Sentenza 1902/2021 della Commissione Tributaria Reguonale Di Lazio Sezione 17

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGUONALE DI XXX SEZIONE 17 riunita con l'intervento dei Signori:
giu1 Presidente giu2 Relatore giu3 Giudice

ha emesso la seguente
SENTENZA
- sull'appello n. 5996/2017
depositata il DD/MM/2017
- avverso la pronuncia sentenza n. 29543/2016 Sez:50 emessa dalla Commissione
Tributaria Provinciale di XXX
contro:
CM S.P.A.
VIA XXX

difeso da:
RF
VIA XXX
proposto dall'appellante:
DIREZIONE REGIONALE XXX UFFICIO CONTENZIOSO
VIA XXX
Atti impugnati:
AVVISO Di ACCERTAMENTO n° TJB030100166 IVA-OP.ESCLUSE 2010
REG.GENERALE
N° 5896/2017


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. L'Agenzia delle entrate — Direzione regionale del XXX - ha proposto appello per la riforma della sentenza n. 29543/50/16 della Commissione Tributaria Provinciale di XXX , pronunciata il DD/MM/2016 e depositata il DD/MM/2016. Con tale sentenza il Giudice di prime cure accoglieva il ricorso della società CM S.p.A. avverso l’avviso di accertamento IVA n. TJB030100166/2015 con il quale l’Amministrazione Finziaria, ai sensi dell'art. 54, comma 4, DPR 633/1972 , accertava in capo alla società, per l'anno d'imposta 2010, la maggiore base imponibile ai fini IVA, di € 42.597.067;38; illegittimamente sottratta a tassazione, in violazione del disposto dell'art. 13 dell DPR 633/1972 , con conseguente recupero di una maggiore IVA pari ad € 8.519.413,00, oltre interessi e sanzioni.

La controversia concerne il trattamento fiscale riservato ad un accordo bonario, stipulato ai sensi dell' art. 31 bis Legge 109/1994 in data 3 maggio 2010 ; tra C Spa e a in virtù del quale la Committente a riconosceva, a tacitazione delle riserve iscritte dal. GC, un importo omnicomprensivo di € 47.456.654,03, di cui € 43.681.590,92, per sorte, € 1.154.022,32 per rivalutazione monetaria ed € 2.621.040,79 per interessi. L'importo di € 42.597.067,38 veniva considerato escluso dall'ambito di applicazione dell'IVA, ai sensi dell' art. 15 DPR 633/1972 , in quanto la società aveva attribuito “natura risarcitoria” allo stesso, con conseguente registrazione dell'accordo e versamento dell'imposta di registro nella misura proporzionale del 3%, in applicazione del principio di alternatività Iva/Registro. L'Ufficio, invece, in base a quanto disposto dagli artt. 13 e 15 del DPR 602/1973 qualificava l'importo di € 42.597.067,38, (dato dalla somma dei due importi di 20.721.522,53 percepiti, da fattura, a titolo “di risarcimento sulla riserva n. 2”, più € 1.154.022,32 a titolo di rivalutazione monetaria) non come somma percepita a titolo meramente risarcitorio, ma come corrispettivo da assoggettare ordinariamente all'imposta sul valore aggiunto. Il primo Giudice in sostanza ha ritenuto che le somme ricevute a titolo di accordo bonario erano da qualificare come risarcimento dei danni per i maggiori oneri sopportati a causa della sospensione dei lavori.

2. L’Agenzia delle entrate ha impugnato la sentenza nella parte in cui ha qualificato le somme corrisposte a seguito dell’accordo bonario come risarcimento del danno e nella parte in cui ha considerato il rischio archeologico come evento imprevedibile, evidenziando l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, con riferimento all'assenza di dimostrazione di un inadempimento imputabile alla a e con riferimento alla qualità di GC di CM. S.p.A.
3. La CM S.p.A. si è costituita in giudizio con atto di controdeduzioni chiedendo il rigetto dell’appello.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello merita accoglimento.
1. Il thema decidendum della presente controversia è incentrato sul corretto trattamento tributario (segnatamente, imponibilità o esclusione dal campo di applicazione dell'IVA) delle somme corrisposte a seguito di un “accordo bonario” ex art. 31-bis legge n. 109 del 1994 , sottoscritto dall'Autorità concedente a SPA e dalla società di progetto CM S.p.A. a tacitazione di numerose riserve contestate dall’appaltatore nella veste di “GC’. 2. Le somme e i compensi relativi ad un contratto di appalto, in base a quanto disposto all’ articolo 13, comma 1, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 , rappresentano la base imponibile ai fini IVA, essendo la medesima costituita “dall’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali, compresi gli oneri e le spese inerente all'esecuzione e i debiti o altri oneri verso terzi...”. Ai sensi dell' art 15, comma 1, n. 1) del medesimo D.P.R. n. 633 del 1972 non concorrono a formare la base imponibile “le somme dovute a titolo di interessi moratori o di penalità per ritardi o altre irregolarità nell'adempimento degli obblighi del cessionario o committente”. La giurisprudenza, di merito e di legittimità, evidenzia come tutte le somme percepite dal soggetto prestatore - qualunque ne sia la natura — in forza della prestazione eseguita, sono da assoggettare ad IVA, con la sola esclusione di quelle aventi carattere risarcitorio (interessi moratori e penalità per i ritardi o altre irregolarità), determinate dall’inadempimento degli obblighi del committente. In tal senso, le somme richieste dall’appaltatore a titolo di riserve trovano presupposto giuridico e sostanziale nell’esecuzione del contratto di appalto. Pertanto, in linea di principio, le stesse riserve si traducono in maggiori compensi la cui percezione rileva ordinariamente ai fini IVA. La necessaria riconduzione nell’ambito applicativo dell'imposta sul valore aggiunto dell’importo de quo deriva dalla circostanza che le “riserve” equivalgono a richieste di maggiori corrispettivi che, in corso di esecuzione di un contratto di appalto, l’appaltatore ha avanzato nei confronti della stazione appaltante, in base alle modalita ed ai termini di legge, al fine specifico di ottenere dal concedente una revisione in aumento del prezzo contrattualmente pattuito, tale da essere idonea a compensare i maggiori oneri connessi ad un anomalo andamento dei lavori. Né nel caso di specie non è configurabile un inadempimento da parte della stazione appaltante, cui sia chiaramente imputabile una violazione degli obblighi contrattuali, contestata dall’appaltatore e tale da determinare una situazione di “mora accipiendi" del committente. Peraltro, con Circolare n. 136 del 23 giugno 2003, l'Agenzia delle Entrate ha ulteriormente precisato che l‘esclusione dal computo della base imponibile ai sensi del citato articolo 15 del n. 633 del 1972 si verifica solo in presenza di eventi di carattere " 'patologico', quali (omissis) ritardi nei pagamenti o, in genere, inadempimenti degli obblighi contrattualnente previsti". Ne deriva che eventuali somme riconosciute alla parte possono ritenersi escluse dalla base imponibile IVA ex art. 15, D.P.R. n. 633 del 1972 , ma solo nell’ipotesi in cui le medesime siano dovute a titolo eschisivamente “risarcitorio”, cioè esclusivamente laddove le stesse rappresentino la “penale” contrattualmente prevista per la violazione di obblighi assunti, sulla scorta di apposita clausola inserita in contratto (“clausola penale"). Diversamente, le somme alle quali non sia possibile riconoscere esclusivamente una natura “punitivo/risarcitoria”, quali, a titolo esemplificativo, quelle dovute per il riconoscimennto di maggiori oneri a seguito di un accordo bonario ex art. 31 bis, legge n. 109 del 1994 , dovranno essere considerate maggiore corrispettivo ai sensi dell’ art. 13 del D.P.R. n. 633 del 1972 , da inserire nel perimetro applicativo dell'IVA, con conseguente imposizione. 1. Tale ricostruzione, contrariamente a quanto argomentato nella sentenza impugnata, risulta confermata anche dalla sentenza n. 256/2015 della Sezione giurisdizionale per il XXX della Corte dei conti secondo cui “... in presenza di lavori che notoriamente avrebbero attraversato zone di interesse archeologico e, comunque, a conoscenza del CG avendo il medesimo anche partecipato allo sviluppo del progetto definitivo ed elaborato il progetto esecutivo - il ritrovamento archeologico rientri nella nazionale alea del contratto con conseguente applicazione degli artt. 1467 e 1664 c.c. , ...(Omissis) ... l'anomalo andamento dei lavori dipeso dalle scoperte archeologiche, pur rientrando teoricamente nel concetto di forza maggiore quanto alla necessità di sospendere l'attività, rientrava fra i rischi a carico dell'appaltatore in quanto collegato al progetto definitivo e/o esecutivo e certamente non eccezionale né imprevedibile in quanto a conoscenza del CG (come di a) sin dalla partecipazione alla gara e dal medesimo valutato al momento della presentazione del proprio progetto esecutivo". Gli eventi occorsi non erano quindi imprevisti e imprevedibili, ma rientravano nella normale alea contrattuale e nel rischio a carico dell'appaltatore con la conseguenza che le somme erogate non possono essere considerate neppure come risarcimento danni derivanti dalla sopravvenienza di eventi imprevedibili. Gli eventi che hanno determinato l’anomalo andamento del cantiere e i conseguenti ritardi nell’avanzamento dei lavori rientrano nei rischi tipici dell’attività di appalto, tanto più nel caso del contraente generale che assume un ruolo rilevante nella gestione della costruzione dell’opera pubblica, al punto che questi assume un'obbligazione” di risultato che gli impone di eseguire l’opera con ogni mezzo. È evidente, infatti, che il rischio d'impresa gravante sul contraente generale, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di primo grado è particolarmente elevato, assumendo questi un’alea maggiore di quella riconducibile ad un soggetto che volontariamente assume la conduzione di un appalto pubblico di lavori. Di questo avviso è anche l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (v. delibere nn. 52/2010 e 48/2011). In sostanza, ed in estrema sintesi, i pronunciamenti dell’AVCP individuano la peculiarità della figura del Contraente Generale nei maggiori e più specifici rischi che egli assume rispetto all’ordinario appaltatore, l’accentuazione, rispetto a questi, dell’eccezionalità ed imprevedibilità degli eventi che abbiano costretto l’appaltatore a sopportare maggiori costi che renda ammissibile il loro risarcimento, la limitazione dello stesso agli stretti tempi necessari al CG per riprogrammare la propria attivita e riorganizzare i fattori produttivi impiegati.
2. La condanna al pagamento delle spese di lite, liquidate come in dispositivo, segue la soccombenza.
P.Q.M.
la Commissione tributaria regionale accoglie l'appello e condanna la società CM S.p.A. al pagamento delle spese di lite che liquida in euro 7.000,00 per il primo grado e in euro 15.000,00 per il secondo grado. Così deciso in XXX, nella camera di consiglio del DD MM 2021. L’ESTENSORE
(giu2)
IL PRESIDENTE
(giu1)