Sentenza 5437/2017 della Tribunale Ordinario Di Milano Sezione Specializzata In Materia Di Impresa sezione A Civile

N.R.G. 32237/2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO
SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA
SEZIONE “A" CIVILE
Il Tribunale, in composizione collegiale, nelle persone dei seguenti
magistrati:
dott.ssa giu1 Presidente dott.ssa giu2 Giudice a latere dott.ssa giu3 Giudice estensore

ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n.r.g. 32237/2013
promossa da:
S s.r.l., con gli avv.ti MZ e NF
ATTRICE
contro
L;C. s.r.l., con gli avv.ti MC, GP,
MF e SC
CL di FT, con gli avv.ti PI e SM DV
CONVENUTE
e contro
TM di BS s.a.s.
CONVENUTA CONTUMACE
OGGETTO: Azione di contraffazione di modello comunitario registrato,
concorrenza sleale; risarcimento del danno; pubblicazione.

CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d‟udienza
di precisazione delle conclusioni rassegnate in data GG.MM.2017, da
intendersi qui integralmente riportate.

CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA
DECISIONE
1. Le vicende processuali
A seguito di procedimento urgente ante causam definito con ordinanza
inibitoria, S S.r.l. –attiva nel mercato calzaturiero
italiano e mondiale – ha convenuto in giudizio L;C. s.r.l. –
azienda italiana operativa nel settore della commercializzazione di
calzature-, CL di FT –azienda
artigianale produttrice di calzature, anche su committenza- e
TM Di BS s.a.s. –rivenditore al dettaglio
chiedendo
l‟accertamento della contraffazione del proprio modello di
calzatura (“M") declinato in diverse linee
nonché l‟accertamento
della concorrenza sleale posta in essere dalle controparti
,
con
conseguente pregiudizio patrimoniale e non, del quale ha invocato il
ristoro.

C ha eccepito la carenza di legittimazione passiva e
chiesto l‟estromissione dal giudizio
L ha contestato, in via pregiudiziale, l‟incompetenza territoriale del Tribunale adito e, nel
merito, ha chiesto il rigetto delle domande attoree,
negando in
particolare la validità della privativa azionata
ed in ogni caso
sottolineando la diversità delle calzature L rispetto al modello
azionato.

Il Giudice, dichiarata la contumacia di T, concessi i
termini ex art. 183 comma 6 c.p.c. e disposta la C.T.U. contabile,
all‟udienza di precisazione delle conclusioni del GG.MM.2016 ha
rimesso la causa in decisione, previa assegnazione dei termini per il
deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
2. L’eccezione di incompetenza territoriale.
Il Tribunale delle Imprese è senz‟altro competente per materia a
conoscere la controversia, trattandosi qui di modello comunitario non
registrato, con conseguente applicazione del dettato di cui all‟art.
120 comma 6 c.p.i..
Quanto alla competenza per territorio, va ricordato che la Suprema
Corte, adita in sede di regolamento di competenza in ordine ai
criteri di collegamento previsti dalla disposizione citata, ha
escluso l‟applicabilità dell‟ art. 33 c.p.c. .
E ciò in quanto, tra
l‟altro: 1) l‟ art. 120 c.p. i. è norma speciale rispetto al genus
rappresentato dagli artt. 18 e 19 c.p.c. , i quali ultimi soltanto
legittimano la deroga per ragioni di connessione alle condizioni di
cui all‟ art. 33 c.p.c. ; 2) l‟ art. 120 c.p. i., oltre ai criteri di
collegamento modellati sugli artt. 18 e 19 c.p.c. , stabilisce
l‟ulteriore criterio di collegamento nel luogo della commissione del
fatto senza richiamare l‟ art. 33 c.p.c. ; 3) l‟applicazione dell‟art.
33 c.p.c. depotenzierebbe la disciplina speciale dell‟art. 120
c.p.i., rendendo residuale il criterio del giudice del luogo di
commissione del fatto (cfr. Cass. 21192/2011 , le cui più ampie
motivazioni debbono intendersi qui richiamate).
La Corte, in quell‟occasione, ha dunque concluso che, in materia di
proprietà industriale, per radicare la competenza – nell‟ipotesi di
più soggetti chiamati a rispondere del fatto illecito- occorre avere
riguardo esclusivamente al fatto lesivo, indipendentemente dal
criterio, non richiamato, dell‟ art. 33 c.p.c. , che consente di
proporre la controversia innanzi al foro generale di uno dei
convenuti, derogando al foro generale degli altri.
Tale orientamento è del resto in linea con quello consolidatosi sin
dalla fine degli anni „80 nella materia industriale e ribadito, anche
di recente, nella giurisprudenza di merito, secondo il quale la
frazione della condotta censurata posta in essere nella
circoscrizione territoriale del giudice adito (ovvero anche il danno
lamentato) deve essere riferibile necessariamente al soggetto
chiamato in giudizio (eventualmente anche unitamente agli altri).
Con la conseguenza che:
- ove le condotte delle convenute siano autonome, anche se lesive
dello stesso bene giuridico, non si ha connessione ex art. 33 c.p.c. ;
- ove si tratti di compartecipazione, anche in fasi diverse, alla
medesima condotta illecita, si ha invece connessione (cfr. Trib.
Milano ord. 20.2.2014).
Nel caso in esame pertanto, tenuto conto della prospettazione della
domanda, la stretta connessione oggettiva che lega le posizioni delle
tre convenute –la cui azione si colloca nelle diverse fasi della
condotta illecita: ovvero produzione, commercializzazione e vendita
al dettaglio– consente senza dubbio l‟evocazione in giudizio in
questa sede anche di L: e ciò non alla luce dell‟ art. 33 c.p.c. ,
bensì del primo comma dell‟ art. 103 c.p.c. (v. anche in generale
Cass. 12444/13 ).
L‟eccezione deve dunque essere respinta.
3. La domanda di manleva di CL di FT
Il Collegio ribadisce le considerazioni del G.I. relative
all‟eccezione sollevata da L, di tardività della domanda
riconvenzionale in manleva (c.d. domanda riconvenzionale trasversale)
formulata dalla difesa C, sollevata dalla convenuta
L.
Considerato il termine prescritto dall‟ art. 166, I comma, c.p.c. ,
tale domanda di manleva deve ritenersi tardiva e dunque
inammissibile.
Il convenuto si è costituito infatti in data
GG.MM.2013, ovvero dopo il termine di venti giorni che deve precedere
l‟udienza di comparizione delle parti, fissata in data GG.MM.2013.
E
ciò tenuto conto della costante giurisprudenza di legittimità (Cass.
n. 19530/2005; Cass. n. 6225/2005; Cass. n. 2807/1997, Cass. n.
26/1995) secondo la quale, a proposito dei termini che devono essere
calcolati a ritroso, come quello fissato per la costituzione del
convenuto, si ribalta la regola generale disposta dall‟art. 155, I
comma, c.p.c.; di conseguenza non si computa il dies ad quem, che nel
caso di specie corrisponde al giorno dell‟udienza ed assume il ruolo
di giorno iniziale, e si tiene invece conto del dies a quo.
Pertanto la domanda di C non merita accoglimento. 4. La validità dei modelli dell’attrice
L‟attrice è titolare di alcuni design comunitari -nn. 002000661/0018,
002000661/0019 e 002000661/0025 registrati in data GG.MM.2012- relativi
ad una scarpa sportiva a stivaletto da donna, che costituisce una
rielaborazione della scarpa a stivaletto da donna, di tipo “runner",
le cui linee sono riprese da una sua calzatura commercializzata con
il nome di “Marta" (docc. A, sub 4, 5 e 6 di parte attrice).
Gli elementi individualizzanti della calzatura de quo sono
rappresentati da: una zeppa interna; la forma a stivaletto; la
chiusura con combinazione tra strappo e lacci; la linguetta
imbottita, alta, posta anteriormente; la suola, a tre strati, con
fondo seghettato; la sagoma affusolata; la tomaia munita di
particolari impunture, cuciture e rinforzi; i disegni formati da
sovrapposizioni stratificate di materiali di colori diversi.
L ha eccepito la nullità del modello azionato in quanto
preceduto da varie anteriorità invalidanti, tra cui il modello
prodotto dalla società Ash e quello, registrato, della stilista
francese Isabel Marant, quest‟ultimo ritenuto una sorta di
capostipite dello specifico modello di calzatura oggetto del
giudizio.
Si tratta in effetti di un genere di scarpa sportiva,
coniugata come stivaletto femminile con una zeppa interna, declinato
in varie modulazioni sul mercato da diversi altri operatori (Zara,
Marc Jacobs, etc.).
Le convenute hanno rilevato che tali modelli sarebbero dotate di
tutti gli elementi indicati dall‟attrice come individualizzanti il
proprio design, sì da escludere la novità e comunque il carattere
individuale.
Va premesso che il requisito del carattere individuale è rinvenibile
-secondo la migliore dottrina- nella c.d. differenza qualificata, non
limitata a dettagli irrilevanti, ma incidente sull‟impressione
generale suscitata dal modello.
L‟indirizzo qui seguito, seppure non
univoco, ritiene tale presupposto assai meno pregnante rispetto a
quello prescritto dalla normativa previgente, che richiedeva una vera
e propria potenzialità nel far evolvere il gusto e nel configurare
una nuova estetica (speciale ornamento).
Con la conseguenza che,
sotto il nuovo regime, “l’ambito delle forme tutelabili ne risulta
ampliato a tutte quelle che presentano una originalità estetica che
possa da sola orientare le scelte di acquisto del consumatore finale"
(cfr. Tribunale di Milano, sentenza n. 3036/2010 ).
E queste forme -attributive proprio di quel livello di individualità
tali, secondo alcuni, non solo da attirare l‟attenzione del
consumatore, ma altresì da costituire motivo di preferenza per
l‟acquisto (cfr. in ordine a tale ultimo orientamento, Tribunale
Bologna, 23.9.2009, G. Est. Bariscia)- sono proprio quelle che
segnano il confine della privativa tutelabile, giacché è proprio a
quel quid di distinzione che viene conferita tutela.
Nel caso in esame, le due anteriorità non sono tuttavia distruttive. In particolare, quanto al modello “Marant" vanno richiamate le
precedenti conformi pronunce di questo Tribunale (cfr. in
particolare: sentenza n. 2632/2016, ordinanza cautelare R.G.
49062/2013, ordinanza cautelare R.G. 28031/2014, provvedimenti nei
quali è stata esaminata la medesima anteriorità).
E‟ stato in proposito osservato che:
-“la scarpa capostipite presenta un motivo sulla tomaia che appare
simile ad una ragnatela, ottenuta con una serie di strisce in colore
più scuro, che risaltano sul fianco più chiaro, con un puntale in
tinta scura che si raccorda con un bordo, della medesima tinta, che
si estende lungo il perimetro della tomaia sino al tallone. Invece,
il modello S presenta una serie di volute di andamento
differente, che si interrompono a metà della tomaia, mentre nessun
elemento di raccordo è presente tra tallone e punta, pure di colore
scuro contrastante";
- - “i modelli Marant sono chiusi esclusivamente attraverso cinturini
raccordati con le strisce laterali, mentre quello S presenta
un solo cinturino ed una stringatura tradizionale";
-“proprio nell’elemento che appare maggiormente qualificante
l’effettiva individualità della registrazione di S -e cioè
l’alternanza e sovrapposizione di materiali e di colori che determina
il disegno della tomaia– vi è uno stacco netto tra i contrapposti
prodotti".
Dunque “l’effetto complessivo di siffatte lavorazioni è tale da
ingenerare nel consumatore informato un’impressione di evidente
dissomiglianza", con conseguente autonoma validità del modello
“Marta" ( Trib. Milano, Sent. n. 2632/2016 ).
A ciò si aggiunga che il modello sulla tomaia della calzatura
“Marant" è formato da una combinazione di alcune linee che
configurano una “V" rovesciata, donando uno sviluppo verticale alla
scarpa; al contrario i modelli S disegnano linee più morbide
che seguono uno sviluppo orizzontale della tomaia (cfr. doc. 12 di
parte attrice).
Passando alla collezione FW 12713 di produzione Ash, presentata a
Parigi nel gennaio 2012, le calzature presentano elementi decorativi
estranei (la diversa suola ed i differenti disegni della tomaia,
frutto di una particolare combinazione di linee dritte e a raggiera
che paresi estendano dalla parte alta alla parte bassa della
calzatura) alle scelte estetiche caratterizzanti il modello
dell‟attrice.
Non si tratta di dettagli, quelli introdotti da Strategia, di poco
conto, ma di scelte estetiche –le linee, l‟effetto ottico realizzato
dalle cuciture, gli intrecci della pelle- idonee a segnare una
significativa distanza della sneaker realizzata da Elena Iachini
rispetto alle anteriorità (ed in particolare il modello “Marant",
certamente fonte di ispirazione) e, in un segmento di mercato
particolarmente affollato, a predicarne l‟autonoma capacità
individualizzante.
Né si può parlare qui di volgarizzazione, considerato che i modelli
offerti sul mercato dagli altri operatori sono comunque diversi (cfr.
doc. 1 fascicolo cautelare L).
5. La contraffazione del modello
Passando alla contraffazione, il confronto tra il design dell‟attrice
e il prodotto commercializzato dalle convenute evidenzia un‟assoluta
coincidenza del carattere individuale, ossia l‟impressione generale
prodotta nell‟utilizzatore informato, senza alcuna reale
discontinuità.
Le calzature di L appaiono decisamente simili, se non identiche,
al modello “Marta".
Le scarpe delle convenute ripropongono infatti pedissequamente gli
elementi individualizzanti che caratterizzano il design di S,
in particolare:
- l‟alternanza e sovrapposizione di materiali e di colori che
determina il disegno della tomaia;
- la chiusura con combinazione tra strappo e lacci;
- la forma a stivaletto, la linguetta posta anteriormente e la
suola a fondo seghettato.
La convenuta ha evidenziato alcuni dettagli che diversificherebbero
il suo prodotto rispetto al design registrato: il bordo superiore
posteriore più pronunciato, la cucitura laterale superiore diritta e
non curva, le cuciture realizzate con filato di colore differente e
quindi in evidenza, il bordo inferiore diritto, anziché incurvato,
della pezza posteriore che fascia la parte posteriore della scarpa
(cfr. doc. 1 fascicolo cautelare L).
Tali differenze risultano
tuttavia quasi impercettibili, quindi inidonee a suscitare una
diversa impressione generale.
L deduce inoltre come ad un consumatore informato non possano
sfuggire i diversi materiali utilizzati nonché la sensibile
differenza di prezzo.
Premesso che l‟ottica è quella dell‟apprezzamento dell‟utilizzatore
informato, i materiali utilizzati non rientrano tra le scelte oggetto
del monopolio e, quanto al prezzo, tale circostanza non elide il
rischio confusorio, tenuto conto della c.d. post sale confusion.
La scarpa commercializzata da L non è idonea a suscitare
un‟impressione generale diversa rispetto al modello dell‟attrice, con
conseguente giudizio positivo di contraffazione.
6. La concorrenza sleale
L‟attrice ha censurato altresì le condotte delle convenute anche
sotto il profilo concorrenziale, lamentando l‟imitazione servile,
l‟appropriazione di pregi e la contrarietà alla correttezza
professionale.
Osserva tuttavia il Collegio che S non ha allegato profili di
illecito altri e diversi rispetto a quelli già censurati con la
contraffazione del modello, presupposto imprescindibile per il
concorso dei due titoli di responsabilità.
Il disvalore della condotta è dunque integralmente assorbito dalla
contraffazione del modello litigioso, considerato che la tutela
speciale accordata alle privative industriali assorbe ogni profilo,
anche sanzionatorio.
7. Il risarcimento del danno
7.1.Quanto al danno emergente
Con riferimento al profilo risarcitorio ed al danno emergente in
particolare, l‟attrice ha invocato la refusione delle spese c.d. “di
reazione all’illecito" e dei costi di produzione del bene
contraffatto.
Quanto alle prime, S ha indicato la voce di spese legali, le
quali tuttavia vanno liquidate secondo la disciplina generale di cui
agli artt. 91 e segg. c.p.c. .
Tale posta è comprensiva anche degli
esborsi per le perizie di parte depositate nel corso del processo,
riconducibili dunque all‟attività difensiva in tale ambito espletata.
Quanto alla seconda posta, S ha richiamato le spese sostenute
per la registrazione e la tutela del design e quelle per la
realizzazione delle calzature.
Esse, tuttavia, prescindono dalla
condotta illecita delle convenute e non rientrano dunque nel danno
risarcibile.

7.2. Passando al lucro cessante, l‟attrice ha proposto diversi
criteri di quantificazione, ovvero quello della giusta royalty
(ovvero il prezzo del consenso) e quello della retroversione degli
utili.
Il Collegio ritiene, analogamente alle precedenti decisioni sopra
citate, di utilizzare quest‟ultimo parametro, giacché la giusta
royalty può risultare scelta di quantificazione del non danno non
sufficientemente disincentivante per il contraffattore.
Utilizzando quindi il parametro della retroversione degli utili,
considerato il numero di prodotti contraffatti, ossia 1.519 paia di
calzature, il prezzo di vendita praticato da CL
(euro 37,00) ed il prezzo di rivendita applicato da L (pari in
media a 46,54 euro), nonché i costi rispettivamente sostenuti dalle
convenute (quantificati in circa 47.914,00 euro per CL ed in 56.203,00 euro per L), si perviene ad una
liquidazione del lucro cessante pari a circa 22.781,00 eur.

7.3. Quanto infine al risarcimento del danno morale, questo Ufficio
ha riconosciuto tale voce laddove “l’uso del diritto altrui determini
una lesione dell’immagine commerciale del titolare non altrimenti
ristorabile" ( Trib. Milano, Sent. n. 2632/2016 ).
Nel caso in esame la ripetizione del medesimo modello per una
calzatura dal valore e prezzo inferiore, svilisce senz‟altro
l‟accreditamento commerciale di un prodotto più pregiato, quale la
scarpa “Marta" di S, ledendo in ultima analisi la reputazione
commerciale della stessa.
Il danno morale viene dunque liquidato in via equitativa, in misura
pari al 40% del danno patrimoniale da lucro cessante, per un importo
complessivo pari a circa € 9.112,00 (di cui 3.315,00 a carico di
CL e 5.797,00 a carico di L) in moneta attuale
e comprensiva di interessi ad oggi.

7.4. In conclusione il danno è complessivamente liquidato in euro
31.893,00, comprensivi di interessi ad oggi e su cui decorrono gli
interessi legali, dalla pubblicazione della sentenza al saldo
effettivo.

8. La posizione di TM di BS S.A.S.
Quanto alla posizione di TM, punto vendita presso il
quale l‟attrice ha reperito in commercio il modello di calzatura
contraffatto, rispetto alla quale senz‟altro va senz‟altro disposta
l‟inibitoria, va rilevato che la marginalità della condotta (limitata
alla vendita al pubblico di un numero irrisorio di calzature) anche
nella prospettazione attorea appare tale da escludere una pretesa
risarcitoria nei suoi confronti.
In sede di descrizione, è stata accertata la presenza in negozio di
10 paia di scarpe contraffatte e reperita una sola fattura ad esse
inerente (cfr. verbale di descrizione del GG.MM.2012).
L‟attività
istruttoria ed in particolare la CTU contabile disposta dal giudice
non si sono estese a tale soggetto, né l‟attrice ha proposto
specifiche istanze istruttorie in tal senso, rinunciando così, per
fatti concludenti, alle proprie pretese nei confronti di TM.

9. Il comando giudiziale
Accertata la validità dei modelli attorei e la contraffazione degli
stessi da parte delle convenute, vanno inibito alle convenute la
fabbricazione, l‟importazione, la commercializzazione,
l‟esportazione, la pubblicizzazione e la promozione delle calzature
interferenti.
L‟ordine inibitorio è assistito da penale ritenuta congrua – tenuto
conto del fine di deterrenza perseguita dall‟astreinte e del prezzo
di vendita- nella misura di euro 200,00 per ogni res venduta in
violazione dell‟interdetto.
Ai sensi dell‟ art. 124 c.p. i. va ordinato il ritiro dal commercio
delle calzature in contraffazione a carico soltanto di L e di
C e non del rivenditore finale, rispetto al quale tal
comando non avrebbe effetto.
Le convenute, inoltre, sono condannate in solido al risarcimento dei
danni come sopra liquidati mentre nei confronti di T la
domanda viene rigettata per le ragioni sopra esposte.
Non è necessario disporre la pubblicazione, considerata la natura sia
preventiva sia risarcitoria di tale rimedio: quanto al primo profilo,
va tenuto conto della non rilevante entità della contraffazione e,
quanto al secondo, della sua collocazione temporale, ormai conclusa,
ed dei suoi effetti, da tempo esauriti.
Le spese di lite si quantificano in € 9.000,00, attese le questioni
trattate e la scansione rapida del processo.

Così liquidate queste ultime e tenuto conto del risarcimento del
danno liquidato, l‟offerta transattiva formulata dalle convenute
all‟esito della fase istruttoria -pari a 38.000,00 euro
omnicomprensivi (cfr. verbale ud. GG.MM.2015 ed istanza ex art. 185
bis c.p.c.) è inferiore, seppure di poco, alla somma complessivamente
liquidata dall‟Ufficio e, dunque, essa è inidonea a produrre gli
effetti di cui all‟ art. 91, comma 1, c.p.c. .
Il rifiuto di tale proposta da parte dell‟attrice non era senza
giustificato motivo: dunque anche le spese di lite successive alla
proposta conciliativa (i compensi per la celebrazione dell‟udienza di
precisazione delle conclusioni e di discussione orale ex art. 275,
comma 2, c.p.c.) sono anch‟esse poste integralmente a carico delle
convenute in solido.
Le spese della CTU contabile, già liquidate in corso di causa,
vengono poste a carico di L e C, giacché
l‟accertamento ha avuto riguardo soltanto al profilo risarcitorio,
rispetto al quale T è rimasta estranea.
P.Q.M.
Il Tribunale in composizione collegiale, definitivamente pronunciando
sulle domande formulate da S s.r.l. contro L andamp; C.
s.r.l., CL di FT e TM di
BS s.a.s., ogni altra domanda, istanza ed eccezione
disattesa o assorbita, così dispone:
1. accerta e dichiara la contraffazione dei modelli comunitari -
registrati ai 002000661/0018, 002000661/0019 e 002000661/0025 -
di titolarità di S s.r.l. da parte di L andamp; C.
s.r.l., CL di FT e T
M di BS s.a.s.;

2. inibisce a tutte le convenute la fabbricazione, l‟importazione,
la esportazione, la commercializzazione, la pubblicizzazione e
la promozione delle calzature interferenti con i design
azionati, in tutte le varianti e colori;

3. dispone la fissazione a titolo di penale dell‟importo di €
200,00 per ogni prodotto commercializzato dalle convenute a
partire dal trentesimo giorno successivo alla pubblicazione
della presente sentenza;

4. ordina a Landamp;C. s.r.l. ed a CL di FT il ritiro dal mercato delle calzature in contraffazione
a cura e spese delle due convenute;

5. rigetta la domanda riconvenzionale trasversale di manleva
proposta da CL di FT nei
confronti di Landamp;C. s.r.l. per i motivi indicati in
narrativa;
6. condanna in solido Landamp; C. s.r.l. e CL di
FT al risarcimento dei danni liquidati in
complessivi € 31.893,00, oltre gli interessi legali dalla
pubblicazione della sentenza al saldo effettivo;

7. condanna le convenute in solido al pagamento delle spese di
lite, liquidate in € 9.000,00, di cui € 1.000,00 per spese ed
il residuo per compensi, 15% per spese generali, oltre IVA,
CPA, spese di registrazione;

8. pone definitivamente le spese di C.T.U., già liquidate in corso
di causa, a carico in solido di L andamp; C. s.r.l. e
CL di FT.
Così deciso in Milano il 9.3.2017. Il Presidente dott.ssa giu1 Il Giudice estensore dott.ssa giu2