Sentenza 147/2016 della Commissione Tributaria Regionaledi Ancona Sezione 3


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
REG.GENERALE
N° 892/2015
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE
DI ANCONA SEZIONE 3
riunita con l'intervento dei Signori:
giu1 Presidente giu2 Relatore giu3 Giudice

ha emesso la seguente
SENTENZA
- sull'appello n. 892/2015
depositato il DD/MM/2015
- avverso la sentenza n. 1273/2014 Sez:3 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale
ANCONA
contro:
AG. ENTRATE DIR. PROVIN. UFF. GONTROLLI ANCONA
proposto dall'appellante:
TA
XXX

difeso da:
PM
XXX
Atti impugnati:
AVVISO DI ACCERTAMENTO n° TQY011402776 IVA-OP.NON IMP. 2008

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L' impresa individuale “Cartesio di TA”, esercente l'attività di commercio di “compro oro”, impugna la sentenza
con la quale la Commissione tributaria provinciale di Ancona ha respinto il ricorso avverso un avviso di accertamento relativo all’IVA, per il periodo d'imposta 2008, emesso a seguito di una verifica fiscale della G.d.F, nell’ambito della quale fu contestato alla signora TA di aver erroneamente applicato, alla sua attività commerciale, il regime dell’IVA sulle cessioni di materiali auriferi destinati alla fusione.
Con detto avviso l’ Amministrazione finanziaria richiese il pagamento dell'importo complessivo di euro 18.817,26 (di cui euro 5.506,00 a titolo di maggior imposta, euro 12.302,00 per sanzioni ed euro 1.000,51 “axtitolo di interessi), a causa, dell’indiscriminata sottoposizione di tutte le cessioni di materiale aurifero al regime dei beni destinati alla fusione, inclusi i beni mobili usati (orologi) non aventi la natura di rottami.
Nel corso della verifica fiscale era tra l'altro riscontrato che tra i prodotti giacenti vi erano oggetti usati e non rottami (pag. 4 del verbale di constatazione redatto in data
13.11.2012).
Le cessioni erano ritenute dalla Amministrazione assoggettate al regime dell'IVA del margine, commisurata sulla differenza tra il prezzo dovuto dal cessionario e quello di acquisto, prevista dall' art. 36 del DL 23 febbraio 1995 n. 41 .
La Commissione tributaria provinciale ha motivato il rigetto del ricorso, affermando che il regime IVA dell'inversione contabile, o "reverse charge", disciplinato dall' art. 17, comma 5, del D.P.R. n. 633/1972 , è esclusivamente applicabile ai beni commercializzati dagli operatori professionali in oro iscritti all'albo istituito presso la Banca d'Italia e che, pertanto, in assenza della predetta iscrizione, avente efficacia costitutiva, la ripresa a tassazione della differenza dei valori di acquisto di oro da privati e i ricavi dichiarati, risultava correttamente applicata.
Avverso la sentenza Angela TA ha proposto appello, affidando l’impugnazione
ai seguenti motivi:
I) carenza motivazionale dell'avviso di accertamento:
II) mancata valutazione da parte dei giudici di primo grado di tutti gli elementi
indicati nel ricorso introduttivo.

L’appellante ha dedotto che, nel corso dell'anno d'imposta 2008, L’impresa “Cartesio
di TA” ha effettuato cessioni per la trasformazione/fusione di
materiale aurifero alla sola società Monte Generoso s.p.a.jTa quale avrebbe richiesto
la non applicazione dell'IVA alle cessioni, ai sensi dell' art. 8, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972 , rivestendo la qualifica di esportatore abituale (pag. 5 atto di
appello).
La non applicazione dell'IVA verso gli esportatori abituali sarebbe contemplata
dall' art. 37, comma 1, del D.L. n. 41/1995 , sieché l’impresa dell’appellante avrebbe
dovuto unicamente rispettare gli obblighi formali, come sarebbe avvenuto.
La Commissione tributaria, di primo grado, quindi, non avrebbe potuto ritenere
corretto l’avviso sulla base della sola circostanza della mancata iscrizione della
cedente all'albo degli operatori professionali in oro.
Nell'appello si deduce, altresi, che il metodo dell’inversione contabile, nel caso di cessione del.materiale aurifero, troverebbe applicazione ogniqualvolta un bene risulti destinato, per vocazione, ad un processo intermedio di lavorazione, cioè anche quando,- pur trattandosi di un monile sano e non definibile in senso stretto come rottame - sia ceduto ad un operatore che effettui su di esso l'attività industriale di trasformazione e affinazione del metallo prezioso e lo lavori come oro industriale (in tal senso è stata citata la risoluzione dell’ Agenzia delle entrate n. 92/E del 12 dicembre 2013 e la n. 375/E del 28 novembre 2002). Si è costituita, per resistere all’impugnativa, l'Agenzia delle entrate la quale ha controdedotto, contestando tutte le difese avversarie, che: I) il regime fiscale agevolato non ammette estensioni analogiche al di fuori della fattispecie espressamente disciplinata; II) la società non solo non è un operatore professionale, ma neppure avrebbe
dimostrato di avere ceduto beni aurei a soggetti che svolgono esclusivamente attività
di lavorazione industriale dei metalli preziosi (fusione).
Ciò si rileverebbe dalle
interrogazioni dell'anagrafe tributaria e della camera di commercio da‘cui si desume
che l'azienda cessionaria non svolge solo attività di lavorazione industriale di prodotti
auriferi, ma anche di commercializzazione;
III) in ordine alle cessioni assimilate alle esportazioni, ossia quelle effettuate con lettera di intenti, nella dichiarazione IVA della società verificata risulta non compilato il rigo VE31 — operazioni non imponibili a seguito di diehiarazione di intento, mentre risulta compilato quello VE32 — altre operazioni non imponibili pari ad euro 378.155,0. In ogni caso la predetta disciplina non sarebbe applicabile in caso di Iva del margine che non comporta alcun'addebito IVA per il cessionario.

MOTIVI DELLA DECISIONE
A scioglimento della riserva, il Collegio ritiene di dover respingere l’appello.
Difatti, come osservato dall’ Agenzia delle entrate, l’attività di commercio dell'oro è
regolamentata dalla L. 17 gennaio 2000, n.7 secondo cui il commercio di oro è
professionalmente esercitabile solo da banche o, previa comunicazione alla Banca di
Italia, da soggetti in possesso di particolari requisiti relativi alla forma giuridica
(Soeietà per azioni, società in accomandita per azioni, società a responsabilità
limitata), al capitale sociale (non inferiore a quello minimo previsto per le società per
azioni) all'integrità ed onorabilità dei partecipanti al capitale, degli amministratori e
dei dipendenti investiti di funzioni di direzione tecnica o commerciale.
Inoltre, l'operatore che tratti oro industriale, ovvero rottami d'oro o oggetti di
gioielleria, non suscettibili di alcuna operazione commerciale, ma destinati
esclusivamente alla fusione, deve ricorrere al meccanismo dell'inversione contabile,
emettendo fattura senza addebito dell'IVA, applicata invece dal cessionario mediante
integrazione del documento fiscale (art. 17 DPR 1972 n. 633 ).
Ebbene, non risulta che l'appellante possieda i requisiti richiesti dalla citatà normativa
speciale e, quindi, essa non era legittimata all’applicazione del regime agevolato (e,
dunque, eccezionale) dell’inversione contabile, il cui ambito applicativo é delineato
in modo rigoroso, non residuando spazi per una sua intefpretazione estensiva o
analogica.
In effetti, i negozi di “compro oro”, non potendo esser qualificati come operatori
professionali del settore, svolgono un'attività di commercio di prodotti finiti alla
quale va applicata l'imposta sul valore aggiunto, secondo le regole ordinarie (se
acquistano da soggetti che a loro volta non hanno applicato il regime dell'IVA del
margine), oppure in base al regime speciale del margine, relativo ai beni usati, se
acquistano da privati.
A meno che il contribuente non offra, come è suo onere (invocandosi l’applicazione
di una disciplina eccezionale), la prova della sussistenza dei requisiti che
giustifichino l’applicazione del regime dell’inversione contabile e cioè che qualora il
cessionario svolga; sul"bene d'oro usato esclusivamente attività di fusione o di
trasformazione industriale del metallo prezioso.
Nella fattispecie, l’appellante non ha dimostrato che i monili usati, da essa
commerciati, fossero stati ceduti esclusivamente a cessionari svolgenti effettivamente
l'attività di lavorazione industriale (fusione e trasformazione) dei metalli preziosi (ad
esempio le fonderie).
In altre parole, non soltanto l’appellante non ha dimostrato di possedere i requisiti
propri di un operatore professionale in oro, ma nemmeno ha comprovato di aver
ceduto i beni in oro a soggetti che svolgessero esclusivamente attività di lavorazione
intustriale dei metalli preziosi (fusione o affinazione industriale del metallo per
rimetterlo nel mercato con proprio marchio di identificazione, in tale senso é stabilito
dalla risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 92/E del 12 dicembre 2013 e la n.
375/E del 28 novembre 2002, richiamata dall'appellante).
Piuttosto risulta che la società abbia ceduto detti beni per fini di consumo, ossià di
prodotti finiti, alla stregua della normale attività di tutti i “compro oro”.
Deve
escludersi, pertanto, di trovarsi in presenza di rottami di oro, difettandone la relativa
dimostrazione.
Trovando, conseguentemente, applicazione il regime del margine, di cui agli articoli
da 36 a 40 del D.L. n. 41/1995, bene ha fatto l'Ufficio a recuperare a tassazione
unicamente l’utile lordo realizzato dal rivenditore, cioè la differenza (per l'appunto, il
c.d. "margine") fra il prezzo di vendita e quello d'acquisto maggiorato delle spese di
riparazione e di quelle accessorie.

Nel le motivazioni che sorreggono l’avviso impugnato si è chiarito che la Cartesio di
TA non ha, infatti, documentalmente provato di aver acquistato
beni solo per essere fusi, né che essa li abbia ceduti a operatori professionali del
mercato dell'oro.
Con riferimento alla disciplina prevista dall’art. 8, comma 1, lett. c), del D.P.R. n.
633/1972, va rilevato,che solo gli esportatori abituali sono legittimati a usufruire del
regime di acquisto senza applicazione di IVA.
Gli adempimenti previsti dall'art. 8,
comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972, consistenti nella possibilità di non applicare
l’IVA in fattura, sono infatti consentiti ai soli cessionari qualificati come "esportatori
abituali" (aventi un’IVA a debito ridotta), per limitare la loro posizione strutturale di
credito IVA.
A tale riguardo si osserva che, in considerazione della omessa
compilazione nella dichiarazione IVA della società verificata, per l'annualità 2008,
del rigo che di tale applicazione avrebbe dovuto darne atto, difetta la evidenza delle
operazioni effettuate.
Il regolamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo, segue la
soccombenza.

P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale, definitivamente pronunciando respinge
l’appello principale e per l'effetto conferma la sentenza impugnata;
condanna
l’appellante alle spese di giudizio, ex art. 15 Dlvo 546/1992 , che liquida in
complessivi euro 1.000,00., oltre IVA e CAP se applicabili.
Ancona , DD MM 2016. Il Presidente giu1 Il Relatore giu2