Sentenza 697/2015 della Tribunale Ordinario Di Milano Specializzata In Materia Di Impresa A Civile

N.R.G. 14798/2013 Sentenza n. 697/2015 pubbl. il 20/01/2015 RG n. 14798/2013 Repert. n. 558/2015 del 20/01/2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA “A" CIVILE Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:
dott.ssa giu1 dott. giu2 Giudice a latere dott.ssa giu3 estensore

ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 14798/2013
promossa da:
FALL.TO CM S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, con il patrocinio dell‟avv. LWMA e dell‟avv. RF, VIALE XXX, XX XXXXX XXXXXX, elettivamente domiciliato in VIALE XXXXX XXXX, XX XXXXXX presso il difensore avv. LWMA
ATTORE
contro
B S.R.L., con il patrocinio dell‟avv. CM, elettivamente domiciliato in XXXX XX XXXXX XXXXXXXX, XX XXXXX XXXXXX presso il difensore avv. CM
OGGETTO: domanda di risarcimento del danno causato dall‟annacquamento di marchio d‟impresa, dalla registrazione in mala fede e da condotte di concorrenza sleale

CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale di udienza di precisazione delle conclusioni all‟udienza del 7.10.2014

Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.
1.Le vicende processuali
Con atto di citazione notificato in data 12.3.2013, il FC Milano s.r.l. in liquidazione conveniva innanzi alla Sezione Specializzata B s.r.l., lamentando condotte illecite della convenuta che avevano ridotto il valore del proprio marchio “C", comportando una vendita dello stesso in sede concorsuale per un importo notevolmente inferiore rispetto al potenziale prezzo di realizzo. Parte attrice premetteva che l‟originaria ed omonima società titolare del marchio, C s.r.l., attiva nel settore della produzione e vendita al pubblico di prodotti di gelateria con sede in XXXXXX, via XXX n.9, nel gennaio 2008 aveva stretto un accordo di investimento con il terzo BFD: in virtù di tale accordo era stata costituita la nuova società, odierna attrice, CM s.r.l., alla quale era stato conferito l‟omonimo marchio mentre l‟originaria società mutava la propria denominazione sociale in B. Il rapporto di partnership prevedeva altresì la concessione in licenza a favore di B del marchio, quale insegna e quale domain name dell‟attività di gelateria, esercitate nell‟omonima via. Intervenuta la liquidazione prima ed il fallimento poi dell‟attrice, in sede concorsuale un soggetto terzo - MC s.p.a.- aveva inizialmente formulato in data 13.12.2010 una proposta di acquisto del marchio, nell‟ambito di una proposta di concordato fallimentare, per il complessivo importo di € 229.393,53. Nonostante il parere favorevole del curatore e del comitato dei creditori, C aveva tuttavia revocato la propria offerta giacché nel frattempo B, scaduto il contratto di licenza con l‟attrice, si era resa responsabile dell‟alterazione del segno “chocolat", convertendolo in “S" - quest‟ultimo registrato in sede nazionale in mala fede- ed utilizzato dello storico locale. Con conseguente confusione presso il pubblico e riduzione del valore commerciale del marchio del fallimento. A ciò si aggiungevano condotte concorrenzialmente scorrette, concretatesi nel “reindirizzamento" dei clienti dell‟attrice dal sito www.chocolatmilano.it a quella della convenuta www.schokolat.it, cessate solo a seguito di diffida. Nel frattempo in sede fallimentare, estinto il giudizio di omologazione del concordato per revoca della proposta di C, il marchio veniva venduto a favore di un soggetto terzo per la minor somma di € 30.000,00. Parte attrice quantificava dunque il danno patito nell‟importo di € 169.393,63, pari alla differenza tra la proposta di acquisto formulata da MC (per € 229.393,53) e quanto corrisposto da quest‟ultima in sede di proposta concordataria (€ 30.000,00) oltre a quanto percepito dalla procedura concorsuale dal terzo acquirente (per ulteriori € 30.000,00). Invocava altresì un‟ulteriore posta di credito maturata a causa del mancato pagamento dei canoni di licenza maturati dopo la scadenza del contratto. Infine chiedeva la restituzione degli utili conseguiti dalla convenuta attraverso la contraffazione. Costituendosi, B eccepiva la debolezza del segno di controparte nel settore della gelateria -giacché descrittivo di uno dei prodotti più comunemente utilizzati per il gelato ed assai diffuso nel relativo settore- e sottolineava la diversità del proprio marchio. Eccepiva inoltre che C non aveva perfezionato l‟acquisto in sede concorsuale per ragioni altre e diverse rispetto a quale prospettate da controparte, quale la sopravvenuta carenza di liquidità necessaria per l‟acquisto ed il protrarsi dell‟inattività di B. Eccepiva infine il difetto di legittimazione attiva del fallimento. In sede istruttoria, il giudice ordinava alla convenuta l‟esibizione delle proprie scritture contabili. All‟esito, sulla precisazione delle conclusioni all‟udienza del 7.10.2014 la causa veniva rimessa in decisione, previa assegnazione dei termini di legge per il deposito degli scritti difensivi finali. 2.La legittimazione attiva del fallimento
Parte convenuta precisa che il rapporto di concorrenza rispetto ad un imprenditore fallito è configurabile solo ove sia stato consentito l‟esercizio provvisorio dell‟impresa ovvero quando sussistano concrete probabilità di ripresa dell‟imprenditore fallito, qui entrambe insussistenti. L‟eccezione va disattesa: il marchio “C" fa parte del patrimonio aziendale della società fallita oggetto di esecuzione di massa. Tale segno rappresenta probabilmente -se non il cespite più rilevante- certamente uno dei più importanti dell'asse attivo. In effetti, nella fase di dismissione del patrimonio aziendale attuato attraverso la procedura concorsuale non si verifica la decadenza del marchio, giacchè la cessazione dell'impresa coincide solo con l'esaurimento della fase di liquidazione (cfr. anche ante riforma del 1992 Cass. 4598/1998 ). Permane quindi un interesse degli organi fallimentari alla protezione del marchio di titolarità dell'azienda sottoposta a procedura concorsuale. Il fallimento è quindi legittimato ad agire per tutelare tale elemento attivo al fine di elidere condotte che ne annacquino o comunque riducano l'appetibilità sul mercato in relazione ad una vendita concorsuale il più proficua possibile ovvero ad agire, come nel caso in esame, in via risarcitoria ove tale risultato sia stato indebitamente frustrato. La procedura è l‟unica titolare della relativa posizione sostanziale e, simmetricamente, del potere processuale di agire per la sua tutela, anche ove il marchio venga attaccato indirettamente, attraverso cioè condotte concorrenzialmente scorrette che ne sviliscano il valore a danno della massa dei creditori.

3.La domanda risarcitoria.
Ciò premesso e passando al merito, la domanda attorea di risarcimento del danno, cagionato dalla pretesa lesione patrimoniale del diritto soggettivo di titolarità dell‟attrice (il marchio C) per comportamenti illeciti della convenuta, è fondata. 3.1. Quanto alla lesione del marchio
Il fallimento è titolare di una famiglia di marchi aventi quale nucleo individualizzante il sostantivo “C", dotato di una particolare caratterizzazione grafica. La parola è riprodotta in carattere stampatello maiuscolo con lettere di diverse dimensioni: le consonanti sensibilmente più grandi rispetto alle vocali; inoltre la vocale “o" è piena (docc. 3 e 4 di parte attrice). Ciascuna registrazione presenta poi degli ulteriori elementi di differenziazione, quale ad esempio il disegno di una mucca stilizzato o ancora di una tazza. Seppure la parola “C" sia oggetto di 74 registrazioni a livello nazionale, ed in particolare nel settore della gelateria, l‟eccezione di nullità per descrittività sollevata dalla difesa della convenuta non può trovare accoglimento. Se non si può negare che il cioccolato sia uno dei gusti più diffusi di gelato e, dunque, il relativo sostantivo sia parzialmente evocativo di tale dolce, tuttavia in primo luogo la relazione non è univoca ed esclusiva (giacché il cioccolato è un ingrediente di molto altri dolci e per converso molti gusti di gelato non sono di cioccolato); in secondo luogo la peculiare caratterizzazione grafica sopra descritta ne assicura qui una sufficiente capacità distintiva e, simmetricamente, uno specifico spazio di tutela contro l‟attacco di terzi. Va inoltre precisato che il marchio dell‟attrice ha acquistato una sicura ed importante notorietà locale presso il pubblico milanese, attestata dai documenti depositati agli atti (cfr. doc. 5 del fallimento).
3.2. La condotta illecita della convenuta
Parte convenuta ha posto in essere un serie di condotte che hanno sminuito il valore di scambio del segno attoreo. In primo luogo B ha registrato ed utilizzato un marchio - “SM"- interferente con quello attoreo e lo ha pacificamente utilizzato quale insegna dello storico locale. Parte convenuta ha negato l‟interferenza sottolineando che il proprio segno si distinguerebbe sotto il profilo:
-grafico, sia per la tipologia di carattere tipografico utilizzato, sia per il font: stampatello maiuscolo per “chocolat", stampatello minuscolo per “SM;"
-concettuale, giacchè “shockolat" sarebbe un neologismo sorto dalla crasi tra il termine inglese “Shok" (grafia più diffusa di quella originaria francese “choc") e quello francese “chocolat", dotato quindi di una apprezzabile differenza semantica;
-fonetico, derivante dalla diversità sia di pronuncia sia di accento (S sarebbe una parola “sdrucciola", mentre il marchio di controparte sarebbe tronca).
Ritiene al contrario il Collegio che l‟esame comparativo dei due segni consenta di verificarne l‟interferenza tenuto conto che: -sotto il profilo grafico l‟impressione complessiva dei due brand è del tutto analoga. E ciò in virtù innanzitutto dell‟impiego, in entrambi i segni, di dimensioni molto piccole per le vocali contrapposte a quelle, molto maggiori, delle consonanti. La somiglianza della raffigurazione è accentuato dalla modalità di riproduzione della prima lettera di “S": la “S" presenta la prima curva in alto molto più grande di quella in basso, così disegnando una sorta di “C" col codino, che inevitabilmente richiama la prima lettera del marchio di controparte; inoltre, la riproduzione della seconda lettera (H) ha un carattere del tutto analogo quello del segno del fallimento. L‟impatto visivo complessivo è dunque assai simile; -sotto il profilo concettuale e fonetico dalla convenuta appaiono minime e comunque poco percepibili da parte dall‟osservatore medio; l‟impressione generale suscitata dai due marchi non si discosta al punto da segnare una decisiva cesura tra le due impressioni generali. Al giudizio positivo sull‟interferenza non osta la considerazione che, in effetti, nel caso in esame la registrazione del segno non possa essere sanzionata ex art. 19 c.p. i., trattandosi quella ivi disciplinata di registrazione in mala fede che presuppone quali requisiti: a) la registrazione effettuata con il solo intento di danneggiare il concorrente, non seguita da un utilizzo effettivo; b)il segno del concorrente non goda di piena tutela giuridica in quanto non registrato, condizione qui insussistente. Seppure non vi siano i presupposti per l‟applicazione della relativa disciplina ma eventualmente quella di cui all‟ art. 12 c.p. i., la condotta della convenuta ha influito in negativo sul valore di scambio del marchio del fallimento, anche tenuto conto dell‟impiego che ne è stato fatto, ossia quale insegna dello storico locale da sempre identificato dal pubblico con il marchio attoreo. Assorbente per predicare la lesione al valore di quest‟ultimo è in ogni caso il contestuale utilizzo da parte di B anche del segno “C", mantenuto dalla convenuta ad esempio nell‟indicazione della denominazione sociale riprodotta negli scontrini fiscali fino al 2013 (doc. 27 di parte attrice). Con conseguente effetto confusorio sulla capacità attrattiva del marchio, quale veicolo del messaggio della qualità del prodotto oltre che dell‟origine imprenditoriale del bene da esso contraddistinto. A ciò si aggiungono ulteriori condotte concorrenzialmente scorrette che hanno avuto quale effetto di ulteriormente indebolire il segno del fallimento, concretatesi nel “reindirizzamento" dei clienti dell‟attrice dal sito www.chocolatmilano.it a quella della convenuta
www.shockolat.it, condotta qui non contestata e cessata solo a seguito di diffida.
3.3. Il nesso causale
Ritiene il Tribunale che sia altresì provato il nesso causale tra le condotte illecite dianzi descritte e la perdita economica subita dalla procedura in sede di vendita forzata. Come accennato, il terzo MC aveva inizialmente manifestato il proprio interesse all‟acquisto del marchio del fallimento, formalizzando un‟offerta pari ad € 229.393,53. Tale proposta è stata tuttavia successivamente revocata in quanto, secondo quanto dichiarato nella relazione di bilancio chiuso al 31.12.2011 da MC, la “ribrandizzazione" del marchio aveva fatto venire meno l‟interesse della società al relativo acquisto (cfr. doc. 9 pagg. 8 e 9 di parte convenuta: “è venuto meno il più importante riferimento di questa operazione, azzerando praticamente la storia commerciale del brand C"). Parte convenuta ha eccepito che C non avrebbe perfezionato l‟acquisto per ragioni altre e diverse rispetto a quale prospettate da controparte, quali la sopravvenuta carenza di liquidità necessaria per perfezionare l‟operazione ed il protrarsi dell‟inattività di B (cfr., ad esempio, doc.9, pagg.8-9 di parte convenuta). Sul punto ritiene il Collegio che la scelta del terzo di non procedere all‟acquisto del marchio “chocolat" sia venuta meno per una pluralità di ragioni, alcune rinvenibili nelle diverse circostanze evidenziate dalla convenuta, ma una comunque riconducibile invece proprio agli illeciti della convenuta. E l‟eccezione sul punto di B, secondo la quale l‟ interesse all‟acquisto si appuntava più sul valore commerciale del punto vendita di via XXX piuttosto che sul marchio “C" e che, di conseguenza, la dissociazione del secondo rispetto al primo avrebbe provocato la revoca della proposta d‟acquisto, non coglie nel segno. Invero, oggetto della vendita forzata non era lo storico
locale ma solo il relativo brand: la vaRluetpaezrti.on.e55d8i/20q1ue5sdte‟lu2lt0i/0m1o/2015
espressa in sede concorsuale –seppure forse indirettamente collegata al locale e ad eventuali trattative con LM, figura di riferimento di B - prescindeva formalmente da ogni connessione con il punto vendita e cristallizzava esclusivamente il valore di scambio, seppure in sede concorsuale, attribuitogli dall‟offerente.

3.3. il profilo soggettivo
La consapevolezza di ledere le posizioni soggettive dell‟attrice è evidente dal contesto fattuale nel quale è maturato l‟illecito. Scaduto il contratto di licenza con parte attrice, la convenuta ha inteso continuare ad avvantaggiarsi della capacità attrattiva del marchio “C", senza pagare i canoni e senza acquistarlo. E ciò sfruttando -anche- il possibile effetto confusorio sul pubblico derivante dalla gestione del medesimo locale di via XXX. All‟onere di differenziazione dettato da regole di correttezza professionale sono state preferite invece una pluralità di condotte dirette a svuotare a proprio vantaggio la capacità attrattiva del segno di controparte: il reindirizzamento della clientela legata al marchio “C" ne è un chiaro indice rivelatore.
3.4.La quantificazione del danno
Quanto alla quantificazione del pregiudizio, le poste di credito vengono articolate: nei minori introiti conseguiti in sede di vendita fallimentare, nel mancato pagamento dei canoni di licenza (pari al 2% del fatturato annuo così come previsto nel contratto stipulato tra le parti e poi scaduto, cfr. doc. 2 di parte attrice) nonché negli utili conseguiti da B, dei quali viene chiesta la retroversione. Quanto al primo aspetto, va premesso che al momento dell‟accordo di investimento stipulato con il terzo BDHF il marchio “C" era stato valutato per il significativo importo di € 400.000,00, riflesso evidente della sua capacità attrattiva sul mercato. Verificato che la condotta della convenutRaepheart.in.c5i5s8o/2s0u1l5ladelre2v0o/0c1a/2015
all‟acquisto solo in parte, Il Tribunale ritiene di quantificare tale contribuito causale per la sola frazione della metà.
Il mancato ricavato della vendita forzosa imputabile alla convenuta viene dunque in via equitativa liquidato nella minor somma di € 84.500,00 rispetto al maggior importo di € 169.000,00 richiesto dal fallimento. Una ulteriore posta di credito –autonoma rispetto alla perdita in sé del valore di scambio del bene- afferisce ai mancati guadagni che la procedura avrebbe conseguito ove l‟utilizzo, dopo la cessazione del contratto di licenza, del marchio interferente quale insegna si fosse accompagnato al pagamento a favore della titolare dei relativi canoni. Va premesso che tale posta può essere richiesta dal fallimento solo fino al momento in cui è stata perfezionata la vendita in sede concorsuale, ossia fino al 4 febbraio 2013, data in cui la proprietà del marchio, e dunque anche del suo valore d„uso, è passata ad un soggetto terzo. Quanto alla sua quantificazione, appare congruo utilizzare quale criterio quello cristallizzato nel contratto di licenza, ove il canone era stato fissato nell‟importo pari al 2% del fatturato annuo (cfr. doc. 2 di parte attrice). Alla luce dei dati contabili acquisiti in corso di causa, la monetizzazione di tale pregiudizio, espunto il fatturato di febbraio-marzo 2013 successivo alla vendita forzata (doc. 14 di parte convenuta), ed utilizzando dunque quale base di calcolo l‟importo di € 1.581.069,64, ammonta ad € 31.621,39. Le somme sopra indicate esauriscono tutto il pregiudizio subito dall‟attrice, non potendo essere alle stesse aggiunta quale ulteriore posta la retroversione degli utili conseguiti dalla convenuta, criterio di ristoro del pregiudizio alternativo al lucro cessante ovvero riconoscibili nella misura in cui esso ecceda il risarcimento del danno (cfr. art. 125 c.p. i.). Tale tecnica riparatoria qui non è dunque applicabile, avendo parte attrice richiesto ed ottenuto il lucro cessante e non essendovi prova di un margine superiore di pregiudizio non coperto dal risarcimento.
4.Il governo delle spese
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, tenuto conto dell‟importo liquidato a titolo risarcitorio e non dell‟importo domandato nonché della rapida scansione processuale nella quale si è articolata la controversia.
P.Q.M..
Il Tribunale in composizione collegiale, definitivamente pronunciando sulle domande svolte da FCM s.r.l. contro B s.r.l. con atto di citazione notificato in data 12.3.2013, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
1)condanna parte convenuta al risarcimento del danno a favore dell‟attrice liquidato in € 116.121,39 oltre interessi legali dalla pronuncia al saldo; 2)condanna B s.r.l. alla rifusione delle spese processuali, liquidate a favore dell‟attrice in € 14.000,00 di cui € 1.000,00 per spese ed il residuo per compensi, oltre IVA, CPA, spese di registrazione e spese forfettarie al 15%. Così deciso in Milano in data 8 gennaio 2015 Il Presidente dott.ssa giu1 Il giudice estensore dott.ssa giu2