Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 12 maggio 2011. Enel Maritsa Iztok 3 AD contro Direktor «Obzhalvane i upravlenie na izpalnenieto» NAP. Domanda di pronuncia pregiudiziale : Administrativen sad Sofia-grad - Bulgaria. Rinvio pregiudiziale - IVA - Direttive 77/388/CEE e 2006/112/CE - Rimborso - Termini - Interessi - Compensazione - Principi di neutralità fiscale e di proporzionalità - Tutela del legittimo affidamento. Causa C-107/10.
Causa C-107/10
Enel Maritsa Iztok 3 AD
contro
Direktor «Obzhalvane i upravlenie na izpalnenieto» NAP
(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Administrativen sad Sofia-grad)
«Rinvio pregiudiziale — IVA — Direttive 77/388/CEE e 2006/112/CE — Rimborso — Termine — Interessi — Compensazione — Principi di neutralità fiscale e di proporzionalità — Tutela del legittimo affidamento»
Massime della sentenza
Disposizioni tributarie — Armonizzazione delle legislazioni — Imposte sulla cifra d’affari — Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto — Detrazione dell’imposta pagata a monte — Restituzione dell’eccedenza
(Direttiva del Consiglio 2006/112, come modificata dalla direttiva 2006/138, art. 183)
Disposizioni tributarie — Armonizzazione delle legislazioni — Imposte sulla cifra d’affari — Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto — Detrazione dell’imposta pagata a monte — Restituzione dell’eccedenza
(Direttiva del Consiglio 2006/112, come modificata dalla direttiva 2006/138, art. 183)
Disposizioni tributarie — Armonizzazione delle legislazioni — Imposte sulla cifra d’affari — Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto — Detrazione dell’imposta pagata a monte — Restituzione dell’eccedenza
(Direttiva del Consiglio 2006/112, come modificata dalla direttiva 2006/138, art. 183)
1. L’art. 183 della direttiva 2006/112, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva 2006/138, nel combinato disposto con il principio di tutela del legittimo affidamento, dev’essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale che preveda, con effetto retroattivo, la proroga dei termini per il rimborso delle eccedenze dell’imposta sul valore aggiunto, nella misura in cui tale normativa privi il soggetto passivo del diritto, di cui disponeva anteriormente all’entrata in vigore della stessa, di pretendere la corresponsione di interessi di mora sul proprio credito di imposta.
(v. punto 41, dispositivo 1)
2. L’art. 183 della direttiva 2006/112, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva 2006/138, nel combinato disposto con il principio di neutralità fiscale, dev’essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale secondo cui i normali termini di rimborso dell’eccedenza dell’imposta sul valore aggiunto, alla scadenza dei quali sono dovuti interessi di mora sulla somma da rimborsare, sono prorogati in caso di avvio di un procedimento di verifica fiscale, ove tale proroga produca l’effetto che gli interessi medesimi siano dovuti unicamente a decorrere dalla data di conclusione di detto procedimento, laddove tale eccedenza abbia già costituito oggetto di riporto nei tre periodi di imposizione successivi a quello in cui l’eccedenza è sorta. Per contro, il fatto che tali termini normali siano di regola fissati a 45 giorni non risulta in contrasto con la detta disposizione.
(v. punto 61, dispositivo 2)
3. L’art. 183 della direttiva 2006/112, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva 2006/138, dev’essere interpretato nel senso che non osta a che il rimborso dell’eccedenza dell’imposta sul valore aggiunto venga effettuato tramite compensazione.
Infatti, gli Stati membri dispongono di una certa libertà per quanto attiene alle modalità di rimborso dell’eccedenza dell’imposta sul valore aggiunto, sempreché il rimborso venga effettuato entro termini ragionevoli mediante versamento in contanti o sotto forma equivalente e senza che il soggetto passivo debba incorrere in alcun rischio finanziario.
(v. punti 64, 67, dispositivo 3)
SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)
12 maggio 2011 (*)
«Rinvio pregiudiziale – IVA – Direttive 77/388/CEE e 2006/112/CE – Rimborso – Termine – Interessi – Compensazione – Principi di neutralità fiscale e di proporzionalità – Tutela del legittimo affidamento»
Nel procedimento C-107/10,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dall’Administrativen sad Sofia-grad (Bulgaria), con decisione 15 febbraio 2010, pervenuta in cancelleria il 25 febbraio 2010, nella causa
Enel Maritsa Iztok 3 AD
contro
Direktor «Obzhalvane i upravlenie na izpalnenieto» NAP,
LA CORTE (Terza Sezione),
composta dal sig. K. Lenaerts, presidente di sezione, dal sig. D. Šváby, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. E. Juhász e T. von Danwitz (relatore), giudici,
avvocato generale: sig. Y. Bot
cancelliere: sig.ra C. Strömholm, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 20 gennaio 2011,
considerate le osservazioni presentate:
– per la Enel Maritsa Iztok 3 AD, dall’avv. L. Ruessmann, avocat, e dall’avv. S. Yordanova, advokat;
– per il direktor «Obzhalvane i upravlenie na izpalnenieto» NAP, dal sig. A. Georgiev e dalla sig.ra I. Atanasova Kirova, in qualità di agenti;
– per il governo bulgaro, dal sig. T. Ivanov e dalla sig.ra E. Petranova, in qualità di agenti;
– per la Commissione europea, dal sig. D. Triantafyllou e dalla sig.ra S. Petrova, in qualità di agenti,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 18, n. 4, della sesta direttiva 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1), come modificata dalla direttiva del Consiglio 20 novembre 2006, 2006/98/CE (GU L 363, pag. 129; in prosieguo: la «sesta direttiva»), nonché dell’art. 183, primo comma, della direttiva del Consiglio 28 novembre 2006, 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU L 347, pag. 1), come modificata dalla direttiva del Consiglio 19 dicembre 2006, 2006/138/CE (GU L 384, pag. 92; in prosieguo: la «direttiva IVA»).
Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra la Enel Maritsa Iztok 3 AD (in prosieguo: l’«Enel») ed il direktor «Obzhalvane i upralvenie na izpalnenieto» NAP (direttore dell’ufficio «Ricorsi e gestione dell’esecuzione» presso l’amministrazione centrale dell’Agenzia nazionale di riscossione delle entrate; in prosieguo: il «direktor»), in merito all’individuazione del dies a quo di decorrenza degli interessi di mora dovuti su un importo afferente l’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA»).
Contesto normativo
Il diritto dell’Unione
L’art. 18, nn. 2 e 4, della sesta direttiva così dispone:
«2. Il soggetto passivo opera la deduzione sottraendo dall’importo totale dell’imposta sul valore aggiunto dovuta per un dato periodo fiscale l’ammontare dell’imposta per la quale, nello stesso periodo, è sorto e può essere esercitato in virtù delle disposizioni del paragrafo 1 il diritto a deduzione.
Peraltro[,] gli Stati membri possono obbligare i soggetti passivi che effettuano transazioni occasionali di cui all’articolo 4, paragrafo 3, a esercitare il diritto a deduzione soltanto al momento della cessione.
(...)
Qualora, per un dato periodo fiscale, l’importo delle deduzioni autorizzate superi quello dell’imposta dovuta, gli Stati membri possono procedere a rimborso o riportare l’eccedenza al periodo successivo, secondo modalità da essi stabilite.
Tuttavia, gli Stati membri hanno la facoltà di rifiutare il rimborso o il riporto se l’eccedenza è insignificante».
4 A termini dell’art. 183 della direttiva IVA:
«Qualora, per un periodo d’imposta, l’importo delle detrazioni superi quello dell’IVA dovuta, gli Stati membri possono far riportare l’eccedenza al periodo successivo, o procedere al rimborso secondo modalità da essi stabilite.
Tuttavia, gli Stati membri possono rifiutare il rimborso o il riporto se l’eccedenza è insignificante».
L’art. 252 della direttiva IVA così dispone:
«1. La dichiarazione IVA deve essere presentata entro un termine che è stabilito dagli Stati membri. Tale termine non può superare di oltre due mesi la scadenza di ogni periodo d’imposta.
2. Gli Stati membri fissano la durata del periodo d’imposta ad un mese, due mesi ovvero tre mesi.
Tuttavia, gli Stati membri possono stabilire una durata diversa, comunque non superiore ad un anno».
La normativa nazionale
A termini dell’art. 87 della legge sull’imposta sul valore aggiunto (Zakon za danak varhu dobavenata stoynost; in prosieguo: la «legge sull’IVA»), il periodo d’imposizione è, in linea generale, di un mese.
L’art. 92 della legge sull’IVA, nel testo vigente sino al 18 dicembre 2007, così disponeva:
«(1) L’imposta da rimborsare ai sensi dell’art. 88, terzo comma, viene compensata, detratta o rimborsata come segue:
1. Qualora sussistano altri debiti tributari o contributi assicurativi esigibili e non saldati, che devono essere percepiti dall’Agenzia nazionale delle Entrate e sono sorti prima del giorno della presentazione della dichiarazione dei redditi, l’Ufficio delle Entrate compensa tali debiti con l’importo del rimborso dell’imposta dichiarato nella dichiarazione dei redditi. All’eventuale importo residuo trova applicazione il procedimento di cui al n. 2.
2. Qualora non sussistano altri debiti tributari esigibili e non saldati ai sensi del n. 1, oppure essi siano inferiori all’importo del rimborso d’imposta dichiarato nella dichiarazione dei redditi, la persona registrata detrae l’imposta detraibile, o l’importo residuo ai sensi del n. 1, dall’imposta dichiarata nella dichiarazione dei redditi dei tre successivi periodi di imposta consecutivi.
(...)
4. Qualora, una volta decorso il termine di cui al n. 2, avanzi un importo residuo di imposta da rimborsare, l’Autorità delle Entrate compensa tale importo residuo ai fini dell’estinzione di altri eventuali debiti tributari, o derivanti da contributi assicurativi, esigibili e non saldati, dovuti all’Agenzia nazionale delle Entrate, oppure lo rimborsa entro 45 giorni dalla presentazione della successiva dichiarazione dei redditi.
(...)
(8) L’imposta soggetta a rimborso che, senza motivo o per un motivo venuto meno (anche in caso di annullamento di una decisione), non sia stata rimborsata entro il termine previsto dalla presente legge, viene rimborsata congiuntamente agli interessi di legge calcolati, a prescindere dalla sospensione e dalla prosecuzione dei termini nel procedimento tributario, dal giorno in cui avrebbe dovuto essere stata rimborsata ai sensi della presente legge e fino al giorno del pagamento completo. L’ipotesi di mancato rimborso dell’imposta per motivi non validi sussiste parimenti quando, successivamente allo svolgimento della verifica fiscale, l’importo d’imposta da rimborsare stabilito, con riferimento alla parte assoggettata a rimborso, corrisponda o sia inferiore all’importo dichiarato».
L’art. 92 della legge sull’IVA, nel testo vigente successivamente al 19 dicembre 2007, così recita:
«(...)
(8) Fatte salve le disposizioni del primo comma, n. 4, e dei commi 3-6, il termine per il rimborso dell’imposta, nel caso in cui sia stata avviata una verifica fiscale nei confronti dell’interessato, corrisponde al termine per l’adozione della decisione sulla verifica fiscale, ad eccezione dei casi in cui l’interessato abbia prestato una garanzia in forma di danaro, titoli di Stato o una garanzia bancaria incondizionata ed a prima richiesta (....)
(...)
(10) L’imposta soggetta a rimborso che, senza motivo o per un motivo venuto meno (anche in caso di annullamento di una decisione), non sia stata rimborsata entro il termine previsto da questa legge, viene rimborsata congiuntamente agli interessi di legge calcolati, a prescindere dalla sospensione e dalla prosecuzione dei termini nel procedimento tributario, dal giorno in cui avrebbe dovuto essere stata rimborsata ai sensi di questa legge e fino al giorno del pagamento completo».
A termini dell’art. 93, primo comma, della legge sull’IVA, nel testo vigente sino al 18 dicembre 2007:
«I termini per il rimborso di cui all’art. 92, primo comma, n. 4, nonché terzo e quarto comma sono sospesi:
(...)
5. in caso di verifica fiscale nei confronti dell’interessato, fino alla conclusione di questa entro i termini di cui all’art. 114 del regolamento sui procedimenti in materia tributaria e assicurativa».
L’art. 93, primo comma, punto 5, della legge sull’IVA è stato abrogato a decorrere dal 19 dicembre 2007.
L’art. 114 del codice di procedura tributaria e di previdenza sociale così dispone:
«(1) Il termine per l’esecuzione della verifica fiscale è di tre mesi ed inizia a decorrere dal momento della notifica del provvedimento.
(2) Se il termine previsto dal primo comma si rivela insufficiente, l’autorità che ha disposto la verifica fiscale può prorogarlo, con decisione di proroga, per un periodo di un mese al massimo».
L’art. 117 del codice di procedura tributaria e di previdenza sociale prevede quanto segue:
«(1) Il rapporto sulla verifica fiscale viene redatto dall’Ufficio delle Entrate non oltre 14 giorni dopo la scadenza del termine per l’esecuzione della verifica fiscale.
(...)
(5) La persona soggetta a verifica fiscale può presentare opposizione per iscritto e produrre prove alle autorità che hanno svolto la verifica fiscale entro 14 giorni dalla notifica del rapporto sulla verifica fiscale. Se tale termine è insufficiente, esso può essere prorogato su domanda dell’interessato ma solo per un mese al massimo».
Causa principale e questioni pregiudiziali
L’11 ottobre 2007 l’Enel presentava una dichiarazione fiscale da cui risultava l’importo di 2 273 514,85 leva a titolo di credito di imposta nei confronti dell’amministrazione finanziaria bulgara. Tale credito di imposta derivava dal fatto che l’importo delle detrazioni superava quello dell’IVA dovuta per il periodo di imposizione de quo e che l’Enel non era stata in grado di operare tali detrazioni nel corso di periodi impositivi successivi. A termini dell’art. 92, primo comma, punto 4, della legge sull’IVA, nel testo vigente sino al 18 dicembre 2007, il termine per procedere a tale rimborso, vale a dire 45 giorni, sarebbe normalmente scaduto il 26 novembre 2007 con conseguente obbligo per l’amministrazione finanziaria, ai sensi dell’art. 92, ottavo comma, della legge medesima, di corrispondere gli interessi di mora a decorrere da tale data.
Orbene, in data 8 novembre 2007, veniva notificata all’Enel una decisione con cui veniva disposta una verifica fiscale avente ad oggetto l’accertamento del debito di IVA per il periodo intercorrente dal 1° gennaio 2005 al 30 settembre 2007 nonché l’accertamento di debiti di imposta diversi riguardanti gli anni 2005 e 2006.
Con avviso di detrazione e rimborso del 19 dicembre 2007 veniva disposto il rimborso dell’importo di 1 364 108,91 leva a titolo di IVA sulla base della dichiarazione fiscale dell’11 ottobre 2007, importo che veniva versato sul conto della società il 21 dicembre seguente.
A seguito della verifica fiscale veniva redatta una relazione in data 13 marzo 2008, avverso la quale l’Enel proponeva opposizione reclamando la corresponsione di interessi di mora sulla somma di 1 364 108,91 leva già rimborsata, riguardo al periodo intercorrente tra il 27 novembre 2007 e il 21 dicembre 2007, nonché sulla somma residua da rimborsare, per il periodo intercorrente dal 27 novembre 2007 sino al giorno del saldo effettivo.
In data 29 aprile 2008 veniva emanato un avviso di rettifica, nel quale nulla si dice in ordine alla corresponsione degli interessi di mora.
L’importo del credito di imposta dell’Enel indicato in tale avviso di rettifica veniva compensato con il debito d’imposta oltre interessi di mora relativo agli anni 2005 e 2006 risultante dall’avviso di rettifica medesimo. In data 13 maggio 2008 veniva versata sul conto dell’Enel la somma residua di 179 092,25 leva in assenza di qualsiasi decisione in merito agli interessi di mora maturati.
Avverso l’avviso di rettifica del 29 aprile 2008 l’Enel proponeva ricorso in via amministrativa in data 20 maggio 2008, contestando il debito di imposta oltre interessi di mora, la compensazione tra tale debito di imposta e il proprio credito di imposta nonché il diniego implicito di riconoscimento degli interessi di mora già richiesti nell’opposizione del 13 marzo 2008.
Tale ricorso sfociava nella decisione del direktor 20 ottobre 2008, n. 1518. In tale decisione venivano riconosciuti interessi di mora sulla somma di 179 092,25 leva per il periodo intercorrente dalla data di emanazione dell’avviso di rettifica, vale a dire il 29 aprile 2008, sino alla data di saldo effettivo di detta somma, vale a dire il 13 maggio 2008. Quanto al resto, il ricorso veniva dichiarato infondato.
In data 31 ottobre 2008 l’Enel adiva l’Administrativen sad Sofia-grad (tribunale amministrativo di Sofia) chiedendo, in particolare, la corresponsione degli interessi di mora relativi all’importo del credito di imposta IVA a decorrere dal 27 novembre 2007 sino alla data del saldo effettivo dell’intera somma.
Il giudice del rinvio ritiene necessaria un’interpretazione delle pertinenti disposizioni della stessa direttiva ovvero della direttiva IVA al fine di potersi pronunciare sulle domande dinanzi ad esso proposte. A suo parere, la sesta direttiva trova applicazione ratione temporis in considerazione dell’art. 2 dell’atto relativo alle condizioni di adesione della Repubblica di Bulgaria e della Romania e agli adattamenti dei trattati sui quali si fonda l’Unione europea (GU 2005, L 157, pag. 203), nonché dell’allegato VI, capitolo 6, punto 1, dell’atto medesimo.
L’Administrativen sad Sofia-grad decideva quindi di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«Se l’art. 18, n. 4, della [sesta direttiva] (...) e l’art. 183, primo comma, della [direttiva IVA] debbano essere interpretati nel senso che, nelle circostanze di cui alla causa principale, essi consentano:
1) che in forza di una modifica legislativa diretta alla lotta contro le frodi fiscali il termine per il rimborso dell’IVA venga prorogato fino al giorno dell’emanazione di una decisione sulla verifica fiscale, considerato che entro i 45 giorni successivi alla presentazione della dichiarazione fiscale era stata avviata nei confronti dell’interessato una verifica fiscale, senza che per questo periodo siano dovuti interessi sull’importo soggetto a rimborso, qualora, al contempo, ricorrano le seguenti condizioni:
a) prima di tale modifica il termine di legge di 45 giorni per il rimborso dell’imposta fosse scaduto e gli interessi sul credito all’imposta avessero iniziato a decorrere, a prescindere dall’avvio del procedimento di verifica fiscale;
b) dalla verifica fiscale fosse risultata la correttezza degli importi di rimborso d’imposta dichiarati;
c) l’unica possibilità giuridica a disposizione del soggetto passivo per abbreviare tale termine consistesse nella presentazione di una garanzia sotto forma di danaro, titoli di Stato o di una garanzia bancaria incondizionata e a prima richiesta per una determinata durata pari all’importo soggetto a rimborso;
2) che siano previsti un termine per il rimborso dell’IVA di 45 giorni dalla presentazione della dichiarazione fiscale per tale imposta, nonché la possibilità giuridica della sua sospensione e, quindi, anche della sua proroga, in forza di un ordine di verifica fiscale intervenuto durante tale periodo, allorché il periodo d’imposta per la detrazione di tale imposta sia di un mese;
3) che il rimborso dell’IVA avvenga con decisione sulla verifica fiscale, compensando il credito di imposta con l’IVA a debito, altri debiti tributari e crediti dello Stato per diversi periodi di imposta, tutti accertati con la medesima decisione, nonché interessi applicati su tali somme fino al giorno dell’emanazione della decisione sulla verifica fiscale qualora con quest’ultima risulti accertato che l’importo del credito IVA dichiarato fosse corretto e, al contempo, ricorrano le seguenti condizioni:
a) nel procedimento di verifica fiscale non fosse stata concessa garanzia provvisoria di futuri crediti dello Stato eventualmente risultanti nel corso del procedimento diretto all’emanazione della decisione sul controllo fiscale;
b) la compensazione con crediti dello Stato non sia prevista dalla legge nazionale come mezzo di esecuzione coattiva né come misura cautelativa;
c) i termini per l’impugnazione e il pagamento volontario degli importi principali compensati e degli interessi non siano scaduti, essendo stati questi stabiliti mediante la medesima decisione sulla verifica fiscale e una parte di loro è stata impugnata anche in giudizio;
4) che, laddove sia stata accertata la correttezza dell’importo del rimborso d’imposta dichiarato nella dichiarazione fiscale, alla data dell’emanazione dell’avviso di rettifica lo Stato proceda alla compensazione con debiti tributari accertati in tale avviso per periodi precedenti alla presentazione della dichiarazione nonché con interessi su tali debiti, invece di procedervi alla data della dichiarazione fiscale, allorché lo Stato non sia tenuto agli interessi durante il periodo stabilito dalla legge entro cui dev’essere rimborsato l’importo e applichi interessi sulle imposte compensate a partire dal giorno della presentazione della dichiarazione fino all’emanazione dell’avviso di rettifica».
Sulle questioni pregiudiziali
Osservazioni preliminari
Considerato che le questioni pregiudiziali vertono sulle disposizioni tanto della sesta direttiva quanto della direttiva IVA, si deve rilevare che i fatti pertinenti della causa principale sono successivi al 1° gennaio 2007, data in cui la direttiva IVA è entrata in vigore ed ha sostituito la sesta direttiva, come risulta dagli artt. 411 e 413 della direttiva IVA medesima.
Orbene, a termini dell’art. 411, n. 2, della direttiva IVA, tutti i riferimenti alla sesta direttiva s’intendono effettuati alla direttiva IVA. In tal senso, la circostanza che il punto 6 dell’elenco di cui all’art. 20 del protocollo relativo alle condizioni e modalità d’ammissione della Repubblica di Bulgaria e della Romania all’Unione europea (GU 2005, L 157, pag. 29) faccia riferimento alla sesta direttiva non può produrre l’effetto di escludere l’applicazione della direttiva IVA in Bulgaria successivamente al 1° gennaio 2007.
Conseguentemente, ai fini dell’esame delle questioni pregiudiziali, vertenti unicamente sul calcolo degli interessi di mora sull’importo dell’eccedenza di IVA a credito, è pertinente unicamente l’interpretazione delle disposizioni della direttiva IVA, nella specie dell’art. 183 della medesima.
È pur vero, come sottolinea il governo bulgaro, che tale disposizione non prevede, alla luce del suo tenore, né l’obbligo di versare interessi sull’eccedenza di IVA a credito né il dies a quo di decorrenza degli interessi stessi.
Tuttavia, si deve ricordare che tale cirostanza non consente, di per sé, di concludere che la disposizione medesima debba essere interpretata nel senso che le modalità stabilite dagli Stati membri ai fini del rimborso dell’eccedenza dell’IVA siano dispensate da qualsivoglia controllo riguardo al diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza 21 gennaio 2010, causa C-472/08, Alstom Power Hydro, Racc. pag. I-623, punto 15).
Infatti, da un lato, se l’attuazione del diritto al rimborso dell’eccedenza dell’IVA, prevista dall’art. 183 della direttiva IVA, ricade, in linea di principio, nella sfera dell’autonomia procedurale degli Stati membri, resta il fatto che tale autonomia è inquadrata nei principi di equivalenza e di effettività (v., in tal senso, sentenza Alstom Power Hydro, cit., punto 17). Peraltro, secondo costante giurisprudenza, il principio di tutela del legittimo affidamento dev’essere rispettato dagli Stati membri laddove essi diano attuazione alle normative dell’Unione (v. sentenza 11 luglio 2002, causa C-62/00, Marks & Spencer, Racc. pag. I-6325, punto 44 e la giurisprudenza ivi richiamata).
Dall’altro, occorre esaminare in qual misura l’art. 183 della direttiva IVA, interpretato alla luce del contesto e dei principi generali che disciplinano il settore dell’IVA, contenga norme specifiche al cui rispetto gli Stati membri sono tenuti nell’attuazione del diritto al rimborso dell’eccedenza di IVA (v., per analogia, sentenza 30 settembre 2010, causa C-314/09, Strabag e a., Racc. pag. I-8769, punto 34).
In tale contesto, si deve rilevare che, secondo costante giurisprudenza, il diritto dei soggetti passivi di detrarre dall’IVA di cui sono debitori l’IVA che ha già gravato a monte sui beni acquistati e sui servizi loro prestati costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA istituito dalla normativa dell’Unione (v., segnatamente, sentenze 18 dicembre 1997, cause riunite C-286/94, C-340/95, C-401/95 e C-47/96, Molenheide e a., Racc. pag. I-7281, punto 47; 25 ottobre 2001, causa C-78/00, Commissione/Italia, Racc. pag. I-8195, punto 28, nonché 10 luglio 2008, causa C-25/07, Sosnowska, Racc. pag. I-5129, punto 14).
Come ripetutamente sottolineato dalla Corte, ne risulta che il diritto alla detrazione costituisce parte integrante del meccanismo dell’IVA e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni. In particolare, tale diritto va esercitato immediatamente per tutte le imposte che hanno gravato sulle operazioni effettuate a monte (v., segnatamente, sentenze 6 luglio 1995, causa C-62/93, BP Soupergaz, Racc. pag. I-1883, punto 18; 18 dicembre 2007, causa C-368/06, Cedilac, Racc. pag. I-12327, punto 31, nonché Sosnowska, cit., punto 15).
Quanto alla possibilità, a norma dell’art. 183 della direttiva IVA, di prevedere che l’eccedenza dell’IVA venga riportata sul periodo impositivo successivo o che venga rimborsata, la Corte ha precisato che, se è pur vero che gli Stati membri dispongono di una certa libertà di manovra nello stabilire le modalità di rimborso dell’eccedenza di IVA, dette modalità non devono ledere il principio della neutralità fiscale, gravando il soggetto passivo, in tutto o in parte, del peso di tale imposta. Modalità del genere devono segnatamente consentire al soggetto passivo di recuperare, in condizioni adeguate, la totalità del credito risultante da detta eccedenza di IVA, il che implica che il rimborso sia effettuato, entro un termine ragionevole, mediante pagamento in denaro liquido o con modalità equivalenti, e che, in ogni caso, il sistema di rimborso adottato non deve far correre alcun rischio finanziario al soggetto passivo (v. citate sentenze Commissione/Italia, punti 32-34, e Sosnowska, punto 17).
Conseguentemente, le questioni pregiudiziali devono essere esaminate alla luce di tali considerazioni preliminari.
Sulla prima questione
Con la prima questione il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se l’art. 183 della direttiva IVA, nel combinato disposto con il principio di tutela del legittimo affidamento, debba essere interpretato nel senso che osti ad una normativa nazionale che preveda, con effetto retroattivo, la proroga dei termini per il rimborso di eccedenza dell’IVA.
Secondo il giudice del rinvio, il termine per il rimborso dell’eccedenza dell’IVA è scaduto, nella causa principale, il 26 novembre 2007. Ai sensi della normativa nazionale vigente sino al 18 dicembre 2007, gli interessi di mora sul credito di imposta avrebbero iniziato a maturare a decorrere dal 26 novembre 2007 e ciò a prescindere dall’avvio, l’8 novembre 2007, di un procedimento di verifica fiscale. Tuttavia, ai sensi della normativa nazionale entrata in vigore il 19 dicembre 2007, un procedimento di verifica fiscale avrebbe determinato la proroga, sino all’emanazione della relazione di verifica – redatta, nella specie, solamente il 13 marzo 2008 –, dei termini previsti per il rimborso delle eccedenze dell’IVA e, conseguentemente, del dies a quo di decorrenza degli interessi di mora.
Per quanto attiene all’interpretazione della normativa nazionale, vigente sino al 18 dicembre 2007, effettuata dal giudice del rinvio, secondo cui gli interessi di mora erano dovuti, nella causa principale, a decorrere dal 27 novembre 2007 in considerazione del fatto che sulla scadenza del termine di rimborso per le eccedenze dell’IVA non avrebbe inciso l’avvio della verifica fiscale, il direktor e il governo bulgaro sostengono che, anche prima della modifica di tale normativa, gli interessi di mora erano dovuti unicamente a decorrere dalla conclusione del procedimento di verifica fiscale, restando sospesa nel corso di tale procedimento la decorrenza dei termini di rimborso.
Su tale questione, se spetta unicamente al giudice del rinvio accertare se, in base alla normativa nazionale vigente sino al 18 dicembre 2007, nella causa principale fossero dovuti interessi di mora a decorrere sin dal 27 novembre 2007, incombe, per contro, alla Corte pronunciarsi sulla questione pregiudiziale, fondandosi sull’interpretazione della normativa nazionale effettuata dal giudice del rinvio, fornendogli tutti gli elementi interpretativi attinenti al diritto dell’Unione idonei a consentirgli di valutare la conformità di tale normativa con l’art. 183 della direttiva IVA e con il principio della tutela del legittimo affidamento (v., in tal senso, sentenze 28 febbraio 2008, causa C-293/06, Deutsche Shell, Racc. pag. I-1129, punti 25 e 26, nonché 10 settembre 2009, causa C-201/08, Plantanol, Racc. pag. I-8343, punto 45).
In tale contesto, si deve rilevare che, ai sensi della giurisprudenza della Corte, è del tutto ammissibile e, in linea di principio, conforme al principio della tutela del legittimo affidamento che una nuova disciplina si applichi agli effetti futuri di situazioni sorte sotto l’impero della disciplina anteriore (sentenza 29 giugno 1999, causa C-60/98, Butterfly Music, Racc. pag. I-3939, punto 25 e la giurisprudenza ivi citata). Tuttavia, il principio della tutela del legittimo affidamento osta a che una modifica della normativa nazionale privi un soggetto, con effetto retroattivo, di un diritto dal medesimo acquisito sulla base della normativa precedente (v., in tal senso, sentenza Marks & Spencer, cit., punto 45).
Ne consegue che, in una fattispecie come quella oggetto della causa principale, il principio della tutela del legittimo affidamento osta a che una modifica della normativa nazionale privi un soggetto, con effetto retroattivo, di un diritto di cui disponeva anteriormente a tale modifica ed in virtù del quale poteva pretendere la corresponsione di interessi di mora sull’importo del proprio credito di IVA (v., in tal senso, sentenza Marks & Spencer, cit., punto 46).
Alla luce delle suesposte considerazioni, la prima questione dev’essere risolta nel senso che l’art. 183 della direttiva IVA, nel combinato disposto con il principio di tutela del legittimo affidamento, dev’essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale che preveda, con effetto retroattivo, la proroga dei termini per il rimborso delle eccedenze dell’IVA, nella misura in cui tale normativa privi il soggetto passivo del diritto, di cui disponeva anteriormente all’entrata in vigore della stessa, di pretendere la corresponsione di interessi di mora sul proprio credito di imposta.
Sulla seconda questione
Con la seconda questione il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se l’art. 183 della direttiva IVA, nel combinato disposto con il principio di neutralità fiscale, debba essere interpretato nel senso che osti ad una normativa nazionale, come quella oggetto della causa principale, ai sensi della quale il termine ai fini del rimborso delle eccedenze dell’IVA è, di regola, di 45 giorni, scaduti i quali iniziano a maturare gli interessi di mora sull’importo da rimborsare, prevedendo peraltro che tale termine venga prorogato, in caso di avvio di un procedimento di verifica fiscale, ove tale proroga faccia sì che gli interessi di mora siano dovuti unicamente a decorrere dalla data di conclusione del procedimento di verifica medesima.
Al fine di rispondere a tale questione occorre ricordare le particolarità della normativa nazionale oggetto della causa principale.
In limine, tale normativa prevede espressamente la corresponsione di interessi di mora sull’eccedenza di IVA da rimborsare. La Corte è quindi chiamata a pronunciarsi unicamente sulla questione relativa all’individuazione del dies a quo di decorrenza di tali interessi alla luce dell’art. 183 della direttiva IVA, nel combinato disposto con il principio di neutralità fiscale.
Inoltre, si deve parimenti rilevare che la facoltà, offerta dall’art. 183, secondo comma, della direttiva IVA, di negare il rimborso ovvero il riporto nel caso in cui l’eccedenza sia insignificante, che si applica a fortiori agli interessi, non è in discussione nella causa principale.
Occorre infine sottolineare che la normativa nazionale oggetto della causa principale prevede il rimborso dell’eccedenza dell’IVA solamente laddove questa non abbia potuto essere imputata sulle imposte dovute nel corso dei tre periodi di imposizione successivi a quello in cui tale eccedenza sia sorta, il che implica che la normativa nazionale de qua combina le due forme di restituzione dell’eccedenza dell’IVA previste dall’art. 183, primo comma, della direttiva IVA, vale a dire il rimborso ed il riporto.
Per quanto attiene, in primo luogo, alla combinazione del riporto e del rimborso dell’eccedenza dell’IVA, si deve osservare che né il giudice del rinvio né le parti che hanno presentato osservazioni alla Corte hanno messo in discussione, giustamente, la facoltà, offerta agli Stati membri, di prevedere che l’eccedenza venga restituita mediante il riporto, e, successivamente, il rimborso. Infatti, l’art. 183 della direttiva IVA non può essere interpretato nel senso che il rimborso ed il riporto si escludano a vicenda. In caso contrario, ad uno Stato membro che abbia optato per il riporto quale forma di restituzione dell’eccedenza dell’IVA risulterebbe impedito, in contrasto con i principi rammentati supra ai punti 29-33, di procedere al rimborso di tale eccedenza qualora, nel periodo di imposizione al quale essa sia stata riportata, l’importo dell’imposta dovuta risultasse insufficiente per consentire l’imputazione dell’eccedenza stessa.
In secondo luogo, per quanto attiene al riporto dell’eccedenza dell’IVA sui tre periodi di imposizione successivi a quello in cui l’eccedenza è sorta, si deve rilevare che è pur vero che, a termini dell’art. 183, primo comma, della direttiva IVA, gli Stati membri possono far riportare l’eccedenza sul «periodo successivo».
Tuttavia, dal tenore di tale disposizione non si può dedurre che il riporto, quale previsto dalla normativa nazionale oggetto della causa principale, sia inconciliabile con la disposizione medesima. In tale contesto occorre tener contro del fatto, rammentato dal governo bulgaro, che la normativa medesima ha fissato il periodo di imposizione – che può variare, a temini dell’art. 252, secondo e terzo comma, della direttiva IVA, da un mese a un anno – ad un mese. Ciò premesso, il riporto sui tre periodi di imposizione successivi a quelli in cui l’eccedenza de qua è sorta non incide, di per sé, sui principi rammentati supra ai punti 29-33. Infatti, tale riporto, implicando che la restituzione venga effettuata nell’ambito di un periodo di tre mesi, si colloca nella libertà riconosciuta agli Stati membri di fissare le modalità di restituzione delle eccedenze dell’IVA.
In terzo luogo, si deve sottolineare che il rimborso di dette eccedenze viene effettuato, secondo la normativa nazionale oggetto della causa principale, in regola generale entro un termine di 45 giorni, termine che è, di per sé, conforme all’art. 183 della direttiva IVA, e che gli interessi di mora sul credito da rimborsare sono dovuti solamente a decorrere dalla scadenza di tale termine. Tuttavia, nel caso in cui l’amministrazione finanziaria avvii un procedimento di verifica fiscale, gli interessi medesimi sono dovuti solamente a decorrere dalla data di conclusione di tale procedimento.
A fronte di una siffatta normativa che subordina l’obbligo per l’amministrazione finanziaria di corrispondere gli interessi al compimento di un procedimento di verifica fiscale, si deve rammentare che, conformemente alla giurisprudenza della Corte, un regime di calcolo degli interessi dovuti dal tesoro pubblico che non assuma come dies a quo il giorno in cui l’eccedenza dell’IVA avrebbe dovuto essere normalmente rimborsata ai sensi della direttiva IVA risulta, in linea di principio, contrario alle esigenze dettate dall’art. 183 della direttiva medesima (v., in tal senso, sentenza Molenheide e a., cit., punti 63 e 64).
In tale contesto, si deve sottolineare che il funzionamento normale del sistema comune dell’IVA presuppone l’esatta riscossione dell’imposta. Infatti, ogni Stato membro è tenuto ad adottare tutte le misure legislative ed amministrative idonee a garantire che l’IVA sia interamente riscossa nel suo territorio e, a tale riguardo, gli Stati membri sono obbligati ad accertare le dichiarazioni fiscali dei contribuenti, la relativa contabilità e gli altri documenti utili, nonché a calcolare e a riscuotere l’imposta dovuta [sentenza 29 luglio 2010, causa C-188/09, Profaktor Kulesza, Frankowski, Jóźwiak, Orłowski (già Profaktor Kulesza, Frankowski, Trzaska), Racc. pag. I-7639, punto 21].
Ne consegue che i termini di rimborso dell’eccedenza dell’IVA possono essere, in linea di principio, prorogati al fine di consentire l’effettuazione di una verifica fiscale, senza che un termine così prorogato debba essere considerato irragionevole, sempreché la proroga non vada al di là di quanto sia necessario ai fini della proficua conclusione del procedimento di verifica (v., per analogia, sentenza Sosnowska, cit., punto 27). Tuttavia, il soggetto passivo, considerato che non può disporre temporaneamente dei fondi corrispondenti all’eccedenza dell’IVA, sopporta economicamente uno svantaggio che può essere compensato con la corresponsione di interessi, garantendo in tal modo il rispetto del principio di neutralità fiscale.
Orbene, atteso che la normativa oggetto della causa principale combina il riporto e il rimborso quali forme di restituzione dell’eccedenza dell’IVA, occorre esaminare, in quarto luogo, se risulti compatibile con i principi rammentati supra ai punti 29-33 rinviare il dies a quo di maturazione degli interessi sino al momento del completamento della procedura di verifica fiscale, sebbene l’eccedenza sia stata già oggetto di riporto nei tre periodi di imposizione successivi a quello in cui essa è sorta.
A tal riguardo, si deve sottolineare, da un lato, che l’applicazione della normativa oggetto della causa principale produce non solo l’effetto di privare il soggetto passivo per un periodo considerevole, vale a dire per quasi otto mesi, dei fondi corrispondenti all’eccedenza dell’IVA, ma fa parimenti venir meno il diritto del soggetto passivo agli interessi normalmente dovuti in applicazione della normativa medesima.
Dall’altro, si deve rilevare che tale normativa lascia all’amministrazione finanziaria la facoltà di avviare una verifica fiscale in qualsiasi momento, anche ad una data prossima alla scadenza del termine di rimborso dell’eccedenza dell’IVA, consentendo in tal modo di prorogare considerevolmente i termini di rimborso stessi ritardando, al contempo, il dies a quo di decorrenza degli interessi di mora sul credito di imposta da rimborsare.
Pertanto, il soggetto passivo non si trova unicamente esposto a svantaggi pecuniari, bensì parimenti nell’impossibilità di prevedere la data a decorrere dalla quale potrà disporre di fondi corrispondenti all’eccedenza dell’IVA, il che costituisce per il medesimo un onere supplementare.
Ciò premesso, emerge che le modalità fissate dalla normativa nazionale oggetto della causa principale non consentono, contrariamente ai principi esposti supra al punto 33, al soggetto passivo di recuperare, in condizioni adeguate, l’intero credito risultante dall’eccedenza dell’IVA senza incorrere in alcun rischio finanziario.
Tuttavia, occorre ancora rispondere al quesito del giudice del rinvio relativo all’incidenza, ai fini della valutazione della normativa nazionale oggetto della causa principale, della possibilità, offerta al soggetto passivo, di abbreviare i termini di rimborso fornendo una cauzione in denaro liquido.
A tal riguardo, si deve ricordare che la possibilità di fornire tale cauzione non può consentire che il dies a quo di decorrenza degli interessi di mora sull’importo dell’eccedenza dell’IVA possa essere validamente rinviato sino all’effettuazione di un procedimento di verifica fiscale. Infatti, come dichiarato dalla Corte al punto 32 della menzionata sentenza Sosnowska, l’obbligo di costituzione di una siffatta cauzione al fine di potersi avvalere dei termini normalmente applicabili produce, in realtà, unicamente l’effetto di sostituire l’onere finanziario relativo all’immobilizzazione dei fondi corrispondenti all’eccedenza dell’IVA per la durata del procedimento di verifica de quo con quello attinente all’immobilizzazione dell’importo della cauzione.
Alla luce delle suesposte considerazioni, la seconda questione dev’essere risolta dichiarando che l’art. 183 della direttiva IVA, alla luce del principio di neutralità fiscale, dev’essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale secondo cui i normali termini di rimborso dell’eccedenza dell’IVA, alla scadenza dei quali sono dovuti interessi di mora sulla somma da rimborsare, sono prorogati in caso di avvio di un procedimento di verifica fiscale, ove tale proroga produca l’effetto che gli interessi medesimi siano dovuti unicamente a decorrere dalla data di conclusione di detto procedimento, laddove tale eccedenza abbia già costituito oggetto di riporto nei tre periodi di imposizione successivi a quello in cui l’eccedenza è sorta. Per contro, il fatto che tali termini normali siano fissati a 45 giorni non risulta in contrasto con la detta disposizione.
Sulle questioni terza e quarta
Alla luce della soluzione fornita alla seconda questione, le questioni terza e quarta, che appare opportuno esaminare congiuntamente, devono essere intese nel senso che con esse si chiede, sostanziamente, se l’art. 183 della direttiva IVA osti a che il rimborso dell’eccedenza dell’IVA venga effettuato mediante compensazione.
A tal riguardo, si deve rilevare che la compensazione conduce alla liquidazione totale o parziale delle due obbligazioni reciproche, consentendo così allo Stato membro di assolvere il proprio obbligo di rimborso.
Alla luce della giurisprudenza rammentata supra al punto 33, gli Stati membri dispongono di una certa libertà per quanto attiene alle modalità di rimborso dell’eccedenza dell’IVA, sempreché il rimborso venga effettuato entro termini ragionevoli mediante versamento in contanti o sotto forma equivalente e senza che il soggetto passivo debba incorrere in alcun rischio finanziario.
Alla luce di tali principi, non vi è alcuna ragione che osti, in linea generale, a che il rimborso dell’eccedenza dell’IVA venga effettuato tramite compensazione, ove tale strumento conduce alla liquidazione immediata del credito del soggetto passivo senza che quest’ultimo risulti esposto a rischi finanziari.
Tale ragionamento vale parimenti nel caso in cui il credito dello Stato membro interessato venga contestato dal soggetto passivo, sempreché, come sottolineato dalla Commissione europea, il soggetto passivo non sia privato degli strumenti di ricorso giurisdizionale effettivi per far valere le proprie tesi nei confronti dei crediti utilizzati dallo Stato ai fini della compensazione.
Alla luce delle suesposte considerazioni, le questioni terza e quarta devono essere risolte dichiarando che l’art. 183 della direttiva IVA dev’essere interpretato nel senso che non osta a che il rimborso dell’eccedenza dell’IVA venga effettuato tramite compensazione.
Sulle spese
Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:
L’art. 183 della direttiva del Consiglio 28 novembre 2006, 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva del Consiglio 19 dicembre 2006, 2006/138/CE, nel combinato disposto con il principio di tutela del legittimo affidamento, dev’essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale che preveda, con effetto retroattivo, la proroga dei termini per il rimborso delle eccedenze dell’imposta sul valore aggiunto nella misura in cui tale normativa privi il soggetto passivo del diritto, di cui disponeva anteriormente all’entrata in vigore della stessa, di pretendere la corresponsione di interessi di mora sul proprio credito di imposta.
L’art. 183 della direttiva 2006/112, come modificata dalla direttiva 2006/138, nel combinato disposto con il principio di neutralità fiscale, dev’essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale secondo cui i normali termini di rimborso dell’eccedenza dell’imposta sul valore aggiunto, alla scadenza dei quali sono dovuti interessi di mora sulla somma da rimborsare, sono prorogati in caso di avvio di un procedimento di verifica fiscale, ove tale proroga produca l’effetto che gli interessi medesimi siano dovuti unicamente a decorrere dalla data di conclusione di detto procedimento, laddove tale eccedenza abbia già costituito oggetto di riporto nei tre periodi di imposizione successivi a quello in cui l’eccedenza è sorta. Per contro, il fatto che tali termini normali siano fissati a 45 giorni non risulta in contrasto con la detta disposizione.
L’art. 183 della direttiva 2006/112, come modificata dalla direttiva 2006/138, dev’essere interpretato nel senso che non osta a che il rimborso dell’eccedenza dell’imposta sul valore aggiunto venga effettuato tramite compensazione.
Firme
* Lingua processuale: il bulgaro.