Sentenza 1266/2017 pubbl. il 24/06/2017 della Tribunale Ordinario Di Bolognaquarta Sezione Civile Sezione Specializzata In Materia Di Impresa

Sentenza n. 1266/2017 pubbl. il 24/06/2017
RG n. 13420/2013
N. R.G. 13420/2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA
QUARTA SEZIONE CIVILE
SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA
Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:
giu1 Presidente giu2 Giudice Relatore giu3 Giudice

ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 13420/2013 promossa da:
ISM (C.F. XXX), con il patrocinio dell’avv. LP, elettivamente domiciliato in XXX presso il difensore avv. LP.
ATTORE
contro
IDMDGM
CONVENUTO/CONTUMACE

CONCLUSIONI
Parte attrice ha concluso come da memoria ex art. 183 c. VI n. 1 c.p.c.
FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, la ditta individuale ISM, in persona del suo titolare FMM, con sede principale in XXX, quale impresa operante nel settore dell’infortunistica anche attraverso una rete di agenzie collegate in franchising dislocate sull’intero territorio dell’XXX, conveniva in giudizio, innanzi all’intestato Tribunale, la ditta individuale IDMDGM, con sede in XXX, chiedendo che l’adìto Tribunale, previa conferma dell’ordinanza cautelare emessa ante causam in data 20/5/2015, ordinasse alla ditta convenuta di cessare qualsiasi attività di concorrenza sleale,
inibisse a controparte l’uso, a fini commerciali, nell’espletamento di servizi nel settore dell’infortunistica, del nome “Maggiore” come marchio, insegna e nome a dominio ,
nonché del marchio e del nome a dominio “Duo Maggiore” e del nome “Duo” in associazione al termine “Infortunistica”, disponendo a carico della convenuta una penale pecuniaria per ogni violazione già consumata dalla data di emissione del predetto provvedimento cautelare e per quelle eventualmente commesse in epoca successiva, la pubblicazione della emananda sentenza, con condanna al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dei denunciati illeciti.
In particolare, l’attrice esponeva che, dalla data della sua costituzione, per contraddistinguere i propri servizi ed i locali aziendali, essa aveva utilizzato, come marchio di fatto, logo ed insegna, alcuni segni distintivi costituiti, rispettivamente, dall’espressione “Studio Infortunistica Maggiore” e dal disegno, realizzato nei colori bianco e azzurro, raffigurante il profilo di un atleta che sorregge una bilancia, evocativo l’uomo vitruviano e la dea Dike, i quali, avevano, nel tempo, acquisito anche notorietà in virtù del loro vasto e continuativo impiego.
Deduceva, quindi, l’attrice che, nel mese di ottobre del 2012, aveva scoperto che la ditta convenuta, con sede nel vicino comune di XXX, utilizzava, da soli o in abbinamento l’uno all’altro, nello svolgimento di servizi afferenti il medesimo settore merceologico, come denominazione, logo, insegna e nome a dominio, i termini “Infortunistica” e “Maggiore”, in
violazione degli identici segni distintivi in preuso all’attrice, impiegando altresì, per fini promo-pubblicitari tramite siti web, i contenuti del sito web nella titolarità dell’attrice.


Asseriva, quindi, l’attrice che, come accertato all’esito del procedimento cautelare promosso ante causam, la ditta convenuta,
attraverso le illecite condotte sopra descritte si era resa responsabile di contraffazione di marchio di fatto e di reiterati atti di concorrenza sleale interferente, di tipo confusorio, parassitario, appropriativo di pregi e di know-how, nonchè per sviamento di clientela, cagionandole in tal modo un rilevante pregiudizio.
Nel corso del giudizio, celebrato nella contumacia della convenuta, espletati gli incombenti di cui all’

art. 183 c.p.c.

, il G.I. rigettava le istanze istruttorie avanzate dall’attrice, fissando udienza di precisazione delle conclusioni.
Infine, all’udienza del DD/MM/2016, sulle conclusioni precisate dal difensore dell’attrice, il Giudice rimetteva la causa al Collegio per la decisione, assegnando i termini di cui all’

art. 190 c.p.c. MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene il Collegio che, alla luce delle acquisite risultanze processuali, le domande così come formulate dall’attrice siano, almeno in parte, meritevoli di accoglimento. Ed invero, giova anzitutto osservare come, nel presente giudizio di merito, e, ancor prima, nella procedura cautelare espletata ante causam, la ditta attrice abbia allegato nei riguardi della convenuta molteplici titoli di responsabilità e, segnatamente, quello, ex art. 20 CPI, da contraffazione di marchio di fatto e di altri segni distintivi d’impresa (insegna; denominazione; nome a dominio), quello, di cui all’ art. 2598 c.c. , per concorrenza sleale confusoria, parassitaria, appropriativa e da sviamento di clientela, e, infine, quello da violazione di normativa in materia di diritto d’autore ai sensi degli artt. 12 e 20 L.d.A. Sulla scorta delle allegazioni, in fatto ed in diritto, nonché delle produzioni documentali operate dall’attrice, peraltro, in questa sede di merito, non confutate dalla convenuta che, diversamente dalla fase cautelare ante causa, è rimasta, nel giudizio di merito, contumace, deve ritenersi provato il pregresso uso, a far data dall’anno 2001, da parte della ditta SIM, nello svolgimento e prestazione di servizi nel settore dell’infortunistica, dei segni distintivi costituiti dal nome “Maggiore”, da solo o in combinazione al termine “Infortunistica”, ed in associazione al simbolo rappresentato da una figura stilizzata di atleta che sorregge una bilancia. In ragione dell’uso continuativo, diffuso e protratto nel tempo, non circoscritto al solo territorio di XXX e provincia, bensì articolato, attraverso agenzie collegate in franchising, su tutto il territorio della XXX, vi è altresì fondato motivo di ritenere che tali segni abbiano acquisito la natura di marchi di fatto, nonché una significativa capacità distintiva con riferimento al settore merceologico sopra indicato ed anche una certa notorietà in ambito ultralocale, estesa, cioè, quantomeno all’intero territorio regionale. Risulta parimenti certo ed incontestabile l’utilizzo, in epoca successiva all’anno 2001, da parte della ditta convenuta, per contrassegnare i propri servizi, locali aziendali e attività, anche di tipo promo-pubblicitario tramite siti web, pagine di social network ed indirizzi di posta elettronica, di segni composti dalle parole “Duo Maggiore” abbinate anche al termine “Infortunistica” e alla figura di una bilancia. Del resto, a conferma indiretta di quanto sopra affermato, va evidenziato come, nel corso del procedimento cautelare positivamente promosso dalla odierna attrice, la convenuta abbia dato atto di aver cessato, ma solo parzialmente, l’uso della parola “Maggiore”, disponendone l’eliminazione da alcune forme di comunicazione pubblicitaria ed oscurando, in parte qua, la propria insegna. Le iniziative così assunte dalla ditta convenuta, tuttavia, non appaiono idonee ad elidere i profili di illegittimità allegati da controparte, atteso che la parola “Maggiore”, costituente, come sopra esposto, marchio di fatto e segno distintivo dell’impresa attrice, ha continuato ad essere impiegata dalla concorrente all’interno del proprio nome a dominio, nell’indirizzo internet di “you tube” e negli indirizzi di posta elettronica direttamente riferibili alla stessa ditta e/o alla sua titolare. Tale persistente impiego da parte della convenuta del segno “Maggiore”, da solo o abbinato alla parola “Infortunistica”, e di simboli (bilancia), come detto in preuso da parte dell’attrice, per contraddistinguere i medesimi servizi dalla prima prestati nello stesso settore merceologico (infortunistica), e in un ambito territoriale sostanzialmente coincidente o, comunque, estremamente contiguo, senza alcun dubbio provoca tra i fruitori un serio rischio di confusione circa l’effettiva origine imprenditoriale di dette attività, tenuto anche conto della perfetta identità del nome utilizzato. Nella complessità strutturale del marchio di fatto in preuso da parte dell’attrice, appare pure evidente che la parola “Maggiore” rappresenti l’elemento dotato di maggiore carattere distintivo (c.d cuore), sicchè la circostanza che la convenuta ne faccia uso, nelle forme e con le modalità sopra indicate, associandolo al termine “Duo”, non neutralizza in toto il riscontrato rischio di confusione, segnatamente da contatto, in quanto i segni a confronto si sovrappongono sostanzialmente, con specifico riguardo al termine “Maggiore” dotato, per le ragioni in precedenza illustrate, di più elevata capacità distintiva. Alla luce delle considerazioni che precedono, deve, per ciò, ritenersi positivamente accertata la dedotta responsabilità della convenuta per contraffazione di marchio (di fatto) di cui al combinato disposto degli artt. 20, 1 e 2 CPI, la quale, in ragione della oggettiva coincidenza e sovrapponibilità dei fatti e conseguenze allegati in citazione, assorbe l’ulteriore profilo di responsabilità da concorrenza sleale confusoria ex art. 2598 n. 1 c.c.
A conclusioni diverse si deve, invece, pervenire, con riferimento all’uso del termine “Maggiore” abbinato alla parola “Castel”, trattandosi di lemma riproduttivo il nome del luogo in cui la convenuta ha la propria sede e dove esercita la propria attività di impresa, e al quale, quindi, nel suo insieme, è attribuibile una funzione meramente descrittiva/indicativa anziché distintiva.
Conseguentemente, a norma dell’art. 124 CPI, deve inibirsi, definitivamente, alla ditta convenuta l’uso, sotto qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, per contraddistinguere i propri servizi commerciali nel settore dell’infortunistica, come marchio, insegna, nome a dominio o indirizzo e-mail, della parola “Maggiore” .
Inoltre, al fine di assicurare maggiore incisività alla predetta statuizione, va imposta alla convenuta una penale pecuniaria di € 500,00 per ogni violazione della presente sentenza. Per quel che concerne gli ulteriori illeciti, concorrenziali e “autoriali” denunciati dalla ditta attrice, a norma degli artt. 2598 n. 2 e 3 c.c. e 12 e 20 L.d.A., il Collegio ritiene che, nella fattispecie in esame, non ne ricorrano gli estremi. Con riferimento alla prospettata concorrenza sleale per appropriazione di pregi ex art. 2598 n. 2 c.c. , come noto, ai fini della sua configurabilità, non è sufficiente l'adozione, sia pur parassitaria, di tecniche materiali o procedimenti già usati da altra impresa (che può dar luogo, invece, alla concorrenza sleale per imitazione servile), ma occorre che un imprenditore, in forme pubblicitarie od equivalenti, attribuisca ai propri prodotti od alla propria impresa pregi, quali ad esempio medaglie, riconoscimenti, indicazioni di qualità, requisiti, virtù, da essi non posseduti, ma appartenenti a prodotti od all'impresa di un concorrente, in modo da perturbare la libera scelta dei consumatori (v. ad es. Cass. Civ. Sez. VI – Ord. 07/01/2016, n. 100 ). Nel caso di specie, anche a voler prescindere dall’assoluta genericità delle allegazioni svolte circa i pregi dell’attrice che la convenuta avrebbe a sé indebitamente attribuito, in ogni caso, il sito web nella titolarità dell’attrice, la cui pedissequa e, soprattutto, integrale usurpazione da parte della convenuta è solamente asserita ma non del tutto dimostrata, da un lato, reca un contenuto essenzialmente informativo, quindi, di per sé, non idoneo a costituire un elemento di pregio caratterizzante i prodotti dell’impresa e la sua attività, e, dall’altro, appare privo di quel coefficiente di originalità/creatività necessario ai fini del riconoscimento dell’invocata tutela autoriale, nel senso di apporto o contributo personale del suo autore all’espressione formale di una certa idea, non banale o standardizzata. Quanto all’ipotizzata concorrenza sleale c.d. parassitaria ex art. 2598 n. 3 c.c. , volendo ancora una volta omettere ogni considerazione circa l’assoluta indeterminatezza e laconicità delle allegazioni svolte sul punto dall’attrice, in ogni caso, non si ravvisano gli elementi costitutivi di detta fattispecie illecita, non avendo la ditta attrice precisato e, soprattutto, dimostrato il continuo e sistematico operare, da parte dell’impresa concorrente convenuta sulle sue orme imprenditoriali, attraverso l'imitazione di rilevanti iniziative imprenditoriali o lo sfruttamento di suoi studi o ricerche.
Va, altresì, rigettata la richiesta avanzata dall’attrice di risarcimento del danno emergente e del lucro cessante, non avendo la ditta istante dimostrato, al di là di un potenziale sviamento di clientela conseguente alla contraffazione del marchio di fatto e della confusorietà dei segni utilizzati dalla convenuta, la concreta perdita di clientela ovvero una effettiva riduzione di fatturato in conseguenza diretta degli illeciti posti in essere da quest’ultima.
Del resto, i mezzi istruttori sul punto articolati dall’attrice, per la genericità e per il contenuto essenzialmente valutativo delle circostanze oggetto di capitolato testimoniale, non appaiono assolutamente idonei a dimostrare l’esistenza e l’entità del lamentato pregiudizio patrimoniale.
Quanto alla dedotta e documentata violazione da parte della convenuta dell’inibitoria provvisoriamente disposta in sede cautelare a norma dell’art. 131 CPI, ritiene il Collegio che, in considerazione del numero e gravità delle violazioni concretamente constatate e dimostrate, nonché dell’arco temporale di loro persistenza, sia equo e congruo liquidare in complessivi € 10.000,00 l’importo dovuto dalla convenuta a titolo di penale per le pregresse inottemperanze.
A norma dell’art. 126 CPI, va, invece, disposta, a cura dell’attrice e a spese della convenuta, la pubblicazione del dispositivo della presente sentenza sul quotidiano “Il Resto del Carlino” e sul sito internet della convenuta stessa, per la durata di giorni trenta, al duplice fine di ripristinare la legalità persistentemente violata dalla convenuta anche in epoca successiva all’adozione dei provvedimenti cautelari inibitori concessi ante causam, solo parzialmente ottemperati, e, quindi, per neutralizzare gli effetti confusori che tuttora derivano dagli accertati illeciti, nonché per prevenire la loro reiterazione.
Infine, le spese di lite seguono la soccombenza e, quindi, come da dispositivo, vanno liquidate a carico della soccombente ditta convenuta .
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
INIBISCE alla ditta convenuta l’uso, sotto qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, a fini commerciali, per contraddistinguere i propri servizi nel settore dell’infortunistica, come marchio, insegna, nome a dominio e negli indirizzi di posta elettronica, del nome “Maggiore” . DISPONE a carico della convenuta una penale pecuniaria di € 500,00 per ogni utilizzo del nome “Maggiore” successivo alla pubblicazione della presente sentenza. DISPONE a cura dell’attrice e a spese della convenuta, la pubblicazione del dispositivo della presente sentenza sul quotidiano “Il Resto del Carlino” e sul sito internet della medesima convenuta.
LIQUIDA a carico della convenuta, la complessiva somma di € 10.000,00, a titolo di penale per la violazione delle misure cautelari disposte ante causam.
RIGETTA nel resto, le domande formulate dall’attrice.
CONDANNA la convenuta al rimborso in favore dell’attrice delle spese di lite liquidate in € 990,00 per spese e € 4.650,00 per compenso di avvocato, oltre accessori se e come dovuti per legge . Così deciso in Bologna , nella Camera di Consiglio della IV Sezione Civile – Sezione Specializzata in Materia di Impresa, del Tribunale, il 10 maggio 2017. Il Presidente giu1 Il Giudice est. giu2