Sentenza 2471/2016 della Tribunale Di Milano Sezione Specializzata In Materia Di Impresa Sezione A

Sentenza n. 2471/2016 pubbl. il 25/02/2016
RG n. 58403/2013
Repert. n. 1899/2016 del 25/02/2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI MILANO
Sezione specializzata in materia di impresa
Sezione A
Il Tribunale in composizione collegiale, nella persona dei seguenti magistrati:
giu1 Presidente giu2 Giudice giu3 Giudice

ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al N. 58403/2013 R.G. promossa da:
TP (c.f. XXX), in proprio e quale legale
rappresentante di VAS s.r.l. e di GF s.r.l., con il
patrocinio degli avv. e CGM (XXX)
XXX; CM
(XXX) XXX; ,
ATTORI;
contro:
GV SPA (C.F. 13353520151 ), con il patrocinio dell’avv. SG e
CONVENUTA
Conclusioni delle parti, venivano precisate come da verbale dell’udienza del DD/MM/15
Per gli attori: v. verbale udienza e fascicolo telematico
Per la convenuta: “Voglia l’Ill.mo Tribunale adito, ogni contraria istanza ed eccezione
disattesa e respinta, così giudicare:
in via preliminare:
- rigettare qualsivoglia istanza di sospensiva dell’esecutività dell’Ordinanza di data
DD/MM/2013, mediante la quale il Tribunale di Milano Imprese, Sez. A, in
composizione collegiale, ha rigettato il reclamo ex adverso proposto in quanto
infondata e comunque inammissibile;

in via principale:
- dichiarare le domande proposte dagli attori infondate in fatto ed in diritto e, per
l’effetto, rigettare tutte le domande svolte dagli attori, per i motivi già esposti in
narrativa;

in via riconvenzionale:
- inibire, ai sensi dell’ art. 131 C.P. I. e dell’ art. 2599 c.c. , al sig. Theofanis
P, nella propria doppia veste ut supra richiamata, sia a livello nazionale che
comunitario, l’uso del Nome “Versace”, in tutte le sue forme e, in particolare,
l’utilizzo della denominazione sociale “Versace 19.69 Abbigliamento Sportivo
S.r.l.”,
con conseguente condanna alla modificazione della stessa, ai sensi e per gli
effetti dell’ art. 2564 c.c. ;

in via istruttoria:
- ci si riserva, eventualmente, di ulteriormente dedurre, produrre, articolare prove
ed indicare testi, anche in considerazione delle avverse espositive, chiedendo sin
d’ora di essere ammessi a prova contraria in caso di accoglimento di improbabili
mezzi istruttori ex adverso proposti.
Con rifusione di spese, diritti ed onorari del presente giudizio e contestuale condanna
degli attori alla refusione del danno da liquidarsi in via equitativa per lite temeraria, ai
sensi e per gli effetti di cui all’ art. 96 c.p.c. ,
autorizzando, se ritenuto, ai sensi dell’art.
120 c.p.c., la pubblicazione della Sentenza (in estratto, ovvero mediante comunicazione
nelle forme specificatamente indicate), a cura e spese degli attori, entro trenta giorni dal
deposito in cancelleria della Sentenza, sulle edizioni nazionali dei quotidiani “Il Corriere
della Sera” e “Il Sole 24ore”, per due giorni, e sulla rivista mensile “VOGUE” edizione
italiana, per un’uscita mensile, a caratteri doppi del normale, con facoltà in capo a
GV S.p.A. di provvedervi in autonomia in caso di inottemperanza degli
attori e con attribuzione alla medesima convenuta GV del diritto di ripetere
dagli attori le spese che si renderanno necessarie per tale attività”.


*****

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO.
Con atto di citazione notificato il DD/MM/13 TP, in proprio e quale legale
rappresentante della Vas s.r.l. e della gf s.r.l.
chiamava in giudizio la s.p.a. GV per sentire dichiarare il diritto e dovere
dell’attore di indicare la denominazione completa “Versace 19.69 abbigliamento
sportivo” del produttore/importatore dei prodotti nei casi imposti dalla legge,
modificando il fond e senza apporre in evidenza il segno Versace, sui prodotti, e
sull’etichetta e dichiarare che tali usi non costituiscono contraffazione.
Inoltre parti
attrici chiedevano accertare il loro diritto ad usare la denominazione completa come
domain name
ed infine accertare che gli apprezzamenti espressi da V s.p.a. nei
loro confronti, in vari comunicati, costituiscono atto di concorrenza sleale.

Gli attori richiamavano gli antefatti che avevano portato alla sottoscrizione con la
convenuta di un atto di transazione avanti al giudice ed un procedimento cautelare di
accertamento negativo, avente sostanzialmente ad oggetto le medesime domande qui
proposte, rigettato dal G.Des., con provvedimento sottoposto a reclamo.
Si costituiva V s.p.a. ricostruendo a sua volta le vicende processuali che avevano
viste contrapposte le parti, anche avanti a giurisdizioni estere, nonché i fermi doganali,
che testimoniavano la pervicace utilizzazione del segno V come distintivo dei
prodotti e dell’attività delle società attrici.

Nel merito, considerato l’intendimento speculativo con cui gli attori utilizzavano le
concessioni di V nel verbale di conciliazione, in via riconvenzionale la convenuta
chiedeva che venisse inibito agli attori “l’uso del nome Versace in tutte le sue forme, ed
in particolare l’utilizzazione della denominazione sociale “Versace 19.69
Abbigliamento Sportivo s.r.l.”, con conseguente condanna alla modificazione della
stessa, ai sensi e per gli effetti dell’ art. 2564 c.c. ”.
Antecedentemente all’udienza di prima comparizione, la causa subiva una sospensione
in pendenza di un procedimento di ricusazione del G.I. -promosso dagli attori, in quanto
già si era espresso in sede cautelare- rigettato, con conseguente riassunzione con ricorso
della convenuta in data DD/MM/14.
Concessi i termini ex art. 183,VI c.p.c., il G.I. ammetteva ed esperiva le prove dedotte
dagli attori in relazione all’intervenuto adempimento all’accordo transattivo.
Infine, all’udienza del DD/MM/15 la causa veniva rimessa in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE.
Innanzitutto, il Collegio rileva come parte convenuta, abbia adottato l’inammissibile
prassi -purtroppo coonestata dalla struttura del PCT che non prevede filtri limitativi- di
depositare copiosa documentazione con gli scritti difensivi finali, ben oltre l’operare
delle rigide preclusioni di cui all’art. 183,VI c.p.c.
Di conseguenza devono essere dichiarate inammissibili le produzioni dei documenti di
parte convenuta da 107 a 127 e quelle degli attori (peraltro in replica nel caso fossero
stati considerati i predetti documenti della convenuta) sub. 68 e 69, che non solo non
saranno esaminati dal Tribunale, ma debbono essere espunti dal fascicolo informatico a
cura delle parti stesse.
Nel merito, come risulta dai documenti tempestivamente prodotti, in data DD/MM/09
GF s.r.l., rappresentata dal suo A.U. TP, ha acquistato da VAS s.r.l. il marchio e poi, con atto 23/2/12, il ramo d’azienda.
Con ricorso DD/MM/12 la GV s.p.a., titolare dei marchi registrati, a livello
nazionale e comunitario, contenenti il patronimico del noto stilista, agiva in via cautelare
nei confronti degli odierni attori chiedendo l’inibitoria all’uso di segni contenenti il
nome “Versace”, il sequestro dei prodotti contrassegnati, la fissazione di penale e la
pubblicazione della sentenza.
La ricorrente premetteva di avere agito in via penale e civile contro il precedente titolare
dell’azienda e dei segni di cui GF si era resa cessionaria e rilevava l’evidente
interferenza tra i marchi di sua proprietà, dotati di rinomanza nazionale ed
internazionale, ed il segno “Versace 1969”.
Osserva questo Tribunale come effettivamente nel segno “Versace 1969 Abbigliamento
Sportivo” il termine “Versace”, per la rilevanza assunta nel contesto complessivo (che
prevede per il resto solo una data, che suggerisce al pubblico un fantomatico inizio di
attività, e la descrizione dei prodotti contrassegnati), va a costituire il nucleo ideologico
in cui si riassume l’ attitudine individualizzante (c.d. “cuore”), dotato di autonoma –ed
esclusiva- potenzialità evocativa nella memoria del consumatore.
Siffatta scelta può determinare innanzitutto ex art. 20 lett. b) CPI un rischio di
confusione sulla provenienza dei beni, anche e soprattutto sotto il profilo del rischio di
associazione, inteso come probabile errore del pubblico circa l’ esistenza di rapporti
contrattuali o di gruppo fra il titolare e il secondo registrante.
Tale rischio risulta
amplificato dalla presenza di molteplici marchi della convenuta caratterizzati dal
medesimo cuore, che indurrebbero i consumatori a ritenere anche “Versace 1969”, come
espressione della medesima fonte imprenditoriale o di un rapporto di licenza concesso
dall’ odierna attrice.
Inoltre, ex art. 20 lett. c) CPI, l’uso del segno “Versace 1969 Abbigliamento Sportivo”
consentirebbe agli odierni attori di trarre indebitamente vantaggio dalla rinomanza dei
segni della convenuta e contemporaneamente ne pregiudicherebbe la forza distintiva e la
capacità di essere portatore di un messaggio rilevante nel giudizio del pubblico (che non
si esaurisce nella sola indicazione di origine), sfruttandone le potenzialità evocative.
Come è noto, il marchio rinomato non coincide con il marchio celebre e non sempre
risulta necessaria una grande rinomanza, dovendo ritenersi sufficiente che il segno sia
conosciuto da una parte significativa del pubblico interessato ai prodotti o servizi
contraddistinti (CG 14/7/99 GM), requisito da valutarsi tenuto conto della
quota di mercato detenuta dal marchio, dell’ intensità ed estensione geografica e della
durata del suo uso, nonchè dell’ entità degli investimenti realizzati per promuoverlo (cfr.
Cass. 21086/05 ).
Le norme comunitarie (e poi quelle nazionali) hanno inteso tutelare il diritto esclusivo
sul segno come elemento attrattivo e comunicazionale, impedendone l’ appropriazione
ogni volta che questa possa determinare, in via alternativa, un indebito vantaggio per l’
usurpatore o in pregiudizio al titolare.
Esistono vari livelli di rinomanza, che va dai segni noti alla generalità della popolazione
a quelli solo largamente accreditati presso un segmento del pubblico dei consumatori,
cui si accompagnano diverse estensioni della tutela, al di là dell’ ambito merceologico e
del rischio di confusione in senso stretto (dovendo ritenersi sufficiente un ingiustificato
agganciamento, che consenta di collocarsi sul mercato sfruttando le valenze evocative
del segno rinomato).
Il diverso livello di rinomanza incide sull’ onere della prova, ben potendo -in caso di
segni notori, quali quello che ci occupa- farsi ricorso anche alle nozioni di comune
esperienza.
Infine, va ricordato che, per il principio di unitarietà dei segni distintivi di cui all’art. 22
CPI è vietato adottare come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna o nome a
dominio aziendale un segno uguale o simile all’altrui marchio se possa determinarsi quel
medesimo rischio di confusione del pubblico o quell’approfittamento, con conseguente
pregiudizio, di cui all’art. 20 CPI.
Peraltro, le parti, nella menzionata sede cautelare, hanno conciliato in via giudiziale la
controversia mediante la sottoscrizione di un verbale (doc. 5 att.) nel quale il sig.
P, in proprio e per la società allora evocata in giudizio, dichiarava di “rinunciare
alla registrazione del segno distintivo Versace 19.69 abbigliamento sportivo, oggetto
della domanda n. 10844473 del 17/4/12 e al fine conciliativo e transattivo si obbliga a
non indicare in futuro in nessun prodotto oggetto dell’attività imprenditoriale svolta in
proprio o dalle società dallo stesso rappresentate, nonché nella pubblicità dei prodotti e
in ogni diversa forma di comunicazione e promozione al pubblico dei prodotti stessi il
nome VERSACE, fermo restando il diritto dovere di indicare la denominazione sociale
completa del produttore o importatore dei prodotti nei casi imposti dalla legge anche al
fine della etichettatura modificando l’eventuale font utilizzato”.
Inoltre “il sig. PT si obbliga altresì a non indicare il nome Versace nel
proprio sito internet ed in quelli a lui riconducibili alle società dallo stesso
rappresentate ferma restando la facoltà di indicare la completa denominazione sociale
del produttore e/o commercializzatore dei prodotti anche nei suddetti siti”.
L’accordo transattivo deve essere interpretato secondo le regole di cui all’art. 1362 e
segg. c.c., ricordando che i criteri legali di ermeneutica contrattuale sono governati da
una gerarchia interna.
In forza di tale principio i canoni strettamente interpretativi
prevalgono su quelli interpretativi-integrativi, quali va considerato anche il principio di
buona fede, sebbene questo rappresenti un punto di collegamento tra le due categorie (v.
ex multis Cass. 12120/05 ).
Peraltro, “”nell’ interpretazione del contratto, il carattere
prioritario dell’ elemento letterale non va inteso in senso assoluto, in quanto il richiamo
contenuto nell’ art. 1362 c.c. alla comune volontà delle parti impone, per individuarla,
di estendere l’ indagine anche all’ elemento logico” (così Cass. 18670/04 ).
Sulla scorta di tali premesse questo Collegio condivide le considerazioni già svolte dal
G.Des. nell’indagine sulla comune volontà delle parti, che, come è noto, non è
finalizzata a chiarire l’ integrale intenzione di ciascuna di esse (e tantomeno le sue
eventuali riserve mentali), ma quel tanto delle rispettive intenzioni che si sia fuso,
determinando il carattere precettivo del contratto.
Ora, indubbiamente, dal tenore letterale della clausola e dell’intero accordo emerge che
la GV s.p.a. ha rinunciato a far valere compiutamente i diritti nascenti dalle
preventive registrazioni di marchio in relazione, ex art. 22 CPI, alla sola denominazione
e ragione sociale della odierna ricorrente (che le avrebbero consentito di pretendere le
modificazioni di cui all’ art. 2564 c.c. ).
Tuttavia, anche a questo Collegio appare palese che le parti non abbiano inteso stipulare
un accordo di coesistenza tra segni distintivi, non avendo in alcun modo la GV s.p.a. rinunciato a far valere gli ulteriori diritti nascenti dalle registrazioni dei
marchi con il patronimico Versace.
Pertanto, considerato anche l’interesse dei consumatori a non subire inganno sulla
provenienza imprenditoriale dei beni, la rinuncia della GV s.p.a. ad
esercitare i diritti di cui all’art. 20 CPI, in relazione specificamente ed esclusivamente
alla ragione sociale della odierna ricorrente va interpretata innanzitutto con riferimento
ai suoi usi tipici, nelle relazioni d’affari con soggetti diversi dai consumatori finali (es.
nella corrispondenza commerciale, nel timbro e nella modulistica).
Quanto “ai casi imposti dalla legge”, una corretta interpretazione della clausola nel
contesto dell’atto transattivo -che complessivamente riafferma i diritti di marchio della
GV s.p.a.- pure impone di considerare come l’autorizzazione all’uso della
ragione sociale, fortemente interferente con gli stessi, sia stata voluta dalle parti come
strettamente limitata ai casi in cui la spendita del nome dell’imprenditore produttore,
importatore, esportatore, sia imposta dalla legge e non altrimenti surrogabile (ad
esempio, per i prodotti soggetti a marcatura CE utilizzando il marchio registrato –non
contestato- e l’indirizzo) e comunque con modalità che ne escludano l’uso sui prodotti
quale segno distintivo (etichette interne ai capi di abbigliamento, imballaggio e
documenti di accompagnamento, ecc. v. capo R2 all. I Reg CE 765/2008 ).
Spetterà quindi alle odierne parti attrici, in caso di contestazione, offrire la rigorosa
prova che in quella specifica circostanza non era possibile, per la normativa specifica di
settore, utilizzare altra indicazione, quali appunto i marchi, che comunque consentisse di
risalire all’impresa produttrice/commercializzatrice.
Certamente, la generalità dell’uso di una denominazione sociale così interferente non
può farsi discendere in via generale dalla normativa del Codice del Consumo (D.lvo
206/05), in particolare gli artt. 6 e 22, laddove si prevede il contenuto minimo della
comunicazione che i consumatori devono ricevere.
Infatti, le disposizioni richiamate
equiparano il marchio alla ragione sociale del produttore e tale indicazione è sufficiente
ad evitare l’ingannevolezza di cui all’art. 22, contenendo tutte le informazioni rilevanti
di cui un consumatore medio ha bisogno per prendere una decisione consapevole.
Al contrario, è proprio un abuso della denominazione sociale “versace 1969”, così
interferente con i marchi notori della convenuta, a poter essere considerata ingannevole
ex art. 22,II D.lvo cit., in quanto le informazioni rilevanti per la scelta del consumatore
gli vengono fornite in modo oscuro ed ambiguo, inducendolo ad assumere una decisione
di acquisto che altrimenti (conoscendo l’effettiva origine imprenditoriale, esterna alla
compagine della nota casa di moda) non avrebbe preso.
Anche l’utilizzazione della ragione sociale del produttore e/o commercializzatore sui siti
di titolarità degli attori deve essere fatta al mero fine di informazione nel contesto di una
descrizione narrativa dei prodotti forniti e della loro origine produttiva, senza il ricorso a
caratteri speciali o di particolare evidenza e sempre accompagnata dal chiarimento,
come indicato nell’accordo al punto 7, che non vi sono rapporti con la GV
s.p.a.
Va infine chiarito, come l’accordo autorizzi solo l’uso della denominazione sociale,
dovendo ritenersi esclusi gli altri usi interferenti indicati dall’art. 22 CPI, quali la ditta,
l’insegna, il nome a dominio aziendale.
Non può inoltre considerarsi consentito dall’accordo l’uso, nelle pagine web e nella
comunicazione pubblicitaria, della denominazione Versace 19.69 sovrapposta, con
palese evidenza, alle immagini dei prodotti, dei negozi ed altro, che ha evidenti effetti
distintivi e pubblicitari.
In concreto, dalla documentazione prodotta fin dalla fase cautelare, risultava che la
ragione sociale di VV era stata riprodotta con evidenza sulla etichettatura
esterna dei prodotti di maglieria, apposta nella montatura degli occhiali e financo
riprodotta quale elemento decorativo della chiusura di una borsetta.
Siffatto uso della denominazione della ricorrente, il cui cuore identificativo è certamente
rappresentato dal patronimico VERSACE, eccedeva certamente le esigenze di rispetto
della normativa comunitaria e di quella posta a tutela dei consumatori, al fine di rendere
identificabile il produttore, e rappresentava una forma di utilizzazione quale segno
distintivo in senso stretto, in contrasto con gli accordi transattivi invocati, come tale da
ritenersi di natura contraffattiva ex art. 20 lett. b) e c) CPI.
In corso di causa sono anche state esperite le prove orali chieste dalla difesa attorea, al
fine di dimostrare l’intervenuto integrale adeguamento alla, pur contestata, decisone
cautelare.
I testi T e P, terzisti per le società di P, rispettivamente nel settore
occhiali e Biancheria per la casa, hanno confermato gli sforzi di adeguamento compiuti
per eliminare il patronimico V dai prodotti e dalle confezioni, utilizzando
l’incontestato logo 19V69.
Tuttavia, dall’ampia documentazione tempestivamente prodotta dalla convenuta emerge
come, nonostante siffatte attività, imposte ai terzisti per adeguarsi al precetto giudiziale,
ancora gli attori fanno amplissimo uso della denominazione sociale “Versace 1969,
Abbigliamento Sportivo” con grande risalto, sia come insegna di negozi, che all’interno
della comunicazione pubblicitaria cartacea e via internet (docc. 45 e segg.).
Dal complesso della produzione documentale (la cui veridicità non risulta contestata)
emerge un’utilizzazione della ragione sociale “Versace 1969 Abbigliamento Sportivo”
per accreditare una operazione commerciale che sta assumendo dimensioni
rilevantissime, soprattutto sui mercati dell’Europa orientale, e che deve presumersi
debba parte delle proprie fortune all’indebito agganciamento al noto marchio di moda
italiano.
Ancora oggi, malgrado l’affermata intenzione di adempiere all’ordine cautelare, un
siffatto uso della ragione sociale nella disponibilità degli attori consente loro di trarre
indebitamente vantaggio dalla rinomanza dei segni dell’ attrice e contemporaneamente
ne pregiudica la forza distintiva e la capacità di essere portatore di un messaggio
rilevante nel giudizio del pubblico, sfruttandone le potenzialità evocative.
Pertanto, la pretesa di accertamento della liceità della condotta documentata appare
destituita di fondamento -a fronte della sua evidente natura parassitaria della notorietà
dei segni “Versace”- dovendo al contrario la stessa valutarsi alla stregua di
contraffazione dei marchi della resistente e come tale fonte di legittime reazioni, quali la
richiesta di sequestro doganale.
Quanto alle comunicazioni asseritamente denigratorie (di cui al doc. 13 att.) pare anche
a questo Collegio che le stesse si limitino ad una corretta ricostruzione dei fatti, scevra
da gratuiti addebiti di scorrettezza commerciale, limitandosi a offrire chiarimenti alla
clientela, in relazione ai potenziali effetti confusori e parassitari della condotta dei
ricorrenti sopra considerati.
Può pertanto accogliersi la domanda riconvenzionale svolta da GV s.p.a. ed
inibirsi agli attori ogni uso di segni distintivi contenenti il patronimico “Versace”, per
contraddistinguere i prodotti e la propria attività, comprensivi dell’uso come ditta,
insegna e nome a dominio, ad esclusione della ragione sociale e negli strettissimi limiti
di cui in motivazione (nelle relazioni d’affari con soggetti diversi dai consumatori finali,
nella corrispondenza commerciale, nel timbro e nella modulistica e laddove sia
rigorosamente imposta dalla legge nei rapporti con le autorità amministrative e non
altrimenti surrogabile).
La convenuta è titolare di marchi comunitari ed in particolare del marchio 1665439 doc.
101 att.) registrato il per le classi 9, 24 e 25.
Pertanto, essendo questo Tribunale competente ex art. 97 Reg CE del 26/2/2009 n. 207 ,
§ 1, l’inibitoria in questione può essere emessa ex art. 102 non solo in relazione al
territorio italiano, ma anche in relazione a tutti gli atti che possono essere commessi in
qualsiasi Stato Membro dell’Unione.
Ovviamente rimangono estranei alla giurisdizione di questo Tribunale gli atti commessi
al di fuori del territorio dell’Unione.
Non può invece essere accolta l’ulteriore domanda riconvenzionale della convenuta,
relativa avente ad oggetto il divieto all’utilizzazione anche della ragione sociale ed al
relativo ordine di modifica ex art. 2564 c.c. .
Infatti, come visto, GV s.p.a. si è vincolata, nell’accordo giudiziale 2/7/12 a
consentire a P l’uso della ragione sociale “Versace 1969 Abbigliamento
Sportivo”, sia pure negli strettissimi limiti sopra ricordati, seppure la stessa fosse
certamente interferente con le sue privative.
L’odierna convenuta, che ha utilizzato l’accordo in questione quale titolo esecutivo, non
ha chiesto in questa sede, sia pure a fronte degli inadempimenti delle parti attrici, la
risoluzione del vincolo contrattuale, che quindi permane tra le parti (anche se la relativa
domanda, qui non proposta, potrebbe essere oggetto di esame in altra sede).

Pertanto, la domanda ex art. 2564 c.c. non può essere accolta.

Parte convenuta, nel suo primo scritto difensionale, non ha chiesto altre sanzioni o la
pubblicazione del provvedimento, che rappresenta una forma di risarcimento in forma
specifica e che come tale rimane preclusa, in quanto non tempestivamente richiesta e
non può essere pronunciata in questa sede.
In conclusione, le pretese degli attori, nei limiti in cui non ribadiscono quanto già
disciplinato nell’accordo inter partes, come sopra interpretato, non possono essere
accolte, mentre può essere parzialmente accolta la domanda riconvenzionale.
Di conseguenza, gli attori debbono essere condannati a rifondere alla convenuta le spese
di lite, qui liquidate in euro 20.000,00 a titolo di compensi professionali, oltre accessori
di legge e 15% spese generali.
Non pare invece a questo giudice, a fronte anche della parziale attività di adeguamento
compiuta dagli attori, che sussistano gli estremi per una condanna ex art. 96 c.p.c.
P.Q.M.
Il Tribunale definitivamente pronunciando sulle domande proposte con atto di citazione
notificato il DD/MM/13 da TP, in proprio e quale legale rappresentante della
VAS s.r.l. e della GF s.r.l. nei confronti della s.p.a.
GV, ogni altra domanda ed eccezione disattesa:
A) rigetta le domande tutte degli attori;
B) in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale, inibisce agli attori ogni
uso di segni distintivi contenenti il patronimico “Versace”, per contraddistinguere
i prodotti e la propria attività, comprensivi dell’uso come ditta, insegna e nome a
dominio, ad esclusione della ragione sociale e negli strettissimi limiti di cui in
motivazione (nelle relazioni d’affari con soggetti diversi dai consumatori finali,
nella corrispondenza commerciale, nel timbro e nella modulistica e laddove sia
rigorosamente imposta dalla legge nei rapporti con le autorità amministrative e
non altrimenti surrogabile);

C) considerato che la convenuta è titolare di marchi comunitari, ed in particolare del
marchio 1665439 doc. 101 att.) registrato il per le classi 9, 24 e 25, vista la
propria competenza ex art. 97 Reg CE del 26/2/2009 n. 207 , § 1, emette
l’inibitoria che precede, ex art. 102 Reg. cit, non solo in relazione al territorio
italiano, ma anche in relazione a tutti gli atti che possono essere commessi in
qualsiasi Stato Membro dell’Unione;

D) condanna gli attori a rifondere alla convenuta le spese di lite, come sopra liquidate
in euro 20.000,00 oltre accessori di legge e 15% spese generali.
Così deciso in Milano, Camera di Consiglio del 4/2/16 Il Presidente est. giu1