Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 17 dicembre 2020. BAKATI PLUS Kereskedelmi és Szolgáltató Kft. contro Nemzeti Adó- és Vámhivatal Fellebbviteli Igazgatósága. Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Szegedi Közigazgatási és Munkaügyi Bírósá. Rinvio pregiudiziale – Sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) – Direttiva 2006/112/CE – Esenzioni all’esportazione – Articolo 146, paragrafo 1, lettera b) – Beni spediti o trasportati fuori dell’Unione europea da un acquirente non stabilito nel territorio dello Stato membro interessato – Articolo 147 – “Beni destinati ad essere trasportati nel bagaglio personale dei viaggiatori” non stabiliti nell’Unione – Nozione – Beni che hanno effettivamente lasciato il territorio dell’Unione – Prova – Diniego dell’esenzione all’esportazione – Principi di neutralità fiscale e di proporzionalità – Frode. Causa C-656/19.
Edizione provvisoria
SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)
Sentenza
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 146 e 147 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 2006, L 347, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva IVA»), nonché dei principi di neutralità fiscale e di proporzionalità.
Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la BAKATI PLUS Kereskedelmi és Szolgáltató Kft. (in prosieguo: la «Bakati») e la Nemzeti Adó- és Vámhivatal Fellebbviteli Igazgatósága (Direzione dei ricorsi dell’amministrazione nazionale delle imposte e delle dogane, Ungheria) (in prosieguo: la «Direzione dei ricorsi»), relativamente a una decisione che nega l’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto (IVA) prevista per i beni destinati ad essere trasportati nel bagaglio personale dei viaggiatori.
A partire dal 1° aprile 2020, tale controversia rientra nella competenza della Szegedi Törvényszék (Corte di Szeged, Ungheria), come tale giudice ha comunicato alla Corte, senza tuttavia che fossero ritirate le questioni che erano state rivolte dal Szegedi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Szeged, Ungheria).
Contesto normativo
Diritto dell ’Unione
Direttiva IVA
L’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva IVA, così dispone:
«Costituisce “cessione di beni” il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario».
Il titolo IXdi tale direttiva riguarda le esenzioni. Il capo 1 di quest’ultimo è composto dal solo articolo 131 di detta direttiva, il quale prevede quanto segue:
«Le esenzioni previste ai capi da 2 a 9 si applicano, salvo le altre disposizioni comunitarie e alle condizioni che gli Stati membri stabiliscono per assicurare la corretta e semplice applicazione delle medesime esenzioni e per prevenire ogni possibile evasione, elusione e abuso».
Il capo 6 di tale titolo IX è intitolato «Esenzioni all’esportazione» e contiene gli articoli 146 e 147 della medesima direttiva. Ai sensi dell’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), di quest’ultima:
«Gli Stati membri esentano le operazioni seguenti:
(…)
b) le cessioni di beni spediti o trasportati da un acquirente non stabilito nel loro rispettivo territorio, o per conto del medesimo, fuori della Comunità, ad eccezione dei beni trasportati dall’acquirente stesso e destinati all’attrezzatura o al rifornimento e al vettovagliamento di navi da diporto, aerei da turismo o qualsiasi altro mezzo di trasporto ad uso privato».
L’articolo 147 della direttiva IVA precisa quanto segue:
«1. Qualora la cessione di cui all’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), riguardi beni destinati ad essere trasportati nel bagaglio personale dei viaggiatori, l’esenzione si applica soltanto se sono soddisfatte le condizioni seguenti:
a) il viaggiatore non è stabilito nella Comunità;
b) i beni sono trasportati fuori della Comunità entro il terzo mese successivo a quello in cui è effettuata la cessione;
c) il valore complessivo della cessione, compresa l’IVA, supera la somma di 175 EUR o il suo controvalore in moneta nazionale, (...)
Tuttavia, gli Stati membri possono esentare una cessione il cui valore complessivo sia inferiore all’importo previsto al primo comma, lettera c).
2. Ai fini del paragrafo 1, per “viaggiatore non stabilito nella Comunità” si intende il viaggiatore il cui indirizzo permanente o residenza abituale non si trova nella Comunità. In tal caso per “indirizzo permanente o residenza abituale” si intende il luogo indicato come tale sul passaporto, sulla carta d’identità o su altro documento riconosciuto come valido documento di identità dallo Stato membro nel cui territorio è effettuata la cessione.
La prova dell’esportazione è fornita per mezzo della fattura, o di un documento equivalente, su cui sia apposto il visto dell’ufficio doganale di uscita dalla Comunità.
(…)».
Il titolo XIdi tale direttiva è relativo agli «Obblighi dei soggetti passivi e di alcune persone non soggetti passivi». Nel capo 7 di tale titolo XI, intitolato «Disposizioni varie», figura l’articolo 273 di detta direttiva, il quale, al suo primo comma, enuncia quanto segue:
«Gli Stati membri possono stabilire, nel rispetto della parità di trattamento delle operazioni interne e delle operazioni effettuate tra Stati membri da soggetti passivi, altri obblighi che essi ritengono necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e ad evitare le evasioni, a condizione che questi obblighi non diano luogo, negli scambi tra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera».
Il regolamento delegato (UE) 2015/2446 della Commissione, del 28 luglio 2015, che integra il regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio in relazione alle modalità che specificano alcune disposizioni del codice doganale dell’Unione (GU 2015, L 343, pag. 1), contiene, al suo articolo 1, definizioni utili ai fini dell’applicazione del regolamento delegato in parola.
Secondo tale articolo 1, punto 5, la nozione di «bagagli» riguarda «tutte le merci trasportate, con qualsiasi mezzo, in relazione a un viaggio di una persona fisica».
Diritto ungherese
L’általános forgalmi adóról szóló 2007. évi CXXVII. törvény (legge CXXVII del 2007 relativa all’imposta sul valore aggiunto; in prosieguo: la «legge sull’IVA»), al suo articolo 98, dispone quanto segue:
«(1) Sono esentate dall’imposta le cessioni di beni spediti per posta o trasportati dallo Stato verso un paese al di fuori della Comunità, a condizione che la spedizione o il trasporto:
(…)
b) siano effettuati dall’acquirente stesso o da un terzo che agisce in suo nome se sono soddisfatte le ulteriori condizioni previste dai paragrafi 3 e 4 del presente articolo o dagli articoli 99 e 100 della presente legge.
(2) Il paragrafo 1 è applicabile se sono soddisfatte le seguenti condizioni:
a) l’autorità che fa uscire i beni dal territorio della Comunità deve aver certificato che essi hanno lasciato detto territorio al momento della cessione o, al più tardi entro 90 giorni dalla data in cui essa è stata effettuata, (…)
(…)
(3) Fatte salve le disposizioni degli articoli 99 e 100, si può applicare il paragrafo 1, lettera b), se, in tale contesto, l’acquirente non è stabilito in Ungheria o, in mancanza di stabilimento, non abbia ivi il suo domicilio o la sua residenza abituale.
(…)».
L’articolo 99 della legge sull’IVA è così formulato:
«(1) Quando l’acquirente è un viaggiatore straniero e i beni ceduti (...) formano parte del suo bagaglio personale o di viaggio, ai fini dell’applicazione dell’esenzione di cui all’articolo 98, paragrafo 1, occorre che:
a) il valore della cessione, compresa l’imposta, superi l’importo di EUR 175;
b) il viaggiatore straniero dimostri il suo status mediante documenti di viaggio o di altro genere emessi dalle autorità riconosciute come competenti in Ungheria e che hanno la funzione di identificare la persona (…);
c) il fatto che i beni hanno lasciato il territorio comunitario sia attestato dall’autorità competente per l’uscita dei prodotti della Comunità, apponendo un visto e un timbro sul modulo fornito a tal fine dall’amministrazione tributaria dello Stato (...), dietro contestuale presentazione dei beni ceduti e dell’originale della fattura che conferma l’esecuzione della cessione dei beni.
(2) Per poter beneficiare dell’esenzione, il venditore dei beni deve, oltre all’emissione di una fattura, compilare un modulo di domanda di rimborso dell’imposta su richiesta del viaggiatore straniero. (…) Il modulo di domanda di rimborso dell’imposta è redatto in tre copie dal venditore dei beni il quale consegna le prime due copie al viaggiatore e conserva la terza copia tra i propri documenti contabili.
(3) Quando attesta l’uscita dei beni di cui al paragrafo 1, lettera c), l’autorità doganale preleva dal viaggiatore la seconda copia del modulo di domanda di rimborso dell’imposta munita di un visto e di un timbro.
(4) L’esenzione dall’imposta è soggetta alla condizione:
a) che il venditore dei beni sia in possesso della prima copia del modulo di domanda di rimborso dell’imposta munita di un visto e di un timbro di cui al paragrafo 1, lettera c), e
b) qualora l’imposta sia stata riscossa al momento della cessione dei beni, che il venditore rimborsi detta imposta al viaggiatore straniero, conformemente ai paragrafi da 5 a 8.
(…)
(6) Al fine di ottenere il rimborso dell’imposta, il viaggiatore straniero o il suo mandatario:
a) consegna al venditore dei beni la prima copia munita di un visto e di un timbro, conformemente al paragrafo 1, lettera c), del modulo di domanda di rimborso dell’imposta, e
b) presenta al venditore dei beni l’originale della fattura attestante la cessione dei beni.
(…)
(9) Qualora l’imposta sia stata fatturata ai sensi del paragrafo 4, lettera b), e il venditore dei beni l’abbia precedentemente accertata e dichiarata come imposta da pagare, egli ha il diritto (...) di ridurre l’imposta da pagare (...) dell’importo dell’imposta rimborsata a condizione che tale importo sia indicato separatamente nei suoi documenti contabili.
(…)».
L’articolo 259, paragrafo 10, della legge sull’IVA definisce la nozione di «viaggiatore straniero» come «la persona fisica che non è cittadino di uno Stato membro (...), né titolare di un diritto di soggiorno in uno Stato membro (...), nonché il cittadino di uno Stato membro (...), ma che risiede fuori dal suo territorio».
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
Fino all’aprile 2015, la Bakati svolgeva l’attività di commercio all’ingrosso di piante ornamentali. Successivamente, essa si è dedicata al commercio al dettaglio fuori dei locali commerciali. A partire dal 2015, il suo fatturato annuo è notevolmente aumentato, passando da 50 milioni di fiorini ungheresi (HUF) (circa EUR 140 000) a un miliardo di HUF (circa EUR 2 784 000). Nel corso del 2016 la sua attività è consistita, al 95%, in consegne a venti privati, membri di tre famiglie, di grandi quantità di prodotti alimentari, cosmetici e articoli per la pulizia. Tali acquisti venivano effettuati telefonicamente e hanno avuto luogo varie centinaia di volte.
I beni di cui trattasi venivano trasportati per conto della Bakati a partire dal suo magazzino situato a Szeged (Ungheria) fino a un magazzino affittato dagli acquirenti a Tompa (Ungheria), nei pressi del confine serbo-ungherese, luogo in cui le fatture e i moduli di domanda di rimborso dell’IVA per i viaggiatori stranieri, emessi dalla Bakati sulla base delle informazioni fornite da tali acquirenti, venivano consegnati insieme ai beni interessati, dietro pagamento del prezzo di acquisto. Detti acquirenti trasportavano quindi tali beni in Serbia, mediante autovettura privata, come bagaglio personale. Essi beneficiavano in relazione a questi ultimi dell’esenzione dall’IVA prevista per i beni destinati ad essere trasportati nel bagaglio personale dei viaggiatori stranieri, rinviando alla Bakati la copia del modulo di domanda di rimborso dell’IVA vistato dall’autorità doganale di uscita, che menzionava che i prodotti avevano lasciato il territorio dell’Unione europea a Tompa. Alla ricezione di tale modulo, la Bakati rimborsava loro l’IVA che essi avevano pagato al momento dell’acquisto.
Nelle sue dichiarazioni IVA per l’esercizio 2016, e conformemente all’articolo 99, paragrafo 9, della legge sull’IVA, la Bakati ha indicato, come importo da detrarre dall’imposta dovuta, l’IVA rimborsata agli stessi acquirenti, per un importo totale di HUF 339 788 000 (circa EUR 946 000).
In occasione di un controllo fiscale, la Nemzeti Adó- és Vámhivatal Csongrád Megyei Adó- és Vámigazgatósága (Direzione delle imposte e delle dogane della provincia di Csongrád, Ungheria) ha constatato che gli acquisti di cui trattasi eccedevano l’ambito delle esigenze personali e familiari degli acquirenti e che erano stati effettuati a fini di rivendita dei beni acquistati. Secondo tale autorità, ciò escludeva che tali beni potessero costituire un bagaglio personale ai sensi della normativa applicabile. Detta autorità ha altresì ritenuto che la Bakati non potesse beneficiare dell’esenzione dall’IVA a titolo di esportazione, in quanto tale società non aveva avviato la procedura di uscita doganale di detti beni e non disponeva dei documenti necessari a tal fine. Di conseguenza, con decisione del 27 giugno 2018, essa ha preteso dalla Bakati il pagamento di una differenza di IVA pari a HUF 340 598 000 (circa EUR 948 200), maggiorata di una sanzione tributaria di HUF 163 261 000 (circa EUR 454 500) e di interessi di mora pari a HUF 7 184 000 (circa EUR 20 000).
Poiché tale decisione è stata confermata da una decisione della Direzione dei ricorsi del 31 ottobre 2018, la Bakati ha proposto dinanzi al Szegedi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Szeged) un ricorso diretto all’annullamento di quest’ultima decisione.
A sostegno di tale ricorso, la Bakati fa valere in particolare che, in mancanza di definizione delle nozioni di «bagaglio personale» o di «viaggio» nell’ambito del diritto tributario, l’amministrazione doganale non può rifiutare di apporre un visto su un modulo per prodotti che hanno lasciato il territorio dell’Ungheria sulla base della mera presunzione che gli acquirenti abbiano intenzione di rivenderli. Inoltre, non vi sarebbe alcuna intenzione, da parte sua, di eludere l’imposta, dal momento che, in forza dell’articolo 98 della legge sull’IVA, essa avrebbe avuto diritto all’esenzione dall’IVA a titolo di esportazione. Inoltre, il trattamento fiscale delle operazioni di cui trattasi non potrebbe dipendere dalle norme di diritto doganale e l’obiettivo dell’esenzione delle esportazioni sarebbe rispettato, atteso che i beni di cui trattasi hanno effettivamente lasciato il territorio dell’Unione.
La Direzioni dei ricorsi conclude per il rigetto di tale ricorso.
Il giudice del rinvio evidenzia che la Bakati sapeva, senza alcun dubbio, che gli acquirenti acquistavano i beni in questione non per il loro uso personale o familiare, bensì al fine di rivenderli nei mercati in Serbia, e che i membri di tre famiglie partecipavano alle operazioni in questione affinché il valore di ciascuna cessione non superasse un determinato importo, agevolando così il transito frontaliero dei beni tra l’Ungheria e la Serbia. Esso precisa che è pacifico che i beni di cui trattasi hanno sempre lasciato il territorio dell’Ungheria.
Per quanto riguarda il merito della controversia, tale giudice menziona, in via preliminare, che, in forza di una sentenza della Kúria (Corte suprema, Ungheria) dell’8 dicembre 2016, sulla quale si fonda la decisione della Direzione dei ricorsi, in circostanze analoghe a quelle in questione dinanzi ad esso, occorre iniziare dall’analisi della sussistenza delle condizioni di applicazione dell’articolo 99 della legge sull’IVA. Secondo tale sentenza, si considerano rispondenti alla nozione di «bagaglio» solo i beni che un passeggero acquista per le proprie esigenze o come regalo e, di conseguenza, tale articolo 99 non consente di esportare sotto forma di bagaglio merci la cui quantità raggiunge un livello commerciale. Atteso che la cessione di un bene deve tuttavia essere tassata nello Stato in cui avviene il consumo finale di tale bene, la Kúria (Corte suprema) impone quindi all’amministrazione tributaria, qualora sia dimostrato che i beni in questione hanno lasciato il territorio dell’Unione, di esaminare se sia applicabile un altro titolo di esenzione dall’IVA previsto dall’articolo 98 della legge sull’IVA.
Atteso che gli articoli 98 e 99 della legge sull’IVA corrispondono alle disposizioni degli articoli 146 e 147 della direttiva IVA, detto giudice si interroga, in primo luogo, alla luce della suddetta sentenza, su come debba essere definita la nozione di «bagaglio personale». Esso ritiene che occorra basarsi sul senso comune di detti termini e che l’oggetto dell’esportazione rivesta un’importanza determinante. Ciò escluderebbe che possano rientrare in tale nozione beni destinati alla rivendita. Tuttavia, in assenza di giurisprudenza della Corte in materia, sarebbe necessario interrogarla in via pregiudiziale.
In secondo luogo, lo stesso giudice ritiene che, in assenza di modifica da parte degli acquirenti interessati della loro intenzione di beneficiare dell’esenzione dall’IVA prevista per i viaggiatori stranieri e in assenza di esportazione al di fuori dell’Ungheria nell’ambito del regime doganale uniforme, l’amministrazione tributaria non avrebbe dovuto riqualificare le cessioni di cui trattasi.
Secondo il giudice del rinvio, dal momento che la Bakati era a conoscenza del fatto che il comportamento degli acquirenti interessati era fraudolento e che non erano soddisfatti i requisiti per l’esenzione dall’IVA prevista per i viaggiatori stranieri, tale società non poteva legittimamente emettere moduli di domanda di rimborso dell’IVA per i viaggiatori stranieri. La questione se tali acquirenti abbiano effettivamente eluso la normativa tributaria serba sarebbe irrilevante. L’unica circostanza rilevante sarebbe rappresentata dal fatto che la Bakati, con il suo comportamento, ha – secondo il giudice del rinvio – consapevolmente agevolato l’attività fraudolenta di detti acquirenti e deliberatamente violato le prescrizioni della legge sull’IVA, riducendo così indebitamente la sua base imponibile sulla base del rimborso dell’imposta da cui i viaggiatori stranieri sono esenti.
Se, in tali circostanze, le autorità tributarie fossero tenute a concedere l’esenzione dall’IVA su un fondamento giuridico diverso da quello relativo all’esenzione prevista per i viaggiatori stranieri, riqualificando le operazioni considerate, il comportamento in malafede della Bakati resterebbe privo di conseguenze giuridiche. Ciò procurerebbe alla Bakati un vantaggio concorrenziale acquisito illegittimamente, lederebbe il principio di neutralità fiscale e sarebbe contrario all’obbligo per gli Stati membri, previsto all’articolo 273 della direttiva IVA, di adottare misure per lottare contro l’evasione e l’elusione fiscale. Sarebbe, al riguardo, trasponibile la soluzione accolta nella sentenza del 17 maggio 2018, Vámos (C-566/16, EU:C:2018:321), dalla quale risulterebbe che non è consentito a un soggetto passivo optare per un’esenzione dall’IVA alla scadenza del termine impartito a tal fine.
Inoltre, violando i requisiti di forma applicabili, la Bakati e gli acquirenti interessati avrebbero scientemente dissimulato le loro reali attività economiche alle autorità fiscali e doganali. Una siffatta violazione impedirebbe di constatare la sussistenza delle condizioni sostanziali dell’esenzione dall’IVA. L’affermazione della Bakati secondo cui l’apposizione del timbro delle autorità doganali sul modulo di domanda di rimborso dell’IVA per i viaggiatori stranieri può giustificare l’applicazione dell’esenzione per una cessione all’esportazione sarebbe errata. L’esenzione dall’IVA per i viaggiatori stranieri riguarderebbe, infatti, una categoria di soggetti definita, diversa da quella prevista dall’esenzione all’esportazione, e sarebbe necessario stabilire a quale titolo l’acquirente interessato abbia diritto a un rimborso.
In tali circostanze, il Szegedi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Szeged, Ungheria) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se sia compatibile con l’articolo 147 della [direttiva IVA], la prassi di uno Stato membro che identifica la nozione di “bagaglio personale”, stabilita come elemento concettuale delle cessioni di beni a viaggiatori stranieri esenti dall’imposta sul valore aggiunto, con la nozione di effetti personali utilizzata nella Convenzione sulle facilitazioni doganali in favore del turismo, firmata a New York il 4 giugno 1954 [ Recueil des traités des Nations unies , vol. 276, pag. 230], e nel relativo protocollo aggiuntivo, e con la nozione di “bagagli” di cui all’articolo 1, punto 5, del [regolamento delegato 2015/2446].
2) In caso di risposta negativa alla precedente questione pregiudiziale, si chiede come debba essere definita la nozione di “bagaglio personale” di cui all’articolo 147 della direttiva IVA, tenuto conto del fatto che in tale direttiva manca una definizione al riguardo. Se sia conforme alle disposizioni del diritto comunitario la prassi nazionale secondo cui le autorità tributarie di uno Stato membro tengono conto esclusivamente del “significato ordinario dei termini”.
3) Se gli articoli 146 e 147 della direttiva IVA debbano essere interpretati nel senso che, quando un soggetto passivo non ha diritto all’esenzione per le cessioni di beni a favore dei viaggiatori stranieri ai sensi dell’articolo 147 di detta direttiva, occorre esaminare, nel caso concreto, se sia applicabile l’esenzione delle cessioni di beni all’esportazione ai sensi dell’articolo 146 della stessa direttiva, anche qualora siano state omesse le formalità doganali previste dal codice doganale dell’Unione e dalla normativa delegata.
4) Nel caso in cui la risposta alla precedente questione pregiudiziale sia che, quando non è applicabile l’esenzione a favore dei viaggiatori stranieri, l’operazione può beneficiare di un’esenzione dall’IVA a titolo di esportazione, se sia possibile qualificare il negozio giuridico come cessione di beni all’esportazione esente dall’IVA contrariamente all’intenzione espressa dal cliente al momento dell’ordine.
5) In caso di risposta affermativa alla terza e alla quarta questione pregiudiziale, in una situazione come quella del procedimento in esame, in cui l’emittente della fattura sapeva, al momento della cessione dei beni, che gli stessi erano stati acquistati ai fini della rivendita, ma che l’acquirente straniero intendeva ciononostante portarli fuori dal territorio nell’ambito del regime dei viaggiatori stranieri, cosicché l’emittente della fattura ha agito in mala fede rilasciando il modulo di domanda di rimborso dell’imposta previsto a tal fine in detto regime e rimborsando, a titolo di esenzione a favore dei viaggiatori stranieri, l’imposta sul valore aggiunto ripercossa, se sia compatibile con gli articoli 146 e 147 della direttiva IVA e con i principi di neutralità fiscale e di proporzionalità del diritto dell’Unione la prassi di uno Stato membro in base alla quale l’autorità tributaria nega il rimborso dell’imposta erroneamente dichiarata e versata a titolo di cessioni di beni a viaggiatori stranieri, senza qualificare tali operazioni come cessioni di beni all’esportazione e senza effettuare la corrispondente rettifica, nonostante sia incontestabile che i beni siano usciti dall’Ungheria come bagaglio dei viaggiatori».
Sulle questioni pregiudiziali
Osservazioni preliminari
Occorre osservare, in via preliminare, che la Bakati contesta la ricostruzione dei fatti effettuata dal giudice del rinvio in quanto incompleta, se non addirittura erronea. Di conseguenza, essa invita la Corte a rispondere a due questioni supplementari, da essa formulate nelle sue osservazioni scritte, oppure a prendere in considerazione d’ufficio, nell’ambito dell’analisi delle questioni sollevate dal giudice del rinvio, i principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento, atteso che la presa in considerazione di questi ultimi sarebbe, a suo avviso, in ogni caso necessaria, alla luce dei fatti da essa presentati, al fine di fornire una risposta utile a tale giudice.
Conformemente alla giurisprudenza costante della Corte, nell’ambito della procedura di cui all’articolo 267 TFUE, basata su una netta separazione di funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, qualsiasi valutazione dei fatti di causa rientra nella competenza del giudice nazionale. La Corte può quindi pronunciarsi unicamente sull’interpretazione o sulla validità di un testo di diritto dell’Unione sulla base dei fatti indicati dal giudice nazionale (sentenza del 21 luglio 2016, Argos Supply Trading, C-4/15, EU:C:2016:580, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).
Di conseguenza, i fatti complementari addotti dalla Bakati non possono essere presi in considerazione dalla Corte. Del resto, da nessun elemento del fascicolo sottoposto alla Corte, a parte le suddette affermazioni, emerge che una siffatta presa in considerazione sarebbe necessaria al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio.
Inoltre, nell’ambito della cooperazione tra la Corte e gli organi giurisdizionali nazionali, quale prevista dall’articolo 267 TFUE, spetta unicamente al giudice nazionale, il quale è investito della controversia e deve assumersi la responsabilità della futura pronuncia giurisdizionale, valutare, alla luce delle peculiarità della causa dinanzi ad esso pendente, sia la necessità di una decisione in via pregiudiziale ai fini della pronuncia della propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che esso propone alla Corte. La facoltà di determinare le questioni da sottoporre a quest’ultima è quindi riservata al giudice nazionale e le parti nella causa principale non possono modificarne il tenore (sentenza del 16 ottobre 2014, Welmory, C-605/12, EU:C:2014:2298, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).
Per di più, apportare una risposta alle questioni complementari menzionate dalle parti sarebbe incompatibile con l’obbligo della Corte di dare ai governi degli Stati membri e alle parti interessate la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, tenuto conto del fatto che, in base alla suddetta disposizione, agli interessati vengono notificate solo le decisioni di rinvio (v., in tal senso, sentenza del 16 ottobre 2014, Welmory, C-605/12, EU:C:2014:2298, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).
Ne consegue che la Corte non può accogliere la domanda della Bakati diretta a far sì che essa risponda a questioni supplementari da quest’ultima formulate.
Sulle questioni prima e seconda
Con le sue questioni prima e seconda, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’esenzione prevista all’articolo 147, paragrafo 1, della direttiva IVA a favore dei «beni destinati ad essere trasportati nel bagaglio personale dei viaggiatori» debba essere interpretata nel senso che rientrano in quest’ultima i beni che un privato non stabilito nell’Unione trasporta con sé al di fuori dell’Unione a fini commerciali, in vista della loro rivendita in uno Stato terzo.
L’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), della direttiva IVA prevede che gli Stati membri esentino le cessioni di beni spediti o trasportati da un acquirente non stabilito nel loro rispettivo territorio, o per conto del medesimo, fuori dall’Unione, ad eccezione dei beni trasportati dall’acquirente stesso e destinati all’attrezzatura o al rifornimento e al vettovagliamento di navi da diporto, aerei da turismo o qualsiasi altro mezzo di trasporto ad uso privato.
L’articolo 147, paragrafo 1, di tale direttiva precisa che, qualora la cessione di cui a tale articolo 146, paragrafo 1, lettera b), riguardi beni destinati ad essere trasportati nel bagaglio personale dei viaggiatori, l’esenzione si applica soltanto se il viaggiatore non è stabilito nell’Unione, se i beni sono trasportati fuori dall’Unione entro il terzo mese successivo a quello in cui è effettuata la cessione e se il valore complessivo della cessione, compresa l’IVA, supera la somma di EUR 175 o il suo controvalore in moneta nazionale, potendo gli Stati membri, tuttavia, esentare una cessione il cui valore complessivo sia inferiore a tale importo.
Per quanto riguarda la questione se l’esenzione prevista a favore dei «beni destinati ad essere trasportati nel bagaglio personale dei viaggiatori», ai sensi di tale articolo 147, paragrafo 1, possa applicarsi a beni trasportati in condizioni come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, occorre ricordare che dalle esigenze inerenti sia all’applicazione uniforme del diritto dell’Unione sia al principio di parità discende che i termini di una disposizione del diritto dell’Unione non contenente alcun rinvio espresso al diritto degli Stati membri al fine di determinare il senso e la portata della disposizione stessa devono di norma ricevere, in tutta l’Unione, un’interpretazione autonoma e uniforme (sentenze del 18 ottobre 2011, Brüstle, C-34/10, EU:C:2011:669, punto 25 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 23 aprile 2020, Associazione Avvocatura per i diritti LGBTI, C-507/18, EU:C:2020:289, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).
Inoltre, la determinazione del significato e della portata dei termini per i quali il diritto dell’Unione non fornisce alcuna definizione va operata conformemente al loro senso abituale nel linguaggio comune, tenendo conto del contesto nel quale vengono utilizzati e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essi fanno parte (sentenze del 18 ottobre 2011, Brüstle, C-34/10, EU:C:2011:669, punto 31 e giurisprudenza ivi citata, e del 23 aprile 2020, Associazione Avvocatura per i diritti LGBTI, C-507/18, EU:C:2020:289, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).
Occorre altresì ricordare che le esenzioni previste dalla direttiva IVA costituiscono, a meno che il legislatore dell’Unione non abbia affidato agli Stati membri il compito di definirne taluni termini, nozioni autonome di diritto dell’Unione che vanno reinquadrate nel contesto generale del sistema comune dell’IVA instaurato da tale direttiva (v., in tal senso, sentenze del 18 ottobre 2007, Navicon, C-97/06, EU:C:2007:609, punto 20 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 7 marzo 2013, Wheels Common Investment Fund Trustees e a., C-424/11, EU:C:2013:144, punto 16 e giurisprudenza ivi citata).
Dette esenzioni devono, inoltre, essere interpretate restrittivamente, in quanto costituiscono una deroga al principio generale secondo cui l’IVA è riscossa su ogni cessione di beni e su ogni prestazione di servizi effettuate a titolo oneroso da un soggetto passivo (sentenze del 18 ottobre 2007, Navicon, C-97/06, EU:C:2007:609, punto 22 e giurisprudenza ivi citata, e del 29 giugno 2017, L.Č., C-288/16, EU:C:2017:502, punto 22 e giurisprudenza ivi citata).
Alla luce di tali elementi e in assenza di rinvio al diritto degli Stati membri e di definizione pertinente nella direttiva IVA, i termini «beni destinati ad essere trasportati nel bagaglio personale dei viaggiatori» ai sensi dell’articolo 147, paragrafo 1, di tale direttiva, devono essere interpretati conformemente al loro senso abituale nel linguaggio comune, tenendo conto al contempo del contesto in cui essi sono utilizzati e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essi fanno parte.
Al riguardo, considerati gli interrogativi espressi dal giudice del rinvio nella sua prima questione e nella seconda parte della sua seconda questione, occorre constatare anzitutto, da un lato, che l’espressione «bagaglio personale», ai sensi dell’articolo 147, paragrafo 1, della direttiva IVA, non può essere definita mediante un’applicazione diretta della nozione di «effetti personali» utilizzata nella Convenzione sulle facilitazioni doganali in favore del turismo, firmata a New York il 4 giugno 1954, e nel protocollo aggiuntivo di tale Convenzione – della quale, del resto, né l’Unione né tantomeno l’insieme degli Stati membri sono parti – in quanto una simile applicazione non sarebbe conforme alla giurisprudenza costante della Corte ricordata ai punti 38 e 40 della presente sentenza e, in particolare, al fatto che le esenzioni previste dalla direttiva IVA costituiscono nozioni autonome del diritto dell’Unione. Inoltre, tenendo conto di tale costante giurisprudenza, l’espressione «bagaglio personale» non può neppure essere interpretata prendendo in considerazione esclusivamente il «significato ordinario dei termini».
Dall’altro lato, non può essere effettuata neppure un’assimilazione di tale espressione a quella di «bagaglio» come definito all’articolo 1, punto 5, del regolamento delegato 2015/2446. Conformemente alla giurisprudenza ricordata al punto 40 della presente sentenza, infatti, le esenzioni previste dalla direttiva IVA devono essere reinquadrate nel contesto generale del sistema comune dell’IVA instaurato da tale direttiva. Inoltre, detto sistema comune e il regime dell’Unione di riscossione dei dazi doganali presentano differenze di struttura, di oggetto e di scopo che escludono, in linea di principio, che i termini di un’esenzione rientrante in detto sistema comune vengano definiti da un rinvio alle definizioni previste dalla normativa relativa al regime dell’Unione di riscossione dei dazi doganali nonché ai fini di quest’ultima (v., in tal senso, sentenza del 21 febbraio 2008, Netto Supermarkt, C-271/06, EU:C:2008:105, punto 28).
Per quanto riguarda l’interpretazione da accogliere della locuzione «beni destinati ad essere trasportati nel bagaglio personale dei viaggiatori», occorre constatare che, nel suo senso abituale nel linguaggio comune, essa riguarda i beni, generalmente di piccole dimensioni o in piccole quantità, che una persona fisica trasporta con sé durante uno spostamento, di cui ha bisogno nel corso di quest’ultimo e che servono al suo uso privato o a quello della sua famiglia. Possono altresì far parte di questi ultimi beni che essa acquista durante tale spostamento.
Per quanto riguarda il contesto in cui si inserisce l’articolo 147, paragrafo 1, della direttiva IVA, occorre rilevare che tale disposizione subordina l’applicazione dell’esenzione prevista da tale articolo non solo al fatto che la cessione abbia ad oggetto «beni destinati ad essere trasportati nel bagaglio personale dei viaggiatori», ma anche al rispetto delle condizioni cumulative elencate al primo comma, lettere da a) a c), di detta disposizione, vale a dire quelle secondo cui il viaggiatore non sia stabilito nell’Unione, che i beni siano trasportati fuori dell’Unione entro il terzo mese successivo a quello in cui è effettuata la cessione, che il valore complessivo della cessione, compresa l’IVA, superi, in via di principio, la somma di EUR 175 o il suo controvalore in moneta nazionale.
Il suddetto articolo 147 precisa, al suo paragrafo 2, primo comma, che la nozione di «viaggiatore non stabilito nell’[Unione]» ricomprende il «viaggiatore il cui domicilio o residenza abituale non si trova nell’[Unione]» e che la nozione di «domicilio o [di] residenza abituale» riguarda «il luogo indicato come tale sul passaporto, sulla carta d’identità o su altro documento riconosciuto come valido documento di identità dallo Stato membro nel cui territorio è effettuata la cessione».
Tali elementi che figurano in detto articolo 147, segnatamente al suo paragrafo 1, primo comma, lettera a), e al suo paragrafo 2, contemplano pertanto come potenziale beneficiario dell’esenzione prevista da tale articolo una persona fisica che non agisce in qualità di operatore economico, il che tende ad escludere che tale esenzione sia prevista a favore di operatori economici e, di conseguenza, ad escludere che essa sia applicabile ad esportazioni di natura commerciale.
Pertanto, tenuto conto di tale constatazione nonché della giurisprudenza costante della Corte, richiamata al punto 41 della presente sentenza, secondo cui le esenzioni dall’IVA devono essere interpretate restrittivamente, l’esenzione prevista all’articolo 147, paragrafo 1, di tale direttiva a favore dei beni destinati ad essere trasportati nel bagaglio personale di viaggiatori non può applicarsi a beni che vengono trasportati da un privato fuori dell’Unione a fini commerciali, in vista della loro rivendita in uno Stato terzo.
Tale interpretazione è corroborata dall’obiettivo specifico perseguito dall’esenzione prevista all’articolo 147 della direttiva IVA. È vero che quest’ultima mira, in maniera generale, al pari di quella prevista dall’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), della direttiva in parola, a che sia osservato, nell’ambito del commercio internazionale, il principio dell’imposizione dei beni interessati nel loro luogo di destinazione e, in tal modo, a che sia garantito che l’operazione di cui trattasi sia tassata esclusivamente nel luogo in cui i prodotti considerati saranno consumati (v., in tal senso, sentenze del 29 giugno 2017, L.Č., C-288/16, EU:C:2017:502, punto 18 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 17 ottobre 2019, Unitel, C-653/18, EU:C:2019:876, punto 20 e giurisprudenza ivi citata).
Tuttavia, tale articolo 147 persegue, inoltre, come illustrato, in sostanza, dall’avvocato generale ai paragrafi da 67 a 71 delle sue conclusioni, l’obiettivo specifico di promozione del turismo, come dimostra la facoltà, riconosciuta agli Stati membri dal secondo comma del paragrafo 1 di quest’ultimo, di esentare le cessioni di beni il cui valore totale sia inferiore all’importo previsto dal primo comma, lettera c), di tale paragrafo. Orbene, concedere il beneficio dell’esenzione prevista al suddetto articolo 147 a esportazioni effettuate a fini commerciali, in previsione della rivendita dei prodotti di cui trattasi in uno Stato terzo, non avrebbe alcun nesso con tale obiettivo di promozione del turismo, il quale è strettamente legato a un’attività non economica da parte dell’acquirente.
Detta interpretazione è, inoltre, corroborata dall’evoluzione legislativa della disposizione che figura ormai all’articolo 147 della direttiva IVA. Quest’ultima, come parimenti illustrato, in sostanza, dall’avvocato generale ai paragrafi da 43 a 59 e 63 delle sue conclusioni, era inizialmente legata alle franchigie previste per le importazioni di merci contenute nel bagaglio personale dei viaggiatori, prive di qualsiasi carattere commerciale, nonché alle cessioni effettuate nella fase del commercio al dettaglio. Orbene, il legislatore dell’Unione non ha indicato di voler ritornare su tale collegamento in occasione delle diverse modifiche da esso apportate a tale disposizione.
Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni prima e seconda dichiarando che l’esenzione prevista all’articolo 147, paragrafo 1, della direttiva IVA a favore dei «beni destinati ad essere trasportati nel bagaglio personale dei viaggiatori» deve essere interpretata nel senso che non rientrano in quest’ultima i beni che un privato non stabilito nell’Unione trasporta con sé al di fuori dell’Unione a fini commerciali, in vista della loro rivendita in uno Stato terzo.
Sulle questioni terza e quarta
Con le sue questioni terza e quarta, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), e l’articolo 147 della direttiva IVA debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una giurisprudenza nazionale in forza della quale, qualora l’amministrazione tributaria constati che le condizioni dell’esenzione dall’IVA prevista per i beni destinati ad essere trasportati nel bagaglio personale dei viaggiatori non sono soddisfatte, ma che i beni interessati sono stati effettivamente trasportati fuori dell’Unione dall’acquirente, essa è tenuta ad esaminare se l’esenzione dall’IVA prevista da tale articolo 146, paragrafo 1, lettera b), possa essere applicata alla cessione in questione, anche qualora le formalità doganali applicabili non siano state espletate e, al momento dell’acquisto, l’acquirente non intendesse veder applicata quest’ultima esenzione.
Occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), della direttiva IVA, gli Stati membri esentano le cessioni di beni spediti o trasportati da un acquirente non stabilito nel loro rispettivo territorio, o per conto del medesimo, fuori dell’Unione, ad eccezione, in sostanza, dei beni trasportati dall’acquirente stesso e destinati all’attrezzatura o al rifornimento e al vettovagliamento di mezzi di trasporto ad uso privato. Tale disposizione deve essere letta in combinato disposto con l’articolo 14, paragrafo 1, della suddetta direttiva, ai sensi del quale si considera «cessione di beni» il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario (sentenze del 28 febbraio 2018, Pieńkowski, C-307/16, EU:C:2018:124, punto 24, e del 17 ottobre 2019, Unitel, C-653/18, EU:C:2019:876, punto 19 e giurisprudenza ivi citata).
Da tali disposizioni e, segnatamente, dal termine «spediti», contenuto nel suddetto articolo 146, paragrafo 1, lettera b), deriva che l’esportazione di un bene si perfeziona e l’esenzione della cessione all’esportazione diviene applicabile quando il potere di disporre di tale bene come proprietario è stato trasmesso all’acquirente, il fornitore prova che tale bene è stato spedito o trasportato al di fuori dell’Unione e il bene, in seguito a tale spedizione o trasporto, ha lasciato fisicamente il territorio dell’Unione (sentenze del 28 febbraio 2018, Pieńkowski, C-307/16, EU:C:2018:124, punto 25, e del 17 ottobre 2019, Unitel, C-653/18, EU:C:2019:876, punto 21 e giurisprudenza ivi citata).
Nel caso di specie, è pacifico che hanno avuto luogo cessioni di beni, ai sensi dell’articolo 14 della direttiva IVA, che i beni interessati dalle operazioni di cui trattasi nel procedimento principale sono stati trasportati fuori dell’Unione dai loro acquirenti e che l’uscita effettiva di tali beni dal territorio dell’Unione è attestata, per ciascuna delle cessioni in questione, da un visto apposto dall’autorità doganale di uscita su un modulo in possesso del soggetto passivo.
Inoltre, è vero che quando la cessione di cui all’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), della direttiva IVA riguarda beni destinati ad essere trasportati nel bagaglio personale dei viaggiatori l’esenzione si applica soltanto se sono soddisfatte determinate condizioni supplementari previste all’articolo 147 di detta direttiva (sentenza del 28 febbraio 2018, Pieńkowski, C-307/16, EU:C:2018:124, punto 27).
Tuttavia, come risulta esplicitamente dalla formulazione dell’articolo 147, paragrafo 1, primo comma, della direttiva IVA e dalla giurisprudenza ricordata al punto precedente, l’articolo 147 di detta direttiva costituisce solo un caso specifico di applicazione dell’esenzione prevista dall’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), di quest’ultima e le condizioni imposte da tale articolo 147 sono condizioni ulteriori rispetto a quelle previste da tale articolo 146, paragrafo 1, lettera b). Ne consegue che il fatto che tali condizioni specificamente previste da detto articolo 147 non siano soddisfatte non può escludere che le condizioni previste nel solo articolo 146, paragrafo 1, lettera b), siano soddisfatte.
Inoltre, da un lato, l’articolo 146, paragrafo 1, lettera a), della direttiva IVA non prevede alcuna condizione secondo la quale le formalità doganali applicabili all’esportazione debbano essere rispettate affinché l’esenzione all’esportazione prevista da tale disposizione sia applicabile (v., per analogia, sentenza del 28 marzo 2019, Vinš, C-275/18, EU:C:2019:265, punto 26).
Dall’altro lato, la Corte ha più volte dichiarato che la nozione di «cessione di beni» ha un carattere obiettivo e si applica indipendentemente dagli scopi e dai risultati delle operazioni di cui trattasi, senza che l’amministrazione tributaria sia obbligata a procedere a indagini per accertare la volontà del soggetto passivo in questione o di tener conto dell’intenzione di un operatore, diverso da tale soggetto passivo, che intervenga nella stessa catena di cessioni (sentenza del 17 ottobre 2019, Unitel, C-653/18, EU:C:2019:876, punto 22 e giurisprudenza ivi citata).
Da tali elementi risulta che un’operazione come quelle in questione nel procedimento principale costituisce una cessione di beni, ai sensi dell’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), della direttiva IVA, se soddisfa i criteri oggettivi sui quali è fondata tale nozione, ricordati al punto 56 della presente sentenza (v., per analogia, sentenza del 17 ottobre 2019, Unitel, C-653/18, EU:C:2019:876, punto 23).
Pertanto, la qualificazione di un’operazione come «cessione all’esportazione» ai sensi di tale disposizione non può dipendere dal rispetto delle formalità doganali applicabili all’esportazione (v., per analogia, sentenza del 28 marzo 2019, Vinš, C-275/18, EU:C:2019:265, punti 27 e giurisprudenza ivi citata) né del fatto che l’intenzione dell’acquirente, al momento dell’acquisto, era che venisse applicata non l’esenzione prevista da detta disposizione, bensì quella prevista all’articolo 147 della direttiva IVA. Infatti, tali circostanze non escludono che detti criteri oggettivi siano soddisfatti.
Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni terza e quarta dichiarando che l’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), e l’articolo 147 della direttiva IVA devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una giurisprudenza nazionale in forza della quale, qualora l’amministrazione tributaria constati che le condizioni per l’esenzione dall’IVA prevista per i beni destinati ad essere trasportati nel bagaglio personale dei viaggiatori non sono soddisfatte, ma che i beni di cui trattasi sono stati effettivamente trasportati fuori dell’Unione dall’acquirente, essa è tenuta a esaminare se l’esenzione dall’IVA prevista a tale articolo 146, paragrafo 1, lettera b), possa essere applicata alla cessione in questione, anche qualora le formalità doganali applicabili non siano state espletate e, al momento dell’acquisto, l’acquirente non intendesse veder applicata quest’ultima esenzione.
Sulla quinta questione
Con la sua quinta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), e l’articolo 147 della direttiva IVA nonché i principi di neutralità fiscale e di proporzionalità debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una prassi nazionale in forza della quale l’amministrazione tributaria nega automaticamente a un soggetto passivo il beneficio dell’esenzione dall’IVA prevista dall’una e dall’altra di tali disposizioni, qualora constati che tale soggetto passivo ha emesso in malafede il modulo in base al quale l’acquirente si è avvalso dell’esenzione prevista da tale articolo 147, laddove venga accertato che i beni interessati hanno lasciato il territorio dell’Unione.
Come risulta, in sostanza, dall’analisi delle questioni prima e seconda, l’esenzione dall’IVA prevista all’articolo 147 della direttiva IVA non è applicabile a beni che sono trasportati dall’acquirente al di fuori dell’Unione a fini commerciali, in vista della loro rivendita in uno Stato terzo. Tuttavia, come già rilevato al punto 59 della presente sentenza, l’esenzione prevista da tale articolo 147 costituisce solo un caso specifico di applicazione di quella prevista dall’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), della direttiva in parola e il fatto che le condizioni specifiche previste da tale articolo 147 non siano soddisfatte non esclude che le condizioni di cui al suddetto articolo 146, paragrafo 1, lettera b), lo siano.
Di conseguenza, il fatto che un’amministrazione tributaria constati che l’esportazione di cui trattasi è effettuata a fini commerciali e non può quindi beneficiare dell’esenzione prevista all’articolo 147 della direttiva IVA non può automaticamente consentirle di pervenire alla conclusione che l’esenzione prevista all’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), di tale direttiva debba essere a sua volta rifiutata.
Inoltre, come è stato parimenti ricordato in precedenza, sostanzialmente, ai punti 62 e 63 della presente sentenza, la qualificazione di un’operazione come «cessione di beni», ai sensi dell’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), della direttiva IVA, dipende dalla questione se essa soddisfi i criteri oggettivi sui quali è fondata tale nozione, ricordati al punto 56 della presente sentenza, e non può dipendere dal rispetto di formalità doganali né dall’intenzione del soggetto passivo o di un altro operatore che intervenga nella medesima catena di cessione.
Tuttavia, come risulta dall’articolo 131 della direttiva IVA, le esenzioni previste ai capi da 2 a 9 del titolo IX di tale direttiva, del quale fanno parte gli articoli 146 e 147, si applicano alle condizioni che gli Stati membri stabiliscono per assicurare la corretta e semplice applicazione di dette esenzioni e per prevenire ogni possibile evasione, elusione e abuso. Inoltre, l’articolo 273 della direttiva IVA dispone che gli Stati membri possono stabilire altri obblighi che essi ritengano necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e ad evitare evasioni.
A tal proposito la Corte ha già statuito che, nell’esercizio dei poteri che detti articoli 131 e 273 conferiscono loro, gli Stati membri devono rispettare i principi generali del diritto che fanno parte dell’ordinamento giuridico dell’Unione, tra i quali figura, in particolare, il principio di proporzionalità (v., in tal senso, sentenze del 28 febbraio 2018, Pieńkowski, C-307/16, EU:C:2018:124, punto 33 e giurisprudenza ivi citata, e del 17 ottobre 2019, Unitel, C-653/18, EU:C:2019:876, punto 26).
Per quanto attiene al summenzionato principio, occorre ricordare che una prassi nazionale eccede quanto necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta nel caso in cui subordini essenzialmente il diritto all’esenzione dall’IVA al rispetto di obblighi formali, senza che siano presi in considerazione i requisiti sostanziali e, in particolare, senza porsi la questione se questi ultimi siano stati soddisfatti. Le operazioni devono infatti essere tassate prendendo in considerazione le loro caratteristiche oggettive (v., per analogia, sentenza del 17 ottobre 2019, Unitel, C-653/18, EU:C:2019:876, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).
Qualora detti requisiti sostanziali siano soddisfatti, il principio di neutralità fiscale esige che l’esenzione dall’IVA sia concessa anche se determinati requisiti formali sono stati omessi da parte dei soggetti passivi (sentenza del 17 ottobre 2019, Unitel, C-653/18, EU:C:2019:876, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).
Secondo la giurisprudenza della Corte, esistono due sole fattispecie nelle quali l’inosservanza di un requisito formale può comportare la perdita del diritto all’esenzione dall’IVA (sentenza del 17 ottobre 2019, Unitel, C-653/18, EU:C:2019:876, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).
In primo luogo, la violazione di un requisito formale può portare al diniego dell’esenzione dall’IVA se tale violazione ha come effetto d’impedire che sia fornita la prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali (sentenza del 17 ottobre 2019, Unitel, C-653/18, EU:C:2019:876, punto 30 e giurisprudenza ivi citata).
Considerati gli interrogativi formulati dal giudice del rinvio, occorre al riguardo ricordare che, certamente, l’esenzione di cui all’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), della direttiva IVA costituisce «un’esenzione all’esportazione» e che è quindi necessario che l’effettiva esistenza di tale esportazione sia dimostrata in un modo reputato soddisfacente dalle autorità tributarie competenti. Un siffatto requisito, che riguarda quindi le condizioni sostanziali necessarie affinché tale esenzione sia concessa, non può, pertanto, essere considerato un obbligo meramente formale ai sensi della giurisprudenza rammentata al punto 71 della presente sentenza (v., in tal senso, sentenze dell’8 novembre 2018, Cartrans Spedition, C-495/17, EU:C:2018:887, punti 47 e 48, e del 28 marzo 2019, Vinš, C-275/18, EU:C:2019:265, punto 36).
Tuttavia, non può essere imposta una modalità di prova che ne escluda qualsiasi altra e deve essere ammesso ogni altro elemento di prova che consenta di avvalorare la convinzione così richiesta dall’autorità tributaria competente (v., in tal senso, sentenza dell’8 novembre 2018, Cartrans Spedition, C-495/17, EU:C:2018:887, punti 49 e 50).
Nel caso di specie, come già rilevato al punto 57 della presente sentenza, è tuttavia pacifico che cessioni di beni, ai sensi dell’articolo 14 della direttiva IVA, hanno avuto luogo, che i beni interessati dalle operazioni di cui trattasi nel procedimento principale sono stati trasportati fuori dell’Unione dai loro acquirenti e che l’uscita effettiva di tali beni dal territorio dell’Unione è attestata, per ciascuna delle cessioni di cui trattasi, da un visto apposto dall’autorità doganale di uscita su un modulo in possesso del soggetto passivo.
Orbene, il fatto che il modulo di cui trattasi nel procedimento principale sia destinato all’applicazione dell’esenzione prevista all’articolo 147 della direttiva IVA non esclude che il visto ivi apposto possa consentire di ritenere che il requisito sostanziale consistente nell’effettiva uscita dei beni dal territorio dell’Unione sia stato soddisfatto. Infatti, da un lato, l’apposizione di un simile visto su una fattura o su un documento equivalente costituisce una modalità di prova dell’esportazione dei beni di cui trattasi fuori dell’Unione espressamente ammessa all’articolo 147, paragrafo 2, della direttiva IVA. Dall’altro lato, il vincolo dei beni interessati a un regime doganale dell’esportazione, indipendentemente dal fatto che sia stato posto prima o dopo l’esportazione, costituisce un obbligo formale che, per di più, rientra non nel sistema comune dell’IVA, bensì nel regime doganale. Pertanto, l’inosservanza di tale obbligo non esclude di per sé che le condizioni sostanziali che giustificano il riconoscimento di tale esenzione siano soddisfatte (v., in tal senso, sentenza del 28 marzo 2019, Vinš, C-275/18, EU:C:2019:265, punto 39).
In tali circostanze, non rispetta il principio di proporzionalità il fatto di ostare al riconoscimento di un’esenzione dall’IVA per una cessione di beni all’esportazione per il motivo che il soggetto passivo interessato non abbia effettuato la procedura di uscita doganale di tali beni e non disponga dei documenti necessari – sebbene sia pacifico che tali beni siano stati effettivamente esportati conformemente ai criteri ricordati al punto 56 della presente sentenza, circostanza questa che è attestata da un visto apposto dall’autorità doganale di uscita – e che tale cessione risponda quindi, per le sue caratteristiche oggettive, alle condizioni per l’esenzione previste all’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), della direttiva IVA (v., per analogia, sentenza del 28 marzo 2019, Vinš, C-275/18, EU:C:2019:265, punto 30). Spetta al giudice del rinvio effettuare le necessarie verifiche al riguardo.
In secondo luogo, il principio di neutralità fiscale non può essere invocato, ai fini dell’esenzione dall’IVA, da un soggetto passivo che abbia partecipato intenzionalmente a una frode fiscale mettendo a repentaglio il funzionamento del sistema comune dell’IVA. Secondo la giurisprudenza della Corte, non è contrario al diritto dell’Unione esigere che un operatore agisca in buona fede e adotti tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a partecipare a una frode fiscale. Nell’ipotesi in cui il soggetto passivo di cui trattasi sapesse o avrebbe dovuto sapere che l’operazione da esso effettuata rientrava in una frode posta in essere dall’acquirente e non avesse adottato tutte le misure ragionevoli a sua disposizione per evitare la frode medesima, dovrebbe essergli negato il beneficio dell’esenzione (sentenza del 17 ottobre 2019, Unitel, C-653/18, EU:C:2019:876, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).
Il fornitore non può invece essere considerato responsabile del pagamento dell’IVA indipendentemente dal suo coinvolgimento nella frode commessa dall’acquirente. Infatti, sarebbe manifestamente sproporzionato imputare a un soggetto passivo i mancati introiti tributari causati dai comportamenti fraudolenti di terzi sui quali esso non ha alcuna influenza (sentenza del 17 ottobre 2019, Unitel, C-653/18, EU:C:2019:876, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).
Al riguardo, la Corte ha già dichiarato che, in una fattispecie in cui le condizioni dell’esenzione all’esportazione previste dall’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), della direttiva IVA, segnatamente l’uscita dei beni in questione dal territorio doganale dell’Unione, sono soddisfatte, nessuna IVA è dovuta per tale cessione e, in tali circostanze, non esiste più, in via di principio, un rischio di evasione fiscale o di perdite fiscali che possa giustificare l’assoggettamento all’imposta dell’operazione in parola (sentenze del 19 dicembre 2013, BDV Hungary Trading, C-563/12, EU:C:2013:854, punto 40, e del 17 ottobre 2019, Unitel, C-653/18, EU:C:2019:876, punto 35)
Occorre altresì ricordare che la Corte ha già dichiarato che la circostanza che gli atti fraudolenti siano stati commessi in uno Stato terzo non può essere sufficiente a escludere l’esistenza di qualsiasi frode che metta a repentaglio il funzionamento del sistema comune dell’IVA e che il giudice nazionale è tenuto, in tali circostanze, a verificare che le operazioni in questione rientrassero effettivamente nell’ambito di una simile frode e, se così fosse, a valutare se il soggetto passivo lo sapesse o avrebbe dovuto saperlo (v., in tal senso, sentenza del 17 ottobre 2019, Unitel, C-653/18, EU:C:2019:876, punto 37).
Tuttavia, nel caso di specie, il giudice del rinvio non fornisce precisazioni sulla natura della frode commessa dalla Bakati, in particolare la misura in cui il comportamento di quest’ultima sarebbe stato all’origine di perdite fiscali o avrebbe messo a repentaglio il funzionamento di tale sistema comune. Al riguardo, il solo eventuale aumento del fatturato di tale società, a scapito di quello dei suoi concorrenti, non può, a priori, costituire una siffatta messa in pericolo.
Inoltre, occorre rilevare che l’applicazione di un’esenzione all’esportazione, ai sensi dell’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), della direttiva IVA, non dipende dall’esercizio di un’opzione da parte del soggetto passivo, in quanto il beneficio di una siffatta esenzione opera, in linea di principio, ipso iure quando le condizioni sostanziali previste a tal fine sono soddisfatte, conformemente alla giurisprudenza ricordata al punto 56 della presente sentenza. Pertanto, contrariamente a quanto sembra ipotizzare il giudice del rinvio, gli insegnamenti della giurisprudenza derivante dalla sentenza del 17 maggio 2018, Vámos (C-566/16, EU:C:2018:321), e relativi alla possibilità, per uno Stato membro, di escludere l’applicazione retroattiva del regime speciale di imposizione dell’IVA che prevede una franchigia per le piccole imprese a un soggetto passivo che soddisfi le condizioni sostanziali necessarie a tal riguardo, ma che non si sia avvalso della facoltà di optare per l’applicazione di tale regime contemporaneamente alla dichiarazione di inizio delle sue attività economiche all’amministrazione tributaria, non possono essere trasposti in circostanze come quelle di cui al procedimento principale.
Tuttavia, dalla formulazione stessa della quinta questione pregiudiziale nonché dalla motivazione della decisione di rinvio risulta che la Bakati ha partecipato alla violazione dell’articolo 147, paragrafo 1, della direttiva IVA.
Una siffatta violazione puntuale di una disposizione della direttiva IVA che non comporta una perdita di gettito fiscale per l’Unione non può tuttavia essere considerata tale da mettere a repentaglio il funzionamento del sistema comune dell’IVA.
Pertanto, senza escludere la possibilità che una siffatta violazione possa, in forza del diritto nazionale, essere soggetta a sanzioni amministrative proporzionate, quali l’irrogazione di sanzioni pecuniarie, non può essere penalizzata con il diniego del beneficio dell’esenzione dall’IVA per le esportazioni effettivamente realizzate.
Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla quinta questione dichiarando che l’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), e l’articolo 147 della direttiva IVA nonché i principi di neutralità fiscale e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una prassi nazionale in forza della quale l’amministrazione tributaria nega automaticamente a un soggetto passivo il beneficio dell’esenzione dall’IVA prevista dall’una e dall’altra di tali disposizioni, qualora constati che tale soggetto passivo ha emesso in malafede il modulo in base al quale l’acquirente si è avvalso dell’esenzione prevista dall’articolo 147, laddove venga accertato che i beni interessati hanno lasciato il territorio dell’Unione europea. In simili circostanze, il beneficio dell’esenzione dall’IVA prevista all’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), deve essere negato qualora la violazione di un requisito formale abbia l’effetto di impedire che venga apportata la prova certa della sussistenza dei requisiti sostanziali che condizionano l’applicazione di tale esenzione o qualora venga accertato che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione in questione rientrava nell’ambito di una frode idonea a mettere a repentaglio il funzionamento del sistema comune dell’IVA.
Sulle spese
Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:
L’esenzione prevista all’articolo 147, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, a favore dei «beni destinati ad essere trasportati nel bagaglio personale dei viaggiatori» deve essere interpretata nel senso che non rientrano in quest’ultima i beni che un privato non stabilito nell’Unione europea trasporta con sé al di fuori dell’Unione europea a fini commerciali, in vista della loro rivendita in uno Stato terzo.
L’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), e l’articolo 147 della direttiva 2006/112 devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una giurisprudenza nazionale in forza della quale, qualora l’amministrazione tributaria constati che le condizioni per l’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto (IVA) prevista per i beni destinati ad essere trasportati nel bagaglio personale dei viaggiatori non sono soddisfatte, ma che i beni di cui trattasi sono stati effettivamente trasportati fuori dell’Unione europea dall’acquirente, essa è tenuta a esaminare se l’esenzione dall’IVA prevista a tale articolo 146, paragrafo 1, lettera b), possa essere applicata alla cessione in questione, anche qualora le formalità doganali applicabili non siano state espletate e, al momento dell’acquisto, l’acquirente non intendesse veder applicata quest’ultima esenzione.
L’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), e l’articolo 147 della direttiva 2006/112 nonché i principi di neutralità fiscale e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una prassi nazionale in forza della quale l’amministrazione tributaria nega automaticamente a un soggetto passivo il beneficio dell’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto (IVA) prevista dall’una e dall’altra di tali disposizioni, qualora constati che tale soggetto passivo ha emesso in malafede il modulo in base al quale l’acquirente si è avvalso dell’esenzione prevista dall’articolo 147, laddove venga accertato che i beni interessati hanno lasciato il territorio dell’Unione europea. In simili circostanze, il beneficio dell’esenzione dall’IVA prevista all’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), deve essere negato qualora la violazione di un requisito formale abbia l’effetto di impedire che venga apportata la prova certa della sussistenza dei requisiti sostanziali che condizionano l’applicazione di tale esenzione o qualora venga accertato che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione in questione rientrava nell’ambito di una frode idonea a mettere a repentaglio il funzionamento del sistema comune dell’IVA.
Firme
* Lingua processuale: l’ungherese.