Sentenza 3165/2018 della Corte Dappello Di Milano Sezione Specializzata In Materia Di Impresa


REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.R.G. 1857/2016
Sentenza n. 3165/2018
pubbl. il 27/06/2018 RG n. 1857/2016 Repert. n. 1860/2018 del 27/06/2018
LA CORTE D’APPELLO DI MILANO Sezione specializzata in materia di impresa
nelle persone dei seguenti magistrati:
dr. giu1 Presidente
dr. giu2 Consigliere dr. Giu3 Consigliere rel.

ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. r.g. 1857/2016 promossa in grado d’appello DA
CP (ITALIA) S.P.A. (C.F. XXX), elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. TA, che la rappresenta e difende come da delega in atti, unitamente all’avv. PIM (XXX) e all’avv. SJK (XXX)
APPELLANTE

CONTRO
CR (C.F. XXX), elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. SG, che lo rappresenta e difende come da delega in atti, unitamente all’avv. (XXX), all’avv. DESAF (XXX) e all’avv. BAVE (XXX)
APPELLATA

avente ad oggetto: diritto all’equo premio ex art. 64 c.p. i.

sulle seguenti conclusioni
Per CP (ITALIA) S.P.A. L’appellante, richiamate tutte le proprie difese, domande, istanze, argomentazioni, deduzioni e produzioni, rifiutando espressamente il contraddittorio in merito ad eventuali nuove domande che dovessero essere contenute nel foglio di p.c. dell’appellato, precisa le proprie domande, eccezioni e conclusioni come segue,: In riforma integrale della impugnata sentenza del Tribunale di Milano n. 12048/2015 in data 8-28.10.2015, resa nel giudizio R.G. 57396/2013, piaccia alla Corte così giudicare:
- ritenere e dichiarare la carenza di legittimazione passiva della convenuta ;
- in subordine, dichiarare con ordinanza la litispendenza rispetto al giudizio della causa torinese (ora pendente dinnanzi alla Corte di Cassazione con n. R.G. 15564/2014 ) disponendo la cancellazione della causa dal ruolo ;
- in ulteriore subordine, in via riconvenzionale, accertare e dichiarare la carenza dei requisiti di brevettabilità del trovato di cui al brevetto europeo n. EP 1509323 e agli altri brevetti nei quali il R è stato designato come inventore ;
- respingere in ogni caso tutte le domande dell’attore in quanto infondate in fatto ed in diritto, assolvendone la convenuta con la miglior formula;
- in via istruttoria disporre CTU brevettuale volta: a) all’accertamento della appartenenza delle soluzioni di cui ai brevetti IT1338939 e EP1509323 al medesimo APPELLATO nucleo di insegnamenti tecnici e b) all’accertamento della insussistenza dei requisiti di brevettabilità nel trovato di cui al brevetto europeo n. EP 1509323 e agli altri brevetti nei quali il è stato designato come inventore;
- ammettere prova per interrogatorio e per testi sui seguenti capitoli: 1. “Vero il contenuto della lettera della SC MT in data 2.4.2002 indirizzata al Dr. XH che mi si rammostra"; 2. “Vero il contenuto della comunicazione via posta elettronica indirizzata al sig. R dal Dr. S in data 1° maggio 2002 che mi si rammostra"; 3. “Vero che le soluzioni tecniche di cui alla domanda PCT/US02/15310 sono state ideate e sviluppate esclusivamente all’interno della SC, Inc."; 4. “Vero che, a dispetto della sua formale designazione come inventore in alcuni fra i brevetti di cui è causa, il sig. CR non ha fornito alcun reale contributo inventivo alla ideazione ed allo sviluppo delle soluzioni tecniche ivi rivendicate". Si indicano come testi sui capitoli formulati il Dr. X. H e la Dr. J S presso SC, Inc., XXX nonché sui capitoli formulati 3. e 4. i signori GM e JL, presso CP (Deutschland) GmbH, XXX - con vittoria di spese, diritti e onorari del giudizio nel doppio grado, ivi compresi quelli di eventuale Consulenza Tecnica. *** Si formula istanza di discussione orale della causa dinnanzi al Collegio ai sensi dell’ art. 352, comma secondo, c.p.c. .
Per CR
Voglia codesta Ecc.ma Corte d’AppeIIo - Sezione Specializzata in Materia d’Impresa,
- respingere tutte le domande, eccezioni ed istanze istruttorie e di CTU proposte da CP (Italia) s.p.a. con il proprio atto d’appello,
- confermare integralmente la sentenza del Tribunale di Milano –Sezione Specializzata in Materia d’Impresa – n. 12048/2015 in data 8-28 ottobre 2015 , resa nel giudizio R.G. 57396/13;
- condannare l’appellante al pagamento di spese e compensi di causa del presente giudizio; - in subordine, nella denegata ipotesi di ammissione dei capitoli di prova per interrogatorio e per testi dedotti dall’appellante, ammettere prova contraria con i testi indicati nella Terza memoria ex art. 183.6 c.p.c. avanti il Tribunale di Milano.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il signor CR ha lavorato come dipendente della SCCI S.r.l. (successivamente fusa per incorporazione nell’odierna appellante, CP Italia S.p.A.) dall’ 1.1.1985 al 4.3.2005. Nell’esecuzione del rapporto di lavoro ha realizzato, fra le altre, insieme a ricercatori- dipendenti di altre società del gruppo “SC", un’invenzione riguardante i “Catalizzatori Fischer Tropsch preparati con precursori di ferro ad alta purezza", posta alla base di un brevetto europeo e di un brevetto americano ottenuti da società del gruppo di cui faceva parte la SCCI S.r.l. Il signor CR ha richiesto a SC Inc. (titolare del brevetto americano) e a SC AG (titolare del brevetto europeo) una remunerazione per l’invenzione ma non ha ricevuto risposta favorevole; ha, pertanto, rivolto all’odierna appellante la richiesta di equo premio ai sensi dell’ art. 64 c.p. i. La domanda è stata proposta in via giudiziale avanti il Tribunale di Milano- Sezione Specializzata in materia di Impresa, e la CPI S.p.A. (da qui per brevità C) vi ha resistito per molteplici ragioni di rito e di merito. Il Tribunale ha accolto la domanda di R ed ha accertato il diritto all’equo premio nei confronti della società datrice di lavoro in relazione alla invenzione di cui ai brevetti rilasciati alle due società del gruppo, SC Inc. e SC AG.

C ha appellato la sentenza del Tribunale ritenendola erronea per: 1. aver riconosciuto la legittimazione passiva di essa appellante 2. non aver dichiarato la litispendenza in relazione al giudizio promosso da Rubini avanti il Tribunale di Torino per ottenere il medesimo accertamento richiesto al Tribunale di Milano 3. aver respinto l’eccezione di prescrizione 4. non aver attribuito rilievo al difetto dei requisiti di brevettabilità del trovato 5. non aver riconosciuto il carattere di servizio dell’invenzione 6. non aver riconosciuto, in via subordinata, che l’equo premio era già stato corrisposto. CR si è costituito ed ha resistito all’impugnazione, chiedendo la conferma della sentenza appellata. La causa è stata posta in decisione sulle conclusioni di cui in epigrafe, a seguito del deposito degli scritti conclusivi e di discussione orale ex art. 352 c.p.c.


MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di appello C censura la sentenza del Tribunale per aver ritenuto sussistente la legittimazione passiva di essa C nonostante l’invenzione non fosse mai stata nella sua disponibilità e nonostante l’art. 23 l.i., applicabile “ratione temporis", non prevedesse, a differenza del vigente art. 64 c.p. i., il diritto al premio nel caso di utilizzazione dell’invenzione da parte di aventi causa del datore di lavoro. Ritiene la Corte che il motivo sia infondato. Sentenza n. 3165/2018 pubbl. il 27/06/2018 RG n. 1857/2016 Repert. n. 1860/2018 del 27/06/2018 Come correttamente osservato dal Tribunale: “Ciò che rileva al fine della sussistenza della condizione dell’azione della legittimazione passiva è la coincidenza, sul solo piano dell’allegazione, del soggetto contro il quale la domanda è proposta con quello nei cui confronti è chiesto l’accertamento del diritto all’equo premio. Nel caso in esame la domanda è stata proposta dall’attore nei confronti del suo datore di lavoro, quale soggetto tenuto alla corresponsione dell’equo premio" (pag. 6 sentenza impugnata). Ritiene la Corte, condividendo la decisione impugnata, che la legittimazione passiva intanto sussista in quanto vi sia coincidenza sul solo piano dell’allegazione (e quindi prescindendo dalla fondatezza che involge il merito) fra il soggetto che la norma indica come obbligato (e tale è il datore di lavoro ai sensi dell’art. 23 cit., applicabile nella fattispecie, che attribuisce al datore di lavoro “i diritti derivanti dall’invenzione" prevedendo il correlativo diritto dell’inventore ad un equo premio) e colui contro il quale è rivolta la domanda. Altro è il merito, che pure l’appellante sottopone a censura, anche se impropriamente nel motivo dedicato alla carenza di legittimazione. L’appellante, infatti, contesta la decisione impugnata per aver riconosciuto il diritto al premio nonostante essa datrice di lavoro non avesse acquistato diritti sulla pretesa invenzione ed anzi non ne fosse a conoscenza, e per non aver attribuito il giusto rilievo all’atto denominato “Assignment of Invention" sottoscritto dal R, con il quale i diritti sull’invenzione sarebbero stati ceduti da R verso corrispettivo alla SC Inc. che ha poi chiesto e ottenuto il brevetto. Anche sotto questo profilo il motivo è, comunque, infondato. Sentenza n. 3165/2018 pubbl. il 27/06/2018 RG n. 1857/2016 Repert. n. 1860/2018 del 27/06/2018 Il datore di lavoro acquista, infatti, per effetto della previsione normativa (v. art. 23 cit.) i diritti patrimoniali derivanti dall’invenzione per le invenzioni fatte nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto di lavoro mentre all’inventore, salvo il diritto di esserne riconosciuto autore, spetta un equo premio. L’allegazione che l’appellante non fosse a conoscenza dell’invenzione risulta smentita dai seguenti elementi indiziari (evidenziati anche dal Tribunale), che, in quanto gravi, precisi e concordanti, sono idonei a fornire la prova della conoscenza: l’appellato R è stato, per ammissione della stessa C, amministratore delegato della stessa proprio negli anni in cui sono accaduti i fatti di causa e, pertanto, non può ritenersi “sconosciuta" alla società, che è una società di capitali, una vicenda di cui è protagonista il suo legale rappresentante (restando estraneo a questi fini il lamentato conflitto di interessi) in data 1.5.2002 JS della SC Inc. (società statunitense del gruppo) ha scritto al signor C della SCCI S.r.l. (poi fusasi in C) parlandogli delle ricerche sulla “preparazione dei catalizzatori Fischer Tropsch che partono da ossidi di ferro" e delle domande di brevetto (v. doc. 14 fascicolo C) e a tale e-mail hanno risposto C e R (v. doc. 12 fascicolo C), con ciò rendendo evidente che fra la società italiana e la società statunitense del gruppo vi erano comunicazioni riguardanti le invenzioni e il brevetto poi richiesto e ottenuto dalla società statunitense (v. doc. 3 fascicolo R) tra le società del gruppo SC vi era uno stretto collegamento, desumibile anche dai documenti che indicano gli obiettivi dell’odierna appellante (v. docc. 7,8,9 fascicolo C). La società C era, quindi, a conoscenza dell’invenzione fatta, unitamente ad altri, dal R nell’esecuzione del contratto di lavoro ed ha acquistato i diritti patrimoniali derivanti dall’invenzione, essendo pacifico e documentato che l’invenzione sia stata brevettata ed essendosi, quindi, verificata la condizione che, anche nella previgente disciplina di cui all’art. 23 cit., si riteneva necessaria ai fini del riconoscimento dell’equo premio (v. da ultimo e a conferma di orientamento consolidato Cass. 27500/17 - resa proprio fra le parti del presente giudizio in altra controversia - “In caso di invenzione di azienda ex art. 23, comma 2, del r.d. n. 1127 del 1939 , il diritto del lavoratore all'equo premio ed il connesso obbligo datoriale di corrisponderlo sorgono solo con il conseguimento del brevetto, giacché è in virtù della brevettazione che, ai sensi dell’art. 4, del richiamato r.d., i diritti derivanti dall'invenzione sono conferiti al datore di lavoro....."). Le circostanze suddette sono altresì idonee a provare che i diritti sorti in capo all’odierna appellante, società italiana del gruppo, siano stati ceduti alla società statunitense che ha poi chiesto e ottenuto il brevetto. L’obbligo dell’odierna appellante di corrispondere l’equo premio in quanto datrice di lavoro dell’inventore, nonostante l’invenzione risulti brevettata da un avente causa, può essere affermato anche in relazione all’art. 23 cit. (che, a differenza dell’ art. 64 c.p. i., non contiene l’espresso riferimento agli “aventi causa"), poiché risulta coerente con la “ratio" della norma, che vuole riconoscere un concreto profitto al lavoratore ponendolo a carico del soggetto a cui favore è stabilita la deroga al principio che il titolare dei diritti sull’invenzione è l’inventore. In relazione all’atto denominato Assignment of Invention (v. doc. 4 fascicolo R) l’appellante introduce nell’atto di appello un argomento che si pone in contrasto con la mancata contestazione in primo grado di una circostanza affermata dal R. Nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado R aveva, infatti, affermato di aver stipulato “un contratto di cessione (Assignment of Invention) di tutti i diritti sulla invenzione" ai fini della regolarità della procedura americana (pag. 2 citazione) ed aveva dedotto che era “pacifico che per tale invenzione gli inventori non hanno percepito alcunchè e che i rapporti sono stati regolati fra le diverse imprese nell’ambito del gruppo costituito dalle società nazionali facenti capo alla " (pag. 4 citazione). La difesa della convenuta C aveva contestato sotto molteplici profili la domanda ma nel corso del giudizio di primo grado (v. comparsa di risposta e memorie ex art. 183 co. 6 c.p.c. ) non aveva mai rilevato che, in contrasto con le allegazioni attoree, dalla cessione dei diritti alla società statunitense fosse derivato al R un “congruo corrispettivo", come poi dedotto in atto di appello (pag. 14 citazione in appello). La sentenza impugnata, infatti, correttamente non ha preso in considerazione la parte del documento nella quale si afferma che la cessione dei diritti viene effettuata “for good and valuable consideration" (v. pag. 1 doc. 4 fascicolo R), trattandosi di questione sulla quale non vi è stato contraddittorio. Per completezza si può comunque osservare che, al di là di tale generica locuzione non accompagnata dall’indicazione di alcun importo, nessuna prova può dirsi acquisita in ordine alla percezione da parte di R di somme – né dalla propria datrice di lavoro né dalla società collegata statunitense – idonee a costituire l’equo premio previsto dalla legge italiana applicabile nella fattispecie.
Con il secondo motivo di appello C censura la sentenza per non aver rilevato la litispendenza con il giudizio promosso dal R avanti il Tribunale di Torino. Il motivo risulta superato dall’intervenuta pronuncia della Suprema Corte n. 27500/17 che ha respinto il ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di Torino, che aveva rigettato l’appello contro la sentenza del Tribunale di Torino, che ha riconosciuto il diritto all’equo premio in relazione ad invenzioni del R oggetto di brevetti diversi da quelli oggetto del presente giudizio. Sentenza n. 3165/2018 pubbl. il 27/06/2018 RG n. 1857/2016 Repert. n. 1860/2018 del 27/06/2018.
Con il terzo motivo di appello C ha ribadito l’eccezione di prescrizione, respinta dal Tribunale, il quale ha ritenuto che il termine decennale, decorrente dal 25.7.2007, data di rilascio del brevetto, non fosse decorso al 30.7.2013, data di notifica della citazione. L’appellante ritiene erronea la decisione per non aver assunto quale “dies a quo" del termine di prescrizione la data del 2.8.2002, nella quale R ha ceduto i diritti sull’invenzione alla SC Inc. Ritiene la Corte che anche questo motivo sia infondato. Non è possibile far decorrere il termine di prescrizione dal momento in cui R ha ceduto i diritti alla società statunitense poiché in tale momento non poteva ritenersi ancora sorto il diritto all’equo premio, che, come si è già detto, nel vigore del più volte citato art. 23, sorgeva solo a seguito della concessione del brevetto e poteva, pertanto, essere esercitato, ai fini di cui all’ art. 2935 c.c. , solo da tale momento (v. Cass. 11305/03 ).
Con il quarto motivo di appello C censura la sentenza del Tribunale per aver riconosciuto il diritto al premio nonostante il trovato sia privo, secondo l’appellante, dei requisiti di brevettabilità. Il Tribunale ha ritenuto che, una volta ottenuto il brevetto, non sia sufficiente, al fine di superare la presunzione di validità, l’accertamento incidentale della carenza dei requisiti di brevettabilità richiesto da C, poiché sarebbe necessaria la rimozione del brevetto con efficacia ex tunc, possibile solo con l’azione di nullità del brevetto. C fa rilevare che il brevetto di cui si discute non è più in vigore e tale circostanza impedirebbe la formulazione di una domanda di nullità, rendendo ammissibile la domanda di accertamento incidentale di carenza dei requisiti di brevettabilità. Ritiene la Corte che il motivo sia infondato. La necessità di una pronuncia di nullità in via principale, valida “erga omnes", è stata affermata da tempo dal S.C. (v. Cass. 7484/00 , citata nella sentenza impugnata) e ribadita da ultimo in Cass. 27500/17 già citata, pronunciata fra le stesse parti di questo giudizio. La S.C. nell’ultima pronuncia ha inoltre ricordato che l’azione di nullità ai sensi dell’art. 78 u.c. r.d. 1127/39 “è esercitata in contraddittorio di tutti coloro che risultano annotati nel registro dei brevetti quali aventi diritto sul brevetto", con la conseguenza che i titolari del brevetto non possono essere attori nel giudizio di nullità, in applicazione del generale divieto di “venire contra factum proprium", posto che il brevetto è rilasciato appunto su richiesta dell’avente diritto. Tali ultime considerazioni consentono di risolvere anche la questione prospettata dall’appellante, nel senso che, anche in presenza di una privativa non più in vigore, non è consentito al datore di lavoro che abbia richiesto e ottenuto il brevetto (o che, come nel caso di specie, abbia ceduto i diritti patrimoniali ad altra società appartenente allo stesso gruppo, in cui favore sia stato poi rilasciato il brevetto) ottenere l’accertamento incidentale della nullità del brevetto al solo fine di sottrarsi al pagamento dell’equo premio per l’invenzione della quale abbia già sfruttato i diritti.

Con il quinto motivo di appello C contesta la qualificazione di c.d. invenzione di azienda data dal Tribunale alla invenzione per cui è causa mentre, secondo l’appellante, si tratterebbe di c.d. invenzione di servizio, avendo le parti previsto che l’attività inventiva del R fosse retribuita. Secondo l’appellante il Tribunale non ha correttamente interpretato i documenti prodotti (in particolare i docc. da 5 a 9) dai quali si evincerebbe che, indipendentemente da una pattuizione espressa, l’attività inventiva “era pienamente nel quadro degli accordi e a tal fine retribuita ogni anno", con la conseguenza che non sarebbe dovuto alcun premio, in applicazione dell’art. 23 co. 1 r.d. cit. Nel caso di specie è pacifico che non vi sia un documento contrattuale che preveda l’attività inventiva quale prestazione richiesta al R e una specifica retribuzione per tale attività. Secondo l’appellante, tuttavia, tale accordo fra le parti dovrebbe desumersi in via indiziaria dai citati documenti da 5 a 9, che il Tribunale non ha reputato idonei a provare la circostanza, nonché dalle funzioni esercitate dal R, dalla sua collocazione ai vertici della scala aziendale, dalla sua elevata retribuzione, dalla sua formazione scolastica e professionale come perito chimico, dal suo incarico ad interim per oltre un anno quale Responsabile della Direzione Ricerca e Sviluppo e Responsabile della Ricerca e Sviluppo Nuovi Prodotti, dalla sua costante partecipazione a meeting di ricerca organizzati dal datore di lavoro. Ritiene la Corte che il motivo sia infondato. L’art. 23 co. 1 r.d. cit., che prevede le invenzioni di servizio alle quali l’appellante vorrebbe ricondurre l’invenzione per cui è causa, riguarda le invenzioni industriali fatte nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o d’impiego, in cui “l’attività inventiva è prevista come oggetto del contratto o del rapporto e a tale scopo retribuita", invenzioni per le quali, a differenza delle invenzioni di azienda di cui al secondo comma della norma, non spetta alcun premio, proprio perché è prevista “ex ante" una retribuzione che remunera l’attività inventiva. Come ha precisato il S.C., infatti, “sia l'invenzione di servizio che l'invenzione di azienda - rispettivamente previste nel primo e nel secondo comma dell'art. 23 del r.d. n. 1127 del 1939 - presuppongono lo svolgimento, da parte del dipendente, di un'attività lavorativa di ricerca volta all'invenzione, mentre l'elemento distintivo tra le due ipotesi risiede principalmente nella presenza o meno di un'esplicita previsione contrattuale di una speciale retribuzione costituente corrispettivo dell'attività inventiva, in difetto della quale (ed il relativo onere probatorio incombe sul datore di lavoro) compete al dipendente autore dell'invenzione l'attribuzione dell'equo premio previsto dal suddetto art. 23. Spetta al giudice del merito - con accertamento "ex ante" e non "ex post", senza che assuma rilievo la maggiore o minore probabilità che dall'attività lavorativa possa scaturire l'invenzione - valutare se le parti abbiano voluto pattuire una retribuzione quale corrispettivo dell'obbligo del dipendente di svolgere una attività inventiva" ( Cass. 6367/11 ). Applicando il principio alla presente fattispecie risulta condivisibile la valutazione del Tribunale che ha escluso trattarsi di invenzione di servizio. Il Tribunale, infatti, correttamente ha ritenuto i documenti da 5 a 9 inidonei a provare la circostanza della pattuizione di un’attività inventiva quale oggetto del contratto e di una retribuzione stabilita a tale scopo: i documenti citati evidenziano l’ammontare annuo delle retribuzioni di Rubini, adeguate alla qualifica e alle mansioni di soggetto collocato “ai vertici della scala aziendale", ed indicano i c.d. “bonus" da aggiungere alla retribuzione fissa e da calcolare in misura percentuale in relazione ai risultati ottenuti, che sono i risultati dell’attività aziendale calcolati, ovviamente, “ex post". Gli altri indici indicati dall’appellante, sia singolarmente considerati che nel loro insieme, non presentano un carattere di univocità che consenta di farli assurgere al rango di prova, tanto più se si considera che la previsione richiesta dalla norma deve essere esplicita e che le dimensioni di una società come Clariant non rendono verosimile la pattuizione verbale di accordi così significativi.
Le ragioni suindicate valgono altresì a rendere infondato anche il sesto motivo di appello, con il quale C censura la sentenza del Tribunale per non aver riconosciuto in via subordinata che l’equo premio sia stato almeno in parte già corrisposto con le somme di cui si è detto: correttamente il Tribunale ha accomunato la trattazione della "invenzione di servizio" e della “prova del versamento del premio" (v.pag. 11 punto 2.8 sentenza impugnata), potendosi escludere, in base agli elementi di prova indicati da , che si sia in presenza di invenzione di servizio e che i “bonus" corrisposti sulla retribuzione in relazione ai risultati raggiunti costituiscano premi ex art. 23 co. 2 r.d. cit.
L’appello deve essere, quindi, respinto con la condanna dell’appellante al pagamento delle spese di lite, liquidate in dispositivo.
P.Q.M. La Corte d’Appello di Milano, definitivamente pronunciando, così dispone:
1. respinge l’appello contro la sentenza del Tribunale di Milano, Sezione Specializzata in materia di Impresa, n. 12048/15 ;
2. condanna la società appellante al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 13.560,00 per compensi, oltre 15% per rimborso forfetario ;
3. dà atto che sussistono i presupposti di cui all' art. 13 co. 1 quater D.P.R. 115/02 per il versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto a norma del comma 1 bis art. 13 cit.
Così deciso in Milano il 14.3.2018 Il Consigliere est. giu1 Il Presidente giu2