identità o somiglianza, rischio di confusione, rischio di associazione
Infine, viene rilevata la genericità e l’indeterminatezza, oltre che l’infondatezza della domanda risarcitoria. Ai sensi dell’art.20 lettera b) c. p. i. , il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell'attività economica un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell'identità o somiglianza fra i segni e dell'identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni. Nel caso di specie, il giudizio sulla confondibilità tra i due segni non può prescindere dalla considerazione che il tipo di consumatore destinatario della pubblicizzazione del marchio è il medesimo, essendo entrambi rivolti al settore sposi e matrimonio nella medesima provincia di Como. Riguardo a tale produzione, nessuna contestazione ha sollevato la convenuta, così come nulla ha eccepito in relazione alla produzione documentale della controparte (docc.28- 30) che dimostra che la polizia locale di XXX ha elevato una contravvenzione per affissione abusiva di cartelloni pubblicitari, inviando, per errore, a T s. r. l. la relativa sanzione a causa della confusione del marchio “COMO SPOSI” con il marchio “VIVA GLI SPOSI”. Per tutte le considerazioni che precedono, la lamentata contraffazione del marchio dell’attrice deve pertanto ritenersi provata. Anche in ipotesi concorrenziali, ove si suole dire che il danno sarebbe “in re ipsa” e da valutare equitativamente ex art. 1226 c. c. , la parte che invoca il risarcimento è comunque onerata di svolgere quelle deduzioni che possono conferire concretezza alla specifica pretesa di quantificazione, fornendo al giudice una base sulla quale esprimere la propria valutazione (cfr. Cass. 18748/10).
Oggetto: Brevetto di invenzione
Il maltitolo è un dolcificante, che è tradizionalmente utilizzato in forma di sciroppo, dal momento che ne è difficile la cristallizzazione: le forme cristalline o semi- cristalline, infatti, possono presentare vari problemi come la formazione di grumi, una cattiva scorrevolezza o una scarsa solubilità. Tale rivendicazione è caratterizzata da una specifica finalità di ottenimento dell’effetto tecnico soggiacente all’uso proposto, includendo come denotazione tecnica anche il raggiungimento di un determinato risultato (si vedano decisioni G2/88, G6/88, Guidelines C-VI 9.7, vedi AII. 18-1, 18-3, 19 della convenuta). Ed è proprio questa caratteristica a escludere che la rivendicazione del brevetto de quo sia equivalente alla rivendicazione di procedimento n.9 del medesimo brevetto, ritenuta, però, carente di novità dinanzi alla Divisione di Opposizione EPO (argomento proposto da C a sostegno dell’appello incidentale). Tale tipologia di brevetti ha, quindi, come requisito, una specifica oggettiva intenzionalità. Nel caso di specie ciò che contraddistingue l’uso del maltotriitolo rivendicato da R è la capacità di orientare la forma di cristallizzazione del maltitolo. Questo utilizzo dell’impurezza maltotriitolo consiste in un suo controllo attivo a una certa percentuale durante il procedimento di produzione del maltitolo. Il testo brevettuale deve essere interpretato alla luce dell’art. 52 CPI, che prevede, al secondo comma, che “i limiti della protezione sono determinati dal tenore delle rivendicazioni; tuttavia, la descrizione e i disegni servono a interpretare le rivendicazioni” e, al terzo comma, che “la disposizione del comma 2 deve essere intesa in modo da garantire nel contempo un'equa protezione al titolare e una ragionevole sicurezza giuridica ai terzi”. Dal testo normativo, si evince, come la descrizione sia un elemento fondamentale nell’interpretazione del brevetto per portare in maniera chiara e completa un’invenzione a conoscenza di terzi (Comma 2). Tuttavia, questa descrizione non si pone solo a vantaggio del titolare del brevetto, ma è essa stessa un limite al diritto di privativa. Quindi, il brevetto deve essere interpretato restrittivamente, alla luce di quanto risulta espresso dal titolare all’interno del testo, senza possibilità di ampliarne il significato.
identità o somiglianza, rischio di confusione, uso precedente del segno, notorietà, carattere distintivo, marchio registrato, rischio di associazione, registrazione del marchio, rinuncia al marchio, preuso, Marchi, pubblicità, domanda in mala fede
La norma dispone che “non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa i segni che alla data del deposito della domanda…siano identici o simili ad un segno già noto come marchio o segno distintivo di prodotti o servizi fabbricati, messi in commercio o prestati da altri per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell’identità o somiglianza tra i segni e dell’identità o affinità fra i prodotto i o servizi possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico…”, tenendo conto che “l’uso precedente del segno, quando non importi notorietà di esso, o importi notorietà puramente locale, non toglie la novità…”. Il marchio HOEPLITEST registrato dal convenuto è simile al marchio HOEPLI usato dall’attrice, e a causa della somiglianza fra i segni e dell’identità fra i prodotti e servizi può determinarsi un rischio di confusione per il pubblico. Il marchio di fatto usato dall’attrice ha un forte carattere distintivo, non essendo la parola HOEPLI - denominazione sociale derivante dal cognome del fondatore- attinente al prodotto e ai servizi che contraddistingue, ovvero libri e servizi dell’editoria; e l’aggiunta della parola TEST non vale a differenziare il marchio registrato dal convenuto dal marchio di fatto dell’attrice in misura idonea ad evitare il rischio di confusione per il pubblico, rilevato che si tratta di termine che può essere considerato come meramente descrittivo di una collana editoriale dedicata alla preparazione dei test di ammissione universitari e che il nucleo caratterizzante del marchio è rappresentato dalla parola HOEPLI. La somiglianza tra i segni e l’identità dei prodotti possono determinare un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione dei segni. Essendo la nullità stata allegata e ravvisata con riferimento al precedente marchio di fatto HOEPLI, è irrilevante che la registrazione del marchio HOEPLI da parte dell’attrice sia avvenuta solo nel 2015.
diritto di marchio
Invero il marchio di fatto assume rilevanza nei rapporti commerciali e tra imprenditori solo dal momento in cui esso risulta effettivamente utilizzato per contraddistinguere un determinato prodotto o servizio e solo da tale momento esso può assumere un valore apprezzabile quale segno distintivo che può consentire l’attribuzione al soggetto che ne fa uso del potere di interdire i terzi dall’uso del medesimo segno ove esso abbia raggiunti idonei livelli di conoscenza e diffusione sul mercato. Nel caso di specie la fase meramente ideativa di esso – con particolare riferimento alla caratterizzazione grafica del segno, posto che i documenti prodotti al più si riferiscono alla ricerca di una stile grafico particolare ma nulla dicono quanto al soggetto che aveva ideato la parte denominativa del segno – non può avere dunque alcun rilievo al fine di riconoscere o meno in capo alla convenuta la titolarità di detto segno di fatto, sulla base del quale essa ha proceduto alla formale registrazione del medesimo sia in sede nazionale che in sede comunitaria. L’accoglimento delle domande di trasferimento del marchio nazionale e di nullità del marchio dell’Unione Europea risulta del tutto assorbente quanto alle ulteriori domande di decadenza svolte dalle parti attrici. Né sussistono altresì i presupposti per procedere alla quantificazione di un risarcimento del danno in relazione alle violazioni innanzi accertate, posto che nessun concreto elemento di valutazione appare rinvenibile negli atti del procedimento.
mala fede, Marchi, contraffazione, concorrenza sleale, uso del segno, inosservanza, risarcimento del danno, rischio di confusione, notorietà, uso effettivo, pubblicità, registrazione del marchio, preuso, preutente, diritto alla registrazione, marchio registrato
Analoghe considerazioni possono svolgersi con riferimento alla denominazione sociale ASER. Alla norma può quindi darsi il significato di accordare (una anticipata) tutela a chi, pur avendo già destinato il segno a fungere come proprio marchio, non vi abbia ancora provveduto e, viceversa, di negarla a chi, avendo conoscenza di tale destinazione, frapponga ostacoli, in mala fede, appunto a tale “programma” depositando a proprio nome l’”altrui” segno. Tanto premesso, va quindi osservato nel caso di specie in primo luogo che, in conformità della stessa prospettazione della parte attrice e per come effettivamente accertato nei punti che precedono la società è titolare di un diritto (seppure concorrente) sul segno “ASER”, per l’attività di servizi funebri e limitatamente al territorio delle province di Ravenna e Faenza. Sicché la situazione soggettiva della società A non può qualificarsi in termini di legittima aspettativa alla registrazione del marchio ASER per servizi relativi al settore delle onoranze funebri (il segno peraltro sarebbe stato utilizzato ininterrottamente dal 2006). E tale aspettativa non si configura per la società attrice neanche con riferimento all’utilizzo del segno non limitato alle province di Ravenna e Faenza, non essendovi traccia di tale prospettazione nell’atto introduttivo. dunque non ricorrono i presupposti della tutela richiesta. Con riferimento alla seconda ipotesi (appropriazione di pregi) può senz’altro ritenersi la carenza della allegazione, non essendo stati specificamente allegati i pregi la cui appropriazione da parte delle società convenute consentirebbe di integrare illecito. Qualora il pregio fosse invece costituito proprio dal segno, le conclusioni non potrebbero divergere da quanto osservato al punto che precede.16.
decorso del termine, registrazione del marchio, marchio posteriore, buona fede, titolare del marchio, decadenza, contraffazione, marchi, rischio di confusione, concorrenza sleale, uso del segno, marchio registrato, pubblicazione della sentenza, pubblicità, progettazione, notorietà, inibitoria, convalidazione, mala fede, marchio anteriore, preuso
Per giurisprudenza comunitaria e nazionale, il dies a quo decorre, infatti, dalla data di registrazione del marchio e non può incominciare a decorrere a partire dal mero uso di un marchio posteriore, anche qualora il suo titolare abbia provveduto e ottenuto in seguito la registrazione, essendo quattro le condizioni necessarie per la integrazione della fattispecie: - la registrazione del marchio posteriore nello stato membro interessato; il deposito in buona fede del marchio posteriore; l’uso del marchio posteriore da parte del titolare nello stato membro in cui è stato registrato; la conoscenza da parte del titolare del marchio anteriore della registrazione e dell’uso dopo la sua registrazione. In altre parole, pur restando fermo che la produzione degli effetti ricollegati alla notificazione è condizionata al perfezionamento del procedimento nei confronti del destinatario, la notifica si considera perfezionata per il notificante in un momento diverso e anteriore, ponendolo al riparo da ogni decadenza che possa nel frattempo maturare. Sarebbe palesamente irragionevole e lesivo del diritto di difesa del notificante che un effetto di decadenza potesse discendere dal ritardo nel compimento di attività non riferibili al notificante, ma a soggetti diversi - ufficiale giudiziario e agente postale- del tutto estranee alla sua disponibilità. Ciò verificato in fatto, va osservato in diritto che, per il riconoscimento del marchio di fatto, non può ritenersi prova sufficiente l’uso occasionale o sporadico di un segno. La presenza di una “serie” di marchi costituisce, è vero, un fattore rilevante, ma non certamente l’unico di cui tenere conto ai fini della valutazione dell’esistenza di un rischio di confusione. La mera qualificazione dei marchi invocati come ricollegati a una “serie” o a una “famiglia” non è sufficiente a fondare tale rischio. L’esistenza di tale rischio di confusione per il pubblico deve essere oggetto di valutazione globale, prendendo in considerazione tutti i fattori pertinenti per verificare in concreto se esisteva un rischio che il pubblico di riferimento potesse credere che il marchio G, di cui è stata chiesta la registrazione per primo, facesse parte della serie di marchi invocata dalle convenute.
domanda di accertamento di atti di concorrenza sleale, violazione dei diritti distintivi quali l’insegna; violazione di Know How e di segreti industriali, domanda di risarcimento del danno ed inibitoria.
quanto all’insegna, la convenuta ha provato di averla mutata successivamente alla cessione (doc. 10 di parte convenuta). Il locale sotto la nuova gestione è contraddistinto dall’insegna “Solo Brace e Griglieria”. L’oscuramento della prima insegna -per quanto compiuto con modalità “artigianale”, ossia per verniciatura- non consente più di al pubblico di identificare la precedente insegna; e se ad un esame molto attento dell’ingresso del locale si potevano intravedere l’”ombra” del primo logo (doc. 8 di parte attrice), era del tutto evidente al consumatore che l’intento del proprietario era di cancellare la precedente insegna, così da recidere ogni collegamento con “Paolino” ed impedire ogni inganno al pubblico;c Insomma, il locale della convenuta non mutua da quelli di titolarità dell’attrice o gestiti dalla stessa in franchising elementi distintivi tutelabili e la cui illecita riproduzione possa trarre in inganno il consumatore, sviando la clientela. Tutte le doglianze dell’attrice sono dunque infondate, con conseguente rigetto delle relative pretese.
Declaratoria di decadenza parziale di marchio registrato
In materia di decadenza del marchio per non uso, chi invoca il fatto negativo estintivo del diritto ha l’onere di provare la mancata utilizzazione del segno. Conformemente al costante orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, l'onere della prova gravante su chi agisce (o resiste) in giudizio non subisce deroghe nemmeno quando abbia ad oggetto fatti negativi. L’ammissibilità della prova presuntiva è, peraltro, anche espressamente prevista nell’art. 121.1. CPI, ai sensi del quale “La prova della decadenza del marchio per non uso può essere fornita con qualsiasi mezzo comprese le presunzioni semplici”. La giurisprudenza e la dottrina hanno individuato, a titolo esemplificativo, i seguenti elementi presuntivi del non uso del marchio: - l’assenza del marchio e dei relativi prodotti nei listini pubblicati da un’associazione di categoria; - l’assenza del marchio e dei relativi prodotti nei cataloghi dell’impresa titolare della privativa; - il fatto che il settore merceologico per il quale il marchio è stato registrato sia notevolmente distante dall’oggetto sociale della società titolare della registrazione; - l’assenza del segno dal sito web della convenuta; -la mancanza di risultati tramite ricerche per parole chiave su Google e tramite ricerche sul sito www. archive. org. Alla luce degli elementi di prova emersi, va pertanto dichiarata la decadenza del marchio avversario, per non uso negli ultimi cinque anni, in applicazione del combinato disposto dagli artt. 235 e 47 R. D. 929/1942, nonché 26(c), 24 e 27 CPI.6.
Oggetto: Marchio
L’art. 120 c. p. i. , infatti, in quanto norma di carattere speciale, deve applicarsi con preferenza rispetto ai criteri generali dettati dal codice di procedura civile in materia di determinazione della competenza territoriale. La registrazione di tale marchio, infatti “appare evidentemente rivelatrice dell’intento dello stesso depositante non già di limitarsi a un uso meramente descrittivo o informativo del suo nome [...] ma, per la stessa intrinseca natura di marchio denominativo, proprio e esclusivamente per contraddistinguere i prodotti”. Il marchio oggetto di causa è patronimico, concretizzandosi essenzialmente nel cognome dello stilista. Ad avviso della Corte, sussiste la violazione dei diritti di esclusiva, ai sensi dell’art. 20, co 1, in quanto il marchio MATTIOLO è sostanzialmente identico a GAI MATTIOLO e determina, dunque, un pericolo di confusione e l’indebolimento del carattere distintivo dei marchi legittimamente registrati. Illegittimo è anche l’utilizzo del nome a dominio, sulla base dell’art. 22 c. p. i. che sancisce l’illegittimità dell’utilizzazione a fini imprenditoriali e commerciali del marchio quale nome a dominio, senza l’autorizzazione del licenziante. di esclusiva, ai sensi dell’art. 20, co 1, in quanto il marchio MATTIOLO è sostanzialmente identico a GAI MATTIOLO e determina, dunque, un pericolo di confusione e l’indebolimento del carattere distintivo dei marchi legittimamente registrati. Illegittimo è anche l’utilizzo del nome a dominio, sulla base dell’art. 22 c. p. i. che sancisce l’illegittimità dell’utilizzazione a fini imprenditoriali e commerciali del marchio quale nome a dominio, senza l’autorizzazione del licenziante. Evidente, infatti, è il rischio di associazione e confusione tra i marchi. La condotta dello stilista non è contraffattoria, in quanto non è accompagnata da malafede né da volontà di danneggiare.