Sentenza 2471/2021 della Commissione Tributaria Regionaledi Lombardia Sezione 11


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE
DI LOMBARDIA SEZIONE 11
riunita con l'intervento dei Signori:
giu1 Presidente giu2 Relatore giu3 Giudice

ha emesso la seguente
SENTENZA
- sull'appello n. 4467/2020
depositato il DD/MM/2020
- avverso la pronuncia sentenza n. 1403/2020 Sez:10 emessa dalla Commissione
Tributaria Provinciale di MILANO
contro:
T S.P.A,
XXX

difeso da:
RA
XXX
proposto dall'appellante:
AGENZIA ENTRATE DIREZIONE REGIONALE LOMBARDIA
XXX
Atti impugnati:
AVVISO DI ACCERTAMENTO n° TMB037000176-2018 IVA-OP.ESENTI 2014
REG.GENERALE
N° 4467/2020

DECISIONE
Sull’appello proposto da Agenzia delle Entrate — C.F. 06363391001- Direzione Provinciale I di
Milano, con sede in XXX, in persona del Direttore Provinciale pro tempore, ed
ivi domiciliata ai fini del presente giudizio
FATTO e DIRITTO
La presente controversia riguarda l’avviso d’accertamento n. TMB037000176-2018 con il quale
P Ufficio formula tre distinti rilievi:
- l’omessa contabilizzazione, in violazione dell’ art. 88 TUIR 917/86, della sopravvenienza attiva
corrispondente alla riclassificazione al fondo rischi pregressi dei ratei sul personale somministrato
“in quanto connessa ad oneri contabilizzati e dedotti in esercizi precedenti”, per complessivi €
2.913.326,44;
- l’omessa sterilizzazione della base ACE conseguente all’incremento, rispetto al valore
contabilizzato al 31 dicembre 2010, dei crediti di finanziamento nei confronti della controllante
Paco S.r.l, in violazione dell’art. 10, comma 3, lett. e), del Decreto ministeriale del 14 marzo
2012, per complessivi € 60.839,52;
- l’indebita detrazione dell'IVA addebitata nelle fatture emesse dalla consociata A S.r.I. con
l’aliquota ordinaria, nonostante “la presenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi inerenti la
formazione professionale erogata da A...”, con la conseguenza che “le prestazioni in
commento rientrano nella previsione di cui all’ art. 10, comma 1, numero 20 del d.p.r. 633/72 e
che, pertanto, rappresentano delle operazioni esenti da IVA” , per complessivi € 434.781,00.
La sentenza di primo grado, la n. 1403/2020 della Commissione provinciale di Milano, accoglieva
il ricorso introduttivo solo in punto sanzioni IVA,
ritenendo applicabile il principio del favor rei e quindi non la sanzione proporzionale ma quella in misura fissa ai sensi dell' art. 6, D.lgs. 18.12.1997 n. 471 - come modificato dalla L. 27.12.2017, n. 205, art. 1, comma 935. In ordine ai rilievi di merito sopra esposti, la sentenza di primo grado così motivava:
1) inordinealrilievo inerente la contabilizzazione della sopravvenienza attiva, “la ricorrente
sostiene che nell'anno d'imposta in questione non vi è stata alcuna sopravvenienza attiva,
con riguardo alle poste del conto denominato "rischi pregressi" inserito nel fondo "rischi
ed oneri", perché non si è trattato della rivalutazione come insussistenti o incerte di
passività già dedotte nei precedenti anni fiscali, ma solo della riqualificazione in un unico
conto di debiti nei confronti dei dipendenti in ragione della loro illiquidità... In realtà,
nell'avviso impugnato si dà conto come nel corso dell'accertamento fosse emerso come la
verificata stessa non fosse in grado di confermare l'ammontare dei debiti pendenti nei
confronti dei dipendenti e peraltro già tutti dedotti come passività nei precedenti anni
d'imposta... Pertanto, sebbene nel bilancio civilistico 2014 solo una quota limitata di tali
fondi - relativa ai contributi per mensilità aggiuntive - fosse defalcata dalle passività,
riallocandola come componente positiva di reddito, l'intero ammontare dei ratei confluiti
nel fondo rischi ed oneri risultava non giustificato. Sotto tale profilo, appare quindi che
la ripresa non contrasti col principio, fatto valere della contribuente, della prevalenza
della sostanza sulla forma in ordine alle considerazioni di bilancio...”

2) in ordine alla sterilizzazione della base ACE, “dal tenore dei motivi del ricorso si ricava che la contribuente non nega la natura in astratto potenzialmente elusiva del finanziamento infragruppo che ha dato luogo alla ripresa fiscale, ma contesta che nella
specie si sia verificata in concreto alcuna condotta elusiva, non avendo la controllante
della verificata utilizzato la finanza ricevuta da quest'ultima per finanziare a sua volta
altre società del gruppo, così duplicando il beneficio. Dirimente è quindi l'argomento
dedotto dall'Ufficio, secondo cui fino al dicembre 2015 era onere del contribuente, in tali
casi, presentare apposito interpello, ai sensi dell' art. 37 bis, comma 8, DPR 600 del 1973 ,
per chiedere la disapplicazione della normativa antielusione... A tale onere,
pacificamente, la società ricorrente non ha adempiuto, non avendo posto l'Ufficio nella
condizione di verificare la sussistenza delle condizioni di un regime fiscale derogatorio
rispetto a quello in allora in vigore...”;

3) quanto all’indebita detrazione IVA, “La tesi della ricorrente secondo cui l'operazione
all'origine del credito d'imposta indebitamente detratto non sarebbe esente Iva, come
rilevato invece dall'Ufficio, non merita all'evidenza accoglimento. Dei due requisiti cui
l' art. 10, comma 1, n. 20 DPR 633/1972 subordina l'esenzione Iva, la ricorrente contesta
solo quello soggettivo. A, secondo la ricorrente, sarebbe infatti società terza che ha
prestato i servizi di formazione in regime privatistico al di fuori del controllo da parte
della pubblica amministrazione... Preliminarmente osservato che appare comunque
arduo sostenere che A sia società terza, laddove secondo la stessa ricorrente sì tratta
di una consociata della T spa, finanziata dal fondo F, va peraltro
rilevato: che A, come dedotto dall'Ufficio, è a sua volta iscritta in apposito albo tenuto
dal fondo F - che eroga come detto i finanziamenti per la formazione; che per
tale iscrizione si richiedono specifici requisiti soggetti a verifica da parte del fondo; che
i corsi di formazione per lavoratori devono, per legge, essere tenuti dalle Agenzie per il
lavoro o direttamente o mediante per l'appunto enti accreditati; che tutta la procedura
risulta in ultima analisi a disciplina pubblica e soggetta a vigilanza da parte del ministero
del lavoro... Anche la tesi avanzata in via gradata dalla ricorrente, secondo cui, anche
nell'ipotesi in cui la T avesse versato alla A l’Iva per prestazioni in realtà
esenti, conserverebbe il diritto alla detrazione dell'imposta erroneamente assolta a
seguito delle modifiche introdotte dall'art. 1 comma 935, L.205/2917 (L. di bilancio 2018)
al disposto dell' art. 19 DPR 633/1972 , risulta non condivisibile. Basta sul punto
richiamare il principio di diritto affermato al riguardo dalla Suprema Corte con la sentenza n. 24001 del 3.10.2018 . "La previsione di cui al D.lgs. 18.12.1997 n. 471, art. 6 ,
introdotta dalla L. 27.12.2017, n. 205, art. 1, comma 935, nella parte in cui prevede che,
in caso di applicazione dell'imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente
assolta dal cedente o prestatore, resta fermo il diritto del cessionario o committente alla
detrazione, ai sensi del DPR n. 633 del 1972, art. 19 e ss., non ha efficacia retroattiva né
può ad essa riconoscersi valore di norma interpretativa...”.
Appella l'Agenzia, in punto sanzioni, richiamando il contenuto dell’ art. 6, comma 6, D.lgs. 471/97 proponendone la seguente lettura: “con la previsione contenuta nel primo periodo del comma 6 (“Chi computa illegittimamente
in detrazione l'imposta assolta, dovuta o addebitatagli in via di rivalsa” ) il legislatore abbia
inteso riferirsi a tutti i casi in cui la detrazione si presenta illegittima în assenza dei requisiti
previsti dall’ art. 19 DPR 633/72 (oltre ai casi previsti dall’ art. 19 —bis 1 DPR 633/72 ); con
conseguente applicazione di una sanzione “pari al novanta per cento dell'ammontare della detrazione compiuta...” e recupero dell’imposta indebitamente detratta;
- con la previsione contenuta nel secondo periodo del comma 6 cit. (“In caso di applicazione
dell’imposta in misura superiore a quella effettiva...” ) il legislatore, riferendosi alla differente
ipotesi di operazioni per le quali spetta il diritto alla detrazione (salva applicazione in fattura di
un'imposta maggiore a quella effettivamente dovuta), abbia inteso ampliare la possibilità di
detrarre l’intero ammontare dell’IVA erroneamente addebitata dal cedente, con applicazione di
una sanzione “compresa fra 250 euro e 10.000 euro...” (sempreché, ovviamente, il
cedente/prestatore abbia provveduto al versamento dell’imposta all’Erario)”.
Ricorda, infine, l'Ufficio di aver anche applicato la sanzione prevista dall’ art. 5, comma 4, D.lgs. 471/97 , in virtù del quale “Se dalla dichiarazione presentata risulta un'imposta inferiore a quella
dovuta ovvero un'eccedenza detraibile o rimborsabile superiore a quella spettante, si applica la
sanzione amministrativa dal novanta al centoottanta per cento della maggior imposta dovuta o
della differenza di credito utilizzato...”: su tale sanzione la sentenza di primo grado nulla ha detto.
La T spa si costituisce chiedendo il rigetto dell’appello principale e contestualmente proponendo appello incidentale sui motivi di merito respinti dai giudici di prime cure.

L’appello veniva deciso all’udienza del DD MM 2021 sulla base degli atti ex art. 27 del d.l. n. 137/2020 .
Si dà atto che la camera di consiglio viene svolta con modalità da remoto utilizzando mezzo
proprio dei componenti del Collegio che ha consentito il collegamento tra loro.
L’appello principale e fondato mentre quello incidentale merita solo parziale accoglimento.
Per questioni di sistematicità è opportuno affrontare separatamente le singole questioni di merito,
lasciando per ultima la tematica sanzionatoria.
1) Sopravvenienze attive
Come ricorda la resistente, nel corso del 2014 essa aveva effettuato alcuni giroconti, provenienti
da una serie di costi inerenti il personale oggetto di somministrazione (fondo ferie, fondo ex
festività, fondo contributi ferie, fondo contributi ex festività, fondo contributi ROL), già
contabilizzati e dedotti in precedenti periodi d’imposta, al “fondo rischi pregressi”.
In particolare, tali costi corrispondono a particolari diritti acquisiti e maturati mensilmente, ma
ancora non goduti dai lavoratori, come ad esempio, il diritto al godimento delle ferie, ai contributi
per le ferie e per le festività, il diritto ai permessi e i ROL.
Secondo la T si sarebbe trattato di una mera operazione contabile di natura patrimoniale
non determinante, solo per il confluire di detti costi in un unico fondo, la riqualificazione degli
stessi in sopravvenienze.
Secondo la resistente, i Giudici di primo grado avrebbero errato nell’affermare che la stessa
T non aveva certezza dell’esistenza di tali debiti e, pertanto, che gli stessi dovevano
considerarsi quali sopravvenienza attiva.
Dall’esame dell’avviso di accertamento si evince che, nel corso del 2014, il fondo denominato
“rischi pregressi” variava da € 2.788.330,90 alla data del DD MM 2014 ad € 4.,523.194,48 alla
data del DD MM 2014. Tale variazione, come sopra indicato, derivava, tra l’altro, alcuni
giroconti pari ad € 2.913.326,44 provenienti da una serie di fondi inerenti il personale oggetto di
somministrazione ((fondo ferie, fondo ex festività, fondo ROL, fondo contributi ferie, fondo
contributi ex festività, fondo contributi ROL)).
Durante la fase procedimentale, richiesta di spiegazioni sul punto, la società precisava che,
durante la transazione ad un nuovo sistema di gestione contabile, “si era deciso di separare ciò che risultava verificato e testato da ciò che era ancora in fase di verifica. La doverosa incertezza che tali debiti fossero o meno da stralciare aveva indotto a girocontare i valori da verificare a
fondo rischi in attesa delle successive verifiche. Un buon numero di somministrati erano e sono
assunti da anni a tempo indeterminato ed i valori girati a fondo rischi erano relativi al conteggio
dei ratei maturati e non ancora liquidati”.
Ora, ai sensi dell’ articolo 88 del Tuir , si considerano sopravvenienze attive, tra l’altro, “/a
sopravvenuta insussistenza di spese, perdite od oneri dedotti (...) in precedenti esercizi”.
Tale insussistenza, come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, deve assumere caratteri
di ragionevole certezza: la sopravvenuta insussistenza di passività “si realizza in tutti i casi in cui,
per qualsiasi ragione, e dunque indipendentemente dal sopraggiungere di eventi gestionali
straordinari o comunque imprevedibili, una posizione debitoria, già annotata come tale, debba
ritenersi cessata, ed assuma quindi in bilancio una connotazione attiva, come liberazione di
riserve, con il conseguente assoggettamento ad imposizione, in riferimento all'esercizio in cui
tale posta attiva emerge in bilancio ed acquista certezza” ( Cass. n. 20543/2006 e da ultimo n. 1508/2020 ).
Contrariamente a quanto sembra paventare la T, non occorre una certezza assoluta di
insussistenza: l’aggettivo “certezza” è collegato all’emersione in bilancio ma questa, a parere del
Collegio, è una conseguenza dell’incertezza della passività.
Detto in altri termini, non è tanto la
certezza del venir meno della passività ad imporre la sua iscrizione in bilancio come
sopravvenienza attiva quanto piuttosto, con ragionamento inverso, la mancanza di certezza della passività.
Ciò posto, se inquadrata in tale cornice la fattispecie in esame, la decisione dei giudici di prime
cure appare corretta e scevra da vizi logici.
L’affermazione della difesa T secondo cui vi fosse una semplice insussistenza
potenziale, oltre a non apparire sufficiente, si scontra con il prospetto excel (“TY — Controllo ratei
2014 SOMM.xls”) fornito in fase procedimentale da cui si ricava la differenza tra l'ammontare
dei componenti negativi inerenti i ratei sul personale somministrato contabilizzati negli esercizi
precedenti e l'ammontare del debito effettivo risultante dal gestionale delle paghe utilizzato dalla
società verificata a partire dal 2014.
Il delta tra i due importi è superiore a 3 milioni e di questi la
società ha considerato sopravvenienza attiva solo € 356.396,86 mentre il residuo è confluito
nei giroconti per cui è causa.
Ora, pur accettando la prospettazione secondo cui la società intendeva procedere ad una
più attenta verifica, allo stato dei fatti e dei documenti prodotti, la passività non poteva
ritenersi più certa ed effettiva: correttamente, pertanto, essa andava decurtata dalle
passività dedotte.

2) >Recupero deduzione ACE
Al fine di una migliore comprensione della questione, giova ricordare che 1° Aiuto alla
Crescita Economica si sostanzia in una deduzione, dal reddito imponibile netto, di un
importo che corrisponde al rendimento figurativo degli incrementi di capitale proprio: essa
mira, in sostanza, ad equilibrare il trattamento tra imprese che si finanziano con debito
(prestiti) e imprese che si finanziano con capitale proprio, riducendo la tassazione in
misura commisurata al nuovo capitale conferito nell’impresa.
Nel periodo d’imposta 2014, la T s.p.a. deduceva dal reddito imponibile
l’importo di € 61.146,00 a titolo di rendimento nozionale per incremento del capitale
proprio (ACE).
Come risulta dall’impugnato avviso, l'importo dedotto è stato determinato moltiplicando
la c.d. base ACE, pari ad € 1.535.412,00 per il coefficiente di rendimento del 4%.
La base Ace, a sua volta, era pari al minore importo tra gli incrementi netti di capitale
proprio rispetto all’esercizio chiuso al 31 dicembre 2010 ed il patrimonio netto contabile
alla data di chiusura dell’esercizio.
In particolare, mentre gli incrementi del capitale
proprio ammontanti ad € 3.036.412,00 derivavano da utili accantonati a riserva negli
esercizi dal 2011 al 2014, i decrementi del capitale proprio, ammontanti ad € 1.501.000,00,
originavano da due distribuzioni deliberate rispettivamente negli esercizi 2011 e 2012.
Ora, al fine di evitare fenomeni distorsivi nell’utilizzo di tale beneficio, l’articolo 8 del
DM 14 marzo 2012 prevedeva alcune limitazioni.
In particolare, a mente del comma 2,
“La variazione in aumento di cui all'articolo 5 è ridotta di un importo pari ai conferimenti
in denaro effettuati, successivamente alla chiusura dell'esercizio in corso al 31 dicembre
2010, a favore di soggetti controllati, o sottoposti al controllo del medesimo controllante,
ovvero divenuti tali a seguito del conferimento”.
La ratio, è evidente, è quella di evitare che un unico conferimento di denaro infragruppo permetta
di essere sfruttato da più consociate e duplicare la base ACE a fini deduttivi.
Nello specifico, la T al 31.12.2014 evidenziava un saldo positivo di 1,5 mln di euro nel
conto crediti verso controllanti (saldo zero al 31.12.2010), relativo a crediti concessi alla
controllante P s.r.l.
L’Ufficio negava la deduzione richiamato l’ articolo 37 bis, comma 8, dpr n. 600/73 (all’epoca
applicabile alla fattispecie) a mente del quale “Le norme tributarie che, allo scopo di contrastare
comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d'imposta o altre posizioni
soggettive altrimenti ammesse dall'ordinamento tributario, possono essere disapplicate qualora
il contribuente dimostri che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non potevano
verificarsi. A tal fine il contribuente deve presentare istanza al direttore regionale delle entrate
competente per territorio, descrivendo compiutamente l'operazione e indicando le disposizioni
normative di cui chiede la disapplicazione”.
Poiché nessuna delle società coinvolte aveva adempiuto alla richiesta di interpello, la deduzione
veniva rettificata ai sensi del menzionato d.m. 14 marzo 2012.
Ciò posto, secondo i giudici di prime cure, il mancato adempimento sarebbe sufficiente ad
applicare il regime antielusivo ed escludere la deduzione.
Tale conclusione, tuttavia, non appare coerente con la natura dell’interpello e la piena tutela
giurisdizionale del contribuente il quale, per pacifica giurisprudenza, ha piena facoltà di
dimostrare l’assenza di intenti elusivi anche in presenza di interpello negativo o, come nella
specie, di mancato interpello.
Come precisato dalla Suprema Corte, “Ja risposta all'interpello non impedisce innanzitutto
alla stessa amministrazione di rivalutare - in sede di esame della dichiarazione dei
redditi o dell'istanza di rimborso - l'orientamento (negativo) precedentemente espresso,
nè al contribuente di esperire la piena tutela in sede giurisdizionale nei confronti dell'atto tipico
che gli venga notificato, dimostrando in tale sede, senza preclusioni di sorta, la sussistenza delle condizioni per fruire della disapplicazione della norma antielusiva” ( Cass. n. 17010/2012 ).
Ciò premesso, con il ricorso introduttivo la T ha spiegato e dimostrato, attraverso la
produzione del bilancio della controllante, che il credito erogato non è stato utilizzato per la
concessione di ulteriori crediti. Sulle allegazioni della contribuente l'Ufficio, nella comparsa di
costituzione di primo grado, non ha preso alcuna posizione: gli elementi di fatto, pertanto, non
essendo stati contestati devono ritenersi pacifici.
Va quindi ritenuto provato il fatto storico rappresentato dall’assenza di utilizzo, da parte della
controllante P s.r.L., delle somme finanziate dalla Temporary.
Stante la prova dell’assenza di
abuso nello strumento Ace, il rilievo dell’Ufficio va ritenuto illegittimo.

3) Esenzione IVA prevista dall’ art. 10, comma 1, punto 20) del DPR 26 ottobre 1972, n. 633 . La richiamata normativa stabilisce che sono esenti dall’imposta “Je prestazioni educative
dell'infanzia e della gioventù e quelle didattiche di ogni genere, anche per la formazione,
l'aggiornamento, la riqualificazione e riconversione professionale, rese da istituti o scuole
riconosciuti da pubbliche amministrazioni e da ONLUS...”.
Nella fattispecie in esame la T s.p.a., in qualità di Agenzia per il lavoro, riceveva
prestazioni di formazione professionale da parte della consociata società A s.r.l.
Secondo la ricostruzione dell’Ufficio tale società avrebbe natura latamente pubblica, e ciò
considerato che l’ A risulta accreditata presso il F, specifico fondo privato operante
sotto il controllo del Ministero del Lavoro, previsto dall’ articolo 12, comma 4, d.lgs. n. 276/2003 .
Da ciò l’esenzione IVA ai sensi della richiamata normativa e l’illegittima detrazione dell’iva
irregolarmente portata nelle fatture di A a T.
Con l’appello incidentale la T rileva di aver provato la terzietà dell’ A attraverso la
produzione del contratto privatistico di appalto di servizi stipulato.
Inoltre, rileva l’appellante
incidentale, mentre il requisito soggettivo sarebbe integrato in capo alla stessa T, in
quanto soggetto accreditato presso il fondo F, tale requisito non sarebbe configurabile
in capo al distinto soggetto A s.r.1., soggetto che non avrebbe alcun rapporto con il F.
La tesi dell’appellante incidentale non può essere accolta e la pronuncia di primo grado va sul
punto confermata.
Occorre rilevare, in primo luogo, che la norma introdotta dall’ articolo 10, comma 1, n. 20) del DPR n. 633/72 prevede l’esonero IVA, tra l’altro, per la formazione professionale resa da istituti
riconosciuti da pubbliche amministrazioni.
Nello specifico, a parere del Collegio non possono esservi dubbi circa il requisito oggettivo,
essendo non contestato che l’attività svolta dall’A avesse ad oggetto la formazione
professionale e, in ogni caso, tenuto conto del perimetro estremamente lato della norma sopra
citata, facente riferimento alle “attività didattiche di ogni genere”.
Quanto al requisito soggettivo, va rilevato che la formazione svolta dall’ A rientrava, come
ritenuto dai giudici di primo grado, sotto il cappello pubblicistico rappresentato dal fondo
F.
Su quest’ultimo fondo, in disparte il carattere formalmente privatistico, va ricordato
che esso, trovando la sua fonte normativa attuale nell' articolo 12 del d.lgs. 10 settembre2003, n. 276 , svolge la propria attività sotto la vigilanza dell'Agenzia nazionale Politiche Attive del
Lavoro (ANPAL), in precedenza del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
Tale fondo, come risulta dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 4304 del 15 settembre 2015, dall'Interpello n. 904-1767/2019 della Direzione Regionale Lombardia (che revoca il precedente interpello n. 38/2019 citato dalla T) e dalla nota dell’ANAC del 15 gennaio 2016, va
qualificato alla stregua di organismo pubblico.
Ciò posto, va altresì rilevato che, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante incidentale,
non solo la T s.p.a. ma anche la stessa A s.r.l. è iscritta tra i soggetti accreditati presso
il F (circostanza verificata dal Collegio sia sul sito internet della A che su quello del
fondo F), così restando soggetta a controlli e rispetto dei regolamenti del Fondo.
Assume la T che tali controlli non vi sarebbero stati nella fattispecie in esame ma tale
affermazione, pur vertendosi in tema di prova negativa, non solo non è sostenuta da alcun
riscontro probatorio, ma risulta smentita da quanto indicato dal regolamento del F,
laddove si prevede che la formazione avvenga in forma diretta da Agenzia del Lavoro (qual è
T s.p.a.) o in forma indiretta per il tramite di un soggetto attuatore quale appunto A
srl.
Coinvolgendo finanziamenti pubblici e risultando soggetta al controllo di un organismo di diritto
pubblico, 1’ A va correttamente qualificato quale ente di formazione riconosciuto da pubblica
amministrazione.
Da ciò l’esenzione IVA e la correttezza della ripresa dell’Ufficio. rese e quelle oggetto della T: tra le prestazioni di formazione professionale e quelle di
somministrazioni di lavoratori non si riscontra un collegamento immediato e diretto tale da
giustificare, comunque, la detrazione IVA secondo quanto previsto da Corte di Giustizia C-98/98 dell’8 giugno 2000 .
Da ultimo, l’appellante incidentale invoca nuovamente l’applicabilità del nuovo art. 6, comma 6, secondo periodo, del D.Lgs. n. 471/1997 , introdotto dalla legge n. 205/2017 , secondo cui “Jn caso
di applicazione dell'imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal
cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai
sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 , l'anzidetto cessionario o committente è punito con la sanzione amministrativa compresa fra
250 euro e 10.000 euro”.
La sentenza di primo grado ha escluso l’applicabilità di tale norma trattandosi di norma non
retroattiva e richiamando sul punto la sentenza n. 24001 del 3.10.2018 della Suprema Corte .
L’appellante T richiama la modifica intervenuta con il
comma 3-bis, dell’art. 6 del D.L. 30 aprile 2019 n. 34 il quale ha inserito, nel corpo del comma 935 dell’art. 1 della L. 205/2017 , ovvero la norma che ha modificato l’ art. 6, comma 6, del D.Lgs. n. 471/1997 , l’inciso “/e disposizioni di cui al presente comma si applicano anche ai casi
verificatisi prima dell’entrata in vigore della presente legge”.
Ritiene il Collegio che, pur ammettendo la retroattività della norma, essa non riguarda la vicenda
in esame.
Il richiamato art. 6, comma 6, infatti, distingue chiaramente tra operazioni esenti, con
iva indebitamente computata (“Chi computa illegittimamente in detrazione l'imposta assolta,
dovuta o addebitatagli in via di rivalsa, è punito con la sanzione amministrativa pari al novanta
per cento dell'ammontare della detrazione compiuta”), e operazioni soggette ad IVA ma con
imposta applicata in misura superiore (cfr. testo sopra riportato).
Il diritto alla detrazione IVA
viene mantenuto solo con riferimento a tale seconda fattispecie, rientrando invece il caso in esame
nella prima ipotesi.

4) Sanzioni
Le considerazioni da ultimo svolte inducono il Collegio all’accoglimento dell’appello principale. La sentenza di primo grado, infatti, ha ridotto le sanzioni applicando, in virtù del principio del
favor rei, il nuovo articolo 6, comma 6, nella parte in cui prevede l’applicabilità di una sanzione
tra 250 e 10.000 euro per i casi di imposta applicata in misura superiore al dovuto.
Tuttavia, come sopra ricordato, la fattispecie in esame non rientra in tale ipotesi, collocandosi
invece nel primo periodo del comma 6: la sanzione correttamente applicabile e computata
dall’Ufficio è quella ivi prevista (90% della detrazione).
Infine, resta confermata la sanzione di cui all’ articolo 5, comma 4, d.lgs. n. 471/97 .
Spese compensate attesa la reciproca soccombenza.
P.Q.M.
In accoglimento dell’appello principale dell’Agenzia, dichiara legittime le sanzioni come
determinate nell’avviso impugnato.
In parziale accoglimento dell’appello incidentale proposto da T s.p.a., dichiiara
illegittima la ripresa relativa alla deduzione ACE di cui al superiore punto n. 2.
Respinge per il resto l’appello incidentale e, per l’effetto, dichiara legittima la ripresa relativa alle
sopravvenienze attive di cui al superiore punto n. 1 e la ripresa relativa all'esenzione IVA n. 3.
Compensa le spese di lite. Milano , DD MM 2021 IL RELATORE
giu2
IL PRESIDENTE
giu1