Sentenza 472/2016 della Tribunale Ordinario Di Milano- Sezione Specializzata In Materia Di Impresa B -

Sentenza n. 472/2016 pubbl. il 14/01/2016
RG n. 54804/2012
N. R.G. 54804/2012 Repert. n. 254/2016 del 14/01/2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO
- Sezione specializzata in materia di impresa B -
Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:
giu1 Presidente giu2 Giudice Relatore giu3 Giudice

ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 54804/2012 promossa da:
MM SRL (C.F.XXX), con il patrocinio dell’avv. FM e dell’avv.
SF(XXX) XXX; JV (XXX) XXX; PV
(XXX) XXX; elettivamente domiciliata in XXX attore
contro
GG SRL (C.F. XXX), con il patrocinio dell’avv. VC e
dell’avv. , elettivamente domiciliata in XXX
convenuto
IP SPA (C.F. XXX), con il patrocinio dell’avv. MPM,
elettivamente domiciliata in XXX
convenuto

CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d’udienza di precisazione delle conclusioni.

Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
1. La società attrice, MM s.r.l. Società Unipersonale (di seguito MM) ha convenuto in
giudizio GG s.r.l. (ora K s.r.l.) e IP s.r.l. (ora C s.p.a.) chiedendo:
o di accertare e dichiarare che “le attività di vendita, pubblicizzazione, offerta in vendita, detenzione per la vendita e, produzione” poste in essere da GG e da IP integrano contraffazione del brevetto RE2010A000062 o, comunque, un illecito di concorrenza sleale ai sensi dell’ art. 2598 n.3 c.c. ; e per l’effetto o di inibire la prosecuzione delle attività illecite disponendo una penale di euro 1000 per ogni singola violazione accertata;
o di ordinare il ritiro dal mercato del pantalone contestato disponendo una penale di euro 5000 per ogni giorni di ritardo nell’esecuzione di tale obbligo;
o di condannare le convenute al risarcimento del danno patrimoniale (quanto al lucro cessante in misura pari quantomeno all’utile conseguito dalle convenute attraverso la commercializzazione del capo in contraffazione, ossia Euro 5.700.000,00 per quanto riguarda GG ed Euro 58.125,60 per quanto riguarda IP)del danno morale e di immagine (da determinarsi equitativamente e da parametrarsi in ragione di 1/3 degli utili delle convenute);
o di condannare le convenute alla “restituzione degli utili conseguiti” nella misura in cui tali somme siano superiori all’importo effettivamente liquidato a titolo di risarcimento del danno patrimoniale;

o di disporre la pubblicazione, a cura dell’attrice e a spese delle convenute, del dispositivo a caratteri doppi del normale sui quotidiani “Il corriere della sera”, “La Repubblica” e su due riviste di settore.
A fondamento della domanda ha dedotto:
- di aver realizzato il prodotto “PF”, un pantalone “innovativo” in quanto in grado di
valorizzare e modellare, le forme dell’indossatrice, con particolare attenzione alla zona dei glutei.
- che il procedimento di realizzazione del capo – comprendente il metodo di confezionamento della
tasca posteriore – è stato oggetto di domanda di brevettazione depositata il 30 luglio 2010 e
pubblicata il 31 gennaio 2012, concernente una “tasca per indumento”, un “metodo di
confezionamento della tasca” e il “relativo indumento”;
- che nel mese di settembre 2011, avrebbe visionato nel sito del GG che pubblicizzava il
marchio “K” una foto che anticipava il lancio di un nuovo modello di pantalone c.d. “B”1,
non ancora in vendita; analoga foto sarebbe stata visionata nel novembre 2011;
- poiché dalla foto la struttura della parte posteriore del pantalone appariva conforme alle
caratteristiche rivendicate nel brevetto, aveva reperito un campione del prodotto che, sottoposto ai
consulenti della società, sarebbe risultato in contraffazione del brevetto di cui sopra2
;
- che con lettera del 20 febbraio 2012 l’attrice aveva contestato alla convenuta GG la
violazione del proprio brevetto e che questa avrebbe replicato che la progettazione e la realizzazione
del suddetto pantalone sarebbe stata risalente all’ottobre 2009, mentre la produzione e vendita al marzo
2010, date entrambe antecedenti, quindi, alla presentazione della domanda di brevetto di MM.
Ciò premesso in fatto, l’attrice, in diritto, reputa:
o quanto alla condotta: che la produzione e la commercializzazione del pantalone “B” di K integri un atto di concorrenza sleale in relazione all’ipotesi di cui al n. 3 dell’ art. 2598 c.c. , che espone il responsabile alle conseguenze di cui agli artt. 124 c.p. i. e ss. e dagli artt. 2599 e 2600 c.c. ;
o quanto al danno:
che il danno patrimoniale (consistente nella vanificazione della privativa e nella sottrazione del
mercato) dovrebbe essere quantificato con riferimento all’utile conseguito dal contraffattore (in
comparsa conclusionale determinato con riguardo a GG in euro 3 milioni3, e con
riguardo a IP in euro 58.125,60);
che il danno all’immagine (definito in astratto come danno sia nei confronti dei propri distributori e
rivenditori sia nei confronti di tutti gli operatori sul mercato e nella specie sostanzialmente
“presunto”) andrebbe quantificato equitativamente in misura pari ad 1/3 degli utili conseguiti dalle
convenute.
*
2. La convenuta GG oggi K s.r.l. si è costituita deducendo:
di aver concepito, progettato, realizzato e commercializzato il prodotto oggetto di contestazione in
data antecedente rispetto al deposito della domanda di brevetto4,
sicchè, ex art. 46 c.p. i., la
domanda come, poi, il brevetto per invenzione ottenuto da MM s.r.l., sarebbero privi del
requisito della novità e, quindi, nulli;

 che il brevetto sarebbe nullo anche per assenza del requisito dell’ “invenzione” in quanto esso
non offrirebbe una soluzione ad un problema tecnico (tale non potendosi considerare, a dire della
convenuta, né la sensazione di “schiacciamento” né la “sgradevolezza estetica” prodotta dalle
tasche posteriori del pantalone, che, implicando valutazioni soggettive, non sarebbero idonee a
costituire un problema in senso tecnico-obiettivo);

 che in ogni caso il prodotto “B” non costituirebbe contraffazione del prodotto MM;
l’infondatezza della domanda di concorrenza sleale stante l’insussistenza della contraffazione ovvero la nullità del brevetto.
Ha chiesto quindi:
- il rigetto della domanda
- in via riconvenzionale l’accertamento della nullità del brevetto per invenzione
3. La convenuta IP s.p.a. si è costituita in giudizio in via preliminare eccependo:
- la carenza di legittimazione passiva
essa avrebbe, invero, agito in buona fede nell’effettuare l’acquisto di prodotti K non avendo
ricevuto alcuna informazione a proposito della “presunta” contraffazione contestata da MM al
GG, contraffazione che sarebbe stata evincibile (da terzi diversi dal produttore) solo
previa scucitura ed esame dei singoli elementi della tasca posteriore del jeans; non le sarebbe perciò
imputabile né la contraffazione né la concorrenza sleale;

- l’infondatezza, comunque, delle pretese di parte attrice stanti:
a) la nullità del brevetto: il brevetto sarebbe nullo perché privo dei requisiti previsti dalla legge
(dell’industrialità7 e della mancanza di attività di inventiva8)

b) l’assenza di contraffazione: la produzione e vendita del pantalone B di K risalirebbe
almeno al marzo 2010, data antecedente rispetto al deposito della domanda di brevetto, donde
il diritto di preuso del bene asseritamente contraffatto;

c) insussistenza dell’illegittimità della condotta ai sensi dell’ art. 2598 n.3 c.c. anche in ragione del
fatto che le due società si rivolgerebbero ad una clientela del tutto diversa per età e per fascia di
prezzo;

d) insussistenza di allegazione e prova circa la sussistenza del danno morale e di immagine.
in via subordinata ha chiesto:
- di limitare la condanna a quei soli danni ad essa ascrivibili, accertando altresì l’incidenza della
condotta del GG e/o di MM nella causazione del danno medesimo ex art. 1227 c.c. );

e in via riconvenzionale ha chiesto di condannare il GG a manlevarla dal pagamento di
tutte le somme che fosse condannata a corrispondere a qualsiasi titolo all’attrice (nonché dei danni che
dovesse subire qualora le venisse inibita la prosecuzione della vendita e le fosse ordinato di distruggere
o consegnare all’attrice o a terzi i prodotti dichiarati contraffatti, danni da individuarsi in termini di
costi sostenuti per l’incolpevole acquisto dei pantaloni contraffatti).

*
4. Le ragioni della fondatezza della domanda di MM
MM ha dedotto la contraffazione del brevetto oggetto ad opera di un modello di pantalone commercializzato da K.
Le convenute hanno eccepito la nullità del brevetto e l’insussistenza della contraffazione.
4.a) Preliminare è la questione della validità del brevetto.
La nullità del brevetto è stata eccepita sotto il profilo dell’assenza del requisito della novità e
dell’assenza di un reale problema tecnico cui l’invenzione di MM avrebbe trovato soluzione.
Ma
entrambe le censure sono risultate infondate alla luce della verifica tecnica affidata alla CTU che ha
compiuto un’analisi attenta e minuziosa, giungendo a conclusioni del tutto condivisibili da parte del
Tribunale:
o sotto il profilo della novità ( art. 46 c.p. i) si osserva che la CTU ha escluso la sussistenza di
anteriorità rilevanti, sia estranee al modello di pantalone in contenzioso prodotto da K che
riferibili al cartamodello sulla base del quale questo sarebbe stato realizzato secondo GG:
il cartamodello G comprende una rappresentazione di due porzioni di una tasca con sigla
“B-G-1”; i bordi di cucitura sono sostanzialmente paralleli: per verificare tale parallelismo il
c.t.u. ha fotocopiato e ritagliato il modello verificando che i bordi di cucitura sono sovrapponibili
lungo la loro linea più esterna; “conseguentemente una sovrapposizione piana dei bordi con una
cucitura a partire da un punto di contatto non determina certamente la realizzazione di una tasca
tridimensionale”9 mentre è caratteristica essenziale della tasca secondo IT’348 - come osservano le
stesse convenute - “che il bordo 8 e il bordo 9 abbiano una conformazione divergente”, peculiarità
che il cartamodello G evidentemente non possiede; il cartamodello in discorso, inoltre,
non descrive alcuna cucitura e soprattutto modalità di assemblaggio delle due porzioni, tant’è vero
che - come osserva il c.t.u. - avvicinando i due bordi i di “presunta” cucitura non si genera alcuna
zona di separazione.
o anche le censure relative all’assenza di attività inventiva ( art. 48 c.p. i.) volta a risolvere un
problema tecnico o, comunque, all’inidoneità dell’intento di perseguire un mero effetto estetico a
costituire il valido ambito di registrabilità, siano risultate prive di fondamento:
- scopo dichiarato dell’invenzione – come rilevato dal CTU - è realizzare una tasca idonea ad
essere applicata su un indumento in una posizione che tende ad incurvarsi in seguito all’utilizzo,
riducendo lo schiacciamento esercitato su superfici curve del corpo, aumentando il confort
dell’indumento provvisto di detta tasca e producendo un gradevole effetto estetico;
- considerato che la tasca posteriore del pantalone aderente - quale un jeans (anche elasticizzato) -
non riesce ad adattarsi perfettamente alla superficie curva del gluteo, e tende ad appiattire il gluteo
con un effetto estetico che può essere poco piacevole, deve concludersi (in linea con il CTU) che la
riduzione dello schiacciamento predetto, l’aumento del confort e la gradevolezza dell’effetto
estetico costituiscono un problema tecnico “molto chiaro: realizzare una tasca tridimensionale che
si adatti bene al corpo che sia comoda da portare e che sia esteticamente gradevole” (pag. 21 ctu);
sicchè deve concludersi che la modalità di confezionamento della tasca tridimensionale ideata da
MM secondo lo sviluppo delle rivendicazioni 10 costituisce idonea risoluzione tecnica del
problema individuato;
- detta soluzione tecnica è peraltro “nuova” nel senso che implica un’attività inventiva, poiché per
una persona del ramo essa non risultava dallo stato della tecnica:

il brevetto GB’166 (depositato nel 1914), invocato in sede di consulenza tecnica, è un brevetto
volto a realizzare una tasca atta ad alloggiare prodotti ingombranti e produce una
conformazione della cavità interna della tasca che certamente non si adatta alle curve del corpo;
quindi ha una funzionalità diversa rispetto al brevetto MM e presenta modalità di
realizzazione che non possono costituire anteriorità rispetto alla soluzione tecnica individuata
dal brevetto IT ‘348 oggetto di causa: “… nulla - secondo il CTU - in GB’166 induce il
tecnico esperto a modificare la modalità di cucitura per risolvere il problema tecnico esposto..
in modo da lasciare almeno una zona di separazione”; poiché, quindi, “in accordo con
l’esaminatore europeo il CTU ritiene che la descrizione della modalità di cucitura sia
necessaria a comprendere il motivo per cui le due porzioni di tasca danno luogo ad una tasca
assemblata tridimensionale secondo lo scopo dell’invenzione” conclude che “il modo
alternativo di cucire due porzioni di tasca” individuato dalla rivendicazione n.1 di IT’348 è
nuovo e “produce un diverso effetto tecnico ovvero accresce il confort d’uso…E’ chiaro che il
conforto d’uso lo si prova indossando l’indumento ma è la tasca l’oggetto che rende
l’indumento vantaggiosamente utilizzabile”;
come conclude il CTU anche le altre rivendicazioni di IT’348 sono nuove ed inventive perché:
la 2-8 dipendono dalla 1; la 9, indipendente, descrive un metodo di confezionamento nuovo che,
riprendendo in termini funzionali le caratteristiche della rivendicazione 1 di prodotto è
inventiva; le rivendicazioni 10-13 sono nuove inventive in quanto dipendono dalla
rivendicazione 9; la rivendicazione 14 concerne un pantalone comprendente almeno 1 tasca
secondo una delle rivendicazioni 1-8 dunque anche essa è da ritenersi nuova e inventiva;
rivendicazioni 15-16 sono nuove inventive in quanto dipendono dalla rivendicazione 14; la
rivendicazione 17 concerne una camicia comprendente una tasca secondo una delle
rivendicazioni 1-8.
Si deve perciò concludere:
a. che il brevetto GB’166 non costituisce un’anteriorità;
b. che il cartamodello G certamente non concerne un tasca con le caratteristiche di taglio e
assemblaggio oggetto del brevetto MM;
c. che il cartamodello G non costituisce una anteriorità invalidante
d. che la tasca del modello B di G in quanto realizzata – come sostengono le
convenute - sulla base di detto cartamodello, non può costituire un’anteriorità invalidante;

4.b La sussistenza della contraffazione del brevetto per mezzo del modello di pantalone B.
A fronte della contestazione di MM, GG si è difesa sostenendo:
 che il pantalone contestato verrebbe confezionato secondo un cartamodello del settembre 2009 cui
non sarebbero mai state apportate modifiche (deducendo quindi un anteriorità invalidante)
 che secondo il procedimento di confezionamento la tasca del suo pantalone sarebbe stata piatta11 e non tridimensionale come quella MM e che, quindi, non vi sarebbe alcuna contraffazione.
L’istruttoria ha permesso anzitutto di accertare – come detto al paragrafo che precede - che il
cartamodello invocato dalla convenuta nulla ha a che vedere con il brevetto MM, sicchè deve
concludersi che sul punto GG non ha assolto all’onere della prova che le competeva: non
ha, cioè, dimostrato l’assunto preuso delle rivendicazioni brevettuali;
onde tutta la questione (ampiamente dibattuta in atti) circa la datazione del cartamodello invocato, così
come la connessa questione della datazione della produzione del modello di pantalone B che
dallo stesso sarebbe derivato (nonché delle foto pubblicitarie, del campionario, degli ordini di
produzione e fornitura) sono questioni del tutto irrilevanti.

*
Rilevante è, invece – una volta stabilita la validità del brevetto - verificare l’assunto dell’attrice, e
quindi stabilire:
i. se il modello di pantalone del modello pubblicizzato dal settembre 2011 (KB) e
commercializzato (quantomeno) dal febbraio 2012, è in contraffazione del brevetto industriale
IT’348;
ii. se detto modello - acquistato dall’attrice il 17.2.2012 - sia stato effettivamente prodotto e
commercializzato dalla convenuta dopo il 31 luglio 2010 (ovvero da dopo la data di deposito della
domanda di brevetto) come reputa l’attrice che, invero, a questa data fa riferimento per il ristoro
del danno.

*
4.b.i. Se il modello di pantalone del modello pubblicizzato dal settembre 2011 (KB) e
commercializzato quantomeno dal febbraio 2012 è in contraffazione del brevetto industriale IT’348.
Alla prima questione il CTU, con valutazione puntuale minuziosa e del tutto convincente anche alla
luce di un esame diretto del Collegio delle porzioni della tasca scucita oggetto di causa, ha dato riposta positiva: l’analisi tecnica della tasca scucita dal modello di pantalone reperito in commercio
conduce ad affermare che detto modello interferisce con le caratteristiche di cui al brevetto:
“ Osservando il campione agli atti si nota una cucitura, definente una configurazione assemblata della
tasca, disposta lungo il primo bordo (8) e il secondo bordo (9).
Da dette figure si evince che la prima
porzione (6)e seconda porzione (7) presentano uno sviluppo piano tale che, se il primo bordo (8) e il
secondo bordo ( 9) sono disposti su un piano a contatto reciproco in almeno un punto di contatto (11)
almeno due primi tratti terminali (8a, 9a) sono separati l’uno dall’altro da una zona di separazione
(12) che si allarga da detto punto di contatto (11) verso un contorno laterale (4) della tasca.
Detta
cucitura favorisce l’unione della prima porzione (6) alla seconda porzione (7) attraverso la
sovrapposizione di un bordo rispetto all’altro (9) in corrispondenza del punto di contatto (11) e
l’avvicinamento di un bordo (8) rispetto all’altro (9) in corrispondenza della zona di separazione (12)
per conferire alla tasca una conformazione tridimensionale curva” (pag.31 CTU).
Come sottolinea il CTU, è infondata l’argomentazione delle convenute per cui, posto che bisognerebbe
distinguere tra bordo disegnato e il bordo di taglio del tessuto, non sarebbe possibile stabilire un
ambito di tutela e valutare l’interferenza del pantalone K perché detta distinzione non è descritta
in IT’348; invero:
- il termine bordo in IT’348 è stato scelto per definire le linee di interruzione delle tasche (6,7) che
percorrono la stessa trasversalmente estendendosi tra i contorni laterali, come ben descritto anche nella
parte pre-caratterizzante della prima rivendicazione;
- inoltre in IT’348 il termine “bordo” è sempre riferito esclusivamente alla tasca e mai ad un
cartamodello (cui sarebbe pertinente il riferimento ad un bordo “ disegnato”);
- in IT’348 colui che ha scritto il brevetto, per chiarire come i due bordi si sovrappongono, ha
opportunamente introdotto nella prima rivendicazione la modalità della cucitura che non lascia dubbi
sul perché la tasca assuma una configurazione tridimensionale al termine della cucitura;
- il fatto che il bordo inferiore venga ripiegato (all’atto della cucitura) non modifica l’analisi di
interferenza: si tratta sempre di bordi comprendenti le caratteristiche rivendicate;
- sia che si consideri le linea di taglio, sia che si consideri la linea della cucitura, i due elementi di cui
si compone la tasca sono conformati in senso divergente in modo tale che, una volta uniti, vadano ad
assumere la forma tridimensionale che è obiettivo del brevetto.
Come conclude il CTU, quindi, non sussistono dubbi interpretativi peraltro non rilevati neanche dal
ricercatore europeo.
Onde la tasca del pantalone K agli atti interferisce con l’ambito di tutela della rivendicazione 1
di IT’348.
Interferisce inoltre con la rivendicazione 2 che dipende dalla 1, con la rivendicazione 6,
con la rivendicazione 7 che dipende dalla rivendicazione 1 e la specifica, con la rivendicazione 9,
indipendente, che descrive in termini di metodo le stesse caratteristiche della rivendicazione 1, con la
rivendicazione 10 che dipende dalla 9, con la rivendicazione 14, indipendente e concernente un
pantalone comprendente almeno una tasca secondo le rivendicazioni da 1 a 8, con le rivendicazioni
15 e 16 che dipendono dalla rivendicazione 14.
Sono infondate anche le obiezioni mosse dalla convenuta alle modalità con cui il CTU avrebbe
compiuto l’analisi di interferenza: il CTU avrebbe deliberatamente alterato la conformazione degli
elementi di cui si compone la tasca del pantalone K, al fine di dimostrare una contraffattorietà
inesistente:
invero, come lo stesso Collegio ha potuto verificare replicando l’analisi in termini di
accostamento delle due porzioni di tasca scucite lungo la linea di cucitura, la tasca non risulta affatto
“perfettamente piatta” perché i bordi di cucitura non sono paralleli e si crea una divergenza tra le
estremità esterne che la modalità di cucitura riconduce ad unità con un effetto tridimensionale curvo.
Il
perito non poteva sovrapporre perfettamente i lembi delle due porzioni di tasca ( come avrebbe preteso
la parte convenuta) perché tali due porzioni erano adagiate ed aderenti ad un piano. Se le avesse
sovrapposte rendendole perfettamente aderenti, la tasca si sarebbe incurvata andando a generare
proprio l’effetto tecnico oggetto del brevetto.

*
Concludendo:
o il brevetto è valido (risponde ai requisiti di “novità” e di costituire “invenzione”)
o il cartamodello non contiene alcuna anteriorità delle soluzioni tecniche brevettate;
o il pantalone oggetto di causa costituisce contraffazione del brevetto;
o quindi il pantalone K oggetto di causa è diverso rispetto al cartamodello invocato da
GG, e, quindi, anche da quei modelli di pantalone B che la convenuta stessa
(ed anche IP che sul punto replica svolgendo le medesime difese) assume prodotti in
realizzazione di detto cartamodello.
Risulta perciò logicamente irrilevante quanto sostiene parte convenuta (comparsa conclusionale) circa
il fatto che parte attrice non avrebbe dimostrato che la società K ha modificato l’originario
modello B alla luce del modello MM, non essendo affatto questa ( la modifica di K
del modello originario) la tesi dell’attrice, la quale ha semplicemente sostenuto che il modello in
commercio dopo il 31.7.2010 - di cui quello acquistato sarebbe un esemplare – era in contraffazione
del brevetto MM.
E rispetto a detta tesi ha assolto al suo onere probatorio all’esito della CTU. E’ la convenuta ad aver sostenuto la tesi per cui il modello di pantalone in pretesa contraffazione
corrisponderebbe ad un cartamodello anteriore (che non anticipava comunque le caratteristiche della
tasca brevettata) e non sarebbe mai stato modificato: tuttavia a tale tesi non ha fornito dimostrazione
come era suo onere, essendo anzi siffatta tesi rimasta smentita dall’esito della CTU che ha escluso
che il modello di pantalone KB di parte convenuta prodotto agli atti corrisponda al
cartamodello anteriore: sicchè, quand’anche sulla base di questo fosse stato realizzato un modello di
pantalone Bcertamente esso non sarebbe quello oggetto di causa; discende, in altre parole,
logicamente dai fatti su cui è raggiunta la prova all’esito della CTU che il pantalone “B” di
K/G non ha sempre presentato le medesime caratteristiche.

*
4.b.ii. Se il modello K acquistato dall’attrice il 17.2.2012 sia stato prodotto e commercializzato
dalla convenuta già dopo il 31 luglio 2010 (data di deposito della domanda di brevetto).
Si tratta ora di affrontare la questione relativa all’estensione dell’illecito, e quindi della prova
dell’assunto attoreo per cui il pantalone contraffatto sarebbe stato prodotto e commercializzato già
dopo il 31.12.2010.
Secondo l’attrice sarebbe spettato a controparte dimostrare che i pantaloni venduti prima della
pubblicazione del brevetto non fossero in contraffazione.
Il Collegio non condivide questa impostazione che reputa non corretta sul piano della distribuzione
dell’onere della prova: poichè è l’attrice che deduce la commercializzazione di un prodotto in
contraffazione aveva l’onere di provare il fatto dedotto non solo con riguardo alla contraffazione ma
anche con riguardo alla sua commercializzazione.
Con riguardo a quest’ultimo aspetto MM ha allegato di aver visto sul sito del GG
dapprima l’annuncio del lancio del un nuovo modello KB (settembre 2011), quindi la
pubblicità del modello stesso (novembre 2011);
circostanze che, di per sé, fanno ritenere logico (ovvero presumere salvo prova diversa che spettava
alla parte interessata, cioè, all’attrice) che, prima di quelle date, il pantalone - poi acquistato da MM ed oggetto di causa - non fosse in produzione né in commercio, e che, quindi, smentiscono la
logicità della presunzione di cui l’attrice vuole avvalersi, ovvero che il prodotto in contraffazione del
brevetto fosse commercializzato già all’indomani del deposito della domanda di brevetto.
Peraltro se non v’è in effetti alcuna prova di una presenza in commercio del prodotto in contraffazione
anteriormente alla data dell’acquisto avvenuto il 17.2.2012 (quando, peraltro, il brevetto era stato già
pubblicato) va, comunque, sottolineato che nessuna contraffazione, ovvero nessuna violazione della
privativa industriale potrebbe essere imputata alle convenute prima della pubblicazione del brevetto (in
mancanza di specifiche deduzioni di parte attrice circa una possibile violazione di segreti industriali).
Pertanto deve concludersi che parte attrice – quanto all’estensione temporale della violazione della
privativa - ha provato solo che GG nel febbraio 2012 produceva e vendeva un modello di
pantalone di marca K in contraffazione con il brevetto IT’384 e che, parimenti, IP
distribuiva questo pantalone attraverso i propri negozi.
Nessuna prova ha offerto del fatto il modello acquistato solo fosse in produzione anche prima di quella data.
*
5. La responsabilità delle due società convenute rispetto all’illecito concorrenziale.
5.1 La condotta di commercializzazione del pantalone da parte di GG implica oltre all’illecito di
contraffazione anche la commissione di atti di concorrenza sleale in relazione all’ipotesi di cui al n. 3
dell’ art. 2598 c.c. , poichè la commissione di atti di contraffazione non può essere considerata conforme
alla correttezza professionale, tanto più quando la contraffazione, per come realizzata come nella specie
coinvolgendo 9 delle sedici rivendicazioni del brevetto, e comunque il nucleo inventivo dello stesso (la
forma delle porzioni di tasca destinate ad essere unite in modo da creare un effetto tridimensionale
curvo) non possa essere considerata inconsapevole.
5.2 Le eccezioni de IP
Preliminarmente va respinta l’eccezione di “carenza di legittimazione passiva” svolta da IP. Essa avrebbe, invero, agito in buona fede nell’effettuare l’acquisto di prodotti K non avendo
ricevuto alcuna informazione a proposito della “presunta” contraffazione contestata da MM al
GG, contraffazione che sarebbe stata evincibile (da terzi diversi dal produttore) solo
previa scucitura ed esame dei singoli elementi della tasca posteriore del jeans.
Premesso che le argomentazioni difensive della convenuta “IP” non hanno nulla a che
vedere con un’eccezione processuale (insussistenza di una delle condizione dell’azione quale, appunto,
la legittimazione passiva che nella specie si ravvisa per il solo fatto incontestato della vendita da parte
de “IP” del prodotto che parte attrice assume in contraffazione) bensì riguardano il merito
dell’azione, ovvero la sussistenza de presupposti dell’imputabilità del fatto illecito dedotto
(contraffazione e concorrenza sleale), si tratta comunque di una eccezione infondata:
la vendita di un
prodotto contraffatto, infatti, non solo giustifica la legittimazione passiva della convenuta, ma integra,
almeno in via presuntiva, violazione quantomeno colpevole della privativa industriale salvo prova
contraria:
invero le privative sono soggette ad un regime di pubblicità, e, quindi, ad una presunzione
di conoscenza da parte degli operatori economici;
e se nella specie IP non ha fornito prova
di essere stata inconsapevole incolpevolmente, almeno a partire dal DD/MM/2012 (notifica dell’atto di
citazione) era certamente a conoscenza di vendere un prodotto del quale MM affermava la
natura contraffattoria, ma ha proseguito nell’illecito essendo dall’impegno di manleva assunto da GG, come a breve meglio di dirà.
Deduce ancora IP che non sussisterebbe la concorrenza sleale perché la clientela cui si
rivolgono le due società (MM e GG – K) sarebbe diversa per età e budget
disponibile:
anche in tal caso di tratta di argomenti infondati e, nella specie, irrilevanti: è vero infatti
che la disciplina che sanziona atti di concorrenza sleale non è invocabile ove non vi sia, almeno
potenzialmente, una clientela comune a due imprenditori, ma perché ciò si possa affermare è
sufficiente il contemporaneo esercizio da parte di più imprenditori di una medesima attività industriale
o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune, che si rivolga ad un
insieme di consumatori che sentano il medesimo bisogno di mercato e pertanto si rivolgono a tutti i
prodotti che quel bisogno sono idonei a soddisfare; come avviene certamente nel caso di specie ove si
tratta di un bene (un jeans) che non intercetta una clientela assolutamente trasversale si a per età che
per disponibilità economiche.
Infine è infondata anche la allegazione de IP circa una corresponsabilità di MM ex
art. 1227 c.c. nella causazione del danno, per il fatto che quest’ultima non l’avrebbe avvertita del fatto
che stava commettendo atti di contraffazione:
se, invero, l’ordinamento sanziona il fatto della vendita
di un prodotto contraffatto a prescindere dalla conoscenza che il venditore abbia del brevetto, non si
vede come si potrebbe configurare la corresponsabilità del titolare del brevetto che ha subito il danno,
dato che l’ordinamento lo protegge anche da condotte illecite inconsapevoli.

5.3 Le conseguenze dell’illecito
La commissione di atti di contraffazione espone il responsabile alle misure previste dagli artt. 124 e ss.
c.p.i. nonché dagli artt. 2599 e 2600 c.c. .
L’attrice, a seguito dell’accertamento degli illeciti lamentati, ha quindi diritto a che nei confronti di
GG:
- sia inibita la prosecuzione dell’illecito, venendo assistita l’inibitoria da una penale;
- sia ordinato il ritiro delle merci contestate dal mercato;
- sia ordinata la pubblicazione della sentenza;
domande che vanno tutte accolte, con la precisazione che la penale può essere stabilita in misura
appena maggiore del prezzo di vendita al pubblico del pantalone che costituisce contraffazione,
misura che il Collegio reputa congrua onde dissuadere le convenute rispetto alla violazione
dell’inibitoria; e che la pubblicazione può essere limitata ad una sola testata tra quelle indicate;
- sia pronunciata la condanna al risarcimento del danno.

5.4 Il risarcimento del danno
La contraffazione brevettuale e la commercializzazione del ben contraffatto determinano la perdita
attuale e/o potenziale di clientela e vanifica gli sforzi compiuti da chi né è stato vittima per ottenere la
privativa (spese di ricerca e brevettazione) e per lanciare il prodotto sul mercato (spese di promozione).
Quanto a quest’ultimo aspetto del danno, c.d. danno emergente (studio e promozione) controparte non
ha provato alcunché, non avendo, pervero, provato neppure di aver prodotto un pantalone
corrispondente alla privativa acquisita. Tanto meno ha allegato (e provato) fatti idonei a sostenere la
domanda di ristoro del danno morale e all’immagine, rispetto al quale si è limitata ad affermazioni
generiche relative ai presupposti che ne rendono possibile in astratto la configurazione15, e ad
indicazioni circa la sua determinazione (in via equitativa e nella misura di 1/3 degli utili conseguiti
dalle convenute). Sicchè, dal momento che il danno all’immagine non è certo un danno in re ipsa, la
relativa domanda di risarcimento va respinta.
Quanto al danno patrimoniale in termini di lucro cessante l’attrice ne ha chiesto il risarcimento “in
misura pari quantomeno all’utile conseguito dalle convenute attraverso la commercializzazione del capo
in contraffazione”: pur avendo allegato un danno in termini di “lucro cessante” non ha, in effetti, allegato
e provato fatti idonei ad accertarne la sussistenza (es. diminuzione delle vendite) ma si è limitata ad
allegare un criterio di liquidazione (“in misura pari quantomeno all’utile conseguito dal contraffattore ..”).
Ha, peraltro, poi, chiesto, in via autonoma, “la restituzione degli utili conseguiti dalle convenute … nella
misura in cui questi siano superiori al danno patrimoniale liquidato” .
Rispetto ad una siffatta domanda si deve rilevare:
 ai sensi del comma 1 dell’ art. 125 c.p. i. “il risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato…tenuto
conto di tutti gli aspetti pertinenti, quali le conseguenze economiche negative - compreso il
mancato guadagno - del titolare del diritto leso, i benefici realizzati dall’autore della violazione..”
 ai sensi del comma 3 dell’ art. 125 c.p. i. “in ogni caso il titolare del diritto leso può chiedere la
restituzione degli utili realizzati dall’autore della violazione, in alternativa al risarcimento del
lucro cessante o nella misura in cui essi eccedono tale risarcimento”;
nella disciplina dell'art. 125 convivono quindi due diverse misure di tutela: da un lato il risarcimento
del danno, inteso come ristoro economico del pregiudizio patrimoniale (e anche morale) subito dal
titolare del diritto leso (che secondo la norma contenuta nell'art. 13.1 della direttiva 2004/48/CE , deve
essere posto a carico di chi sia «implicato consapevolmente o con ragionevoli motivi per esserne
consapevole in un'attività di violazione»); dall'altro lato la retroversione al titolare del diritto leso degli
utili realizzati dall'autore della violazione (che non implica l’accertamento di alcun elemento soggettivo
in capo all’autore della violazione: la violazione inconsapevole non può dar luogo al risarcimento dei
danni ma non può comunque arricchire l'autore della medesima): ma la retroversione può essere
richiesta solamente in alternativa al risarcimento del lucro cessante o per l'eccedenza dei profitti
dell'autore della violazione rispetto al lucro cessante del titolare del diritto.
Nella specie, non avendo l’attore provato alcunchè in termini di lucro cessante, ma avendo altresì
chiesto, com’era sua facoltà, la retroversione degli utili, dovrà accogliersi quest’ultima domanda;
anche con riguardo a IP che – quand’anche incolpevole come assume di essere stato -
sarebbe comunque in tal senso tenuto.
5.5 La retroversione dell’utile conseguito.
Il Giudice istruttore ha ordinato alle convenute l’esibizione della documentazione contabile dal 30
luglio 2010 – al febbraio 2014; relativamente ad un intervallo di tempo eccedente, in effetti, quello in
cui può ritenersi provato il fatto illecito, come sopra motivato.
All’esito della produzione e del contraddittorio svoltosi in causa può dirsi incontestato che:
 GG ha venduto n. 93.728 capi nell’anno 2012, n. 96.757 capi nell’anno 2013 e n.
40.254,00 capi nell’anno 2014 (così afferma infatti nella memoria depositata il 26.6.2014 pag. II,
senza che controparte muova contestazioni);
considerato che per l’anno 2012 si ha evidenza dell’illecito solo a partire da febbraio in via
euqitativa va ridotto di 1/12 il numero di capi venduti in quell’anno (che saranno quindi pari a nr
85.918) agli effetti del calcolo della somma dovuta a titolo di retroversione dell’utile;
quindi il numero complessivo di capi rilevante agli effetti di siffatto calcolo è quello di 222.929;
 il costo di produzione del pantalone è da ritenersi pari ad 20 euro;
MM ha, infatti, esaminato il prodotto K oggetto di causa, ed ha individuato i seguenti
costi di produzione per singolo capo:
Tessuto Euro 4,50; Confezione Euro 4,50/6,50, Lavaggio Euro 3,50, Accessori Euro 3,50, a cui
sono stati aggiunti ulteriori 2,00 euro quale quota di costi fissi (pari al 10% del costo di
confezione), per un totale per singolo capo di Euro 18,00-20,00 (cfr memoria depositata da MM il cui sul punto alcuna obiezione ha mosso la convenuta G;
la Convenuta ha contestato la quantificazione dell’utile così determinato solo in quanto tiene conto
solo dei costi di produzione del bene (c.d. costi variabili) mentre, a suo dire, sarebbe stato
necessario decurtare il prezzo anche di una percentuale di tutti i costi fissi affrontati dalla società;
la doglianza non è corretta, né in linea di principio (poiché l’utile ricavato dalla vendita del
pantalone corrisponde alla differenza tra prezzo del bene e il costo necessario per produrlo mentre i
costi fissi aziendali sono del tutto neutri rispetto al risultato parziale relativo al prodotto, poiché
sarebbero stati affrontati anche a prescindere dalla sua specifica produzione) né in relazione al caso di specie ove l’attrice ha effettivamente aumentato il costo di realizzazione del prodotto alla
luce di costi fissi determinato nella misura del 10% del mero costo di produzione ipotetico (2,00
euro pari in effetti a più del 10%);
considerato tuttavia che tra i costi specifici per la realizzazione del bene in discorso non sono stati
considerati i costi di progettazione e studio della campagna pubblicitaria e della distribuzione, si
reputa congruo in via equitativa aumentare di un ulteriore 10% circa e quindi di ulteriori 2,00 euro i
costi di produzione del jeans in discorso.
sicchè il costo di produzione da utilizzare quale base presuntiva del calcolo equitativo dell’utile
marginale va individuato in euro 22,00;
 mentre il prezzo di vendita di ogni singolo pantalone all’esito dell’esame delle fatture prodotte da
GG, secondo parte attrice – in ciò non smentita o contestata dalla convenuta – è
oscillato tra i 30,00 ed i 40,00 euro
adottando, perciò, un approccio favorevole alla convenuta, e quindi considerando il minore tra tali
due importi (ossia 30,00 euro) si ottiene un utile, per singolo pantalone, pari ad euro 8,00 (risultato
della sottrazione tra il prezzo di vendita di euro 30,00 ed il costo di 22,00 euro);
se, pertanto, si moltiplica tale importo per il numero di pantaloni venduti dal GG nel
periodo contestato si ottiene un utile pari ad euro 1.783.432,00;
a fronte di detta quantificazione risulta del tutto irrilevante la doglianza della convenuta che si è
limitata a contestarne la congruità e la sproporzione rispetto ai risultati di bilancio del triennio del
tutto genericamente, senza produrre alcun documento di riscontro o comparazione dei dati
contestati;
 la quantificazione dell’utile conseguito da IP si fonda invece sulla stessa
documentazione dalla stessa prodotta in esecuzione dell’ordine di esibizione, sintesi non contestata
dell’estrazione notarile e dei dati contabili relativi all’acquisto e alla vendita dei pantaloni B
da parte de IP;
considerato che nella tabella ( sub doc. 4) sono ricostruiti i costi e ricavi della vendita del
pantalone negli anni tra il 2010 e il luglio 2014, e che agli effetti del risarcimento richiesto rilevano
solo gli anni 2012, 2013, 2014 dato che MM non ha fornito prova del fatto che il jeans
contraffatto fosse stato commercializzato in data anteriore al febbraio 2012, ne consegue che l’utile
conseguito (determinato per differenza tra ricavo netto complessivo e costo netto complessivo) è
pari ad euro 20.988,37; la richiesta di diminuire detto importo dei costi generali e di gestione
sopportati “per organizzare la vendita” può essere accolta solo in ragione di quei costi “aggiuntivi”
che in via presuntiva possono collegarsi alla vendita dello specifico prodotto (atteso che IP non vendeva solo quel prodotto, onde avrebbe affrontato comunque il costo generale
dell’organizzazione dell’attività e del personale che ha quindi un effetto neutro sull’utile marginale
che qui interessa) e può determinarsi in via equitativa nella misura del 10% della somma stessa;
onde conclusivamente l’utile che dovrà essere restituito a MM è pari ad euro 18.889,54;
A norma dell’ art. 125 c.p. i., tali somme dovranno essere restituite a MM; sulle stesse in quanto
credito di valuta, dalla data della domanda fino alla data del deposito della sentenza odierna devono
essere computati gli interessi moratori nella misura legale dalla data della pronuncia al saldo
effettivo.

6. La domanda di manleva de IP nei confronti di GG
La società IP ( ora C s.p.a ) ha chiesto di essere manlevata da GG di
quanto dovesse eventualmente essere condannata a pagare a titolo di risarcimento del danno nei
confronti di MM.
Si tratta di una domanda di garanzia c.d. impropria nei confronti della quale la convenuta GG non ha svolto alcuna difesa e che si fonda, da un lato, sul fatto che quest’ultima – pur avendo
ricevuto il 20.2.2012 contestazione formale da parte di MM circa la ritenuta violazione del
proprio brevetto - non ha provveduto ad informare IP (che ha avuto conoscenza della
contestazione di contraffazione solo con la notifica dell’atto di citazione, il 23.7.2012) lasciando che
la stessa acquistasse in data 23.2.2012 i pantaloni Back up della collezione autunno/inverno 2012;
dall’altro sul fatto che con lettera del 12.9.2012 (sub doc. 2) GG ha invitato IP a proseguire le vendite asserendo che le pretese di MM erano del tutto infondate, e si
è impegnata a tenerla indenne da qualsiasi pregiudizio “ per comportamenti inerenti alla vertenza in
oggetto”.
Perciò la domanda va accolta, e GG (ora K s.r.l.) va condannata pagare in favore de
IP ( ora C s.p.a.) la somma di euro 18.889,54 pari all’utile oggetto della domanda
di retroversione di MM; nessuna altra somma è dovuto a IP né a titolo di ristoro di
danno emergente né di lucro cessante ( come richiesto nella conclusionale a pag. 29): infatti come la
stessa convenuta ha affermato “nella tabella i ricavi complessivi sono stati ottenuti moltiplicando il
prezzo di vendita medio pari ad euro 56,25 per il numero di capi pari a quelli indicati nelle fatture di
acquisto, oggetto dell’ordine di esibizione” ne deriva che – una volta che GG abbia
indennizzato IP per quanto questa deve restituire a MM per retroversione dell’inutile,
non resta alcun margine di danno per costi di acquisto e mancata vendita.

7. Spese
Le spese di lite seguono il principio della soccombenza perciò GG (ora K s.r.l.) e IP s.r.l. (ora C s.p.a.) vanno condannate in solido a rifondere quelle sopportate
dall’attrice (infatti IP pur potendo contare sulla “manleva” che GG aveva
assicurato, ha comunque ritenuto di costituirsi in giudizio per avversare la pretesa di MM, e deve
sopportare le conseguenze della soccombenza), spese che si liquidano, in considerazione dei parametri
di legge e dell’impegno difensivo in concreto profuso, in euro 21.430,00 per compensi, oltre euro
458,00 per spese documentate (C.U.) oltre 15% per spese forfettarie su compensi, CPA e IVA come per
legge.

Le spese della CTU già liquidate in euro 9.500, oltre CP e IVA come per legge, vanno poste
definitivamente a carico delle parti convenute in via tra loro solidale.
P.Q.M.
Il Tribunale di Milano, sezione specializzata in materia di impresa - A, così provvede in accoglimento
della domanda dell’attrice MM s.r.l. Società Unipersonale:
1) accerta e dichiara che “le attività di vendita, pubblicizzazione, offerta in vendita, detenzione
per la vendita e, produzione” del pantalone tipo jeans “B” avente le caratteristiche di
menzionate al punto “4.b.i” della motivazione della presente sentenza, poste in essere da
GG (ora K s.r.l.) e da IP (ora C s.p.a.) integrano
contraffazione del brevetto RE2010A000062 ;
e per l’effetto, visto l’ art. 131 c.p. i.,
2) inibisce a GG (ora K s.r.l.) e da IP (ora C s.p.a.) la
prosecuzione delle attività illecite,
disponendo una penale di euro 50,00 per ogni singola
violazione accertata;

3) ordina il ritiro dal mercato del pantalone contestato disponendo una penale di euro 1.000,00
per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione di tale obbligo;

4) condanna le convenute alla “restituzione degli utili conseguiti” e precisamente: GG (ora K s.r.l.) nella misura di euro 1.783.432,00 oltre interessi come indicato in
motivazione; e IP (ora C s.p.a.) nella misura di euro 18.889,54, oltre
interessi come indicato in motivazione;

5) dispone la pubblicazione, a cura dell’attrice e a spese delle convenute, del dispositivo a
caratteri doppi del normale sul quotidiano “Il corriere della sera”;

6) condanna le convenute in solido a rifondere in favore dell’attrice le spese di lite liquidate in
euro in euro 21.430,00 per compensi, oltre euro 458,00 per spese oltre 15% per spese
forfettarie su compensi, CPA e IVA come per legge.

7) pone definitivamente a carico della convenute in solido tra loro le spese della CTU già
liquidate in euro 9.500, oltre CP e IVA come per legge.
Milano, così deciso nella camera d Consiglio del 22.10.2015 Il Giudice Relatore estensore giu2 Il Presidente giu1