Sentenza 260/2015 della Commissione Tributaria Provinciale Di Teramo Sezione 1


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI XXX SEZIONE 1 riunita con l'intervento dei Signori:
giu1 Presidente giu2 Relatore giu3 Giudice

Ha emesso la seguente sentenza REG. GENERALE N° 80/15
sul ricorso n. 80/15 depositato il DD/MM/2015
avverso AVVISO DI ACCERTAMENTO n° TA9031301840/14 IVA-OP.NON IMP. 2011 contro: AG.ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE XXX proposto dai ricorrenti: NI S.R.L.
LEGALE RAPP.TE PB XXX

difeso da:
DOTT.IF PRESSO ST
XXX
difeso da:
DOTT. IF
PRESSO ST XXX

Fatto e Diritto
1. Con ricorso depositato in data DD/MM/2015, ritualmente notificato, NI S.r.l. ha impugnato l'avviso di accertamento, di cui in epigrafe, recante recupero a tassazione, per l'anno d'imposta 2011, dell'importo di € 31.727,00 a titolo di IVA dovuta su di un imponibile di € 151.079,65.
L'A.E., difatti, recependo i rilievi svolti in un p.v.c. della Guardia di Finanza del DD/MM/2013 ha recuperato a tassazione (IVA) operazioni commerciali che le parti avevano denunciato come cessioni intracomunitarie non imponibili ( d.l. n. 331 del 1993 , conv. in L. n. 427 del 1993, art. 41) .
A fondamento della denunciata illegittimità dell'atto impugnato la ricorrente, con un primo motivo, deduce violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 , spiegando che il p.v.c., prima, e l'atto impugnato, poi, rinviavano al contenuto di atti (accertamenti della Guardia di Finanza di XXX e della Polizia di Frontiera di XXX) che non erano stati allegati e che, pertanto, erano rimasti sconosciuti ad essa esponente. Soggiunge la parte che tali atti sono stati ostesi (solo) in sede di accertamento per adesione e, dunque, non solo tardivamente ma pur con modalità inidonee a sanare l'originario difetto di motivazione. Con un secondo motivo la ricorrente deduce violazione della stessa L. n. 212 del 2000 (art. 12 , c. 7) questa volta sotto il profilo dell'omessa valutazione, da parte dell'ufficio, delle osservazioni presentate a seguito della chiusura delle operazioni di verifica. Con un terzo motivo la ricorrente censura, nel merito, la ripresa a tassazione deducendo che l'omessa indicazione, in CMR (letture di vettura), delle targhe degli automezzi utilizzati per il trasporto non poteva essere considerata circostanza dirimente (ai fini dell'esclusione della imponibilità delle operazioni de quo quali cessioni intracomunitarie) atteso anche lo stato della giurisprudenza sul punto e le indicazioni di prassi provenienti dalla stessa A.E. - e che, per converso, andava valutata, da un lato, la correttezza delle operazioni commerciali (alla stregua della Convenzione relativa al contratto di trasporto internazionale di cose su strada; L. n. 1621 del 1961 ) e, dall'altra, la buona fede di essa esponente che anche attraverso la controfirma dei CMR si era messa nelle condizioni di verificare la legittimità (anche sostanziale) delle cessioni in questione e, così, la loro destinazione nel territorio di altro Stato (intracomunitario). L'A.E. resiste specificamente contestando la fondatezza delle doglianze tutte così come "ex adverso" dedotte.


All'odierna udienza la causa è stata discussa e decisa.

2. Il ricorso è destituito di fondamento e va senz'altro disatteso. 2.1 In ordine ai primi due motivi di impugnazione che vanno congiuntamente trattati in quanto connessi occorre premettere che nel p.v.c. del DD/MM/2013 i verificatori - nell'esaminare i rapporti intrattenuti con l'operatore tedesco "PCG" - hanno accertato e conseguentemente esposto che: - tutti i trasporti erano stati eseguiti a cura del destinatario che per l'occasione si è sempre avvalso di vettori; - tali vettori erano stati identificati (nei CMR) in: 1) Z S.C.r.l. (corrente in XXX), negli anni 2011 e 2012 (sino alla fattura n. 2217 del DD/MM/2012); 2) TT (operante in XXX), per tutti i successivi trasporti; - i CMR non recavano (al pari delle fatture) l'indicazione delle targhe degli automezzi utilizzati per detti trasporti; - lo stesso amministratore unico (BF) della NI S.r.l. aveva riferito che: a) ai fini dell'esecuzione delle forniture commerciali in verifica- tutte in regime di cd. franco-fabbrica e, dunque, con trasporto a cura del destinatario non erano stati identificati vettori (che si presentavano, per il ritiro della merce, previo avviso, telefonico o a mezzo mail, da parte del cessionario PG); b) "l'apposizione dei timbri... sui CMR da parte dei due vettori in esame" era sempre avvenuta presso la sede della NI che consegnava la merce previo rilascio, da parte dei vettori, di una copia del CMR "dopo l'apposizione dei timbri identificativi e delle firme degli incaricati (autisti)"; c) i dipendenti della NI, addetti al magazzino (ed al carico della merce) non erano in grado di riferire sulla "identità di coloro che avrebbero curato i asporti di rico are eventuali scritte sui mezzi utilizzati dagli stessi"; d) non erano mai state apposte "le targhe dei mezzi utilizzati dai vettori" tanto sulle fatture accompagnatorie quanto sugli stessi CMR; e) non erano stati conclusi contratti "con la PCG idonei a giustificare i trasporti eseguiti a cura dei due citati vettori". Sulla base dei dati, cosi, acquisiti e avendo accertato (anche) che, per l'anno 2013, i CMR recavano l'indicazione delle targhe utilizzate dalla TT i verificatori chiedevano accertamenti suppletivi a corrispondenti forze di polizia (GdF di XXX e Polizia di Frontiera di XXX) le quali riferivano cosi come sempre nel pvc in esame dettagliatamente esposto - che: - quanto alla ZS S.C.r.l.:
- non erano stati rinvenuti (in contabilità) dati documentali idonei ad esplicitare un qualche "rapporto economico/commerciale tra la ZS S.C.r.l. e la PCG, né tantomeno con la NI S.r.l.";
- la società cooperativa non possedeva mezzi idonei ai trasporti (qual indicati nei CMR in questione); - il legale rappresentante della società cooperativa aveva disconosciuto timbri e sottoscrizioni qual apposti ai CMR; - quanto alla TT:
-"tutte le targhe indicate, dall'anno 2013, su tutti i CMR esaminati ed allegati per il medesimo periodo alle fatture emesse nei confronti di PCG, sono risultate non registrate ovvero attribuite ad altro operatore polacco".
2.2 La Corte di Legittimità ha rilevato, in termini generali, che l'obbligo di motivazione dell'avviso di accertamento deve ritenersi adempiuto laddove il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente an e quantum dell'imposta e che il requisito motivazionale esige, in particolare, l'indicazione dei fatti astrattamente giustificativi della pretesa tributaria, che consentano di delimitare l'ambito delle ragioni adducibili dall'ente impositore nell'eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell'atto le questioni riguardanti l'effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva. Va, difatti, considerato che l'avviso di accertamento ha carattere di "provocatio ad opponendum" e "soddisfa l'obbligo di motivazione, ai sensi dell' art. 56 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 , ogni qualvolta l'Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente l"an" ed il "quantum debeatur"" (cfr., ex plurimis, Cass. DD MM 2011 n. 7360, Cass. DD MM 2006 n. 4223, Cass. DD. MM 2003 n. 6232, Cass. DD MM 1996 n. 7991, Cass. DD MM 1993 n. 8685 ). Che, poi, l'accertamento sia, o meno, fondato è quaestio facti (et iuris) che, all'evidenza, attiene al momento della verifica giudiziale (e, dunque, all'accertamento riservato a questa sede giurisdizionale, nel contraddittorio delle parti) e che rimane estranea al contenuto dell'atto amministrativo (di accertamento). E, del resto, secondo il costante insegnamento della Corte di Legittimità, la prova dei fatti posti a sostegno della pretesa Tributaria non è richiesta come elemento costitutivo dell'avviso di accertamento e la sua mancanza non può incidere sulla validità dell'avviso stesso, in quanto la prova medesima deve essere fornita solo in un momento successivo, in sede processuale, quando a seguito dell'opposizione del contribuente si proceda alla verifica della fondatezza sostanziale della pretesa Tributaria con la conseguenza, in mancanza, del rigetto di detta pretesa, ma non della nullità dell'accertamento (cfr., in termini, Cass. DD MM 1995 n. 6727 cui adde, ex plurimis, Cass. DD MM 2011 n. 6914, Cass. DD MM 2010 n. 24184, Cass. DD MM 2010 n. 22841, Cass. DD MM 2006 n. 25624, Cass. DD MM 2004 n. 21571 ). Si è quindi, e più specificamente, osservato che nel regime introdotto dalla legge 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, l'obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all'atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioè l'insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell'atto o del documento necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione consente al contribuente ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale di individuare i luoghi specifici dell'atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (cfr. Cass. DD MM 2008 n. 1906 cui adde, ex plurimis, Cass. DD MM 2013 n. 9032, Cass. DD MM 2012 n. 13110, Cass. DD MM 2012 n. 10085, Cass. DD MM 2011 n. 6914 ). E, con più specifico riferimento al p.v.c. (quale atto istruttorio prodromico all'avviso di accertamento), la Corte di Legittimità ha statuito che "la motivazione per relationem, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell'esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima, per mancanza di autonoma valutazione da parte dell'Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l'Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare un'economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio."" (cfr. Cass. DD MM 2014 n. 9452, Cass. DD MM 2012 n. 16976, Cass. DD MM 2011 n. 21119 ; v., altresì, Cass. DD MM. 2012 n. 4523 ). In conclusione non pare alla Commissione che, nella fattispecie, difetti la motivazione dell'atto impugnato e, ancor meno, la valutazione (e ponderazione) delle ragioni svolte dall'odierna ricorrente in esito al p.v.c. del MM 2013 - considerato, da un lato, che il p.v.c. (prima) e l'avviso di accertamento (poi) hanno (e nel loro intero) riportato il contenuto degli accertamenti aliunde eseguiti (GdF di XXX e Polizia di frontiera) e, dall'altro, che l'A.E., nell'atto impugnato, ha dato specifico conto delle (contrarie) ragioni cui intendeva attenersi (in conseguenza dei dati emersi dall'attività di verifica) nella gestione della fattispecie (già) allora tra le parti controversa (presunzione di cessioni effettuate nel territorio dello Stato a fronte di operazioni commerciali imponibili).
2.3 Come rilevato dalla Corte di Legittimità, in relazione al regime di non imponibilità delle cessioni intracomunitarie ( d.l. n. 331 del 1993 , conv. in L. n. 427 del 1993, art. 41) , la movimentazione (fisica) dei beni oggetto di cessione nel territorio dello Stato membro del cessionario costituisce elemento strutturale della fattispecie normativa sicché, da un lato, la mancanza impedisce il sua riconoscimento dello stesso carattere "intracomunitario" della operazione e, dall'altro, l'onere della prova dell'esistenza dello scambio intracomunitario (e, dunque, l'effettivo trasferimento del bene nel territorio di altro Stato membro) grava sul contribuente cedente che emette la fattura e non applica l'imposta nei confronti del cessionario ( D.L. n. 331 del 1993, art. 50, comma 1) , dichiarando che la operazione non è imponibile ( D.L. n. 331 del 1993, art. 46, comma 2) in ragione del principio generale di cui all' art. 2697 c.c. , secondo il quale l'onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che legittimano la deroga al normale regime impositivo è a carico di chi invoca la deroga (cfr., ex plurimis, Cass. DD MM 2012 n. 13457 cui adde Cass. DD MM 2014 n. 4636, Cass. DD MM 2013 n. 12964, Cass. DD MM 2013 n. 1670 ). 2.3.1 E del resto, rileva la Commissione, le conclusioni in discorso convergono con i dicta della Giurisprudenza di Legittimità che, in diversi occasioni, ha rimarcato come sul contribuente gravi l'onere della prova sia in relazione ai presupposti di applicazione dei regimi che comportano esenzioni e agevolazioni (cfr. Cass. DD MM 2012 n. 21406, Cass. DD MM 2011 n. 24403, Cass. DD MM 2010 n. 21875, Cass. DD MM 2007 n. 10253 ) sia riguardo di quelle situazioni in cui l'Amministrazione abbia offerto elementi indiziari probanti circa l'inesistenza (id est il difetto di effettività) dell'operazione qual documentata dal contribuente (cfr. Cass. DD MM 2012 n. 9108, Cass. DD MM 2012 n. 8331, Cass. DD MM 2011 n. 12802, Cass. DD MM 2009 n. 15195 ). 2.3.2 Con più specifico riferimento al tema degli elementi probatori rilevanti ai fini in discorso la richiamata Giurisprudenza della Suprema Corte ha, quindi, rimarcato - in una alla compatibilità comunitaria dell'onere della prova in questione che detti elementi debbono riguardare "l'effettiva destinazione dei beni ceduti nel territorio dello Stato membro in cui il cessionario è soggetto di imposta" e che "mentre può certamente escludersi che il cedente sia tenuto a svolgere attività investigative sulla movimentazione subita dai beni ceduti dopo che gli stessi siano stati consegnati al vettore incaricato dal cessionario deve invece affermarsi il dovere del predetto di impiegare la normale diligenza richiesta ad un soggetto che pone in essere una transazione commerciale e, quindi, di verificare con la diligenza dell'operatore commerciale professionale le caratteristiche di affidabilità della controparte ... dovendo questi procurarsi mezzi di adeguati alle necessità, capaci se non di dimostrare, quanto meno di non lasciare dubbi circa l'effettività dell'esportazione e circa la sua buona fede in ordine a tale dato." (cfr. giurisprudenza citata sub 2.3 che precede). 2.3.3 Orbene osserva la Commissione che mentre non è pertinente il rinvio alla disciplina del traffico commerciale internazionale, qui (non li) rilevando come, premesso, un regime di deroga all'imposizione nella fattispecie (cfr. sub 2.1 che precede) i dati probatori al giudizio acquisiti convergono per l'ineffettività delle operazioni commerciali qual documentate avuto riguardo, innanzitutto, ai vettori utilizzati per il trasporto delle merci e, a cascata, all'effettiva destinazione delle stesse merci. Di vero, come anticipato, non v'è alcuna evidenza né di accordi intercorsi con i vettori (formalmente indicati nei CMR) né di un'effettiva esecuzione dei trasporti de quo con i mezzi di detti vettori (sinanche ove formalmente indicati attraverso le targhe dei mezzi). E, per vero, non v'è (alcuna) evidenza (anche solo documentale) nemmeno di accordi tra controparti contrattuali e terze imprese (utilizzate per i trasporti). Ancor più rileva la Commissione che nemmeno le prassi predisposte dagli operatori commerciali appaiono conformi a quella ordinaria diligenza richiesta ad un operatore commerciale professionale ove si consideri che (in difetto di indicazione dei mezzi utilizzati per il trasporto, e delle loro targhe) né sono stati identificati i vettori (a fronte di vendite cd. franco-fabbrica), al momento della consegna delle merci, né (ulteriori) accorgimenti sono stati impiegati (quantomeno) sul piano della disciplina contrattuale delle cessioni in questione (accorgimenti, in quanto tali, volti a predisporre un qualche adempimento finalizzato al riscontro dell'esportazione e, con questo della buona fede del cedente).
3. Le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono, in conclusione, la soccombenza di parte ricorrente.
P. Q. M.
La Commissione Tributaria Provinciale di XXX, Sezione 1, cosi provvede: 1) rigetta il ricorso;
2) condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell'A.E., delle spese del giudizio che liquida in complessivi € 2.200,00.
Così deciso in XXX nella camera di consiglio del DD/MM/ 2015 .