Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 22 dicembre 2010. The Commissioners for Her Majesty’s Revenue & Customs contro RBS Deutschland Holdings GmbH. Domanda di pronuncia pregiudiziale : Court of Session (Scotland) (First Division, Inner House) - Regno Unito. Sesta direttiva IVA - Diritto alla detrazione - Acquisto di veicoli e utilizzazione per operazioni di leasing - Divergenze tra i regimi fiscali di due Stati membri - Divieto di pratiche abusive. Causa C-277/09.
Causa C-277/09
The Commissioners for Her Majesty’s Revenue & Customs
contro
RBS Deutschland Holdings GmbH
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Court of Session (Scotland) (First Division, Inner House)]
«Sesta direttiva IVA — Diritto alla detrazione — Acquisto di veicoli e utilizzazione per operazioni di leasing — Divergenze tra i regimi fiscali di due Stati membri — Divieto di pratiche abusive»
Massime della sentenza
Disposizioni tributarie — Armonizzazione delle legislazioni — Imposte sulla cifra d’affari — Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto — Detrazione dell’imposta pagata a monte
Disposizioni tributarie — Armonizzazione delle legislazioni — Imposte sulla cifra d’affari — Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto — Detrazione dell’imposta pagata a monte — Esclusioni del diritto a detrazione
[Direttiva del Consiglio 77/388, art. 17, n. 3, lett. a)]
1. L’art. 17, n. 3, lett. a), della sesta direttiva 77/388, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, dev’essere interpretato nel senso che uno Stato membro non può negare ad un soggetto passivo la detrazione dell’imposta sul valore aggiunto assolta a monte sull’acquisto di beni effettuato in tale Stato membro, quando tali beni siano stati utilizzati a fini di operazioni di leasing compiute in un altro Stato membro, per il solo motivo che le operazioni effettuate a valle non hanno dato luogo al versamento dell’imposta sul valore aggiunto nel secondo Stato membro.
Infatti, in forza di detto art. 17, n. 3, lett. a), il diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto versata a monte per talune operazioni, rispetto ad altre operazioni realizzate a valle in un altro Stato membro, dipende dalla questione se tale diritto alla detrazione sussisterebbe qualora tutte le operazioni venissero effettuate all’interno dello stesso Stato membro. Di conseguenza, il fatto che uno Stato membro non abbia riscosso detta imposta a valle, a causa della qualificazione data ad un’operazione commerciale, non può privare il soggetto passivo del diritto alla detrazione dell’imposta assolta a monte in un altro Stato membro.
(v. punti 32, 42, 46, dispositivo 1)
2. Il principio del divieto di pratiche abusive non osta, in circostanze in cui un’impresa stabilita in uno Stato membro decide di effettuare, tramite una propria controllata stabilita in un altro Stato membro, operazioni di leasing su beni ad una società terza stabilita nel primo Stato membro, al fine di evitare l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto sui canoni relativi a tali operazioni, ove queste sono qualificate, nel primo Stato membro, come prestazioni di servizi di locazione effettuate nel secondo Stato membro e invece, in questo secondo Stato membro, come cessioni di beni effettuate nel primo Stato membro, al diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto sancito dall’art. 17, n. 3, lett. a), della sesta direttiva 77/388, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari.
Infatti, i soggetti passivi sono generalmente liberi di scegliere le strutture organizzative e le modalità operative che ritengano più idonee per le loro attività economiche nonché al fine di limitare i loro oneri fiscali. La scelta, da parte di un imprenditore, tra operazioni esenti ed operazioni soggette ad imposta può basarsi su un insieme di elementi ed in particolare su considerazioni di natura fiscale attinenti al regime obiettivo dell’imposta sul valore aggiunto. Nel caso in cui il soggetto passivo possa scegliere tra differenti operazioni, egli ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permetta di limitare la contribuzione fiscale.
(v. punti 53-55, dispositivo 2)
SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)
22 dicembre 2010 (*)
«Sesta direttiva IVA – Diritto alla detrazione – Acquisto di veicoli e utilizzazione per operazioni di leasing – Divergenze tra i regimi fiscali di due Stati membri – Divieto di pratiche abusive»
Nel procedimento C-277/09,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dalla Court of Session (Scozia) (First Division, Inner House) (Regno Unito) con decisione 10 luglio 2009, pervenuta in cancelleria il 21 luglio 2009, nella causa
The Commissioners for Her Majesty’s Revenue & Customs
contro
RBS Deutschland Holdings GmbH,
LA CORTE (Terza Sezione),
composta dal sig. K. Lenaerts, presidente di sezione, dal sig. D. Švabý, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta (relatore), dai sigg. E. Juhász e J. Malenovský, giudici,
avvocato generale: sig. J. Mazák
cancelliere: sig. N. Nanchev, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 17 giugno 2010,
considerate le osservazioni presentate:
– per la RBS Deutschland Holdings GmbH, dal sig. C. Tyre, QC, e dal sig. J.-F. Ng, barrister;
– per il governo del Regno Unito, dal sig. L. Seeboruth, in qualità di agente, assistito dal sig. R. Hill, barrister;
– per la Repubblica federale di Germania, dal sig. B. Klein, in qualità di agente;
– per il governo danese, dalla sig.ra V. Pasternak Jørgensen e dal sig. R. Holdgaard, in qualità di agenti;
– per l’Irlanda, dai sigg. D. O’Hagan e B. Doherty, in qualità di agenti;
– per il governo italiano, dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dal sig. S. Fiorentino, avvocato dello Stato;
– per la Commissione europea, dalla sig.ra M. Afonso e dal sig. R. Lyal, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 30 settembre 2010,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 17, n. 3, lett. a), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva»).
La domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra i Commissioners for Her Majesty’s Revenue & Customs (in prosieguo: i «Commissioners») e la società RBS Deutschland Holdings GmbH (in prosieguo: la «RBSD») in merito al diniego dei Commissioners di accordare la detrazione dell’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA») sull’acquisto di autoveicoli utilizzati per operazioni di leasing.
Il diritto dell’Unione
L’articolo 2 della direttiva dispone che sono soggette all’IVA:
«1. le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale;
2. le importazioni di beni».
A termini dell’art. 4, nn. 1 e 2, della direttiva:
«1. Si considera soggetto passivo chiunque esercita in modo indipendente e in qualsiasi luogo una delle attività economiche di cui al paragrafo 2, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività.
2. Le attività economiche di cui al paragrafo 1 sono tutte le attività di produttore, di commerciante o di prestatore di servizi, comprese le attività estrattive, agricole, nonché quelle delle professioni liberali o assimilate. Si considera in particolare attività economica un’operazione che comporti lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi un certo carattere di stabilità».
L’art. 5, nn. 1 e 4, lett. b), della direttiva, così dispone:
«1. Si considera “cessione di bene” il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario.
(...)
4. Sono parimenti considerate cessioni ai sensi del paragrafo 1:
(...)
b) la consegna materiale di un bene in base ad un contratto che prevede la locazione di un bene per un dato periodo, o la vendita a rate di un bene, accompagnate dalla clausola secondo la quale la proprietà è normalmente acquistata al più tardi all’atto del pagamento dell’ultima rata».
L’art. 6, n. 1, primo comma, della direttiva così recita:
«Si considera “prestazione di servizi” ogni operazione che non costituisce cessione di un bene ai sensi dell’articolo 5».
Ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. a) e b), della direttiva:
«Si considera come luogo di cessione di un bene:
a) se il bene viene spedito o trasportato dal fornitore o dall’acquirente o da un terzo: il luogo in cui il bene si trova al momento iniziale della spedizione o del trasporto a destinazione dell’acquirente. (...)
b) se il bene non viene spedito o trasportato: il luogo dove il bene si trova al momento della cessione».
Il successivo art. 9, n. 1, dispone quanto segue:
«Si considera luogo di una prestazione di servizi il luogo in cui il prestatore ha fissato la sede della propria attività economica o ha costituito un centro di attività stabile, a partire dal quale la prestazione di servizi viene resa o, in mancanza di tale sede o di tale centro di attività stabile, il luogo del suo domicilio o della sua residenza abituale.
Ai sensi dell’art. 17, nn. 2 e 3, della direttiva:
«2. Nella misura in cui beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo è autorizzato a [detrarre] dall’imposta di cui è debitore:
a) l’imposta sul valore aggiunto [(in prosieguo: l’“IVA”)] dovuta o assolta all’interno del paese per i beni che gli sono o gli saranno ceduti e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo;
(...)
3 Gli Stati membri accordano altresì ad ogni soggetto passivo la [detrazione] o il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto di cui al paragrafo 2 nella misura in cui i beni e i servizi sono utilizzati ai fini:
a) di sue operazioni relative alle attività economiche di cui all’articolo 4, paragrafo 2, effettuate all’estero che darebbero diritto a [detrazione] se fossero effettuate all’interno del paese;
(...)».
La normativa nazionale
L’allegato 4, punto 1, n. 2, del Value Added Tax Act 1994 (legge del 1994 relativa all’imposta sul valore aggiunto; in prosieguo: il «VAT Act»), che contiene una definizione della locuzione «cessione di beni», prevede quanto segue:
«Se il possesso dei beni è stato trasferito:
(a) con un contratto di compravendita di beni
oppure
(b) con contratti che prevedono espressamente che anche la proprietà sia trasferita in un momento futuro (stabilito nei contratti o determinabile attraverso i medesimi, ma, in ogni caso, oltre il momento in cui ha avuto luogo l’integrale pagamento dei beni),
in entrambi i casi si tratta di una cessione dei beni».
Conformemente a tale disposizione, la normativa nazionale considera il leasing quale cessione di beni solo qualora venga convenuto che, alla scadenza del contratto, la proprietà dei beni ceduti in leasing verrà trasferita all’utilizzatore o a terzi. Negli altri casi, il leasing è ritenuto una prestazione di servizi ai sensi dell’art. 5, n. 2, lett. b), della legge IVA, in forza della quale ogni operazione che non costituisce una cessione di beni, ma è effettuata «in cambio di una controprestazione», è una prestazione di servizi.
La causa principale e le questioni pregiudiziali
La RBSD è una società di diritto tedesco che esercita attività di prestazione di servizi bancari e di leasing. La RBSD appartiene, dal 31 marzo 2000, ad un gruppo controllato dalla società Royal Bank of Scotland. La RBSD non possiede stabilimenti nel Regno Unito, pur essendo ivi registrata ai fini dell’IVA quale soggetto passivo non residente.
Nel gennaio 2000 veniva presentata alla RBSD la Vinci plc (in prosieguo: la «Vinci»), società con sede nel Regno Unito, affinché la RBSD potesse fornirle il finanziamento del leasing. A tal fine veniva conclusa, in data 28 marzo 2001, una serie di accordi.
In primo luogo, la RBSD acquistava autoveicoli da turismo nel Regno Unito dalla società Vinci Fleet Services (in prosieguo: la «VFS»), controllata della Vinci. La VFS, parimenti registrata nel Regno Unito, aveva acquistato a sua volta tali autoveicoli da rivenditori di automobili stabiliti nel Regno Unito.
In un secondo momento, la RBSD e la VFS concludevano un nuovo accordo che prevedeva un’opzione di vendita («put»), relativa alle dette autovetture. A termini di tale accordo, la VFS s’impegnava nei confronti della RBSD a riacquistare da quest’ultima i veicoli medesimi ad una scadenza determinata.
In un terzo momento, la RBSD concludeva parimenti con la Vinci un contratto di locazione, della durata di due anni prorogabili, denominato «master lease agreement», a termini del quale la RBSD agiva in qualità di locatore e la Vinci in qualità di locataria dei beni indicati negli allegati del contratto, vale a dire autoveicoli. Alla scadenza del contratto stesso, la Vinci era tenuta a versare alla RBSD l’intero valore residuale di detti veicoli. Tuttavia, se, come previsto dalle parti, la RBSD avesse venduto gli autoveicoli a terzi, era previsto che, a seconda dei casi, la Vinci avrebbe potuto richiedere la differenza, ovvero rispondere della differenza, tra il prezzo di vendita delle vetture e il loro valore residuale.
Nel periodo compreso tra il 28 marzo 2001 e il 29 agosto 2002, la RBSD fatturava alla Vinci canoni di locazione per un importo pari a GBP 335 977,49, senza applicare l’IVA a tali operazioni.
Il 29 agosto 2002 la RBSD cedeva i contratti in questione ad una controllata tedesca del gruppo Royal Bank of Scotland, la società Lombard Leasing (in prosieguo: la «LL»). Quest’ultima fatturava quindi alla Vinci, per il periodo intercorrente dal 29 agosto 2002 al 27 giugno 2004, canoni di locazione per un importo pari a GBP 1 682 876,04, senza applicare l’IVA su tali canoni.
Successivamente, e fino al 15 dicembre 2004, la LL esercitava nei confronti della VFS l’opzione di vendita («put») degli autoveicoli oggetto dei contratti di leasing. La VFS riacquistava tali vetture per un importo di GBP 663 158,20 e la LL le applicava un’imposta a valle pari a GBP 116 052,75. Importo che veniva quindi versato ai Commissioners.
I canoni di leasing, riscossi prima dalla RBSD, e successivamente dalla LL, non erano soggetti a IVA nel Regno Unito in quanto, ai sensi della normativa britannica, le operazioni effettuate nell’ambito di tali accordi di leasing erano considerate prestazioni di servizi e, conseguentemente, l’amministrazione finanziaria britannica le considerava effettuate in Germania, vale a dire nel luogo di stabilimento del prestatore. I canoni medesimi non erano soggetti ad IVA nemmeno in Germania, in quanto, ai sensi della normativa tedesca, dette operazioni erano considerate cessioni di beni e, pertanto, come effettuate nel Regno Unito, vale a dire nel luogo di cessione.
Conseguentemente, sui canoni di leasing oggetto della causa principale, non veniva applicata alcuna IVA, né nel Regno Unito né in Germania. Per contro, l’IVA veniva assolta nel Regno Unito sul ricavo della vendita degli autoveicoli, per effetto dell’esercizio dell’opzione di vendita («put») da parte della LL.
Dinanzi all’amministrazione finanziaria britannica, la RBSD chiedeva la detrazione integrale dell’IVA fatturatale a monte dalla VFS, allorché essa aveva acquistato gli autoveicoli da detta società, per un importo complessivo pari a GBP 314 056,24. La RBSD sosteneva, in particolare, che l’art. 17, n. 3, lett. a), della direttiva la legittimasse a chiedere la detrazione dell’imposta a monte sull’acquisto di tali beni. Inoltre, a parere della RBSD, non ricorrerebbero nella specie le condizioni necessarie ai fini dell’applicazione del principio dell’abuso di diritto, considerato che si trattava di operazioni di leasing intercorse tra tre contraenti indipendenti in condizioni di mercato.
I Commissioners negavano alla RBSD la detrazione dell’IVA richiesta e chiedevano il rimborso dell’imposta a monte accreditata alla RBSD. Essi sostenevano che l’art. 17, n. 3, lett. a), della direttiva non consentisse la detrazione dell’IVA assolta a monte per l’acquisto di beni successivamente utilizzati per operazioni non soggette ad IVA. I Commissioners sottolineavano, in particolare, che l’imposta versata a monte non poteva essere detratta o rimborsata se nessuna imposta era stata fatturata a valle. Inoltre, la RBSD avrebbe tenuto un comportamento abusivo, in quanto il meccanismo giuridico attuato mirava essenzialmente ad ottenere un vantaggio fiscale contrario agli obiettivi della direttiva. I termini dei contratti di leasing sarebbero stati congegnati per poter sfruttare le differenze esistenti nel modo in cui la direttiva era stata trasposta nel Regno Unito e in Germania.
Avverso la decisione dei Commissioners la RBSD proponeva ricorso dinanzi al VAT and Duties Tribunal Edinburgh. Quest’ultimo, con sentenza 24 luglio 2007, affermava che il principio di neutralità fiscale non imponeva che la detrazione dell’IVA dovesse essere negata unicamente in quanto non sussisteva un corrispondente obbligo di IVA a valle. Il VAT and Duties Tribunal Edinburgh riteneva parimenti che gli accordi di cui trattasi nella causa principale non costituissero una pratica abusiva.
Avverso tale sentenza i Commissioners hanno proposto appello dinanzi alla Court of Session (Scozia).
Detto giudice rileva che l’art. 5, n. 4, lett. b), della direttiva è stato trasposto con modalità differenti nel Regno Unito e in Germania. La Court of Session (Scozia) osserva che, conformemente alla pertinente normativa britannica, le operazioni effettuate nell’ambito degli accordi di leasing oggetto della causa principale vengono trattate come prestazioni di servizi. Conseguentemente, tali operazioni sono state considerate effettuate nel luogo in cui il prestatore ha stabilito la sede della propria attività economica, vale a dire in Germania. Conformemente alla normativa tedesca, gli accordi stessi sono stati trattati come accordi di cessione di beni, con conseguente individuazione dello Stato in cui l’IVA dev’essere versata in base al luogo di cessione dei beni, vale a dire, nella causa principale, il Regno Unito. Conseguentemente, le operazioni di leasing non sono state assoggettate ad IVA in Germania. Pertanto, sul costo del leasing non è stata applicata alcuna imposta a valle né nell’uno né nell’altro dei due Stati membri interessati.
Tutto ciò premesso, la Court of Session (Scozia), dopo aver rilevato che la controversia ad essa sottoposta era caratterizzata dalle circostanze seguenti:
– la controllata tedesca di una banca stabilita nel Regno Unito ha acquistato autoveicoli nel Regno Unito al fine di cederli in locazione, con opzione di acquisto, ad una società, priva di rapporti con essa stabilita nel Regno Unito, versando l’IVA applicata sui suddetti acquisti;
– ai sensi della pertinente normativa britannica, le prestazioni consistenti nella locazione di autoveicoli sono state considerate quali prestazioni di servizi effettuate in Germania e, conseguentemente, esse non sono state assoggettate ad IVA nel Regno Unito. Secondo la normativa tedesca tali prestazioni sono state considerate quali cessioni di beni effettuate nel Regno Unito e non sono state, quindi, assoggettate ad IVA in Germania. Conseguentemente, su tali operazioni non è stata applicata alcuna imposta a valle né nell’uno né nell’altro Stato membro;
– la banca stabilita nel Regno Unito ha scelto come locatario la propria controllata tedesca e ha determinato la durata degli accordi di leasing al fine di ottenere il vantaggio fiscale dell’esenzione dall’IVA sul versamento dei canoni,
ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’art. 17, n. 3, lett. a), della [direttiva] (...) debba essere interpretato nel senso che consenta alle autorità fiscali del Regno Unito di negare alla controllata tedesca la detrazione dell’IVA pagata nel Regno Unito sull’acquisto delle automobili.
2) Se, nel rispondere alla prima questione, sia necessario che il giudice nazionale estenda la sua analisi, prendendo in considerazione la possibile applicazione del principio del divieto di abuso del diritto.
3) In caso di risposta affermativa alla questione sub 2), se la detrazione dell’imposta a monte sull’acquisto delle automobili sia contraria allo scopo delle pertinenti disposizioni della sesta direttiva, risultando in tal modo soddisfatto il primo requisito di un comportamento abusivo, come definito al punto 74 della sentenza 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax e a. (Racc. pag. I-1609), avuto riguardo, tra gli altri principi, al principio di neutralità fiscale.
4) Sempre in caso di risposta affermativa alla questione sub 2), se il giudice debba considerare che la finalità essenziale delle operazioni è ottenere un vantaggio fiscale, risultando in tal modo soddisfatto il secondo requisito di un comportamento abusivo, come definito al punto 75 della summenzionata sentenza della Corte di giustizia, qualora, in una transazione commerciale tra parti che operano in condizioni di mercato, la scelta di una controllata tedesca per il leasing di automobili ad un cliente del Regno Unito, e delle stesse condizioni del leasing, sia dettata dall’obiettivo di conseguire il vantaggio fiscale della inapplicabilità dell’imposta a valle sul pagamento dei canoni».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione
Con la prima questione il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se l’art. 17, n. 3, lett. a), della direttiva debba essere interpretato nel senso che uno Stato membro può negare ad un soggetto passivo la detrazione dell’IVA versata a monte sull’acquisto di beni effettuato in tale Stato membro, qualora tali beni siano stati utilizzati ai fini di operazioni di leasing effettuate in un altro Stato membro, ove dette operazioni, realizzate a valle, non siano state assoggettate ad IVA nel secondo Stato membro.
Come illustrato dal giudice del rinvio nella propria decisione, la questione sollevata trova spiegazione nel fatto che, nella causa principale, l’amministrazione finanziaria britannica ha qualificato le operazioni di leasing, realizzate successivamente all’acquisto degli autoveicoli, quali prestazioni di servizi, ragion per cui tali operazioni sono state considerate effettuate nel luogo in cui il prestatore ha stabilito la sede della propria attività, vale a dire in Germania. Tuttavia, l’amministrazione finanziaria tedesca non ha proceduto alla riscossione dell’IVA afferente tali operazioni, ritenendo che esse dovessero essere considerate quali cessioni di beni.
È pacifico che le operazioni di leasing oggetto della causa principale, qualora fossero state compiute da una società o con sede della propria attività nel Regno Unito o stabilita in tale Stato membro, avrebbero dato luogo alla detraibilità dell’IVA, a norma dell’art. 17, n. 2, lett. a), della direttiva con riguardo all’imposta versata a monte sull’acquisto degli autoveicoli oggetto di leasing.
Conformemente all’art. 17, n. 3, lett. a), della direttiva, gli Stati membri accordano al soggetto passivo la detraibilità dell’IVA nella misura in cui i beni, acquistati a monte, siano utilizzati ai fini di operazioni successive effettuate all’estero che darebbero diritto alla detrazione qualora fossero state effettuate all’interno dello Stato membro interessato.
Il diritto alla detrazione dell’IVA versata a monte per talune operazioni, rispetto ad altre operazioni realizzate a valle in un altro Stato membro, dipende quindi, a norma di tale disposizione, dalla questione se il diritto alla detrazione sussisterebbe qualora tutte le operazioni venissero effettuate all’interno dello stesso Stato membro.
Come emerge dai punti 29 e 30 supra, si deve rilevare che ciò è quanto è avvenuto nella fattispecie oggetto della causa principale. La RBSD può conseguentemente pretendere, in forza dell’art. 17, n. 3, lett. a) della direttiva, la detraibilità dell’IVA versata sugli acquisti di beni utilizzati successivamente ai fini delle operazioni di leasing.
I governi che hanno presentato osservazioni alla Corte hanno tuttavia fatto sostanzialmente valere che il diritto alla detrazione dell’IVA versata a monte è subordinato alla riscossione dell’IVA a valle. Nella causa principale l’amministrazione finanziaria tedesca non ha riscosso l’IVA in occasione delle operazioni di leasing, ragion per cui la RBSD non potrebbe legittimamente far valere, nel Regno Unito, la detraibilità dell’IVA versata a monte sull’acquisto degli autoveicoli.
È vero che la Corte ha affermato che la detraibilità dell’IVA versata a monte è connessa alla riscossione dell’IVA a valle (v. sentenze 30 marzo 2006, causa C-184/04, Uudenkaupungin kaupunki, Racc. pag. I-3039, punto 24, e 14 settembre 2006, causa C-72/05, Wollny, Racc. pag. I-8297, punto 20).
Tuttavia, ai menzionati punti delle citate sentenze Uudenkaupungin kaupunki e Wollny, la Corte ha precisato che, qualora beni o servizi acquistati da un soggetto passivo vengano impiegati per esigenze di operazioni esenti o non rientranti nell’ambito di applicazione dell’IVA, non può aversi né imposta a valle né detrazione dell’imposta a monte.
Orbene, nella causa principale, le operazioni di leasing effettuate dalla RBSD a valle non erano esenti da IVA e ricadevano nella sfera di applicazione della medesima. Esse sono quindi idonee a far sorgere il diritto alla detrazione.
Per quanto attiene al diritto alla detrazione a norma dell’art. 17, n. 2, della direttiva, riguardante l’IVA che ha gravato a monte sui beni o sui servizi utilizzati dal soggetto passivo ai fini delle operazioni assoggettate ad imposta a valle, la Corte ha precisato che il meccanismo della detrazione è inteso a sgravare interamente l’imprenditore dall’onere dell’IVA dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività economiche. Il sistema comune dell’IVA garantisce, in tal modo, la neutralità per quanto riguarda l’onere fiscale di tutte le attività economiche, purché tali attività siano, in linea di principio, di per sé soggette all’IVA (v. sentenze 22 febbraio 2001, causa C-408/98, Abbey National, Racc. pag. I-1361, punto 24; 8 febbraio 2007, causa C-435/05, Investrand, Racc. pag. I-1315, punto 22, e 29 ottobre 2009, causa C-174/08, NCC Construction Danmark, Racc. pag. I-10567, punto 27).
Inoltre, il diritto alla detrazione dell’IVA costituisce, in quanto parte integrante del meccanismo dell’IVA, un principio fondamentale inerente al sistema comune dell’IVA e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni (v., segnatamente, sentenze 21 marzo 2000, cause riunite da C-110/98 a C-147/98, Gabalfrisa e a., Racc. pag. I-1577, punto 43, nonché 23 aprile 2009, causa C-74/08, PARAT Automotive Cabrio, Racc. pag. I-3459, punto 15).
Ne consegue che il soggetto passivo può detrarre integralmente l’IVA gravante sui beni e sui servizi acquistati per l’esercizio delle sue attività soggette ad imposta (v. sentenza NCC Construction Danmark, cit. supra, punto 39).
Ciò premesso e alla luce delle circostanze della causa principale, il diritto alla detrazione dell’IVA non può essere subordinato alla questione se l’operazione realizzata a valle abbia effettivamente dato luogo all’applicazione dell’IVA nello Stato membro interessato.
Infatti, considerato che, nonostante l’instaurazione del sistema comune dell’IVA per effetto delle disposizioni della direttiva, sussistono in materia differenze legislative e regolamentari tra gli Stati membri, il fatto che uno Stato membro non abbia riscosso l’IVA a valle, a causa della qualificazione data ad un’operazione commerciale, non può privare il soggetto passivo del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte in un altro Stato membro.
Quanto alla sentenza 26 settembre 1996, causa C-302/93, Debouche (Racc. pag. I-4495), invocata dall’amministrazione finanziaria britannica per negare il diritto alla detrazione, è sufficiente osservare che, ai punti 12-14 di tale sentenza, la Corte ha fatto unicamente riferimento alla circostanza che l’interessato non aveva potuto presentare un’attestazione rilasciata dall’amministrazione dello Stato in cui era stabilito da cui risultasse il suo status di soggetto passivo dell’IVA nello Stato membro medesimo, documento che non aveva potuto essere rilasciato, in quanto le prestazioni di servizi in questione erano esenti da IVA. Si deve quindi rilevare che il contesto di fatto della causa principale, nell’ambito del quale la RBSD ha beneficiato del diritto alla detrazione per effetto dell’art. 17, n. 3, lett. a), della direttiva, si distingue da quello oggetto di tale sentenza.
Se è pur vero che può apparire incoerente, sotto taluni profili, il fatto che un soggetto passivo possa pretendere la detrazione dell’IVA versata a monte senza aver assolto l’IVA a valle, ciò non può tuttavia giustificare l’esclusione dell’applicazione delle disposizioni della direttiva riguardanti il diritto alla detrazione, quale l’art. 17, n. 3, lett. a), della direttiva medesima.
Infatti, tale disposizione, alla luce del suo tenore, non può essere interpretata nel senso che l’amministrazione finanziaria di uno Stato membro possa negare la detrazione dell’IVA in circostanze come quelle della causa principale.
La prima questione pregiudiziale dev’essere quindi risolta dichiarando che, in presenza di circostanze come quelle della causa principale, l’art. 17, n. 3, lett. a), della direttiva dev’essere interpretato nel senso che uno Stato membro non può negare ad un soggetto passivo la detrazione dell’IVA assolta a monte sull’acquisto di beni effettuato in tale Stato membro, quando tali beni siano stati utilizzati a fini di operazioni di leasing compiute in un altro Stato membro per il solo motivo che le operazioni effettuate a valle non hanno dato luogo al versamento dell’IVA nel secondo Stato membro.
Sulle altre questioni
Con la seconda, terza e quarta questione pregiudiziale, che appare opportuno esaminare congiuntamente, il giudice a quo chiede, nell’ipotesi in cui l’art. 17, n. 3, lett. a), della direttiva venga interpretato nel senso che non consenta all’amministrazione finanziaria di uno Stato membro di negare la detrazione dell’IVA in circostanze come quelle della causa principale, in cui un’impresa stabilita in uno Stato membro decide di far effettuare, tramite una propria controllata stabilita in un altro Stato membro, operazioni di leasing su beni ad una società terza stabilita nel primo Stato membro, al fine di evitare che l’IVA venga applicata sui canoni relativi a tali operazioni, ove queste vengono qualificate, nel primo Stato membro, come prestazioni di servizi di locazione effettuate nel secondo Stato membro e invece, in tale secondo Stato membro, come cessioni di beni effettuate nel primo Stato membro, se il principio del divieto di pratiche abusive possa incidere sull’interpretazione accolta.
Al fine di rispondere a tali questioni, si deve rammentare, in limine, che la lotta contro le frodi, l’evasione fiscale e gli eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto ed incoraggiato dalla direttiva (v., in particolare, sentenze 29 aprile 2004, cause riunite C-487/01 e C-7/02, Gemeente Leusden e Holin Groep, Racc. pag. I-5337, punto 76, nonché Halifax e a., cit. supra, punto 71).
Ai punti 74 e 75 della sentenza Halifax e a., cit. supra, la Corte ha, in particolare, avuto modo di affermare che l’accertamento di una pratica abusiva in materia di IVA presuppone, da un lato, che le operazioni di cui trattasi devono, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della sesta direttiva e della relativa legislazione nazionale di trasposizione, procurare un vantaggio fiscale la cui concessione risulterebbe contraria all’obiettivo perseguito dalle pertinenti disposizioni della direttiva e, dall’altro, che da un insieme di elementi oggettivi risulti che lo scopo delle operazioni di cui trattasi consista unicamente nell’ottenimento di tale vantaggio fiscale.
Per quanto attiene ai fatti oggetto della causa principale, si deve rilevare che le singole operazioni controverse hanno avuto luogo tra due parti tra le quali non intercorrono rapporti giuridici. È peraltro pacifico che tali operazioni non presentassero carattere artificioso e che esse siano state effettuate nell’ambito di normali scambi commerciali.
Le caratteristiche delle operazioni oggetto della causa principale e la natura dei rapporti esistenti tra le società che hanno effettuato tali operazioni non rivelano, come osservato dal giudice del rinvio, alcun elemento idoneo a dimostrare l’esistenza di una costruzione artificiosa, priva di effettività economica, effettuata unicamente al fine di ottenere un vantaggio fiscale (v., in tal senso, sentenza 22 maggio 2008, causa C-162/07, Ampliscientifica e Amplifin, Racc. pag. I-4019, punto 28), considerato che la RBSD è una società stabilita in Germania che svolge attività di prestazione di servizi bancari e di leasing.
Ciò premesso, il fatto che siano stati forniti servizi ad una società stabilita in uno Stato membro da parte di una società stabilita in un altro Stato membro e che i termini delle operazioni compiute siano stati determinati in funzione di considerazioni proprie degli operatori economici interessati non può essere considerato costitutivo di un abuso di diritto. Infatti, la RBSD ha fornito effettivamente i servizi di cui trattasi nell’ambito di un’attività economica reale.
Si deve aggiungere che i soggetti passivi sono generalmente liberi di scegliere le strutture organizzative e le modalità operative che ritengano più idonee per le loro attività economiche nonché al fine di limitare i loro oneri fiscali.
La Corte ha infatti già avuto modo di affermare che la scelta, da parte di un imprenditore, tra operazioni esenti ed operazioni soggette ad imposta può basarsi su un insieme di elementi, in particolare su considerazioni di natura fiscale attinenti al regime obiettivo dell’IVA (v. sentenza 9 ottobre 2001, causa C-108/99, Cantor Fitzgerald International, Racc. pag. I-7257, punto 33). La Corte ha precisato, a tal riguardo, che il soggetto passivo, nel caso in cui possa scegliere tra differenti operazioni, ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permetta di limitare la contribuzione fiscale (v. sentenza Halifax e a., cit. supra, punto 73).
Ne consegue che la seconda, terza e quarta questione pregiudiziale devono essere risolte nel senso che il principio del divieto di pratiche abusive non osta, in circostanze come quelle oggetto della causa principale, in cui un’impresa stabilita in uno Stato membro decide di effettuare, tramite la propria controllata stabilita in un altro Stato membro, operazioni di leasing su beni ad una società terza stabilita nel primo Stato membro, al fine di evitare l’applicazione dell’IVA sui canoni relativi a tali operazioni, ove queste sono qualificate, nel primo Stato membro, come prestazioni di servizi di locazione effettuate nel secondo Stato membro e invece, in questo secondo Stato membro, come cessioni di beni effettuate nel primo Stato membro, al diritto alla detrazione dell’IVA sancito dall’art. 17, n. 3, lett. a), della direttiva.
Sulle spese
Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi la Corte (Terza Sezione) dichiara:
In presenza di un contesto di fatto come quello della causa principale, l’art. 17, n. 3, lett. a), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, dev’essere interpretato nel senso che uno Stato membro non può negare ad un soggetto passivo la detrazione dell’imposta sul valore aggiunto assolta a monte sull’acquisto di beni effettuato in tale Stato membro, quando tali beni siano stati utilizzati a fini di operazioni di leasing compiute in un altro Stato membro per il solo motivo che le operazioni effettuate a valle non hanno dato luogo al versamento dell’imposta sul valore aggiunto nel secondo Stato membro.
Il principio del divieto di pratiche abusive non osta, in circostanze come quelle oggetto della causa principale, in cui un’impresa stabilita in uno Stato membro decide di effettuare, tramite la propria controllata stabilita in un altro Stato membro, operazioni di leasing su beni ad una società terza stabilita nel primo Stato membro, al fine di evitare l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto sui canoni relativi a tali operazioni, ove queste sono qualificate, nel primo Stato membro, come prestazioni di servizi di locazione effettuate nel secondo Stato membro e invece, in questo secondo Stato membro, come cessioni di beni effettuate nel primo Stato membro, al diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto sancito dall’art. 17, n. 3, lett. a), della direttiva 77/388.
Firme
* Lingua processuale: l’inglese.