Sentenza della Corte (grande sezione) del 7 dicembre 2010. Procedimento penale a carico di R. Domanda di pronuncia pregiudiziale : Bundesgerichtshof - Germania. Sesta direttiva IVA - Art. 28 quater, parte A, lett. a) - Frode a danno dell’IVA - Diniego di esenzione dall’IVA per cessioni intracomunitarie di beni - Partecipazione attiva del venditore alla frode - Competenze degli Stati membri nel contesto della lotta alla frode, all’evasione fiscale e agli eventuali abusi. Causa C-285/09.
Causa C-285/09
Procedimento penale
a carico di
R.
(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesgerichtshof)
«Sesta direttiva IVA — Art. 28 quater, parte A, lett. a) — Frode a danno dell’IVA — Diniego di esenzione dall’IVA per cessioni intracomunitarie di beni — Partecipazione attiva del venditore alla frode — Competenze degli Stati membri nel contesto della lotta alla frode, all’evasione fiscale e agli eventuali abusi»
Massime della sentenza
Disposizioni tributarie — Armonizzazione delle legislazioni — Imposte sulla cifra d’affari — Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto — Regime transitorio di tassazione degli scambi fra gli Stati membri
(Direttiva del Consiglio 77/388, art. 28 quater, A)
Qualora sia stata effettivamente realizzata una cessione intracomunitaria di beni ma, in occasione di tale cessione, il fornitore abbia nascosto l’identità del vero acquirente per consentirgli di eludere il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto, lo Stato membro di partenza della cessione intracomunitaria, in forza delle competenze che gli spettano in virtù della prima parte di frase dell’art. 28 quater, parte A, della sesta direttiva 77/388, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, come modificata dalla direttiva 2000/65, può negare il beneficio dell’esenzione per quest’operazione.
A questo proposito, la presentazione di false fatture o di false dichiarazioni, alla pari di qualsiasi altra alterazione di prove, è idonea ad impedire la riscossione dell’importo esatto dell’imposta e, pertanto, è atta a compromettere il buon funzionamento del sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto. Ebbene, comportamenti di questo genere rivestono una gravità ancora maggiore se commessi nel contesto del regime transitorio di tassazione delle operazioni intracomunitarie, il quale funziona in base alle prove fornite dai soggetti passivi. Pertanto, il diritto dell’Unione non impedisce agli Stati membri di considerare l’emissione di fatture irregolari alla stregua di una frode fiscale e di negare l’esenzione in una siffatta ipotesi.
Tuttavia, in casi particolari in cui siano presenti valide ragioni per ritenere che l’acquisto intracomunitario corrispondente alla cessione de quo, nonostante la reciproca assistenza e la cooperazione amministrativa tra le autorità tributarie degli Stati membri coinvolti, possa sfuggire al pagamento dell’imposta sul valore aggiunto nello Stato membro di destinazione, lo Stato membro di partenza è tenuto, in linea di massima, a negare l’esenzione a favore del fornitore di beni e ad obbligare quest’ultimo ad assolvere l’imposta a posteriori, onde evitare che l’operazione in questione sfugga a qualsiasi imposizione fiscale. Infatti, in conformità al principio fondamentale inerente al sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto, tale imposta si applica a qualsiasi operazione di produzione o di distribuzione, detratta l’imposta sul valore aggiunto gravante direttamente sul costo dei diversi elementi costitutivi del prezzo.
(v. punti 48, 49, 52, 55 e dispositivo)
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
Sentenza
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 28 quater, parte A, lett. a), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1), come modificata con direttiva del Consiglio 17 ottobre 2000, 2000/65/CE (GU L 269, pag. 44; in prosieguo: la «sesta direttiva»).
Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia relativa al procedimento penale avviato a carico del sig. R. per una frode fiscale contestatagli in materia di riscossione dell’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA»).
Contesto normativo
Secondo l’art. 2 della sesta direttiva, sono soggette ad IVA le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale, come pure le importazioni di beni.
La sesta direttiva comprende il titolo XVI bis, rubricato «Regime transitorio di tassazione degli scambi tra Stati membri», introdotto in tale direttiva dalla direttiva del Consiglio 16 dicembre 1991, 91/680/CEE, che completa il sistema comune di imposta sul valore aggiunto e modifica, in vista della soppressione delle frontiere fiscali, la direttiva 77/388 (GU L 376, pag. 1), e che comprende, in particolare, gli artt. 28 bis - 28 quindecies.
L’art. 28 bis, n. 1, lett. a), primo comma, della sesta direttiva così dispone:
«Sono parimenti soggetti all’IVA:
a) gli acquisti intracomunitari di beni effettuati a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale o da un ente che non è soggetto passivo, quando il venditore è un soggetto passivo che agisce in quanto tale, che non beneficia della franchigia d’imposta prevista dall’articolo 24 e che non rientra nelle disposizioni previste all’articolo 8, paragrafo 1, lettera a), seconda frase o all’articolo 28 ter, punto B, paragrafo 1».
Il diritto all’esenzione delle cessioni intracomunitarie di beni è previsto all’art. 28 quater, parte A, lett. a), primo comma, della sesta direttiva, che stabilisce quanto segue:
«Fatte salve altre disposizioni comunitarie e alle condizioni da essi fissate per assicurare una corretta e semplice applicazione delle esenzioni previste qui di seguito e prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso, gli Stati membri esentano:
a) le cessioni di beni ai sensi dell’articolo 5, spediti o trasportati, dal venditore o dall’acquirente o per loro conto, fuori dal territorio di cui all’articolo 3 ma all’interno della Comunità, effettuate per un altro soggetto passivo o per un ente che non è soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato di partenza della spedizione o del trasporto dei beni».
La normativa nazionale
Ai sensi dell’art. 370, n. 1, del codice delle imposte del 1977 (Abgabenordnung 1977, BGBl. 1976 I, pag. 613, e 1977 I, pag. 269):
«(1) È condannato ad una pena detentiva fino a cinque anni o ad una multa:
1. chiunque presenti alle autorità tributarie (…) dichiarazioni inesatte o incomplete su fatti rilevanti ai fini del sorgere dell’imposta,
(…)
e in tal modo riduca i suoi oneri fiscali o ottenga per sé o per terzi indebiti vantaggi fiscali».
Secondo il giudice del rinvio, l’art. 370 del Codice delle imposte del 1977 è una norma penale in bianco poiché non enuncia tutti gli elementi costitutivi della fattispecie. Essa viene completata mediante le disposizioni del diritto fiscale sostanziale, che definiscono quali fatti siano rilevanti dal punto di vista fiscale e le condizioni di esigibilità dell’imposta. Pertanto, l’esigibilità dell’imposta costituisce una condizione affinché la frode fiscale sia punibile.
A norma dell’art. 1, n. 1, della legge relativa all’imposta sulla cifra di affari del 1999 (Umsatzsteuergesetz 1999, BGBl. 1999 I, pag. 1270; in prosieguo: l’«UStG»), le forniture di beni e le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo in linea di principio sono assoggettate all’IVA tedesca.
In applicazione dell’art. 4, punto 1, lett. b), dell’UStG, che recepisce l’art. 28 quater, parte A, lett. a), della sesta direttiva, le cessioni intracomunitarie rientranti tra le operazioni considerate all’art. 1, n. 1, punto 1, di tale stessa legge sono esenti dall’IVA.
L’art. 6 a, n. 1, dell’UStG prevede quanto segue:
«Si realizza una cessione intracomunitaria [art. 4, punto 1, lett. b)] quando una cessione soddisfa le seguenti condizioni:
1. l’imprenditore o l’acquirente ha trasportato o spedito l’oggetto della cessione nel resto del territorio comunitario;
2. l’acquirente è
a) un imprenditore che ha acquistato l’oggetto della cessione per la sua impresa;
b) un ente che non è imprenditore o che non ha acquistato l’oggetto della cessione per la sua impresa;
c) qualsiasi altro acquirente in caso di cessione di un veicolo nuovo;
e
3. l’acquisto dell’oggetto della cessione è soggetto, presso l’acquirente, in un altro Stato membro alle disposizioni relative all’imposta sulla cifra d’affari.
(…)».
Ai sensi dell’art. 6 a, n. 3, dell’UStG, spetta all’imprenditore dimostrare l’esistenza dei requisiti di cui ai nn. 1 e 2 di tale articolo. Con il consenso del Bundesrat, il Ministero federale delle Finanze può stabilire, per via regolamentare, le modalità in base alle quali l’imprenditore deve fornire tale prova.
A norma dell’art. 18 a, n. 1, dell’UStG, l’imprenditore residente che ha effettuato cessioni intracomunitarie esentate deve trasmettere al Bundeszentralamt für Steuern (Amministrazione federale delle imposte) una dichiarazione che menzioni, tra l’altro, il numero di partita IVA dell’acquirente. Tale dichiarazione funge da base per il controllo degli scambi intracomunitari di merci tramite la registrazione dei dati e, all’occorrenza, la trasmissione degli stessi alle amministrazioni nazionali nel contesto del sistema di scambio di informazioni sull’IVA.
A tenore dell’art. 18 b dell’UStG, l’imprenditore deve dichiarare all’amministrazione tributaria la base imponibile delle sue cessioni intracomunitarie. Secondo l’art. 10, n. 1, seconda frase, dell’UStG, la base imponibile di una cessione intracomunitaria è di norma costituita dall’importo netto che il destinatario della prestazione versa all’imprenditore. Con la dichiarazione ai sensi del citato art. 18 b, l’imprenditore comunica all’amministrazione tributaria che le cessioni effettuate sono esenti in virtù dell’art. 4, punto 1, lett. b), e dell’art. 6 a dell’UStG, di modo che l’imprenditore non è tenuto a pagare l’IVA per tali cessioni.
Gli obblighi in materia di prova dell’imprenditore che effettua una cessione intracomunitaria sono descritti in modo più particolareggiato nel regolamento di applicazione dell’imposta sulla cifra d’affari del 1999 (Umsatzsteuer-Durchführungsverordnung 1999, BGBl. 1999 I, pag. 1308; in prosieguo: l’«UStDV»).
A termini dell’art. 17 a dell’UStDV, da un lato, l’imprenditore deve dimostrare, con prove idonee, che l’oggetto della cessione sia stato trasportato o spedito nel resto del territorio dell’Unione («prova documentale»). Dall’altro, ex art. 17 c dell’UStDV, egli deve produrre, alla luce della sua contabilità, la prova dell’esistenza delle condizioni per l’esenzione, compreso il numero di partita IVA dell’acquirente («prova contabile»).
Causa principale e questione pregiudiziale
Il sig. R., cittadino portoghese, era il titolare di una società tedesca che si occupava del commercio di autoveicoli di lusso. Dagli accertamenti contenuti nella decisione di rinvio risulta che dal 2001 le sue vendite superavano i 500 veicoli all’anno. Gli acquirenti dei veicoli erano prevalentemente concessionari di automobili stabiliti in Portogallo.
A partire dal 2002 il sig. R. ha posto in essere una serie di comportamenti fraudolenti per consentire a distributori stabiliti nel territorio della Repubblica portoghese di commettere frodi sull’IVA di tale Stato membro, nascondendo l’identità dei veri acquirenti dei veicoli. Ciò gli ha consentito di vendere i veicoli ad un prezzo più favorevole e di realizzare in tal modo maggiori guadagni.
I suddetti comportamenti fraudolenti consistevano nell’emissione, per la contabilità societaria, di false fatture a nome di acquirenti fittizi in qualità di destinatari delle cessioni. In tali fatture figuravano, in ciascun caso, la ragione sociale del presunto acquirente, il suo numero di partita IVA, la designazione del veicolo, che in realtà era fornito ad un diverso acquirente, il prezzo di acquisto nonché la menzione «cessione intracomunitaria esente a norma dell’art. 6 a dell’UStG», che lasciava intendere che l’IVA sarebbe stata assolta in Portogallo. Gli acquirenti fittizi erano imprese realmente esistenti, stabilite in Portogallo. Talune di queste erano consapevoli dell’utilizzo della loro ditta, mentre altre ne erano invece all’oscuro.
Da parte loro, gli acquirenti effettivi rivendevano gli autoveicoli ad acquirenti finali privati in Portogallo, omettendo di dichiarare alle autorità tributarie portoghesi che esisteva un precedente acquisto intracomunitario, e senza assolvere l’IVA dovuta per tale acquisto. I reali rapporti contrattuali venivano celati anche mediante altri mezzi. Quando gli utilizzatori finali erano già noti al momento della cessione, il sig. R. intestava fin dall’inizio la lettera di trasporto CMR a tali persone. Egli emetteva allora una nuova fattura fittizia nella quale figuravano il nome dell’acquirente finale in qualità di destinatario e la menzione, deliberatamente inesatta, «regime impositivo del margine di guadagno ai sensi dell’art. 25 a dell’UStG», applicabile agli autoveicoli di seconda mano.
In questo modo la società di cui il sig. R. era l’amministratore, negli anni 2002 e 2003, ha venduto e fornito più di 1 100 autoveicoli, per una somma pari a circa 19 milioni di euro. Nelle sue dichiarazioni fiscali relative a questi due anni, il sig. R. ha qualificato queste operazioni come cessioni intracomunitarie esentate e, nelle dichiarazioni «ricapitolative» trasmesse al Bundeszentralamt für Steuern, ha designato gli acquirenti fittizi come controparti contrattuali, affinché gli effettivi acquirenti non potessero essere identificati in Portogallo mediante il sistema dello scambio di informazioni fiscali a livello dell’Unione.
A seguito dell’avvio di un procedimento penale a carico del sig. R., quest’ultimo è stato collocato in custodia cautelare il 30 gennaio 2008. Con sentenza 17 settembre 2008 il Landgericht Mannheim (Tribunale di Mannheim) lo ha condannato ad una pena detentiva complessiva di tre anni per due casi di frode fiscale in cui egli ha evaso più di 1 milione di euro di IVA nel 2002 e più di 1,5 milioni di euro nel 2003. Secondo tale giudice, le cessioni occultate destinate al Portogallo non costituiscono cessioni intracomunitarie ai sensi dell’art. 28 quater, parte A, lett. a), primo comma, della sesta direttiva. Infatti, l’intenzionale abuso di norme del diritto dell’Unione giustificherebbe il mancato riconoscimento dell’esenzione in Germania. Non avendo adempiuto al suo obbligo di percepire l’IVA tedesca su tali cessioni, di riversarla al fisco e di menzionarla nelle sue dichiarazioni annuali, il sig. R. avrebbe commesso una frode fiscale.
Il sig. R. ha presentato un ricorso per cassazione («Revision») contro tale sentenza dinanzi al giudice del rinvio. A suo parere, il Landgericht Mannheim non ha qualificato correttamente le operazioni in esame, in quanto si tratterebbe effettivamente di cessioni intracomunitarie esentate dall’IVA poiché i veicoli sono stati realmente forniti a professionisti in Portogallo. Il gettito dell’IVA in Germania non avrebbe mai assunto rilevanza in quanto tale imposta sarebbe stata dovuta nello Stato membro di destinazione, ossia nella Repubblica portoghese. La circostanza che detta imposta non sia stata assolta in quest’ultimo Stato membro sarebbe priva di pertinenza.
Nell’ordinanza di rinvio, il Bundesgerichtshof (Corte federale di cassazione tedesca) sostiene la tesi secondo cui l’art. 28 quater, parte A, lett. a), della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che i vantaggi fiscali di norma collegati a un’operazione devono essere negati a qualsiasi parte che effettui siffatte operazioni con l’intento di commettere una frode fiscale, qualora il comportamento abusivo o fraudolento sia noto al soggetto passivo coinvolto ed egli vi abbia preso parte. Tale conclusione discenderebbe, da una parte, dal divieto di comportamenti abusivi sancito dal diritto dell’Unione e applicato in materia di IVA, nonché, dall’altra, dalla ratio e dalla portata di tale disposizione nonché dalle finalità della sesta direttiva.
Detto giudice osserva che, grazie alla giurisprudenza sufficientemente chiara della Corte di giustizia dell’Unione europea, non ha mai nutrito dubbi in merito all’interpretazione della sesta direttiva e che, in due cause analoghe, ha già negato l’esenzione per una cessione intracomunitaria.
Tuttavia, dal fascicolo emerge che, nel contesto di un procedimento fiscale parallelo relativo al sig. R. e vertente sui medesimi fatti, il Finanzgericht Baden-Württemberg (Sezione tributaria del Tribunale del Baden-Württemberg), in un’ordinanza dell’11 marzo 2009, ha sollevato obiezioni in merito all’interpretazione del Bundesgerichtshof relativamente al rifiuto di concedere un’esenzione e ha disposto la sospensione dell’esecuzione degli avvisi di accertamento a titolo dell’IVA inviati al sig. R. Secondo tale Finanzgericht, il divieto comunitario di comportamenti abusivi non trova applicazione, in quanto le operazioni controverse avevano una spiegazione diversa dalla ricerca di vantaggi fiscali. La tesi del Bundesgerichtshof sarebbe inoltre contraria ai principi comunitari di neutralità e di territorialità dell’IVA.
In considerazione di tale divergenza tra le valutazioni dei tribunali tedeschi, il Bundesgerichtshof ritiene che il rinvio pregiudiziale sia necessario, poiché, se le operazioni in esame fossero qualificate come cessioni intracomunitarie rientranti nell’esenzione prevista dall’art. 28 quater, parte A, lett. a), primo comma, della sesta direttiva, il sig. R. potrebbe evitare il procedimento penale. In tal caso, la partecipazione di un operatore tedesco ad una frode fiscale in Portogallo non potrebbe essere perseguita in base al diritto penale tributario tedesco, in mancanza di una garanzia di reciprocità in materia di procedimenti penali. Neppure le false dichiarazioni sull’acquirente costituirebbero infrazioni penali, bensì mere contravvenzioni amministrative passibili di un’ammenda fino a EUR 5 000.
Alla luce di quanto sopra considerato, il Bundesgerichtshof ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se l’art. 28 quater, parte A, lett. a), della sesta direttiva debba essere interpretato nel senso che una cessione di beni ai sensi di tale disposizione non beneficia dell’esenzione dall’IVA quando ha effettivamente avuto luogo, ma, alla luce di elementi oggettivi, risulta che il venditore soggetto passivo:
a) sapeva che con tale cessione avrebbe partecipato ad un’operazione diretta ad evadere l’IVA, o
b) ha compiuto atti intesi a occultare l’effettivo acquirente al fine di consentire a questi o a una terza persona di evadere l’IVA».
Sulla questione pregiudiziale
Sulla ricevibilità
Il sig. R. contesta la ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale per due motivi. Innanzi tutto, afferma che il giudice del rinvio ha presentato in modo errato i fatti della controversia nella causa principale, in quanto ha ritenuto che gli autoveicoli di seconda mano venissero venduti a «imprese fittizie» o a «missing traders», mentre si trattava di reali cessioni, effettuate a favore di veri operatori economici, le quali costituivano operazioni redditizie e corrispondevano alle condizioni del mercato. La questione pregiudiziale sarebbe irricevibile in quanto non avrebbe alcun collegamento con i fatti o con l’oggetto della controversia e non sarebbe oggettivamente necessaria per dirimere la stessa.
In secondo luogo, il sig. R. reputa che la questione sollevata rivesta carattere ipotetico, in quanto una direttiva non può dispiegare effetto diretto in materia penale. A questo proposito egli fa riferimento alle sentenze 8 ottobre 1987, causa 80/86, Kolpinghuis Nijmegen (Racc. pag. 3969); 12 dicembre 1996, cause riunite C-74/95 e C-129/95, X (Racc. pag. I-6609, punto 23), nonché 3 maggio 2005, cause riunite C-387/02, C-391/02 e C-403/02, Berlusconi e a. (Racc. pag. I-3565, punti 73 e segg). A suo avviso, l’interpretazione che il giudice del rinvio deduce dalla sesta direttiva non risulta dalle pertinenti disposizioni vigenti nel diritto tedesco. Orbene, il diritto costituzionale tedesco, in particolare il principio di legalità in materia penale, imporrebbe limiti all’interpretazione conforme alla sesta direttiva se siffatta interpretazione dovesse sfociare in una condanna penale nella causa principale.
A tale proposito occorre rammentare che, in forza dell’art. 267 TFUE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa dinanzi ad esso pendente, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate dal giudice nazionale vertono sull’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (v., in particolare, sentenze 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman e a., Racc. pag. I-4921, punto 59; 19 settembre 2000, causa C-454/98, Schmeink & Cofreth e Strobel, Racc. pag. I-6973, punto 37, nonché 26 ottobre 2010, causa C-97/09, Schmelz, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 28).
Pertanto, il rigetto, da parte della Corte, di una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con l’effettività o l’oggetto della causa principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico, oppure qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (v. sentenze 5 dicembre 2006, cause riunite C-94/04 e C-202/04, Cipolla e a., Racc. pag. I-11421, punto 25; 18 marzo 2010, cause riunite da C-317/08 a C-320/08, Alassini e a., Racc. pag. I-2213, punto 26, nonché Schmelz, cit., punto 29).
Orbene, tale ipotesi non si verifica nella causa in esame. Il giudice del rinvio ha fornito alla Corte elementi di fatto e di diritto manifestamente connessi all’oggetto della causa principale e ha esposto i motivi che lo hanno indotto a ritenere necessaria l’interpretazione dell’art. 28 quater, parte A, lett. a), della sesta direttiva per pronunciare la sua sentenza.
La domanda di pronuncia pregiudiziale deve pertanto essere dichiarata ricevibile.
Nel merito
Con la sua questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 28 quater, parte A, lett. a), della sesta direttiva debba essere interpretato nel senso che, in circostanze come quelle della causa principale, nelle quali è stata effettivamente realizzata la cessione di un bene verso un altro Stato membro ma, in occasione di tale cessione, il fornitore ha nascosto l’identità del vero acquirente per consentirgli di eludere il pagamento dell’IVA dovuta per il corrispondente acquisto intracomunitario, per siffatta cessione intracomunitaria debba essere negata l’esenzione da tale imposta.
Per risolvere tale questione si deve ricordare, in via preliminare, che la lotta contro ogni possibile frode, evasione fiscale ed abuso è un obiettivo riconosciuto e promosso dalla sesta direttiva (v., in particolare, sentenze 29 aprile 2004, cause riunite C-487/01 e C-7/02, Gemeente Leusden e Holin Groep, Racc. pag. I-5337, punto 76, nonché 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax e a., Racc. pag. I-1609, punto 71).
Le cessioni intracomunitarie di beni sono esentate in forza dell’art. 28 quater, parte A, lett. a), primo comma, della sesta direttiva, disposizione che si inserisce nel regime transitorio di tassazione degli scambi tra gli Stati membri, istituito dal titolo XVI bis di tale direttiva, la cui finalità è di trasferire il gettito fiscale allo Stato membro in cui avviene il consumo finale dei beni ceduti (v. sentenze 27 settembre 2007, causa C-409/04, Teleos e a., Racc. pag. I-7797, punto 36; causa C-146/05, Collée, Racc. pag. I-7861, punto 22; causa C-184/05, Twoh International, Racc. pag. I-7897, punto 22, nonché 22 aprile 2010, cause riunite C-536/08 e C-539/08, X e fiscale eenheid Facet-Facet Trading, Racc. pag. I-3581, punto 30).
A tale riguardo, il meccanismo instaurato dal citato regime transitorio consiste, da un lato, in un’esenzione, da parte dello Stato membro di partenza, della cessione che dà luogo alla spedizione o al trasporto intracomunitario, completata dal diritto a detrazione o dal rimborso dell’IVA pagata a monte in tale Stato membro, e, dall’altro, in una tassazione, da parte dello Stato membro di destinazione, dell’acquisto intracomunitario. Tale meccanismo assicura in tal modo una chiara delimitazione dei poteri impositivi degli Stati membri interessati (v., in questo senso, sentenza 6 aprile 2006, causa C-245/04, EMAG Handel Eder, Racc. pag. I-3227, punti 30 e 40).
Al pari di altre nozioni che definiscono le operazioni imponibili ai sensi della sesta direttiva (v., in particolare, sentenze 12 gennaio 2006, cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03, Optigen e a., Racc. pag. I-483, punto 44, nonché 6 luglio 2006, cause riunite C-439/04 e C-440/04, Kittel e Recolta Recycling, Racc. pag. I-6161, punto 41), le nozioni di cessione intracomunitaria e di acquisto intracomunitario hanno un carattere obiettivo e si applicano indipendentemente dagli scopi e dai risultati delle operazioni di cui trattasi (sentenza Teleos e a., cit., punto 38).
Per quanto attiene, in particolare, alle cessioni intracomunitarie, dall’art. 28 quater, parte A, lett. a), primo comma, della sesta direttiva risulta che rientrano in tale nozione e sono esentate, alle condizioni fissate dagli Stati membri per assicurare una corretta e semplice applicazione delle esenzioni previste di seguito e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso, le cessioni di beni spediti o trasportati, dal venditore o dall’acquirente o per loro conto, fuori dal territorio di uno Stato membro, ma all’interno della Comunità, effettuate per un altro soggetto passivo o per un ente che non è soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato di partenza della spedizione o del trasporto dei beni.
La Corte ha interpretato questa disposizione nel senso che l’esenzione della cessione intracomunitaria diviene applicabile solo quando il potere di disporre del bene come proprietario è stato trasmesso all’acquirente e quando il fornitore prova che tale bene è stato spedito o trasportato in un altro Stato membro e che, in seguito a tale spedizione o trasporto, esso ha lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione (v. citate sentenze Teleos e a., punto 42, nonché Twoh International, punto 23).
La Corte ha inoltre statuito che, a seguito dell’abolizione del controllo alle frontiere tra gli Stati membri, risulta difficile per le autorità tributarie verificare se le merci abbiano o meno lasciato fisicamente il territorio del suddetto Stato membro. Pertanto le autorità tributarie nazionali procedono ad una siffatta verifica principalmente in base alle prove fornite dai soggetti passivi e alle dichiarazioni di questi ultimi (citate sentenze Teleos e a., punto 44, nonché Twoh International, punto 24).
Tuttavia, poiché nessuna disposizione della sesta direttiva stabilisce concretamente quali prove i soggetti passivi siano tenuti a fornire per beneficiare dell’esenzione dall’IVA, tale questione, come risulta dalla prima parte di frase dell’art. 28 quater, parte A, della sesta direttiva, rientra nella competenza degli Stati membri (v. sentenza Collée, cit., punto 24).
Pertanto, in forza di detta disposizione, da una parte, spetta agli Stati membri fissare le condizioni alle quali le cessioni intracomunitarie sono esentate, per assicurare una corretta e semplice applicazione di dette esenzioni e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso.
Tuttavia, nell’esercizio dei loro poteri, gli Stati membri devono rispettare i principi generali del diritto che fanno parte dell’ordinamento giuridico dell’Unione, quali, in particolare, i principi di certezza del diritto e di proporzionalità, nonché di tutela del legittimo affidamento (v., in tal senso, sentenze 18 dicembre 1997, cause riunite C-286/94, C-340/95, C-401/95 e C-47/96, Molenheide e a., Racc. pag. I-7281, punto 48; 11 maggio 2006, causa C-384/04, Federation of Technological Industries e a., Racc. pag. I-4191, punti 29 e 30, nonché 21 febbraio 2008, causa C-271/06, Netto Supermarkt, Racc. pag. I-771, punto 18). Per quanto riguarda, in particolare, il principio di proporzionalità, la Corte ha già statuito che, in ossequio a tale principio, i provvedimenti che gli Stati membri possono adottare non devono tuttavia eccedere quanto è necessario per conseguire gli obiettivi diretti ad assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare le frodi (v., tra l’altro, sentenza 29 luglio 2010, causa C-188/09, Profaktor Kulesza, Frankowski, Jóźwiak, Orłowski, Racc. pag. I-7639, punto 26).
Dall’altra parte, dalla giurisprudenza della Corte risulta che, per usufruire dell’esenzione prevista dall’art. 28 quater, parte A, lett. a), primo comma, della sesta direttiva, il fornitore di beni deve produrre la prova che sono soddisfatte le condizioni previste per l’applicazione di tale disposizione, comprese quelle imposte dagli Stati membri per assicurare una corretta e semplice applicazione delle esenzioni e prevenire ogni possibile frode, evasione fiscale o abuso (v., in questo senso, sentenza Twoh International, cit., punto 26).
Dalla decisione di rinvio si evince che nella causa principale il sig. R. ha fatto valere il suo diritto all’esenzione dall’IVA in circostanze in cui i beni ceduti hanno effettivamente lasciato il territorio tedesco, ma le fatture e le dichiarazioni che egli ha fornito all’amministrazione tributaria quali prove delle operazioni intracomunitarie erano volontariamente viziate da inesattezza materiale. Secondo il giudice del rinvio, infatti, in tali fatture il sig. R. ha nascosto l’identità dei reali acquirenti, per consentire a questi ultimi di eludere il pagamento dell’IVA dovuta per l’acquisto intracomunitario effettuato in Portogallo.
A questo proposito, la presentazione di false fatture o di false dichiarazioni, alla pari di qualsiasi altra alterazione di prove, è idonea ad impedire la riscossione dell’importo esatto dell’imposta e, pertanto, è atta a compromettere il buon funzionamento del sistema comune dell’IVA. Ebbene, comportamenti di questo genere rivestono una gravità ancora maggiore se commessi nel contesto del regime transitorio di tassazione delle operazioni intracomunitarie il quale, come rammentato al punto 42 di questa sentenza, funziona in base alle prove fornite dai soggetti passivi.
Pertanto, il diritto dell’Unione non impedisce agli Stati membri di considerare l’emissione di fatture irregolari alla stregua di una frode fiscale e di negare l’esenzione in una siffatta ipotesi (v., in questo senso, sentenza Schmeink & Cofreth e Strobel, cit., punto 62, nonché ordinanza 3 marzo 2004, causa C-395/02, Transport Service, Racc. pag. I-1991, punto 30).
Il diniego dell’esenzione in caso di inosservanza di un obbligo previsto dal diritto nazionale, nella specie l’obbligo di identificare l’acquirente destinatario della cessione intracomunitaria, dispiega infatti un effetto deterrente finalizzato a garantire che detto obbligo sia effettivo e a prevenire frodi e evasioni fiscali (v., per analogia, per quanto attiene alla ritenuta di una parte dell’IVA detraibile, sentenza Profaktor Kulesza, Frankowski, Jóźwiak, Orłowski, cit., punto 28).
Ne consegue che, in condizioni come quelle presenti nella causa principale, lo Stato membro di partenza della cessione intracomunitaria può rifiutare l’applicazione dell’esenzione fondandosi sulle competenze ad esso spettanti in forza della prima parte di frase dell’art. 28 quater, parte A, della sesta direttiva e perseguendo l’obiettivo di assicurare una corretta e semplice applicazione delle esenzioni e di prevenire ogni possibile frode, evasione fiscale od abuso.
Tuttavia, in casi particolari in cui siano presenti valide ragioni per ritenere che l’acquisto intracomunitario corrispondente alla cessione de quo, nonostante la reciproca assistenza e la cooperazione amministrativa tra le autorità tributarie degli Stati membri coinvolti, possa sfuggire al pagamento dell’IVA nello Stato membro di destinazione, lo Stato membro di partenza è tenuto, in linea di massima, a negare l’esenzione a favore del fornitore di beni e ad obbligare quest’ultimo ad assolvere l’imposta a posteriori, onde evitare che l’operazione in questione sfugga a qualsiasi imposizione fiscale. Infatti, in conformità al principio fondamentale inerente al sistema comune IVA, tale imposta si applica a qualsiasi operazione di produzione o di distribuzione, detratta l’IVA gravante direttamente sul costo dei diversi elementi costitutivi del prezzo (v., in particolare, ordinanza Transport Service, cit., punti 20 e 21; citate sentenze Optigen e a., punto 54, nonché Collée, punto 22).
Per quanto attiene al principio di proporzionalità, occorre rilevare che esso non osta a che un fornitore che partecipa ad una frode sia obbligato ad assolvere a posteriori l’IVA sulla cessione intracomunitaria che ha effettuato, purché il suo coinvolgimento nella frode costituisca un elemento determinante da prendere in considerazione in occasione dell’esame della proporzionalità di un provvedimento nazionale.
Inoltre, la constatazione svolta al punto 51 di questa sentenza non è rimessa in discussione dai principi di neutralità fiscale o di certezza del diritto, né da quello di tutela dei legittimo affidamento. Tali principi, infatti, non possono essere validamente invocati da un soggetto passivo che abbia partecipato intenzionalmente ad una frode fiscale mettendo a repentaglio il funzionamento del sistema comune IVA.
Alla luce del complesso delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la questione sottoposta nel senso che, in circostanze come quelle della causa principale, in cui è stata effettivamente realizzata una cessione intracomunitaria di beni ma, in occasione di tale cessione, il fornitore ha nascosto l’identità del vero acquirente per consentirgli di eludere il pagamento dell’IVA, lo Stato membro di partenza della cessione intracomunitaria, in forza delle competenze che gli spettano in virtù della prima parte di frase dell’art. 28 quater, parte A, della sesta direttiva, può negare il beneficio dell’esenzione per quest’operazione.
Sulle spese
Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
In circostanze come quelle della causa principale, in cui è stata effettivamente realizzata una cessione intracomunitaria di beni ma, in occasione di tale cessione, il fornitore ha nascosto l’identità del vero acquirente per consentirgli di eludere il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto, lo Stato membro di partenza della cessione intracomunitaria, in forza delle competenze che gli spettano in virtù della prima parte di frase dell’art. 28 quater, parte A, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva del Consiglio 17 ottobre 2000, 2000/65/CE, può negare il beneficio dell’esenzione per quest’operazione.
Firme
* Lingua processuale: il tedesco.