Sentenza 5043/2018 della Corte Dappello Di Milano Sezione Prima Civile

N. R.G. 881/2017 Sentenza n. 5043/2018 pubbl. il 20/11/2018 RG n. 881/2017 Repert. n. 3963/2018 del 20/11/2018 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI MILANO Sezione prima civile nelle persone dei seguenti magistrati: giu1 Presidente giu2 Consigliere giu3 Consigliere rel. ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. r.g. 881/2017 promossa in grado d’appello da
FZF PERSONALMENTE E IN QUALITA’ DI LEGALE RAPPR.TE DEL GZ S.R.L. (C.F. XXX), con il patrocinio degli avv.ti FF e FC, elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. AB, XXX APPELLANTE
contro
TB S.P.A. (C.F. XXX), con il patrocinio dell’avv. RF, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. GB, in XXX avente ad oggetto: marchio sulle seguenti conclusioni. APPELLATA
Conclusioni di FZF PERSONALMENTE E IN QUALITA’ DI LEGALE RAPPR.TE DEL GZ S.R.L. in via principale:
A) accogliere, per i motivi tutti dedotti in narrativa, il proposto appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza n. 12307/2016 , emessa dal Tribunale di Milano, Sezione Specializzata in Materia di Impresa – A , Giudice dott.ssa SG, nell’ambito del giudizio recante R.G. n. 56632/14, comunicata a mezzo PEC in data DD/MM//2016 e mai notificata, accogliere tutte le conclusioni avanzate in prime cure che qui si riportano:
i. accertare la condotta della Convenuta PP S.p.a in palese violazione dei diritti esclusivi di proprietà industriale del GZ S.r.l. e del Sig. FZ ;
ii. inibire conseguentemente alla Convenuta PP S.p.a. l'utilizzazione, in qualunque forma e modo, della parola “POSTINA”, quale segno distintivo dei propri prodotti, nonché l’utilizzo di tale dicitura per la pubblicazione e la diffusione di materiale o messaggi pubblicitari ;
iii. condannare la convenuta al risarcimento del danno che si chiede di quantificare in via equitativa ex. art. 1226 c.c. , con riserva di diversa quantificazione nel corso del procedimento ;
iv. ordinare la pubblicazione del dispositivo della presente sentenza, ai sensi dell’ art. 2600 c.c. e art.120 c.p.c. , per 2 volte, a distanza di 15 giorni l’una dall’altra, e , quanto alla prima volta, entro 30 giorni dalla pubblicazione della sentenza, in caratteri doppi del normale, sui quotidiani Il Corriere della Sera e Il Sole 24 ore, o comunque altri due equivalenti quotidiani a tiratura nazionale, a cura della parte attrice ed a spese della convenuta, anticipate prima della pubblicazione medesima dietro presentazione di preventivo da parte dei quotidiani ;
v. fissare una penale, determinata in via equitativa, per ogni successiva violazione dell’emananda sentenza e una penale per ogni giorno di ritardo nella sua esecuzione, ex art. 614bis c.p.c. ;
B – in via istruttoria vi. si depositano i documenti citati secondo l’ordine indicato; vii. con riserva di ulteriormente argomentare, dedurre e produrre in relazione alle argomentazioni sollevate da controparte. C – in ogni caso Con vittoria di spese, diritti ed onorari di lite.” B) conseguentemente, disattendere tutte le eccezioni e le istanze sollevate dall’appellata dinanzi al Tribunale per tutti i motivi meglio esposti nel presente atto nonché le eventuali proponende eccezioni ed istanze in sede di appello; C) revocare il capo della sentenza di primo grado con cui parte attrice è stata condannata a rifondere a parte appellata le spese di lite In via istruttoria che sia disposta la trasmissione del fascicolo di ufficio di primo grado recante R.G. n. 56632/2014, Tribunale di Milano , dott.ssa SG; si deposita, seguendo la numerazione del fascicolo di primo grado, il doc. 14, venuto ad esistenza il DD/MM/2016, ossia successivamente all’emanazione della Sentenza avvenuta il 9.11.2016; In ogni caso Con vittoria di spese, competenze ed onorari, compensi rimborso forfettario per spese generali, IVA e CPA come per legge, relativamente ad entrambi i gradi di giudizio.
Conclusioni di TB S.P.A.: Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello di Milano, contrariis rejectis, per le ragioni esposte rigettare l’appello proposto e per l’effetto confermare la sentenza n. 12307/2016 emessa dal Tribunale di Milano, Sez. Specializzata in materia di Imprese - A nell’ambito del giudizio R.G. 56632/14 appellata. Con vittoria di compensi e spese di lite di entrambi i gradi di giudizio oltre spese generali, Iva e Cap come per legge.” Concisa esposizione delle ragioni in fatto e in diritto 1.
Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 12307/16 emessa il 23.5.17, ha respinto le domande proposte da FZ in proprio e quale legale rappresentante del GZ s.r.l. contro PP s.p.a. (anche TB s.p..a.), domande tendenti a: accertare la condotta di contraffazione asseritamente posta in essere dalla parte convenuta a motivo dell’utilizzo del proprio marchio registrato; inibire alla parte convenuta l’utilizzo del segno “postina”; condannare PP s.p.a. al risarcimento dei danni ed alle sanzioni accessorie. Il giudice di prime cure ha ritenuto che il termine “postina”, utilizzato con la finalità di indicare una categoria di borse, ispirate a quella usata dai postini in Italia negli anni cinquanta, non fosse distintivo e univoco indicatore di origine del prodotto contrassegnato da parte attorea, ma “descrittivo di una categoria di prodotti, aventi la caratteristica d’ispirarsi alle borse che erano portate dai postini negli anni ’50. Il nome “postina”, quindi, quanto utilizzato con tale finalità, per effetto del trasferimento del nome dal soggetto al prodotto, è percepito come descrittivo di caratteristiche di borse che erano usate dai postini, quali la resistenza e la capienza”.Il giudice ha, quindi, ritenuto che la parte convenuta avesse utilizzato detto termine in modo descrittivo, per indicare una categoria di borse, al pari di altri termini, egualmente descrittivi di altre categorie, quali shopper, bauletto, minitracolla.


In conseguenza di tale conclusione, il Tribunale ha condannato parte attorea alla rifusione delle spese processuali in favore di parte convenuta.


2.

FZ in proprio e quale legale rappresentante del GZ s.r.l. ha chiesto la riforma della decisione di prime cure, con conseguente accoglimento di tutte le domande formulate in primo grado. Ha ritenuto errata la motivazione della decisione di prime cure in merito al carattere non distintivo del marchio utilizzato, come infra esposto. In ogni caso, pur non essendo questione trattata nel corso del giudizio di primo grado, ha escluso la sussistenza dei presupposti della volgarizzazione del marchio. 3. PP s.p.a. ha chiesto il rigetto del gravame, con conferma della decisione di primo grado.


4. All’udienza di prima comparizione del DD/MM/17 la Corte rinviava la causa, per la precisazione delle conclusioni, all’udienza del DD/MM/18. A tale ultima udienza, la causa era trattenuta in decisione, con assegnazione di termini di 40 e di 20 giorni rispettivamente per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. Su richiesta della difesa dell’appellante, reiterata in sede di memorie di replica, la Corte fissava udienza di discussione ex

art. 352, II comma, c.p.c.

al 3.10.18, all’esito della quale la causa veniva trattenuta in decisione.


Motivi della decisione
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5. I motivi sui quali la Corte è chiamata a pronunciarsi sono i seguenti:

a. erroneità della sentenza nella parte in cui il giudice ha ritenuto che il segno denominativo “postina” fosse comunemente usato dagli operatori economici e dai consumatori per indicare borse che si ispirano a quelle utilizzate dai postini in Italia negli anni cinquanta, per erronea applicazione dell’ art. 13 c.p. i., degli artt. 115- 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c.;

b. erroneità della sentenza nella parte in cui non è stata ritenuta la capacità distintiva del marchio “postina”, in violazione dell’ art. 7 c.p. i.;

c. violazione e falsa applicazione dell’ art. 125 c.p. i. e degli artt. 1223 e 2600 c.c. , dal momento che in caso di accertamento della contraffazione il danno subito dal titolare del marchio è in re ipsa e deriva dalla circolazione nel commercio di un marchio simile o identico al proprio, con conseguente indebolimento della privativa;
d. falsa applicazione dell’ art. 2598, comma 1 nn. 1, 2, 3 c.c. , a motivo dell’assoluta confondibilità dei segni in questione.
6. La Corte esamina congiuntamente i motivi sub a) e sub b), stante l’intrinseca connessione degli stessi. Il giudice di prime cure ha ritenuto che il termine “postina”, usato con la finalità di indicare la tipologia di borse tipiche dei postini negli anni cinquanta in Italia, fosse tipicamente descrittivo e funzionale ad evidenziare alcune caratteristiche comuni di determinate borse, quali la capienza e la resistenza. Ha rilevato che il termine era usualmente impiegato in articoli comparsi su riviste di moda, associato a categorie di borse analoghe a quelle usate dai postini, rivelandosi, in tal modo, la natura descrittiva del termine, in simili contesti. Per tale dirimente ragione, quindi, l’utilizzo della parola in questione da parte della società convenuta per commercializzare e pubblicizzare i propri prodotti non costituiva violazione dei diritti di privativa facenti capo al GZ.
7. La difesa dell’appellante ha contestato la ritenuta assenza del carattere distintivo del marchio “postina”, sottolineando l’erroneità del presupposto - non dimostrato, né argomentato - che esistesse uno specifico modello di borsa utilizzato dai postini negli anni cinquanta; ha, quindi, ribadito l’erroneità della dedotta replica del modello in articoli attuali, denominato con il termine “postina”. In particolare, l’appellante ha sottolineato come non fosse stata fornita alcuna prova dell’esistenza di un tale modello di borsa, poiché da nessun elemento probatorio emergeva che con il termine postina venisse indicata una specifica borsa usata dai postini in Italia nel sopra detto contesto temporale, in epoca anteriore al deposito della domanda di registrazione del marchio “postina” da parte del GZ. A tale riguardo, evidenziava come i documenti nn. 5 e 6 prodotti dalla parte convenuta in primo grado non dimostrassero affatto che gli operatori economici utilizzavano il segno “postina” per indicare le borse in questione, in quanto i documenti erano relativi ad annunci Ebay o Amazon e a periodici di moda, che non provavano che il segno de quo fosse comunemente usato dai produttori. Deduceva, inoltre, la violazione dell’ art. 115 c.p.c. in relazione all’attività istruttoria, dal momento che le ricerche effettuate dal giudice sui motori di ricerca con l’utilizzo del termine “postina” erano state svolte in modo autonomo, in violazione del principio del contraddittorio ex art. 101 c.p.c. . Ad ulteriore conforto, il GZ assumeva che altri produttori, quali F, C, G, MM, CC, F, PC non avevano in alcun modo utilizzato il termine “postina”; che, infatti, era associato ad essa appellante, come risultava proprio dalle ricerche sul web.
8. La difesa della parte appellata assumeva che l’argomentazione dell’uso antecedente alla registrazione era priva di pregio, considerato che, come risultava dalla documentazione in atti, il termine postina era stato registrato da PI antecedentemente rispetto al GZ. Riteneva infondata l’argomentazione circa l’illegittimità della sentenza di primo grado per non avere il giudice valutato le eccezioni sollevate dal GZ sui documenti nn. 5 e 6 posti a base della decisione, alla luce del noto principio del libero apprezzamento delle prove da parte dell’autorità giudiziaria, previa esposizione delle ragioni poste a base del proprio convincimento. Alla luce di quanto sopra, era dunque evidente che non vi era stata violazione alcuna né dell’art. 115, né dell’ art. 116 c.p.c. , neppure laddove il giudice aveva fatto riferimento alle ricerche effettuate sui motori di ricerca, circostanza, questa, del tutto scontata.
9. Opinione della Corte quanto ai motivi sub a) e b). La Corte ritiene utile riassumere le circostanze in fatto all’origine del presente contenzioso.
10. L’odierna appellante aveva proceduto alle registrazioni di marchio denominativo italiano “Postina” n. 0001418111” in data 8.2.11, del marchio “Postina originale” n. 0001418112 in data 8.2.11. Il Gruppo era, inoltre, titolare del marchio figurativo italiano “Postina The Bag” n. 0001469221 registrato in data 9.11.11 e dei design europei dal n. 001859489-0001 al n. 001859489-005 datati 5.5.11. In occasione della normale attività di monitoraggio del mercato, il GZ contestava alla convenuta, mediante diffida datata DD/MM/13, la condotta illecita integrata dalla violazione dei diritti di esclusiva in forza delle registrazioni del marchio. La società TB replicava in data DD/MM/13, dichiarando di non essere disponibile a cessare tale condotta e assumendo che avrebbe continuato ad utilizzare il marchio registrato per contraddistinguere e commercializzare i propri prodotti. Queste essendo le sintetiche premesse in fatto, occorre a questo punto esaminare il materiale istruttorio acquisito alla controversa per verificare se effettivamente il termine “postina” fosse stato usato antecedentemente all’epoca delle registrazioni da parte del GZ s.r.l. e per accertare se tale termine connotasse in modo univoco una determinata categoria merceologica.
11. In primo luogo, debbono essere esaminati i documenti nn. 5 e 6 prodotti dalla convenuta in primo grado e contrassegnati quali documenti sub n. 13 dalla parte appellante. E’ utile, a questo proposito, riportare le diciture comparse in detti annunci: “A Jeans borsa postina a tracolla Nuova Collez. Prim./E 2014, annuncio comparso su Ebay il 22.5.14; “Violetta Disney Borsa Scuola Messenger Postina”, annuncio del 22.5.14 su Ebay; “borsa postina donna – linea ribbon – camomilla – grande (colore: grigio), annuncio del 22.5.14; “borsa gola postina” annuncio del 22.5.14; “tracolla sterling superga invicta postina rossa”, del 22.5.14 su Ebay; articoli di moda tratti da riviste tipo Elle in cui il termine “postina” è riferito ad alcune borse. Ebbene, da tali documenti non è minimamente ricavabile l’utilizzo del predetto termine riferito a borse di produttori diversi dal GZ, essendo, invece, incontestabilmente emerso che il termine era stato utilizzato da privati venditori, registrati su siti di commercio on line e da riviste di moda in epoca successiva alle registrazioni tutte del 2011 da parte di Z.
12. In secondo luogo, a fronte di tali emergenze e sulla base delle registrazioni effettuate dall’odierna appellante, era preciso onere della parte convenuta dimostrare l’uso, se non costante, per lo meno frequente, da parte di altri produttori, del termine in questione. Ebbene, da tutta la documentazione anche cartacea versata in atti, non è ricavabile un solo elemento fattuale circa l’utilizzo, da parte di altri produttori, di detto termine in epoca anteriore al 2011, ossia alle date delle registrazioni effettuate dalla società Z. Né elementi specifici in tal senso sono desumibili da ricerche via internet, che, non essendo indicate in modo puntuale, non possono assurgere al rango di prova tipica e dunque legalmente ammissibile. A tale proposito, infatti, la S.C. ha assunto che “il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), ex art. 115, comma 2, c.p.c. , deve essere riferito ad eventi di carattere generale ed obiettivo che, proprio perché tali (come, ad esempio, la svalutazione monetaria, oppure un evento bellico), non hanno bisogno di essere provati nella loro specificità; sicché, ai fini probatori previsti da detta norma, non è consentito generalizzare situazioni particolari e se, in taluni casi, la considerazione della notorietà può essere limitata ad una cerchia sociale o territoriale ristretta, quale un insieme di persone aventi tra loro una comunanza di interessi, cosi da far assurgere all’alveo del notorio anche nozioni sicuramente esorbitanti da quella cultura media che rappresenta il naturale parametro della nozione in oggetto, giammai tale comunità ristretta può essere individuata sulla base di un mero carattere territoriale” ( v. Cass. civ. n. 5530/17 ).
13. Alla luce di tali emergenze, quindi, non è condivisibile l’assunto secondo cui l’uso del termine “postina” da parte di operatori del settore era idoneo a descrivere una specifica tipologia di prodotto ispirantesi a borse tipiche dei postini negli anni ’50. Ciò in considerazione del fatto che non è stata fornita alcuna prova in ordine all’esistenza di una determinata tipologia di borsa, con specifiche e comuni caratteristiche, dato che la parola “postina” è idonea a descrivere solo il mestiere del postino svolto da una donna, ma minimamente è riferito ad un determinato e, tanto meno, univoco prodotto. A conforto di quanto sopra, è sufficiente pensare a contrario ai termini “marsupio”, “tracolla”, “trolley”, questi, invece, immediatamente associati ed associabili ad una determinata categoria merceologica.
14. Del resto, è sufficiente leggere la stessa comparsa costitutiva di TB s.p.a. per cogliere un dato saliente e contrario alla tesi dalla stessa prospettata: con il termine “postina” vengono indicate borse anche molto diverse tra loro e tanto è sufficiente per escludere un qualsivoglia comune denominatore, ispirato a capienza e resistenza, caratteristiche, peraltro, ben poco connotative di una tipologia di prodotto quale la borsa.
15. Con riguardo, poi, al marchio registrato da PI ( v. doc. n. 8 del fascicolo di primo grado dell’appellata), la Corte rileva che il marchio registrato da PI, in primo luogo, è ben diverso, dal punto di vista grafico, rispetto a quello del GZ e che, in secondo e dirimente luogo, PI ha addirittura promosso il marchio “postina” di Z (come risulta dai documenti nn. 12.a, 12.b, 12.c del fascicolo di primo grado dell’impugnante), omaggiandolo addirittura con un timbro filatelico personalizzato (doc. n. 9.a del fascicolo di primo grado dell’appellante). Infine, è di tutta evidenza documentale come l’odierna appellante abbia puntualmente contrastato gli utilizzi illegittimi del marchio con la produzione delle diffide ( doc.ti nn. da 9.d a 9.h del fasc. di primo grado di Z), mediante una sistematica attività di monitoraggio del marchio. Pertanto, alla luce di tutte tali conclusioni, reputa la Corte che l’odierna appellata abbia illegittimamente utilizzato il marchio di cui è titolare il GZ, in violazione del diritti di privativa di cui all’ art. 20 c.p. i. Ciò alla luce della capacità distintiva del marchio in questione e dell’assenza del carattere descrittivo dedotto dalla parte appellata.
16. La Corte esamina congiuntamente, per comodità espositiva, i motivi sub c) e d). Con riguardo a tali profili, va premesso che il giudice di prime cure, avendo ritenuto l’utilizzo, da parte della convenuta, del segno “postina” in modo conforme alla prassi commerciale e nel rispetto dei principi di correttezza professionale, non ha, di conseguenza, riconosciuto alcun danno; né ha riconosciuto la ricorrenza di alcuna delle fattispecie di cui all’ art. 2598, I comma, nn. 1, 2, 3 c.c. .
17. Parte appellante ha osservato come la contraffazione del marchio produca un effetto di disturbo e di perdita di valore del segno “che possono mettere in ombra il profilo del mancato guadagno del titolare” (v. pag. 31 dell’atto di appello). Ha, inoltre, dedotto la ricorrenza quanto meno della fattispecie di cui all’ art. 2598, I comma, n. 1 c.c. , a motivo della confondibilità dei prodotti pubblicizzati nella stessa categoria merceologica della società odierna appellata. Ha, infine, dedotto la sussistenza delle ulteriori ipotesi di cui alla predetta disposizione codicistica.
18. La difesa della parte appellata ha sottolineato come il GZ non abbia fornito alcuna prova degli asseriti danni: ed, invero, se effettivamente l’uso della parola postina da parte della stessa avesse danneggiato gli assets economici del GZ, “la celerità nell’inibire il comportamento ritenuto dannoso avrebbe rappresentato l’unica tutela dotata di qualche utilità; il lungo periodo di tempo (quasi due anni!) che il GZ ha fatto trascorrere tra la prima contestazione e la richiesta di inibitoria è di per sé prova dell’insussistenza di qualsivoglia danno” ( v. pag. 21 della comparsa di costituzione). Ha, quindi, escluso la ricorrenza di alcun danno ex artt. 1223 e 2600 c.c. , dal momento che manca un qualsivoglia documento di carattere contabile idoneo a dimostrare il danno lamentato dall’appellante. Infine, ha contestato la riconducibilità della propria condotta all’attività illecita di cui all’ art. 2598, I comma, n. 1 c.c. , in quanto l’utilizzo del termine in questione con valenza descrittiva esclude in radice qualsiasi ipotesi di confondibilità.
19. Opinione della Corte quanto ai motivi sub c) e d). Occorre premettere che la liquidazione equitativa del danno ai sensi dell’ art. 1226 c.c. presuppone che il pregiudizio economico reclamato sia certo nella sua esistenza storica ( v. Cass. civ. n. 3794/08 ). La S.C. ha osservato che “la liquidazione equitativa del danno patrimoniale, ai sensi degli artt. 2056 e 1226 cod. civ. , richiede comunque la prova, anche presuntiva, circa la certezza della sua reale esistenza, prova in difetto della quale non vi è spazio per alcuna forma di attribuzione patrimoniale. Occorre pertanto che dagli atti risultino elementi oggettivi di carattere lesivo, la cui proiezione futura nella sfera patrimoniale del soggetto sia certa, e che si traducano in un pregiudizio economicamente valutabile ed apprezzabile, che non sia meramente potenziale o possibile, ma che appaia invece - anche semplicemente in considerazione dell'"id quod plerumque accidit" - connesso all'illecito in termini di certezza o, almeno, con un grado di elevata probabilità, pur non essendo eventualmente suscettibile di prova del quantum” ( v. Cass. civ. n. 17677/09 ). Trasfondendo tali condivisibili arresti nel caso in esame, è di tutta evidenza come la difesa dell’appellante non abbia minimamente provveduto ad una necessaria attività di allegazione e, tanto meno, di prova. Non è in atti alcun documento contabile dimostrativo del danno emergente e del mancato guadagno sofferti dal titolare del diritto; né è in atti alcuna allegazione in punto di ragionevole royalty che il contraffattore avrebbe pagato se avesse ottenuto regolare licenza per commercializzare il prodotto; né soccorrono, infine, eventuali stime circa il profitto conseguito dal contraffattore o emergono altri fatti materiali idonei a dimostrare flessioni di fatturato ragionevolmente riconducibili all’attività di disturbo da parte dell’appellata. Per tali motivi, non è da riconoscere alcuna somma a titolo di risarcimento del danno, che non può essere ritenuto in re ipsa, in difetto, quanto meno, dell’allegazione circa l’impossibilità relativa di fornire adeguata prova dello stesso. Con riguardo al giudizio di confondibilità, la Corte osserva che, effettivamente, tenuto conto dell’identico settore merceologico, l’utilizzo del termine “postina”, la pubblicizzazione delle borse nei sopra detti termini costituiscono attività idonee a creare confusione con le borse commercializzate dall’odierna appellante, con conseguente beneficio economico dell’appellata.

20. Alla luce delle sopra esposte considerazioni, pertanto, in riforma della sentenza di prime cure, la Corte accerta che la condotta posta in essere dall’odierna appellata costituisce violazione dei diritti esclusivi di proprietà industriale facenti capo al GZ. Per l’effetto, inibisce a PP s.p.a. l’utilizzazione, in qualunque modo e forma, del termine “postina” quale segno distintivo dei propri prodotti, nonché l’utilizzo di tale dicitura per la pubblicazione e la diffusione di materiale o messaggi pubblicitari. Tenuto conto della necessità di diffusione del contenuto della presente decisione, ordina, a cura e spese dell’appellata, la pubblicazione del dispositivo della sentenza in caratteri doppi del normale sul quotidiano “Il Corriere della Sera”, considerato il carattere trasversale dei lettori dello stesso. Ai sensi dell’ art. 614 bis c.p.c. , reputa congruo fissare una penale di € 10.000,00 per ogni violazione successiva alla presente sentenza e per ogni giorni di ritardo nell’esecuzione della stessa.
21.L’esito del gravame comporta l’assorbimento dell’ulteriore questione relativa alla volgarizzazione del marchio.
22.Parte appellata deve, infine, rifondere, in favore del GZ s.r.l., le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente decidendo nella causa n. 881/17 R.G., così provvede:
I. in riforma della sentenza n. 12307/16 emessa dal Tribunale di Milano in data 23.5.17 ,accerta la violazione dei diritti esclusivi di proprietà industriale di pertinenza del GZ s.r.l. ad opera della società TB;
II. per l’effetto, inibisce a TB l’utilizzazione, in qualunque modo e forma, del termine “postina” quale segno distintivo dei propri prodotti, nonché l’utilizzo di tale dicitura per la pubblicazione e la diffusione di materiale o messaggi pubblicitari;
III. condanna TB a pubblicare, a propria cura e spese, il dispositivo della presente sentenza in caratteri doppi del normale sul quotidiano “Il Corriere della Sera” entro 30 giorni dalla pubblicazione della sentenza;
IV. fissa, ex art. 614 bis c.p.c. , la penale di € 10.000,00 a carico di TB per ogni violazione successiva alla presente sentenza e per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della stessa;
V. respinge la domanda di condanna di TB al risarcimento dei danni in favore di FZ in proprio e quale legale rappresentante del GZ s.r.l.;
VI. condanna TB a rimborsare, in favore di FZ in proprio e quale legale rappresentante del GZ s.r.l., le spese processuali, che liquida, quanto al primo grado di giudizio, in € 10.343,00; quanto al secondo grado di giudizio in € 7.264,00 - oltre, in entrambi i casi, agli accessori come per legge. Così deciso dalla Corte d’Appello di Milano come sopra composta e riunita in camera di consiglio in data 3.10.18. Il Cons. rel. giu3 Il Presidente giu1