Sentenza 6075/2021 della Commissione Tributaria Regionale Di Sicilia Sezione 2

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI XXX
SEZIONE 2
riunita con l'intervento dei Signori:
giu1 Presidente giu2 Relatore giu3 Giudice

ha emesso la seguente
SENTENZA REG.GENERALE N° 5305/2014
- sull'appello n. 5305/2014
depositato il DD/MM/2014
- avverso la pronuncia sentenza n#224/2014 Sez:6 emessa dalla Commissione
Tributaria Provinciale di XXX
contro:
FR
S XXX

difeso da:
AS
VIA XXX
proposto dall'appellante:
AG. ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE XXX
Atti impugnati:
AVVISO DI ACCERTAMENTO n° TYX01A600118/2012 IRPEF-ADD.REG. 2007
AVVISO DI ACCERTAMENTO n° TYX01A600118/2012 IRPEF-ADD.COM. 2007 AVVISO DI ACCERTAMENTO n° TYX01A600118/2012 IRPEF-IMPR.SEM. 2007 AVVISO DI ACCERTAMENTO n° TYX01A600118/2012 IVA-OP.IMPONIB. 2007

IN FATTO E IN DIRITTO
La Guardia di Finanza - Compagnia di XXX iniziava una verifica nei confronti della ditta individuale “MB” della sig.ra FR - esercente il commercio all'ingrosso di rottami metallici (trattasi di così detto “compro oro”), i cui esiti venivano cristallizzati nel Processo Verbale di Constatazione del 17 novembre 2011 col quale evidenziava che l'impresa aveva sottratto a imposizione l’intero importo delle cessioni di beni in oro, ritenendole operazioni senza addebito d'IVA ai sensi dell' art. 17, comma 5, del D.P.R. n. 633 /1072, mentre - consistendo l'attività nella cessione di oggetti usati di gioielleria ed oreficeria e non di mero materiale d’oro o semilavorati - la ditta cedente avrebbe dovuto assoggettare le vendite ad IVA, secondo il regime del margine.
I verificatori rilevavano, altresì, l’indeducibilità di componenti negativi di reddito per € 60.541,81, onde ridimensionare l’entità dei costi, alla luce della documentazione extracontabile rinvenuta in occasione della verifica.
Pertanto per l'anno 2007, l'Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale di XXX - Ufficio Controlli, dando seguito ai controlli, notificava l'avviso di accertamento n. TYX01A600115/2012, con il quale venivano recuperati IRPEF per € 22.319,00, addizionale regionale all’IRPEF per € 848,00, addizionale comunale all’IRPEF per €484,00, contributi previdenziali per € 9.336,00, IRAP per € 3.027,00 ed IVA per € 18.843,00 con contestuale irrogazione della sanzione di € 33.478,50.
Avverso tale provvedimento agenziale la contribuente proponeva ricorso. Con sentenza n. 224/06/2014 del DD MM 2013 la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva ii ricorso, annullando l'accertamento e compensando le spese di giudizio. I giudici aditi motivavano la decisione esclusivamente riferendosi alla mancata prova della sussistenza della delega rilasciata dal Direttore Provinciale al sottoscrittore Capo Ufficio Controlli.
Avverso tale sentenza propone appello l'Agenzia delle Entrate eccependone:
1) la totale erroneità in quanto l’ art.42 D.P.R. n. 600/1973 non pone alcun obbligo di allegazione o esibizione della delega alla sottoscrizione del provvedimento impo-sanziatorio - avente valore di atto pubblico fidefaciente tale da poter essere scardinato solo mediante querela di falso - e, comunque, deposita con l'appello copia della delega
poiché, ai sensi dell' art. 58, comma 2, D.Lgs n. 546/1992 è possibile addurre nuovi documenti in questa sede. 2) Nel merito l'Ufficio ribadisce la piena legittimità e fondatezza della pretesa erariale sia nell'an che nel quantum sostenendo che l’attività svolta dalla contribuente consistesse nella "cessione di oggetti usati di gioielleria e oreficeria”, oggetti che non rientrano nella definizione di oro contenuta nell' art. 1, primo comma della L. n. 7/2000 , né, d'altronde, la ditta possedeva i requisiti richiesti per gli operatori professionali nel mercato dell'oro (forma giuridica di società di capitali), e, pertanto, le predette cessioni di oggetti. usati di gioielleria e oreficeria andavano ricondotte, ai fini dell'assoggettamento ad IVA, nel regime del margine di cui all' art. 36 del D.L. n. 41/1995 . 3) Sostiene, inoltre, che anche il recupero analitico dei costi legati ai prezzi d'acquisto - come rideterminati mediante il confronto con pregnante documentazione extracontabile rinvenuta - appare scevro da spunti di censura, giacché l'evidenza della sussistenza di essi documenti non ha trovato alcuna concreta ed adeguata confutazione da parte dell’interessata. Richiede, pertanto, la riforma della sentenza con conferma dell'atto impugnato. Si costituisce in giudizio la contribuente eccependo pregiudizialmente nullità dell'avviso di accertamento:
1) sia perché privo di valida sottoscrizione in relazione alla mancanza allegazione della delega;
2) che per inesistenza giuridica della notifica effettuata ex art. 14 L. 890/92 direttamente spedendo l’atto "in busta verde chiusa inviata dall'Ufficio postale presso cui è avvenute la spedizione”, anziché attraverso i messi conciliatori ex art. 60 D.P.R. 600/73 . Nel merito sostiene con riferimento ai rilievi:
3) in ambito IVA, la correttezza dell’applicazione del reverse charge ex art. 17, comma 5, D.P.R. 633/72 in relazione all'attività svolta dalla stessa e dalla ditta cessionaria a cui vende i rottami d’oro acquistati dai privati;
4) in ambito imposte dirette, l'infondatezza del criterio dell'applicazione della percentuale forfettaria del 26,26% di abbattimento dei costi sostenuti per l’intero anno 2007. Chiede pertanto il rigetto dell'appello.
Con nota in data 03-03-2021 la FR, in relazione all'udienza fissata per il 09-03- 2021, chiede che la trattazione avvenga mediante discussione ai sensi dell' art. 27, comma 2, D.L. 137/2020 e, quindi, all'udienza del 13/04/2021, la Commissione decide come da dispositivo.
L'appello è parzialmente fondato. 1) Passando ad esaminare le ragioni poste a base dell'appello, va preliminarmente preso atto della intervenuta produzione in questa fase del giudizio dell'atto di conferimento incarico al funzionario sottoscrittore. Peraltro, la questione della nullità dell'atto tributario per difetto di sottoscrizione e mente dell' art. 42 del D.P.R. n. 600/73 è stata sostanzialmente risolta in senso negativo dal giudice di legittimità, il quale ha statuito che il requisito formale richiesto dalla norma in questione è soddisfatto una volta che l’atto sia sottoscritto dal capo ufficio, restando irrilevanti gli eventuali vizi del procedimento di nomina e la riconoscibilità, al suddetto, della qualifica dirigenziale ( Cass. 22800/15 e 22810/15 ). Quanto alla dedotta inammissibilità della produzione effettuata in “fase d’appello, la Commissione ne rivela l'infondatezza, alla luce del consolidato orientamento del Supremo Collegio (vedi Cass. Civ. Trib. N. 5491/2017 ) secondo cui "In materia di produzione documentale in grado di appello nel processo tributario, alla luce del principio di specialità espresso dall' art. 1, comma 2, del D.Lgs 31 dicembre 1992, n. 546 - in forza del quale, nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria, prevale quest'ultima - non trova applicazione la preclusione di cui all' art. 345, terzo comma, cod. proc. Civ. (nel testo introdotto della legge 18 giugno 2009, n. 69 ), essendo la materia regolata dall'art. 58,comma 2, del citato D.Lgs, che consente alle parti di produrre liberamente i documenti anche in sede di gravame, sebbene preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado (Sez. 5, Sentenza n. 18907 del 16/09/2011 ). Sicchè l'eccezione sollevata sul punto dalla contribuente deve essere disattesa. 2) Relativamente all’eccepita nullità della sentenza per la notifica dell'avviso di accertamento a mezzo posta, si precisa che, con orientamento sempre più reiterato (Cassazione nn. 12083, 10232, 7184, 3254, tutte del 2016) la Corte Suprema ha dichiarito che, in tutti i casi di notificazione postale di un atto tributario eseguito direttamente dall'Ufficio, non si applicano le regole procedurali della L. 890/82 , e l'atto pervenuto all'indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all' art. 1335 C.C. Anche tale eccezione, pertanto, va disattesa; 3) Con riguardo alle altre ragioni di doglianza, e, specificamente a quelle in ambito IVA, giova tracciare il quadro normativo entro cui si colloca l’attività di “compro oro”, facente capo alla ricorrente. Accanto alle norme primarie regolanti la procedura di commercializzazione dell'oro e dei metalli preziosi, cui si rinvia (artt 9 - 127 e 1218 T.u.l.p.s., nonché artt 243 e 246 regolamento esecuzione T.u.l.p.s.), esiste un'ulteriore disciplina di settore che può essere così sintetizzata:
Legge 22 maggio 1999, n. 251 , "Disciplina dei titoli e dei marchi di identificazione dei metalli preziosi" e Regolamento attuativo adottato con D.P.R. 30 maggio 2002, n. 150 .
La normativa definisce quali metalli siano da considerarsi preziosi (platino, palladio, oro e argento); i loro titoli legali; le caratteristiche del marchio di identificazione e le procedure per ottenere le matrici recanti le impronte del marchio stesso; gli oggetti esonerati dall'obbligo del marchio di identificazione e dell'indicazione del titolo; la tenuta del registro degli assegnatari dei marchi di identificazione presso ogni Camera di Commercio; la disciplina degli oggetti placcati, dorati, argentati e rinforzati o di fabbricazione mista; i sistemi di certificazione; l’attività di vigilanza ed ispettiva esercitata dalle Camere di Commercio nonché una nutrita serie di sanzioni. In sintesi i metalli preziosi, le loro leghe e gli oggetti in metallo prezioso fabbricati e posti in commercio nel territorio italiano debbono essere a titolo legale e portare impresso il titolo stesso e il marchio di identificazione. I commercianti non possono vendere ne detenere, pronti per la vendita, oggetti composti da materiali preziosi sprovvisti di marchio di identificazione e del titolo legale. Il sequestro degli oggetti preziosi è obbligatorio in caso di dubbio sull’autenticità dei marchi, di incompletezza, assenza o illeggibilità delle impronte dei marchi e del titolo; Legge 17 gennaio 2000, n.7 , “Nuova disciplina del mercato dell’ orog
anche in attuazione della direttiva 98/80/CE del Consiglio , del 12 ottobre”
1998” che stabilisce cosa si deve intendere per “oro” e quali sono i requisiti per esercitare tale commercio in modo professionale, (cosiddetti “Operatori Professionali in oro”), ad uso industriale o da investimento, per conto proprio o per conto terzi.
Il legislatore con questa norma ha voluto stabilire sia le modalità con le quali identificare.la natura dei beni che possono essere qualificati come oro, sia le caratteristiche.che un'azienda deve assumere per poter svolgere lecitamente tale ‘attività. Infatti, stabilendo che solo le società lucrative o cooperative, con capitale sociale interamente versato non inferiore a quello minimo previsto per le società per azioni, possono svolgere tale attività, esclude di fatto l'accesso a tale mercato da parte delle ditte individuali. Ulteriore condizione necessaria per commercializzare oro in modo professionale è il possesso, da parte dei partecipanti al capitale, degli amministratori e dei dipendenti investiti di funzioni di direzione tecnica e commerciale, dei requisiti di onorabilità previsti dal D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 , “ Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia ” nonché il rilascio delle prescritte autorizzazioni da parte della Banca d'Italia. La norma stabilisce altresì che chiunque dispone o effettua il trasferimento di oro da o verso l'estero, ovvero il commercio di oro nel territorio nazionale ovvero altra operazione in oro anche a titolo gratuito, ha l'obbligo di dichiarare l'operazione alla Banca d’Italia (ex Ufficio italiano dei cambi), qualora il valore della stessa risulti di importo pari o superiore a 12.500 euro. Inoltre la legge in questione ha abolito il monopolio dell'oro consentendo ai privati di acquistare monete e lingotti di oro fino da investimento in esenzione I.V.A.; D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231 , concernente la prevenzione dell'utilizzo del
sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo che riguarda direttamente il commercio in esame
laddove i soggetti che esercitano l’attività di Compro Oro sono tenuti agli obblighi di identificazione e di registrazione previsti dalla normativa antiriciclaggio che va ad integrare quanto già imposto dall'art. 128 T.u.l.p.s..
Quindi il Compro Oro assolve agli obblighi previsti dalla normativa antiriciclaggio adempiendo alle imposizioni previste dal T.u.l.p.s. in tema di identificazione della clientela e di registrazione delle operazioni giornaliere sul registro vidimato dalla Questura, da conservare per cinque anni. Sotto questo profilo i Compro Oro sono sottoposti anche alla vigilanza della struttura dedicata al contrasto del riciclaggio (Unità di Informazione Finanziaria, U.I.F.); é a questo ufficio che deve essere inviata la segnalazione di operazioni sospette. Tale comunicazione ha luogo quando i destinatari degli obblighi antiriciclaggio “sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di.fimanziamento del terrorismo”. Il Ministro dell'interno, con decreto del 17 febbraio 2011, intitolato “Determinazione degli indicatori di anomalia al fine di agevolare l'individuazione delle operazioni sospette di riciclaggio da parte di talune categorie di operatori non finanziari”, ha individuato alcuni elementi, a titolo esemplificativo, per valutare con criterio e buon senso, la sussistenza di eventuali operazioni sospette. Tra i soggetti destinatari del decreto sono ricompresi anche coloro che commerciano oggetti preziosi, ai quali è stata rilasciata la licenza di Pubblica Sicurezza ai sensi del T.u.l.p.s. Infine il decreto 231/2007 può trovare ulteriore applicazione allorquando emerga che l’attività commerciale risulti un'attività “di copertura” per la consumazione dei reati di grave rilevanza che la normativa stessa intende contrastare. In conclusione, per quanto fin qui esposto, i “compro oro” possono essere definiti come “esercizi commerciali che acquistano, commerciano o rivendono oggetti d’oro, di metalli preziosi o recanti pietre preziose usati e li cedono nella forma di materiale, di rottami d’oro o di metalli preziosi alle fonderie o ad altre aziende specializzate nel recupero di materiali preziosi”. Trattano esclusivamente prodotti finiti e non possono, congiuntamente, acquistare oro da gioielleria usato, fonderlo (per proprio conto o con incarico a terzi) e cedere il prodotto finito ottenuto.
Sicché, ove l'impresa acquirente operi esclusivamente nel settore del recupero dei metalli preziosi e non svolga attività di commercializzazione di gioielli, l'imposta sugli acquisti di rottami d’oro, destinati ad essere sottoposti al procedimento industriale di fusione e successiva affinazione per il recupero del materiale prezioso contenuto, soggiace alla procedura prevista dall' art. 17, comma 5, del D.P.R. n. 633 del 1972 (il cosiddetto reverse charge appunto), procedura che non è facoltativa, ma risulta dunque essere obbligatoria.
In altre parole, si deve distinguere tra vendita da parte del- «Compro oro», con cessione al soggetto autorizzato di materiale in oro da rottamare e il caso diverso di vendita di parti di gioielli da riutilizzare senza rottamazione. Nel primo caso il reverse charge non è una facoltà, ma è obbligatorio. Nel secondo caso il reverse charge non deve e non può mai essere utilizzato. Il “compro oro” che acquista da privati può utilizzare il regime del margine solamente nel caso in cui acquisti materiale non da rottamare. Tali forniture, se hanno i requisiti previsti, possono essere fatturate con il regime del margine ( D.L. 41/95 ). Secondo quanto previsto dallo stesso decreto e, come meglio precisato nella circolare 177/E del 22 giugno 1995, i beni interessati dallo speciale regime del margine sono i beni mobili suscettibili di reimpiego nello stato originario o previa riparazione: non dunque quelli destinati alla rottamazione.
Il “Regime speciale per i rivenditori di beni usati, di oggetti d'arte, di antiquariato o da collezione”, meglio noto come “Regime del margine” costituisce un regime speciale Iva Sa facoltativo, disciplinato dagli.artt. 36-40 del D.L. 23 febbraio 1995, n. 41 , che recepisce fedelmente il contenuto della Direttiva CEE n. 1994/5 , Infatti, per evitare che ciò si verifichi.non viene assoggettato ad Iva il corrispettivo di cessione del bene rivenduto, ma solamente la differenza tra il prezzo di vendita e il prezzo di acquisto comprensivo di eventuale Imposta sul Valore Aggiunto: tale differenza costituisce il cosiddetto margine, da cui origina il nome del regime. In quanto speciale, il regime si
caratterizza per la struttura derogatoria rispetto alle regole generali vigenti in materia di Imposta sul Valore Aggiunto, anche al fine di perseguire la ratio suindicata.
Quanto al meccanismo del reverse charge, che realizza una inversione contabile (giusta previsione normativa, che prevede che “in deroga al primo comma, per le cessioni imponibili di oro da investimento di cui all'articolo 10, numero 11), nonché per le cessioni di materiale d'oro e per quelle di prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, al pagamento dell'imposta è tenuto il cessionario, soggetto passivo d'imposta nel territorio dello Stato. La fattura, emessa dal cedente senza addebito d'imposta, con l'osservanza delle disposizioni di cui agli articoli 21 e seguenti e con l'annotazione "inversione contabile" e l'eventuale indicazione della norma di cui al presente comma, deve essere integrata dal cessionario con l'indicazione dell'aliquota e della relativa imposta e deve essere annotata nel registro di cui agli articoli 23 o 24 entro il mese di ricevimento ovvero anche successivamente, ma comunque entro quindici giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese;
lo stesso documento, ai fini della detrazione, è annotato anche nel registro di cui all'articolo 25”), esso si configura come uno strumento anti-frode: “finalizzato a contrastare il fenomeno della frode fiscale in particolari settori ritenuti ad alto rischio di evasione”, per effetto del quale “a fattura è emessa dal ‘cedente, ma senza addebito d'imposta, che deve essere applicata dall'acquirente; in tal modo, il debitore d'imposta è soltanto il cessionario/committente, anziché il prestatore/cedente".
Lo scopo del reverse charge è, infatti, impedire la detrazione dell'IVA sugli acquisti e combattere le frodi “carosello”, evitando che l'acquirente detragga l'imposta anche in mancanza di versamento da parte del fornitore; e ciò proprio sulla base delle fatture emesse dalla società contribuente,
Passando a valutare - alla luce dei principi esposti- la fattispecie in esame, risulta dagli accertamenti eseguiti che la ricorrente acquistasse da privati oggetti d’oro per “poi rivenderli direttamente per la fusione alla fonderia C s.p.a., con sede in XXX (XXX), società operatrice professionale, regolarmente iscritta all'albo della Banca d’Italia ed in possesso della specifica autorizzazione dell'Ufficio Italiano Cambi.
La C spa, che è risultato cliente unico della ricorrente, ha per oggetto sociale ”TRATTAMENTO, RAFFINAZIONE E RECUPERO DELLE LEGHE METALLICHE E DEI LORO DERIVATI”, ma non anche la commercializzazione dei gioielli d'oro.
Siffatte risultanze escludono che potesse e possa farsi applicazione del regime del margine, la cui applicazione sarebbe stata possibile solo ove si fosse concretamente accertato, tramite verifica fiscale presso la fonderia cessionaria, il concreto utilizzo e destinazione dei beni, al di là della qualificazione merceologica indicata nelle fatture dalla cedente.
È bene ricordare che in riferimento all’onere della prova valgono e vengono applicate, anche in ambito tributario, le norme del codice civile che, come regola generale di fondo, subiscono delle eccezioni di fronte a presunzioni legali, ex art. 2728 c.c. , o presunzioni semplici assistite da requisiti di precisione, gravità e concordanza, ex art. 2729 c.c. In mancanza dei requisiti richiesti dall' art. 2729 c.c. il Collegio ritiene sufficienti per il superamento della presunzione, le fatture emesse dalla cedente, regolarmente contabilizzate e ciò anche alla luce dei principi enunciati dalla stessa Direzione Centrale dell'Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 92/E dicembre 2013, nella quale l'Agenzia delle Entrate ha individuato le caratteristiche de permettono di qualificare i preziosi come oro “industriale” e i presupposti ché. consentono di applicare il regime di reverse charge alle cessioni di tali beni, ribadendo quanto già sostenuto nella risoluzione n. 375/E del DD MM 2002. Con la risoluzione n. 92/E del DD MM 2013, l’Amministrazione finanziaria ha chiarito che “i prodotti finiti d’oro usati, ceduti a soggetti passivi che effettuano lavorazione di oro industriale, anche se non qualificabili sotto il profilo merceologico come “oro industriale”, possono essere assimilati, ai fini IVA, a quest'ultimo prodotto, in considerazione dell’univoca destinazione del metallo prezioso alla ‘lavorazione da parte del cessionario”.
La destinazione del prezioso al processo di lavorazione; da parte del cessionario è dunque condizione essenziale, nonché unica circostanza che consente di assimilare l'acquisto di oro “usato” a quello di oro “industriale”, soggetto, ex art. 17, comma 5 del D.P.R. n. 633/1972 , al meccanismo del reverse charge, non rilevando a tal fine la natura dei beni sottoposti a lavorazione e trasformazione, potendo riguardare non solo rottami in senso stretto, ma qualsiasi bene di “oro usato”, a prescindere dalle condizioni in cui si trova. Se ne deduce che - in materia di applicabilità del regime di reverse charge alle cessioni di oro,usato - si deve aver riguardo alla destinazione finale dell'oggetto venduto...nonché vall’attività del soggetto cessionario, che deve essere o esclusivamente finalizzata al processo di fusione e affinazione chimica del materiale prezioso e non anche alla commercializzazione dell'usato. Laddove è dimostrato che l’attività consiste nell'acquisto’ di oggetti preziosi usati da privati cittadini e nella successiva rivendita direttamente alle fonderie specializzate nel recupero di metalli preziosi, il cedente diviene soggetto obbligato ad emettere la relativa fattura di cessione ai sensi e per gli effetti del citato art. 17.
Pertanto la contribuente ha correttamente effettuato le cessioni dei beni senza addebito d'IVA secondo il regime del reverse charge ai sensi dell’art. 17, comma 5 del D.P.R. 633/1072.
4)Per quanto riguarda il rilievo in ambito Imposte Dirette, l'Agenzia fa presente che "nel corso della verifica da parte dei militari della Guardia di Finanza, è stato ritrovato un quaderno con annotazioni extracontabili per il periodo dal mese di MM 2006 al mese di MM 2007 consistenti in,uscite realmente sostenute per l'acquisto degli oggetti di gioielleria ed oreficeria d’oro usati, entrate derivanti dalle i vendite alla fonderia, numeri d'ordine coincidenti con quelli riportati nei registri di commercio, corrispondenti alle spedizioni effettuate. L'attenta analisi di tali appunti “in nero” ha fatto comparire il reale prezzo d'acquisto dei beni, risultati ovviamente in netto contrasto con quelli riportati nei registri contabili in uso alla ditta MB di RF.

Gli esiti del controllo evidenziano una condotta illecita mirata alla sottrazione di ricavi da sottoporre a tassazione, riconducibili alla trascrizione sul registro previsto TULPS di costi “gonfiati” rispetto a quelli effettivamente sostenuti.

Tale condotta provata dagli appunti extracontabili legittima l’uso della presunzione ex art. 2727 C.C. sussistendo i requisiti di gravità, precisioni e concordanza.
Sulla scorta della ricostruzione operata è stata determinata la percentuale di ricavo sul costo effettivamente sostenuto per l'acquisto di oggetti di oro e argento usati in misura pari al 26,26% e, pertanto, il reddito è stato aumentato di € 60.541,81”.
La contribuente ha sostenuto invece che si trattava di appunti contenenti "ipotesi che la ricorrente aveva elaborato nei primi periodi di attività, e comunque fino al DD MM 2007, per immaginare l'utile che avrebbe potuto conseguire se fosse riuscita ad abbassare il prezzo di acquisto al grammo dell'oro, mentre l’Agenzia delle Entrate ha invece erroneamente ritenuto che quelle ipotesi fossero le somme realmente pagate dagli acquirenti e che, quindi, la contribuente avesse gonfiato i costi per l'importo pari alla differenza tra quanto annotato e quanto riportato in contabilità.
Ma poiché tali proiezioni erano state effettuate fino al DD MM 2007, i verificatori, applicando un metodo del tutto singolare, hanno determinato i minori costi fino al DD/MM/2007 in € 21.734,00 e, presuntivamente dal DD MM 2007 al DD MM 2007 in € 38.424,00, applicando forfettariamente una percentuale di abbattimento dei costi sostenuti nell'intero anno del 26,26%, mentre per tale periodo non è stato riscontrato alcun documento che possa essere ricondotto, neanche lontanamente, ad una presunta modifica del costo di acquisto di materiale prezioso. Il maggior reddito accertato è inesistente perché assolutamente privo di fondamento è il criterio che lo determina e perché basato su una presunzione semplice priva dei requisiti di gravità, precisione e concordanza previsti dall' art. 2729 del C.C. Al riguardo questa Commissione rileva che evidenza della sussistenza della documentazione extracontabile non ha trovato alcuna concreta ed adeguata confutazione da parte dell'interessata, la quale si limita a rendere delle argomentazioni del tutto basate su ipotesi prive di elementi probatori.
Tale documentazione extracontabile per l'anno di riferimento è in effetti relativo al periodo DD-MM-2007 - DD-MM-2007 e, pertanto, in assenza di ulteriore supporto documentale relativo al periodo 14-04-2007 - 31-12-2007, la Commissione non ritiene applicabile all'intero anno la percentuale forfettaria del 26% di abbattimento dei costi sostenuti dalla contribuente.
Ne consegue che, in riforma della sentenza impugnata, va parzialmente annullato l'avviso di accertamento sia nella parte relativa all’imposizione dell'IVA che in quella relativa alla determinazione presuntiva dei minori costi dal DD-MM-2007 al DD-MM-2007, mentre si conferma quella relativa al periodo dal DD-MM-2007 al DD-MM-2007. Sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese di entrambi i gradi del giudizio, attesa la novità della questione e l'assenza di una consolidata giurisprudenza di legittimità sui punti controversi.
P. Q. M.
Accoglie parzialmente l'appello dell'Agenzia delie; Entrate Direzione Provinciale di XXX e in riforma della sentenza impugnata, annulla parzialmente l'avviso di accertamento impugnato in primo grado. Spese compensate.
Così deciso in XXX il DD MM 2021
Il Relatore Il Presidente