Sentenza della Corte (Settima Sezione) del 13 ottobre 2022. MC contro Direktor na Direktsia «Obzhalvane i danachno-osiguritelna praktika» Veliko Tarnovo pri Tsentralno upravlenie na Natsionalnata agentsia za prihodite. Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Administrativen sad Veliko Tarnovo. Rinvio pregiudiziale – Imposta sul valore aggiunto (IVA) – Direttiva 2006/112/CE – Articolo 273 – Misure dirette ad assicurare l’esatta riscossione dell’IVA – Articolo 325, paragrafo 1, TFUE – Obbligo di combattere contro le attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’Unione europea – Debiti IVA di una persona giuridica soggetto passivo – Normativa nazionale che prevede la responsabilità solidale dell’amministratore non soggetto passivo della persona giuridica – Atti di disposizione compiuti in malafede dall’amministratore – Riduzione del patrimonio della persona giuridica comportante l’insolvenza – Mancato pagamento degli importi IVA dovuti dalla persona giuridica entro i termini impartiti – Interessi moratori – Proporzionalità. Causa C-1/21.
Edizione provvisoria
SENTENZA DELLA CORTE (Settima Sezione)
Sentenza
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 9 della Convenzione elaborata in base all’articolo K.3 del Trattato sull’Unione europea relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, firmata a Bruxelles il 26 luglio 1995 (GU 1995, C 316, pag. 48; in prosieguo: la «Convenzione TIF»), dell’articolo 273 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 2006, L 347, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva IVA»), e del principio di proporzionalità.
Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra MC e il Direktor na Direktsia «Obzhalvane i danachno-osiguritelna praktika» Veliko Tarnovo pri Tsentralno upravlenie na Natsionalnata agentsia za prihodite (direttore della direzione «Contenzioso e affari in materia tributaria e previdenziale» di Veliko Tarnovo presso l’Agenzia nazionale delle entrate pubbliche) (in prosieguo: il «direttore») in merito a un avviso di accertamento con il quale MC è stato reso responsabile in solido per alcuni debiti fiscali, tra cui debiti d’imposta sul valore aggiunto (IVA), di una società commerciale della quale è stato amministratore.
Contesto normativo
Diritto dell ’Unione
Convenzione TIF
Ai sensi del preambolo della Convenzione TIF, le parti contraenti di tale convenzione, «desiderose di far sì che le loro legislazioni penali contribuiscano efficacemente alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee», sono convinte, da un lato, «che la tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee esige che ogni condotta fraudolenta che leda tali interessi debba dar luogo ad azioni penali» e, dall’altro, «della necessità di rendere tali condotte passibili di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive, fatta salva l’applicazione di altre sanzioni in taluni casi opportuni, e di prevedere, almeno nei casi gravi, delle pene privative della libertà».
L’articolo 1, paragrafo 1, della Convenzione TIF definisce la nozione di «frode che lede gli interessi finanziari delle Comunità europee». Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, di tale convenzione, ciascuno Stato membro prende le misure necessarie e adeguate per recepire nel diritto penale interno le disposizioni dell’articolo 1, paragrafo 1, della suddetta convenzione, in modo tale che le condotte da esse considerate costituiscano un illecito penale.
L’articolo 2, paragrafo 1, della Convenzione PIF dispone che ogni Stato membro prende le misure necessarie affinché le condotte di cui all’articolo 1 di tale convenzione, nonché la complicità, l’istigazione o il tentativo relativi alle condotte descritte all’articolo 1, paragrafo 1, della suddetta convenzione, siano passibili di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive.
Direttiva IVA
L’articolo 205 della direttiva IVA così recita:
«Nelle situazioni di cui agli articoli da 193 a 200 e agli articoli 202, 203 e 204, gli Stati membri possono stabilire che una persona diversa dal debitore dell’imposta sia responsabile in solido per l’assolvimento dell’IVA».
L’articolo 273, primo comma, della suddetta direttiva è formulato nei termini seguenti:
«Gli Stati membri possono stabilire, nel rispetto della parità di trattamento delle operazioni interne e delle operazioni effettuate tra Stati membri da soggetti passivi, altri obblighi che essi ritengono necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e ad evitare le evasioni, a condizione che questi obblighi non diano luogo, negli scambi tra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera».
Diritto bulgaro
L’articolo 19, paragrafo 2, del Danachno – osiguritelen protsesualen kodeks (codice di procedura del contenzioso tributario e previdenziale; in prosieguo: il «DOPK») così dispone:
«Un amministratore o un membro dell’organo direttivo che, in malafede, eroga prestazioni in natura o in denaro a carico del patrimonio di una persona giuridica che è un soggetto debitore, ai sensi dell’articolo 14, punto 1 o 2, integranti una distribuzione dissimulata di utili o dividendi, o trasferisce beni patrimoniali di detto soggetto debitore a titolo gratuito o a prezzi considerevolmente inferiori ai prezzi di mercato, con conseguente riduzione del patrimonio di quest’ultimo e, pertanto, con conseguente mancato pagamento di imposte o contributi previdenziali obbligatori, risponde dei debiti sino alla concorrenza delle prestazioni erogate o della riduzione del patrimonio».
L’articolo 20 del DOPK recita:
«Nei casi disciplinati nell’articolo 19, la costituzione di garanzie e l’esecuzione forzata colpiscono, in un primo momento, il patrimonio del debitore il cui debito di imposta o a titolo di contributi previdenziali è posto a carico del terzo».
L’articolo 21, paragrafo 3, del DOPK precisa che la responsabilità del terzo viene meno in caso di estinzione del debito rispetto al quale detta responsabilità era stata accertata con atto giuridico definitivo.
L’articolo 1 del Zakon za lihvite varhu danatsi, taksi i drugi podobni darzhavni vzemania (legge sugli interessi sulle imposte, sulle tasse e su analoghi crediti dello Stato) (DV n. 91, del 12 novembre 1957), nella versione applicabile alla controversia principale, così dispone:
«Le imposte, le tasse, le trattenute sugli utili, i contributi al bilancio statale e altri simili importi dovuti di natura pubblica non versati, non trattenuti o trattenuti ma non versati tempestivamente nei termini previsti per il pagamento spontaneo vengono riscossi maggiorati degli interessi legali».
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
Tra il 14 aprile 2011 e il 30 aprile 2015 МC è stato amministratore di una società commerciale.
Nel corso del 2015 è stato avviato nei confronti di tale società un procedimento di recupero forzato di crediti pubblici, avente ad oggetto, in particolare, importi IVA non corrisposti e gli interessi moratori dovuti su tali importi.
Alla data del 28 agosto 2018 tale procedimento aveva consentito soltanto il recupero di un importo di 287 935,35 leva bulgari (BGN) (circa EUR 148 115). L’importo totale dei crediti pubblici ancora dovuti dalla suddetta società ammontava a BGN 3 799 590,92 (circa EUR 1 954 522).
Constatando che tali crediti sarebbero stati difficilmente recuperabili dalla medesima società, il funzionario incaricato del recupero ha adito la direzione territorialmente competente della Natsionalnata agentsia za prihodite (Agenzia nazionale delle entrate pubbliche) (in prosieguo: la «Direzione») affinché fosse presa in considerazione la responsabilità personale di MC, a titolo solidale, in applicazione dell’articolo 19, paragrafo 2, del DOPK.
Nell’ambito di quest’ultimo procedimento, MC è stato oggetto di un controllo che ha consentito di accertare i fatti seguenti.
MC ha svolto funzioni esecutive di gestione presso la summenzionata società commerciale tra il 14 aprile 2011 e il 30 aprile 2015. Secondo le spiegazioni fornite da MC, la retribuzione che egli percepiva a tale titolo era stabilita in un contratto di gestione concluso con tale società. Tuttavia, tale contratto non ha potuto essere prodotto né da MC né dalla suddetta società.
MC ha sostenuto che la sua retribuzione lorda mensile era stata aumentata, a partire dal 1º marzo 2014, passando da BGN 3 000 (circa EUR 1 543) a BGN 20 000 (circa EUR 10 288). Tale aumento sarebbe stato giustificato dall’incremento degli introiti netti e del fatturato di tale medesima società, a seguito della conclusione di nuovi contratti.
La Direzione ha ritenuto che l’importo corrispondente all’aumento della retribuzione netta di MC, ossia BGN 15 300 (circa EUR 7 800) al mese, costituisse una distribuzione dissimulata di utili o dividendi, ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 2, del DOPK, per i mesi di settembre, ottobre, novembre e dicembre 2014 e per il mese di gennaio 2015, pari a un importo totale di BGN 76 500 (circa EUR 39 352). Essa ha inoltre ritenuto che MC avesse agito in malafede.
In particolare, la Direzione ha constatato che il 18 e il 23 dicembre 2014 erano stati effettuati tre pagamenti sul conto bancario della moglie di MC, per un importo complessivo di BGN 53 164,08 (circa EUR 27 348). Inoltre, l’istruttoria giudiziaria, durante la quale è stato revocato il segreto bancario, ha dimostrato che tali pagamenti erano stati effettuati online a partire dal «conto cliente» dell’avvocato incaricato di rappresentare la società commerciale di cui MC era amministratore.
La Direzione ha considerato che tale importo complessivo di BGN 53 164,08, trasferito sul conto della moglie di MC, superasse di BGN 45 900 (circa EUR 23 611) la retribuzione netta normale di MC calcolata su un periodo di tre mesi.
In applicazione dell’articolo 19, paragrafo 2, del DOPK, la Direzione ha emesso un avviso di accertamento con il quale dichiarava MC responsabile in solido dei debiti pubblici di detta società commerciale per un importo pari a BGN 45 008,25 (circa EUR 23 152). I debiti pubblici di cui trattasi nel procedimento principale riguardavano l’imposta sulle persone fisiche, i contributi previdenziali e l’IVA, e comprendevano in particolare l’importo di BGN 12 837,50 (circa EUR 6 604), corrispondente agli interessi dovuti sull’IVA relativa al mese di dicembre 2014.
MC ha proposto un ricorso amministrativo avverso tale avviso di accertamento dinanzi al direttore, il quale ha respinto il suo ricorso.
MC ha quindi proposto un ricorso dinanzi al giudice del rinvio, sostenendo che le condizioni di applicazione dell’articolo 19, paragrafo 2, del DOPK non erano soddisfatte.
Dinanzi al giudice del rinvio il direttore ha affermato, da un lato, che MC era in possesso di una procura sul conto della moglie e, dall’altro, che aveva incaricato il contabile principale della società di cui trattasi nel procedimento principale di effettuare dei versamenti.
Il giudice del rinvio ritiene che tali condizioni siano soddisfatte e, pertanto, che la condotta di MC rientri nel meccanismo di responsabilità solidale stabilito in tale disposizione. Secondo tale giudice, è accertato che MC ha impartito a un terzo l’istruzione di versare una somma appartenente alla società di cui era amministratore a favore di una persona fisica ad esso collegata, o quantomeno che egli era a conoscenza di tale trasferimento e, quindi, che aveva agito in malafede, ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 2, del DOPK. Tale giudice precisa inoltre che è proprio a causa della riduzione del patrimonio di tale società, a concorrenza della somma indicata nell’avviso di accertamento, che gli interessi dovuti sull’IVA calcolati al dicembre 2014 non sono stati pagati.
Per quanto riguarda il meccanismo di responsabilità solidale previsto all’articolo 19, paragrafo 2, del DOPK, il giudice del rinvio ha fornito le seguenti precisazioni.
In primo luogo, la responsabilità solidale prevista da tale disposizione riguarderebbe esclusivamente una persona che sia amministratore o membro di un organo amministrativo di un contribuente dotato di personalità giuridica.
In secondo luogo, il giudice del rinvio precisa che tale persona deve aver effettuato, in malafede, pagamenti a partire dal patrimonio della persona giuridica che possano essere qualificati come distribuzione dissimulata di utili o dividendi, o aver ceduto tale patrimonio a titolo gratuito o a un prezzo nettamente inferiore al prezzo di mercato. Per contro, tale meccanismo non sarebbe connesso all’esistenza di una frode o di una pratica abusiva commessa dalla persona giuridica stessa.
In terzo luogo, il giudice del rinvio rileva che gli atti compiuti in malafede devono avere l’effetto di rendere la persona giuridica incapace di pagare imposte (ivi compresa l’IVA) o contributi previdenziali obbligatori. In altri termini, il ricorso a tale meccanismo richiederebbe un nesso di causalità tra, da un lato, gli atti compiuti in malafede e, dall’altro, l’impossibilità di recuperare debiti pubblici da tale persona giuridica.
In quarto luogo, il meccanismo di responsabilità per debiti altrui previsto all’articolo 19, paragrafo 2, del DOPK non si estenderebbe a tutti i debiti pubblici della persona giuridica, ma si limiterebbe all’importo della riduzione del patrimonio subita da tale persona giuridica a causa degli atti compiuti in malafede.
In quinto luogo, la responsabilità istituita sarebbe sussidiaria in quanto le misure di esecuzione forzata dovrebbero, in via prioritaria, essere dirette contro il patrimonio della persona giuridica, conformemente all’articolo 20 del DOPK. Inoltre, tale responsabilità verrebbe meno con l’estinzione dei debiti pubblici di cui trattasi, conformemente all’articolo 21, paragrafo 3, del DOPK.
Il giudice del rinvio si interroga sulla compatibilità di un siffatto meccanismo di responsabilità solidale con il diritto dell’Unione.
In primo luogo, esso si chiede se la direttiva IVA, e in particolare il suo articolo 273, consenta a uno Stato membro di istituire una responsabilità solidale relativa a un debito IVA in capo a una persona che non è assoggettata all’IVA, fermo restando che tale meccanismo contribuisce alla tutela degli interessi finanziari dell’Unione.
In secondo luogo, nel caso in cui la Corte dovesse rispondere affermativamente, tale giudice si interroga sulla possibilità di includere, in tale meccanismo, gli interessi dovuti in caso di pagamento tardivo dell’IVA, alla luce, in particolare, del principio di proporzionalità. Esso menziona, a tale proposito, una giurisprudenza nazionale divergente per quanto riguarda l’articolo 19, paragrafo 2, del DOPK.
In terzo luogo, nel caso in cui la Corte rispondesse parimenti in senso affermativo, il giudice del rinvio si chiede se l’inclusione degli interessi dovuti in caso di pagamento tardivo dell’imposta sia ancora giustificata, alla luce, in particolare, del principio di proporzionalità, qualora il mancato pagamento entro il termine previsto sia imputabile non già alla condotta in malafede della persona resa responsabile in solido, bensì alla condotta di un terzo o al verificarsi di circostanze oggettive.
In tale contesto, l’Administrativen sad Veliko Tarnovo (Tribunale amministrativo di Veliko Tarnovo, Bulgaria) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’articolo 9 della [Convenzione TIF], in combinato disposto con l’articolo 273 della direttiva [IVA], debba essere interpretato nel senso che non osta, nel settore armonizzato dell’imposta sul valore aggiunto, a una norma giuridica nazionale come quella prevista all’articolo 19, paragrafo 2, del DOPK la cui applicazione comporta la responsabilità solidale ex post di una persona fisica che non è soggetto passivo, e non è debitrice dell’IVA, ma la cui condotta infedele ha determinato il mancato assolvimento di detta imposta da parte della persona giuridica soggetto passivo che ne è debitrice.
2) Se l’interpretazione delle disposizioni di cui trattasi e l’applicazione del principio di proporzionalità consentano che la norma giuridica nazionale di cui all’articolo 19, paragrafo 2, del DOPK si applichi anche agli interessi maturati sull’IVA non assolta tempestivamente dal soggetto passivo.
3) Se la norma giuridica nazionale di cui all’articolo 19, paragrafo 2, del DOPK contrasti con il principio di proporzionalità nel caso in cui il ritardato assolvimento dell’IVA che ha comportato la maturazione di interessi sul debito ad essa relativo, non sia riconducibile alla condotta della persona fisica non soggetto passivo, ma alla condotta di un soggetto terzo o al verificarsi di circostanze di carattere oggettivo».
Sulle questioni pregiudiziali
Osservazioni preliminari
Il direttore ha contestato la ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale nel suo complesso, mettendo in discussione l’applicabilità, nelle circostanze del procedimento principale, delle disposizioni del diritto dell’Unione alle quali è fatto riferimento nelle questioni sollevate.
Il direttore ha sostenuto, in particolare, che la direttiva IVA non è destinata ad applicarsi a un meccanismo di responsabilità solidale relativo a tutte le categorie di imposte e contributi previdenziali, come quello previsto all’articolo 19, paragrafo 2, del DOPK.
A tal riguardo, occorre sottolineare che la circostanza che la normativa nazionale pertinente non sia stata adottata per trasporre la direttiva IVA non può essere tale da rimettere in discussione l’applicabilità di tale direttiva, dal momento che l’applicazione di tale normativa mira a garantire il rispetto delle disposizioni di detta direttiva e in particolare ad attuare l’obbligo incombente agli Stati membri, in forza dell’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, di combattere in modo effettivo contro i comportamenti lesivi degli interessi finanziari dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C-617/10, EU:C:2013:105, punto 28).
Stanti tali precisazioni, occorre individuare le disposizioni del diritto dell’Unione applicabili in situazioni come quella di cui al procedimento principale.
In primo luogo, per quanto riguarda l’articolo 9 della Convenzione TIF, occorre ricordare che tale convenzione è stata sostituita dalla direttiva (UE) 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2017, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale (GU 2017, L 198, pag. 29). Tuttavia, poiché tale direttiva è entrata in vigore soltanto il 17 agosto 2017, e i fatti di cui al procedimento principale sono avvenuti nel corso degli anni 2014 e 2015, solo la Convenzione TIF è applicabile alla controversia principale.
Occorre rilevare che la Convenzione TIF impone obblighi agli Stati membri in materia penale. Infatti, risulta in particolare dal preambolo nonché dagli articoli 1 e 2 di tale convenzione che essa obbliga gli Stati membri, da un lato, a qualificare come illeciti penali le condotte costitutive di «frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione» e, dall’altro, ad assicurarsi che tali condotte siano passibili di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive.
Orbene, nel caso di specie è pacifico che un meccanismo come quello previsto all’articolo 19, paragrafo 2, del DOPK, da un lato, non trasforma in illecito penale la condotta idonea a far sorgere la responsabilità solidale per i debiti IVA della persona giuridica e, dall’altro, non prevede alcuna sanzione penale a tale riguardo.
Pertanto, come giustamente sostenuto dal direttore e dalla Commissione europea, la Convenzione TIF non è applicabile a un meccanismo di responsabilità solidale come quello previsto all’articolo 19, paragrafo 2, del DOPK.
In secondo luogo, il direttore ha sostenuto, in subordine, che il meccanismo di responsabilità istituito all’articolo 19, paragrafo 2, del DOPK rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 205 della direttiva IVA, ai sensi del quale gli Stati membri possono, in determinate situazioni, prevedere che una persona diversa dal debitore sia tenuta in solido al pagamento dell’IVA.
A tale riguardo, occorre rilevare che, ai sensi dell’articolo 205 della direttiva IVA, nelle situazioni di cui agli articoli da 193 a200 e da 202 a204 di tale direttiva, gli Stati membri possono prevedere che una persona diversa dal debitore sia tenuta in solido al pagamento dell’IVA.
Gli articoli da 193 a200 e da 202 a204 della direttiva IVA determinano le persone debitrici dell’IVA, conformemente all’oggetto della sezione 1, intitolata «Debitori dell’imposta verso l’Erario», del capo 1 del titolo XIdi tale direttiva. Se l’articolo 193 di tale direttiva prevede, come regola di base, che l’IVA è dovuta dal soggetto passivo che effettua una cessione di beni o una prestazione di servizi imponibile, la formulazione di tale articolo chiarisce che altre persone possono o devono essere debitrici di tale imposta nelle situazioni di cui agli articoli da 194 a 199ter e 202 della stessa direttiva (sentenza del 20 maggio 2021, ALTI, C-4/20, EU:C:2021:397, punto 27).
Dal complesso formato dagli articoli da 193 a205 della direttiva IVA risulta quindi che l’articolo 205 di tale direttiva fa parte di un insieme di disposizioni volte a identificare il debitore dell’IVA in funzione di varie situazioni. Tali disposizioni mirano così a garantire che l’Erario riscuota efficacemente l’IVA dalla persona più adatta alla luce della situazione in questione, in particolare quando le parti contrattuali non sono situate nello stesso Stato membro o quando l’operazione soggetta all’IVA riguarda operazioni la cui specificità rende necessaria l’identificazione di una persona diversa da quella di cui all’articolo 193 della direttiva (sentenza del 20 maggio 2021, ALTI, C-4/20, EU:C:2021:397, punto 28).
Pertanto, l’articolo 205 della direttiva IVA consente, in linea di principio, agli Stati membri di adottare misure per l’effettiva riscossione dell’IVA in forza delle quali una persona diversa da quella di norma tenuta al pagamento di tale imposta ai sensi degli articoli da 193 a200 e da 202 a204 di tale direttiva diviene responsabile in solido del pagamento dell’imposta stessa (sentenza del 20 maggio 2021, ALTI, C-4/20, EU:C:2021:397, punto 29).
Nel caso di specie, come giustamente sostenuto dal governo spagnolo e dalla Commissione, occorre tuttavia constatare che un meccanismo di responsabilità solidale come quello di cui trattasi nel procedimento principale non ha lo scopo di designare una persona debitrice dell’imposta su una determinata operazione imponibile, ai sensi dell’articolo 205 della direttiva IVA.
Infatti, da un lato, la persona designata in applicazione di tale meccanismo non diviene debitrice dell’IVA su una determinata operazione imponibile, bensì responsabile in solido di tutto o di parte dei debiti IVA di una persona giuridica, e ciò indipendentemente dalle operazioni imponibili di cui trattasi.
Dall’altro lato, la portata di detto meccanismo non si estende all’integralità dell’IVA non assolta su una determinata operazione imponibile, ma è limitata all’importo della riduzione del patrimonio subito dalla persona giuridica a causa degli atti in malafede compiuti dalla persona designata come responsabile in solido.
Un siffatto meccanismo dev’essere distinto, in particolare, da quelli oggetto delle domande di pronuncia pregiudiziale nelle cause che hanno dato luogo alle sentenze dell’11 maggio 2006, Federation of Technological Industries e a. (C-384/04, EU:C:2006:309), del 21 dicembre 2011, Vlaamse Oliemaatschappij (C-499/10, EU:C:2011:871), e del 20 maggio 2021, ALTI (C-4/20, EU:C:2021:397). A differenza del meccanismo di cui trattasi nel procedimento principale, tali meccanismi designavano una persona come debitrice in solido dell’integralità dell’IVA dovuta su una determinata operazione imponibile, conformemente all’articolo 205 della direttiva IVA.
Da quanto precede risulta che l’articolo 205 della direttiva IVA non è applicabile nelle circostanze del procedimento principale.
In terzo luogo, per quanto riguarda l’articolo 273 della direttiva IVA, occorre ricordare che esso dispone che gli Stati membri possono stabilire altri obblighi che essi ritengano necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e ad evitare le evasioni.
A tale riguardo, l’articolo 325, paragrafo 1, TFUE impone agli Stati membri di combattere contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione mediante misure dissuasive ed effettive [sentenze del 5 giugno 2018, Kolev e a., C-612/15, EU:C:2018:392, punto 50, e dell’8 marzo 2022, Commissione/Regno Unito (Lotta contro la frode da sottovalutazione), C-213/19, EU:C:2022:167, punto 209].
Ai sensi della decisione 2014/335/UE, Euratom del Consiglio, del 26 maggio 2014, relativa al sistema delle risorse proprie dell’Unione europea (GU 2014, L 168, pag. 105), le risorse proprie dell’Unione comprendono, in particolare, le entrate provenienti dall’applicazione di un’aliquota uniforme agli imponibili IVA armonizzati determinati secondo le norme dell’Unione. Pertanto, sussiste un nesso diretto tra la riscossione delle entrate provenienti dall’IVA nell’osservanza del diritto dell’Unione applicabile e la messa a disposizione del bilancio dell’Unione delle corrispondenti risorse IVA, dal momento che qualsiasi lacuna nella riscossione delle prime determina potenzialmente una riduzione delle seconde (sentenze del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B., C-42/17, EU:C:2017:936, punto 31, nonché del 17 gennaio 2019, Dzivev e a. C-310/16, EU:C:2019:30, punto 26).
Al fine di assicurare la tutela degli interessi finanziari dell’Unione, gli Stati membri sono tenuti, in particolare, ad adottare le misure necessarie per garantire la riscossione effettiva e integrale delle risorse proprie costituite dalle entrate provenienti dall’applicazione di un’aliquota uniforme agli imponibili IVA armonizzati (sentenza del 21 dicembre 2021, Euro Box Promotion e a., C-357/19, C-379/19, C-547/19, C-811/19 e C-840/19, EU:C:2021:1034, punto 182).
Pertanto, dagli articoli 2 e 273 della direttiva IVA, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3 TUE e con l’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, deriva in particolare che gli Stati membri hanno l’obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative atte a garantire la riscossione integrale dell’IVA dovuta nei loro rispettivi territori e a combattere contro la frode (v., in tal senso, sentenze del 19 ottobre 2017, Paper Consult, C-101/16, EU:C:2017:775, punto 47; del 20 marzo 2018, Menci, C-524/15, EU:C:2018:197, punto 18, e del 17 maggio 2018, Vámos, C-566/16, EU:C:2018:321, punto 37).
Nel caso di specie, un meccanismo di responsabilità solidale come quello istituito dall’articolo 19, paragrafo 2, del DOPK contribuisce alla riscossione di importi IVA che non sono stati versati da una persona giuridica soggetto passivo nei termini imperativi stabiliti dalle disposizioni della direttiva IVA. Un siffatto meccanismo contribuisce ad assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e/o a evitare le evasioni, ai sensi dell’articolo 273 della direttiva IVA, conformemente all’obbligo sancito all’articolo 325, paragrafo 1, TFUE.
Tale constatazione non può essere rimessa in discussione dalla circostanza che le persone rese responsabili in solido in forza del meccanismo di cui trattasi nel procedimento principale, vale a dire l’amministratore o il membro di un organo amministrativo della persona giuridica, non sono esse stesse, in tale qualità, soggetti passivi dell’IVA.
A tale riguardo, e prima di tutto, non risulta da alcun elemento del tenore letterale dell’articolo 273 della direttiva IVA che gli obblighi stabiliti dagli Stati membri in forza di tale disposizione possano riguardare soltanto soggetti passivi dell’IVA.
Inoltre, per quanto riguarda il contesto di tale disposizione, occorre rilevare che essa fa parte del titolo XI della direttiva IVA, la cui rubrica si riferisce espressamente agli «obblighi dei soggetti passivi e di alcune persone non soggetti passivi».
Infine, per quanto riguarda le finalità perseguite dall’articolo 273 della direttiva IVA, l’obbligo incombente agli Stati membri di adottare tutte le misure atte a garantire la riscossione integrale dell’IVA e a combattere contro l’evasione, ricordato al punto 60 della presente sentenza, può, in determinate circostanze, esigere che uno Stato membro sanzioni persone non soggetti passivi che partecipano all’adozione di decisioni presso una persona giuridica soggetto passivo, pena la compromissione dell’effettività di tali misure.
Da quanto precede risulta che un meccanismo di responsabilità solidale, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 273 della direttiva IVA, interpretato alla luce dell’articolo 325, paragrafo 1, TFUE.
Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre intendere le questioni poste dal giudice del rinvio nel senso che con esse si chiede l’interpretazione dell’articolo 273 della direttiva IVA e del principio di proporzionalità.
Sulla prima questione
Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 273 della direttiva IVA e il principio di proporzionalità debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che prevede un meccanismo di responsabilità solidale per i debiti IVA di una persona giuridica nelle seguenti circostanze:
– la persona ritenuta responsabile in solido è amministratore della persona giuridica o membro di un organo amministrativo della stessa;
– la persona ritenuta responsabile in solido ha effettuato, in malafede, pagamenti a partire dal patrimonio della persona giuridica che possono essere qualificati come distribuzione dissimulata di utili o dividendi, oppure ha ceduto tale patrimonio a titolo gratuito o a un prezzo nettamente inferiore al prezzo di mercato;
– gli atti compiuti in malafede hanno avuto l’effetto di rendere la persona giuridica incapace di pagare in tutto o in parte l’IVA di cui è debitrice;
– la responsabilità solidale è limitata all’importo della riduzione del patrimonio subita dalla persona giuridica a causa degli atti compiuti in malafede, e
– tale responsabilità solidale scatta solo in subordine, quando si rivela impossibile recuperare dalla persona giuridica gli importi IVA dovuti.
La Corte ha già avuto occasione di precisare che le disposizioni di cui all’articolo 273 della direttiva IVA, al di fuori dei limiti da esse fissati, non precisano né le condizioni né gli obblighi che gli Stati membri possono prevedere e conferiscono dunque a questi un margine discrezionale circa i mezzi idonei ad assicurare la riscossione integrale dell’IVA dovuta sul loro territorio e a evitare le evasioni (v., in particolare, sentenze del 7 maggio 2018, Vámos, C-566/16, EU:C:2018:321, punto 38, e del 21 novembre 2018, Fontana, C-648/16, EU:C:2018:932, punto 35).
Nel caso di specie, occorre rilevare che un meccanismo di responsabilità solidale come quello di cui trattasi nel procedimento principale contribuisce al recupero di importi IVA che non sono stati versati da una persona giuridica soggetto passivo nei termini imperativi stabiliti dalle disposizioni della direttiva IVA, cosicché esso contribuisce ad assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e/o ad evitare le evasioni, ai sensi dell’articolo 273, primo comma, della direttiva IVA. Pertanto, un siffatto meccanismo rientra, in linea di principio, nel margine discrezionale di cui godono gli Stati membri nell’ambito dell’attuazione dell’articolo 273 della direttiva IVA.
Occorre aggiungere che un siffatto meccanismo contribuisce al rispetto dell’obbligo, ricordato al punto 60 della presente sentenza, che incombe a ciascuno Stato membro di adottare tutte le misure legislative e amministrative atte a garantire la riscossione integrale dell’IVA dovuta nel suo territorio e a combattere contro la frode, conformemente, in particolare, all’articolo 325, paragrafo 1, TFUE.
Tuttavia, gli Stati membri sono tenuti ad esercitare la loro competenza nel rispetto del diritto dell’Unione e dei suoi principi generali e, di conseguenza, nel rispetto del principio di proporzionalità (v., in particolare, sentenze del 21 novembre 2018, Fontana, C-648/16, EU:C:2018:932, punto 35, e del 15 aprile 2021, Grupa Warzywna, C-935/19, EU:C:2021:287, punto 26).
Per quanto riguarda il principio di proporzionalità, la Corte ha dichiarato che gli Stati membri devono far ricorso a strumenti che, pur consentendo di raggiungere efficacemente l’obiettivo perseguito dal diritto nazionale, arrechino il minor pregiudizio possibile agli obiettivi e ai principi stabiliti dalla normativa di riferimento dell’Unione. Pertanto, anche se è legittimo che i provvedimenti adottati dagli Stati membri tendano a preservare il più efficacemente possibile i diritti dell’Erario, essi non devono eccedere quanto è necessario a tal fine (sentenze del 21 dicembre 2011, Vlaamse Oliemaatschappij, C-499/10, EU:C:2011:871, punti 21 e 22, e del 20 maggio 2021, ALTI, C-4/20, EU:C:2021:397, punto 33).
A tale proposito, la Corte ha già dichiarato che provvedimenti nazionali che danno luogo, de facto, ad un sistema di responsabilità solidale oggettiva eccedono quanto è necessario per preservare i diritti dell’Erario. Far ricadere la responsabilità del pagamento dell’IVA su un soggetto diverso dal debitore di tale imposta, senza che possa sottrarvisi fornendo la prova di essere completamente estraneo alla condotta di tale debitore dell’imposta deve, pertanto, essere ritenuto incompatibile con il principio di proporzionalità. Risulterebbe infatti chiaramente sproporzionato imputare, in modo incondizionato, al citato soggetto i mancati introiti fiscali causati dalla condotta di un terzo soggetto passivo sulla quale egli non ha alcuna influenza (sentenza del 21 dicembre 2011, Vlaamse Oliemaatschappij, C-499/10, EU:C:2011:871, punto 24).
In tali circostanze, l’esercizio della facoltà, da parte degli Stati membri, di designare un debitore in solido diverso dal debitore dell’imposta al fine di garantire l’effettiva riscossione di quest’ultima deve essere giustificato dai rapporti di fatto e/o di diritto tra le due persone interessate, alla luce dei principi di certezza del diritto e di proporzionalità. In particolare, spetta agli Stati membri specificare le circostanze particolari in cui una persona, come il destinatario di un’operazione imponibile, deve essere considerata responsabile in solido del pagamento dell’imposta dovuta dalla sua controparte contrattuale quando l’ha versata pagando il prezzo di tale operazione (sentenza del 20 maggio 2021, ALTI, C-4/20, EU:C:2021:397, punto 34).
La Corte ha altresì statuito che le circostanze che un soggetto diverso dal debitore dell’imposta abbia agito in buona fede utilizzando tutta la diligenza di un operatore avveduto, che abbia adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere e che sia esclusa la sua partecipazione a un abuso o a un’evasione costituiscono elementi da prendere in considerazione per determinare la possibilità di obbligare in solido tale soggetto a versare l’IVA dovuta (sentenze del 21 dicembre 2011, Vlaamse Oliemaatschappij, C-499/10, EU:C:2011:871, punto 26, e del 20 maggio 2021, ALTI, C-4/20, EU:C:2021:397, punto 37).
Nel caso di specie, è giocoforza constatare che un meccanismo di responsabilità solidale, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, non eccede quanto è necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’IVA ed evitare l’evasione.
Più precisamente, tenuto conto delle sue caratteristiche, un tale meccanismo non può essere assimilato ad un sistema di responsabilità solidale oggettiva, ai sensi della giurisprudenza citata ai punti da 74 a 76 della presente sentenza, che sarebbe incompatibile con il principio di proporzionalità.
In primo luogo, la persona designata come responsabile in solido deve avere la qualità di amministratore o di membro di un organo amministrativo della persona giuridica debitrice degli importi IVA non versati, e può quindi essere considerata come partecipante all’adozione di decisioni in seno a quest’ultima.
In secondo luogo, la persona designata come responsabile in solido deve aver effettuato, in malafede, pagamenti a partire dal patrimonio della persona giuridica che possono essere qualificati come distribuzione dissimulata di utili o dividendi, o deve aver ceduto l’integralità o una parte di tale patrimonio a titolo gratuito o a un prezzo nettamente inferiore al prezzo di mercato.
In terzo luogo, deve sussistere un nesso di causalità tra gli atti compiuti in malafede dalla persona designata come responsabile in solido e l’incapacità in cui si trova la persona giuridica di pagare l’IVA di cui è debitrice.
In quarto luogo, la portata della responsabilità solidale è limitata alla riduzione del patrimonio subita dalla persona giuridica a causa degli atti commessi in malafede.
Infine, e in quinto luogo, tale responsabilità sussiste solo in via subordinata, qualora risulti impossibile recuperare dalla persona giuridica gli importi IVA dovuti.
Alla luce della giurisprudenza ricordata ai punti da 72 a 76 della presente sentenza, si deve constatare che l’istituzione di un siffatto meccanismo non eccede quanto è necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare l’evasione.
Alla luce di quanto precede, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 273 della direttiva IVA e il principio di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale che prevede un meccanismo di responsabilità solidale per i debiti IVA di una persona giuridica nelle seguenti circostanze:
– la persona ritenuta responsabile in solido è amministratore della persona giuridica o membro di un organo amministrativo della stessa;
– la persona ritenuta responsabile in solido ha effettuato, in malafede, pagamenti a partire dal patrimonio della persona giuridica che possono essere qualificati come distribuzione dissimulata di utili o dividendi, oppure ha ceduto tale patrimonio a titolo gratuito o a un prezzo nettamente inferiore al prezzo di mercato;
– gli atti compiuti in malafede hanno avuto l’effetto di rendere la persona giuridica incapace di pagare in tutto o in parte l’IVA di cui è debitrice;
– la responsabilità solidale è limitata all’importo della riduzione del patrimonio subita dalla persona giuridica a causa degli atti compiuti in malafede, e
– tale responsabilità solidale scatta solo in subordine, quando si rivela impossibile recuperare dalla persona giuridica gli importi IVA dovuti.
Sulla seconda questione
Con la seconda questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 273 della direttiva IVA e il principio di proporzionalità debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che prevede un meccanismo di responsabilità solidale, come quello descritto nella prima questione, che si estende agli interessi moratori dovuti dalla persona giuridica a causa del mancato pagamento dell’IVA entro i termini imperativi stabiliti dalle disposizioni di tale direttiva.
A tale riguardo, dalle indicazioni contenute nella decisione di rinvio risulta che il meccanismo di responsabilità solidale di cui alla prima questione è, in quanto tale, limitato all’importo della riduzione del patrimonio subita dalla persona giuridica a causa degli atti compiuti in malafede. Tuttavia, la normativa nazionale prevede, peraltro, che il recupero di imposte non pagate entro i termini previsti sia «maggiorat[o] degli interessi», come indicato al punto 11 della presente sentenza, e il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se tale dispositivo possa essere applicato in via accessoria al meccanismo di responsabilità solidale di cui trattasi.
Occorre sottolineare, anzitutto, che la riscossione di interessi moratori, in caso di mancato pagamento dell’IVA entro i termini imperativi stabiliti dalle disposizioni della direttiva IVA, contribuisce ad assicurare l’esatta riscossione di tale imposta conformemente all’articolo 273 di tale direttiva.
Infatti, la riscossione di interessi moratori consente di compensare il pregiudizio causato all’Erario dall’indisponibilità degli importi IVA che sono stati oggetto di un pagamento tardivo, per il periodo che va dalla data in cui tali importi sono dovuti fino alla data in cui essi sono effettivamente versati (v, per analogia, sentenze del 19 luglio 2012, Littlewoods Retail e a., C-591/10, EU:C:2012:478, punti 25 e 26, e del 28 febbraio 2018, Nidera, C-387/16, EU:C:2018:121, punto 25).
Inoltre, la riscossione di interessi moratori incentiva anche gli interessati a pagare l’IVA entro i termini imperativi stabiliti dalle disposizioni della direttiva IVA o il più rapidamente possibile dopo la scadenza di tali termini.
La Corte ha in tal senso dichiarato che il versamento di interessi moratori può costituire una sanzione adeguata in caso di mancato pagamento dell’IVA entro i termini impartiti, purché non ecceda quanto necessario al conseguimento dell’obiettivo consistente nell’assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e nell’evitare l’evasione (v., in tal senso, sentenze del 12 luglio 2012, EMS-Bulgaria Transport, C-284/11, EU:C:2012:458, punto 75, e del 17 luglio 2014, Equoland, C-272/13, EU:C:2014:2091, punto 46).
Pertanto, la riscossione di interessi moratori contribuisce alla lotta contro il mancato pagamento, entro i termini impartiti, degli importi IVA dichiarati, conformemente all’obbligo incombente agli Stati membri, segnatamente in forza dell’articolo 273 della direttiva IVA e dell’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, di adottare tutte le misure legislative e amministrative atte a garantire la riscossione integrale dell’IVA dovuta nei loro rispettivi territori e a combattere contro l’evasione.
Infine, e per i motivi esposti ai punti da 77 a 84 della presente sentenza, l’inclusione di interessi moratori in un meccanismo di responsabilità solidale, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, è conforme al principio di proporzionalità, in quanto tali interessi riguardano il mancato pagamento dell’IVA entro i termini imperativi stabiliti dalle disposizioni della direttiva IVA, da parte della persona giuridica debitrice di tale imposta, a causa degli atti compiuti in malafede dalla persona designata come responsabile in solido (v., per analogia, sentenza del 20 maggio 2021, ALTI, C-4/20, EU:C:2021:397, punti 43 e 44).
Infatti, come ricordato, in sostanza, al punto 74 della presente sentenza, il principio di proporzionalità dev’essere interpretato nel senso che osta a che un soggetto diverso dal debitore dell’IVA sia considerato responsabile della perdita di introiti fiscali causata dalla condotta di un terzo sulla quale egli non ha alcuna influenza.
Di conseguenza, l’inclusione degli interessi moratori in un meccanismo di responsabilità solidale come quello istituito dall’articolo 19, paragrafo 2, del DOPK può essere considerata compatibile con il principio di proporzionalità solo nella misura in cui tali interessi riguardino il mancato pagamento dell’IVA, entro i termini imperativi stabiliti dalle disposizioni della direttiva IVA, a causa degli atti compiuti in malafede dalla persona designata come responsabile in solido.
Alla luce di quanto precede, occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 273 della direttiva IVA e il principio di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale che prevede un meccanismo di responsabilità solidale, come quello descritto nella prima questione, che si estende agli interessi moratori dovuti dalla persona giuridica per il mancato pagamento dell’IVA entro i termini imperativi stabiliti dalle disposizioni di tale direttiva a causa degli atti compiuti in malafede dalla persona designata come responsabile in solido.
Sulla terza questione
Con la terza questione il giudice del rinvio chiede se il principio di proporzionalità debba essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale che prevede un meccanismo di responsabilità solidale, come quello descritto nella prima questione, che si estende agli interessi moratori dovuti dalla persona giuridica per il mancato pagamento dell’IVA entro i termini imperativi stabiliti dalle disposizioni della direttiva IVA, qualora il pagamento tardivo sia imputabile non già al comportamento della persona ritenuta responsabile in solido, bensì al comportamento di un soggetto terzo o al verificarsi di circostanze oggettive.
Occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione poste dal giudice nazionale nel quadro normativo e fattuale che egli definisce sotto la propria responsabilità e di cui non spetta alla Corte verificare l’esattezza, beneficiano di una presunzione di rilevanza. La Corte può rifiutare di pronunciarsi su una questione sollevata da un giudice nazionale solo quando risulta manifestamente che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcuna relazione con la realtà o con l’oggetto del procedimento principale, quando il problema è di natura ipotetica o quando la Corte non dispone degli elementi di fatto e di diritto necessari per fornire una risposta utile alle questioni che le vengono sottoposte (v., in particolare, sentenze del 6 novembre 2008, Trespa International, C-248/07, EU:C:2008:607, punto 33, e del 22 febbraio 2022, Stichting Rookpreventie Jeugd e a., C-160/20, EU:C:2022:101, punto 82).
Nel caso di specie, l’attuazione del meccanismo di responsabilità solidale stabilito all’articolo 19, paragrafo 2, del DOPK, come descritto dal giudice del rinvio, richiede che l’incapacità della persona giuridica di pagare in tutto o in parte i suoi debiti pubblici sia causata da atti commessi in malafede dalla persona ritenuta responsabile in solido. Di conseguenza, il ricorso a tale meccanismo esclude, per ipotesi, che il mancato pagamento dell’IVA entro i termini imperativi stabiliti dalle disposizioni della direttiva IVA sia imputabile al comportamento di un soggetto terzo o al verificarsi di circostanze oggettive.
Inoltre, per quanto riguarda la controversia principale, il giudice del rinvio non ha menzionato il comportamento di un soggetto terzo o il verificarsi di circostanze oggettive che avrebbero comportato il mancato pagamento dell’IVA entro il termine impartito.
Di conseguenza, si deve constatare che l’interpretazione richiesta del diritto dell’Unione non ha alcun rapporto con la realtà o con l’oggetto della controversia principale, ai sensi della giurisprudenza richiamata al punto 98 della presente sentenza e, pertanto, che la terza questione sollevata è irricevibile.
Sulle spese
Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Settima Sezione) dichiara:
L’articolo 273 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, e il principio di proporzionalità
devono essere interpretati nel senso che:
non ostano a una normativa nazionale che prevede un meccanismo di responsabilità solidale per i debiti di imposta sul valore aggiunto (IVA) di una persona giuridica nelle seguenti circostanze:
– la persona ritenuta responsabile in solido è amministratore della persona giuridica o membro di un organo amministrativo della stessa;
– la persona ritenuta responsabile in solido ha effettuato, in malafede, pagamenti a partire dal patrimonio della persona giuridica che possono essere qualificati come distribuzione dissimulata di utili o dividendi, oppure ha ceduto tale patrimonio a titolo gratuito o a un prezzo nettamente inferiore al prezzo di mercato;
– gli atti compiuti in malafede hanno avuto l’effetto di rendere la persona giuridica incapace di pagare in tutto o in parte l’IVA di cui è debitrice;
– la responsabilità solidale è limitata all’importo della riduzione del patrimonio subita dalla persona giuridica a causa degli atti compiuti in malafede, e
– tale responsabilità solidale scatta solo in subordine, quando si rivela impossibile recuperare dalla persona giuridica gli importi IVA dovuti.
L’articolo 273 della direttiva 2006/112 e il principio di proporzionalità
devono essere interpretati nel senso che:
non ostano a una normativa nazionale che prevede un meccanismo di responsabilità solidale, come quello descritto al punto 1 del dispositivo della presente sentenza, che si estende agli interessi moratori dovuti dalla persona giuridica per il mancato pagamento dell’imposta sul valore aggiunto entro i termini imperativi stabiliti dalle disposizioni di tale direttiva a causa degli atti compiuti in malafede dalla persona designata come responsabile in solido.
Firme
* Lingua processuale: il bulgaro.