Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 22 dicembre 2010. The Commissioners for Her Majesty’s Revenue and Customs contro Weald Leasing Ltd. Domanda di pronuncia pregiudiziale : Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) - Regno Unito. Sesta direttiva IVA - Nozioni di "pratica abusiva" - Operazioni di leasing effettuate da un gruppo di imprese e dirette a ripartire il pagamento dell’IVA non detraibile. Causa C-103/09.
Causa C-103/09
The Commissioners for Her Majesty’s Revenue and Customs
contro
Weald Leasing Ltd
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division)]
«Sesta direttiva IVA — Nozioni di “pratica abusiva” — Operazioni di leasing effettuate da un gruppo di imprese e dirette a ripartire il pagamento dell’IVA non detraibile»
Massime della sentenza
Disposizioni tributarie — Armonizzazione delle legislazioni — Imposte sulla cifra d’affari — Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto — Sesta direttiva — Operazioni costitutive di una pratica abusiva — Nozione
Disposizioni tributarie — Armonizzazione delle legislazioni — Imposte sulla cifra d’affari — Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto — Sesta direttiva — Operazioni costitutive di una pratica abusiva
(Direttiva del Consiglio 77/388)
1. Il vantaggio fiscale derivante dal fatto che una società ricorra ad operazioni di leasing su beni, invece che all’acquisto diretto di tali beni, non costituisce un vantaggio fiscale il cui ottenimento sarebbe contrario allo scopo perseguito dalle disposizioni pertinenti della sesta direttiva 77/388, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, come modificata dalla direttiva 95/7, e della normativa nazionale che traspone tale direttiva, purché le condizioni contrattuali relative a tali operazioni, in particolare quelle riguardanti la fissazione dell’importo dei canoni locativi, corrispondano a normali condizioni di mercato e il coinvolgimento in tali operazioni di una società terza intermediaria non sia atto ad ostacolare l’applicazione delle citate disposizioni, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
Il fatto che tale impresa non effettui operazioni di leasing nell’ambito delle sue normali operazioni commerciali è ininfluente a tale proposito. Infatti, la constatazione dell’esistenza di una pratica abusiva deriva non dalla natura delle operazioni commerciali cui si dedica normalmente il soggetto che effettua le operazioni, bensì dallo scopo, dalla finalità e dagli effetti di tali operazioni.
(v. punti 44, 45, dispositivo 1)
2. Se talune condizioni contrattuali relative alle operazioni di leasing cui ricorre un’impresa e/o il coinvolgimento di una società terza intermediaria in tali operazioni costituiscono una pratica abusiva, dette operazioni devono essere ridefinite in maniera da ristabilire la situazione quale sarebbe esistita in assenza degli elementi di tali condizioni contrattuali che hanno natura abusiva e/o senza il coinvolgimento di tale società. In tale contesto, la ridefinizione operata non deve eccedere quanto necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta sul valore aggiunto ed evitare le frodi.
(v. punti 52, 53, dispositivo 2)
SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)
22 dicembre 2010 (*)
«Sesta direttiva IVA – Nozioni di “pratica abusiva” – Operazioni di leasing effettuate da un gruppo di imprese e dirette a ripartire il pagamento dell’IVA non detraibile»
Nel procedimento C-103/09,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dalla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) (Regno Unito) con decisione 24 febbraio 2009, pervenuta in cancelleria il 13 marzo 2009, nella causa
The Commissioners for Her Majesty’s Revenue and Customs
contro
Weald Leasing Ltd,
LA CORTE (Terza Sezione),
composta dal sig. K. Lenaerts, presidente di sezione, dal sig. D. Šváby, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta (relatore), dai sigg. E. Juhász e T. von Danwitz, giudici,
avvocato generale: sig. J. Mazák
cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 3 giugno 2010,
considerate le osservazioni presentate:
– per la Weald Leasing Ltd, dal sig. M. Conlon, QC, e dalla sig.ra N. Shaw, barrister, su mandato del sig. S. Walsh, solicitor;
– per il governo del Regno Unito, dal sig. S. Ossowski, in qualità di agente, assistito dalla sig.ra M. Hall, barrister;
– per l’Irlanda, dal sig. D. O’Hagan, in qualità di agente, assistito dal sig. A. Aston, SC;
– per il governo ellenico, dal sig. G. Kanellopoulos nonché dalle sig.re S. Trekli e M. Tassopoulou, in qualità di agenti;
– per il governo italiano, dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dal sig. F. Arena, avvocato dello Stato;
– per la Commissione europea, dal sig. R. Lyal e dalla sig.ra M. Afonso, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 26 ottobre 2010,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della nozione di «pratica abusiva», ai sensi delle sentenze 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax e a. (Racc.pag. I-1609), 21 febbraio 2008, causa C-425/06, Part Service (Racc.pag. I-897), nonché 22 maggio 2008, causa C-162/07, Ampliscientifica e Amplifin (Racc. pag. I-4019).
Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra i Commissioners for Her Majesty’s Revenue and Customs (in prosieguo: i «Commissioners») e la Weald Leasing Ltd (in prosieguo: la «Weald Leasing») in merito all’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA») dovuta da tale società per talune operazioni di leasing da essa effettuate.
Contesto normativo
La normativa dell’Unione
L’art. 2, n. 1, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1), come modificata dalla direttiva del Consiglio 10 aprile 1995, 95/7/CE (GU L 102, pag. 18; in prosieguo: la «sesta direttiva»), dispone quanto segue:
«Sono soggette all’[IVA]:
1. le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale».
L’art. 17, n. 2, lett. a), della sesta direttiva, nella versione risultante dall’art. 28 septies di quest’ultima, prevede quanto segue:
«Nella misura in cui beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo è autorizzato a dedurre dall’imposta di cui è debitore:
a) l’ [IVA] dovuta o assolta per le merci che gli sono o gli saranno fornite e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo».
L’art. 27 della sesta direttiva è redatto come segue:
«1. Il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione, può autorizzare ogni Stato membro a mantenere o introdurre misure particolari di deroga alla presente direttiva, allo scopo di semplificare la riscossione dell’imposta o di evitare talune frodi o evasioni fiscali. Le misure aventi lo scopo di semplificare la riscossione dell’imposta non devono influire, se non in misura trascurabile, sul’importo dell’imposta da versare allo stadio del consumo finale.
2. Lo Stato membro che desidera introdurre misure di cui al paragrafo 1 ne riferisce alla Commissione fornendole tutti i dati atti alla valutazione.
3. La Commissione ne informa gli altri Stati membri entro un mese.
4. La decisione del Consiglio sarà ritenuta acquisita se, entro due mesi dall’informazione di cui al paragrafo 3, né la Commissione né uno Stato membro hanno chiesto che il caso sia esaminato dal Consiglio.
5. Gli Stati membri che il 1° gennaio 1977 applicano misure particolari del tipo di quelle di cui al paragrafo 1 possono mantenerle purché le notifichino alla Commissione anteriormente al 1° gennaio 1978 e purché tali misure siano conformi, se si tratta di misure destinate a semplificare la riscossione dell’imposta, al criterio definito al paragrafo 1».
La normativa nazionale
L’allegato 6, art. 1, della legge del 1994 sull’IVA (Value Added Tax Act 1994; in prosieguo: il «VAT Act 1994») prevede quanto segue:
«1(1) Quando
a) il valore di una fornitura effettuata da un soggetto passivo per un controvalore in denaro è (fatto salvo questo articolo) inferiore al suo valore di mercato, e
b) il soggetto che effettua la fornitura e il soggetto destinatario di quest’ultima sono collegati, e,
c) se la fornitura è soggetta ad imposta, il destinatario della fornitura non ha, in base agli artt. 25 e 26, diritto al credito per l’intero importo IVA sulla fornitura,
i Commissioners possono ordinare che il valore della fornitura sia portato al suo valore di mercato».
Causa principale e questioni pregiudiziali
Il gruppo di società Churchill (in prosieguo: il «gruppo Churchill») presta prevalentemente servizi di assicurazione esenti da IVA.
La Churchill Management Ltd (in prosieguo: la «CML») e le sue controllate, la Churchill Accident Repair Centre (in prosieguo: la «CARC») e la Weald Leasing, fanno parte del gruppo Churchill.
La CML e la CARC hanno una percentuale di recupero dell’IVA assolta a monte pari approssimativamente all’1%, sicché, quando acquistano beni strumentali, possono detrarre solo l’1% dell’IVA pagata all’acquisto di tali beni.
L’attività commerciale della Weald Leasing consiste nell’acquistare i beni strumentali in questione e nel concederli in leasing.
La Suas Ltd (in prosieguo: la «Suas») è una società che appartiene interamente al consulente fiscale per l’IVA del gruppo Churchill ed a sua moglie, ma non fa parte del gruppo. L’unica attività commerciale rilevante della Suas è quella di prendere in leasing i beni della Weald Leasing e sublocarli alla CML ed alla CARC.
Quando la CML o la CARC necessitavano di nuove attrezzature, queste ultime venivano acquistate dalla Weald Leasing, che le concedeva in leasing alla Suas, la quale, a sua volta, le sublocava alla CML o alla CARC.
Mettendo in pratica tale serie di operazioni, la CML e la CARC evitavano di acquistare direttamente le attrezzature necessarie o di pagare in una sola volta l’importo totale dell’IVA non detraibile dovuta su tali acquisti.
Tali operazioni avevano lo scopo di ripartire il pagamento del detto importo, al fine di differire l’onere fiscale in capo al gruppo Churchill.
Infatti, la CML e la CARC dovevano pagare direttamente l’IVA non detraibile non già sul costo pieno dei beni acquistati, ma sull’importo del canone di locazione relativo a tali beni, ripartito su tutta la durata dei contratti di leasing.
I Commissioners hanno disposto accertamenti IVA, a seguito dei quali hanno respinto la domanda della Weald Leasing volta a detrarre l’IVA applicata a monte sui beni concessi in leasing nel periodo tra l’ottobre del 2000 e l’ottobre del 2004, con il motivo che le operazioni in questione non erano attività economiche e che costituivano un abuso di diritto.
La Weald Leasing ha impugnato tali accertamenti, sostenendo che tali operazioni non erano state realizzate al solo fine di ottenere vantaggi fiscali e che effettuare forniture imponibili di beni attraverso operazioni di leasing non era contrario agli scopi della sesta direttiva.
Dopo la pronuncia della sentenza Halifax e a., citata supra, i Commissioners hanno abbandonato la tesi secondo cui le dette operazioni di leasing non erano attività economiche ed hanno sostenuto unicamente che le stesse costituivano una pratica abusiva.
Con decisione 7 febbraio 2007 il VAT and Duties Tribunal ha ritenuto che lo scopo essenziale delle operazioni controverse fosse di ottenere un vantaggio fiscale, consistente nel differire l’onere del pagamento dell’IVA a carico del gruppo Churchill mediante la conclusione di contratti di leasing, ma che tale vantaggio non era contrario agli scopi delle rilevanti disposizioni della sesta direttiva.
Tale giudice ha inoltre rilevato che un abuso di diritto sarebbe potuto sorgere non dai contratti di leasing di per sé stessi, ma dal livello dei canoni di leasing e dagli accordi diretti ad evitare l’emissione di un’ordinanza da parte dei Commissioners ai sensi dell’allegato 6 del VAT Act 1994.
I Commissioners hanno proposto ricorso avverso tale decisione dinanzi alla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division, sostenendo che il vantaggio fiscale ottenuto dal gruppo Churchill fosse contrario agli scopi della sesta direttiva.
Con decisione 16 gennaio 2008 la High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division, ha respinto il ricorso dei Commissioners avverso tale decisione, in quanto il fatto che le operazioni in questione non fossero avvenute nel contesto di normali operazioni commerciali non era sufficiente per concludere che si trattava di pratiche abusive, poiché il vantaggio fiscale ottenuto dal gruppo Churchill con tali operazioni non era contrario al principio di neutralità fiscale o a qualsivoglia altra disposizione della sesta direttiva.
Avverso tale decisione i Commissioners hanno proposto appello dinanzi al giudice del rinvio in quanto la High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division, aveva omesso di esaminare la questione se i contratti di leasing di cui trattasi rientrassero nell’ambito delle normali operazioni commerciali delle parti. Secondo loro, sarebbe contrario agli scopi della sesta direttiva consentire al soggetto passivo di detrarre l’IVA applicata a monte su operazioni prive di un reale scopo commerciale, le quali non sono effettuate in condizioni normali di mercato, non comportano gli oneri e i rischi normalmente collegati a siffatti contratti e non sono state concluse nell’ambito delle normali operazioni commerciali delle controparti.
In tale contesto, la Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se, in circostanze come quelle del caso in esame, in cui un operatore commerciale ampiamente esentato adotta una struttura contrattuale per il leasing di beni che coinvolge un terzo intermediario, invece di acquistare tali beni in un’unica soluzione, tale struttura di leasing di beni o taluni suoi elementi diano origine a un vantaggio fiscale contrario agli scopi della sesta direttiva, secondo quanto evidenziato nel punto 74 della sentenza [Halifax e a., cit.].
2) Se, avuto riguardo al fatto che la sesta direttiva IVA contempla il leasing di beni da parte di operatori commerciali esentati o parzialmente esentati, e considerato il riferimento della Corte alle “normali operazioni commerciali” nei punti 69 e 80 della sentenza Halifax [e a., cit.] nonché al punto 27 della sentenza [Ampliscientifica e Amplifin, cit.], come anche l’assenza di siffatto riferimento nella sentenza [Part Service, cit.,] tale leasing costituisca una pratica abusiva di un operatore commerciale esentato o parzialmente esentato sebbene, nell’ambito delle sue normali operazioni commerciali, questi non effettui operazioni di leasing.
3) In caso di risposta affermativa alla questione sub 2:
a) quale sia la rilevanza dell’espressione “normali operazioni commerciali” nel contesto dei punti 74 e 75 della sentenza Halifax [e a., cit.], se tale espressione sia rilevante per il punto 74, per il punto 75 o per entrambi;
b) se il riferimento alle “normali operazioni commerciali” sia un riferimento a:
– operazioni che il soggetto passivo in questione effettua tipicamente;
– operazioni in cui due o più parti si impegnano in normali condizioni di mercato;
– operazioni che sono sostenibili sotto il profilo commerciale;
– operazioni che danno luogo ad oneri commerciali e a rischi tipicamente associati ai vantaggi commerciali collegati;
– operazioni che non sono artificiose in quanto hanno una portata commerciale;
– qualsiasi altro tipo o categoria di operazioni.
4) Se la struttura del contratto di leasing di beni o una parte di esso è ritenuta costituire una pratica abusiva, quale sia la ridefinizione appropriata. In particolare, se il tribunale nazionale o l’autorità tributaria debba:
a) ignorare l’esistenza del terzo intermediario e ordinare che l’IVA sia pagata sul valore di mercato dei canoni;
b) ridefinire la struttura del contratto di leasing come un acquisto in un’unica soluzione, o
c) ridefinire le operazioni in qualsiasi altro modo che il giudice nazionale o l’autorità tributaria considerino appropriato per ristabilire la situazione che sarebbe prevalsa in assenza delle operazioni che costituiscono pratica abusiva».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulle questioni prima e seconda
Con le sue questioni prima e seconda, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede essenzialmente se il fatto che un’impresa ricorra a operazioni di leasing aventi ad oggetto beni come quelli di cui trattasi nella causa principale, coinvolgendo una società terza intermediaria, invece di acquistare direttamente tali beni, dia origine a un vantaggio fiscale contrario agli scopi perseguiti dalle disposizioni della sesta direttiva e se, nei limiti in cui detta impresa non effettui operazioni di leasing nell’ambito delle sue normali operazioni commerciali, il ricorso a siffatte operazioni costituisca una pratica abusiva.
Si deve ricordare che l’applicazione della normativa dell’Unione non può essere estesa sino a comprendere i comportamenti abusivi di operatori economici, vale a dire le operazioni realizzate non nell’ambito di transazioni commerciali normali, bensì al solo scopo di beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto dell’Unione, e che tale principio che vieta le pratiche abusive si applica anche in materia di IVA (v. sentenze Halifax e a., cit., punti 69 e 70, nonché Ampliscientifica e Amplifin, cit., punto 27).
Peraltro, la scelta, da parte di un imprenditore, tra operazioni esenti ed operazioni soggette ad imposta può basarsi su un insieme di elementi, in particolare su considerazioni di natura fiscale attinenti al regime obiettivo dell’IVA. Quando un soggetto passivo ha la scelta tra due operazioni, la sesta direttiva non impone di scegliere quella che implica un maggiore pagamento di IVA. Al contrario, il soggetto passivo ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permette di limitare la sua contribuzione fiscale (v. citate sentenze Halifax e a., punto 73, nonché Part Service, punto 47).
In tale contesto, la Corte ha dichiarato che, in materia di IVA, l’esistenza di un pratica abusiva può essere riconosciuta qualora si verifichino due condizioni.
Da un lato, le operazioni controverse, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della sesta direttiva e della legislazione nazionale che la traspone, hanno il risultato di procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da tali disposizioni (v. citate sentenze Halifax e a., punto 74, nonché Part Service, punto 42).
Dall’altro lato, deve altresì risultare da un insieme di elementi oggettivi che lo scopo delle operazioni controverse è essenzialmente l’ottenimento di un vantaggio fiscale. Infatti, il divieto di comportamenti abusivi non vale più ove le operazioni di cui trattasi possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di vantaggi fiscali (v. citate sentenze Halifax e a., punto 75, nonché Part Service, punto 42).
Per quanto riguarda la causa principale, emerge dalla decisione di rinvio che lo scopo essenziale delle operazioni di leasing controverse nella causa principale era l’ottenimento di un vantaggio fiscale, vale a dire la ripartizione del pagamento dell’importo dell’IVA relativa alle acquisizioni in parola, al fine di differire l’onere fiscale in capo al gruppo Churchill.
Tuttavia, per accertare l’esistenza di una pratica abusiva, è anche necessario che, nonostante la formale applicazione delle condizioni previste dalle disposizioni pertinenti della sesta direttiva e della normativa nazionale che traspone quest’ultima, tale vantaggio fiscale sia contrario allo scopo perseguito da tali disposizioni.
A tale proposito, si deve rammentare che le operazioni di leasing rientrano nell’ambito di applicazione della sesta direttiva e che il vantaggio fiscale eventualmente risultante dal ricorso a siffatte operazioni non costituisce, di per sé, un vantaggio fiscale contrario allo scopo perseguito dalle disposizioni pertinenti di tale direttiva e della normativa nazionale che traspone quest’ultima.
Infatti, non si può contestare ad un soggetto passivo di aver scelto un’operazione di leasing che gli procura un vantaggio consistente, come emerge dalla decisione di rinvio, nella ripartizione del pagamento del suo onere fiscale, invece di un’operazione di acquisto, che non gli procura un siffatto vantaggio, nei limiti in cui l’IVA relativa a tale operazione di leasing viene debitamente e integralmente corrisposta.
Orbene, non è controverso che ciò si verifichi nel caso dell’IVA relativa alle operazioni di leasing di cui trattasi nella causa principale e che, per ciascuna di tali operazioni, le società interessate hanno versato l’importo corretto dell’IVA a monte e hanno detratto, laddove possibile, l’importo corretto dell’IVA a monte.
Infatti, la Weald Leasing ha potuto detrarre l’IVA relativa ai beni da essa acquisiti in ragione del fatto che essa non esercita attività di assicurazione, bensì attività di leasing soggette all’IVA e non esenti.
Parimenti, la CML e la CARC non hanno detratto l’IVA relativa ai canoni locativi pagati alla Suas, in quanto essa non era recuperabile per il 99% del suo importo.
Inoltre, il ricorso ad un’operazione di leasing per un bene non implica, di per sé, che l’importo dell’IVA relativa a tale operazione sia inferiore a quello che sarebbe stato versato in caso di acquisto di tale bene.
Pertanto, il giudice del rinvio dovrà determinare, da un lato, se le condizioni contrattuali relative alle operazioni di leasing oggetto della causa principale siano contrarie alle disposizioni della sesta direttiva e della normativa nazionale che traspone quest’ultima. Ciò si verificherebbe, in particolare, nel caso in cui sia stabilito un importo dei canoni locativi che sia molto più basso del normale e non corrisponda ad alcuna realtà economica.
D’altro lato, tale giudice dovrà parimenti determinare se il coinvolgimento in tali operazioni di una società terza intermediaria, nel caso di specie la Suas, sia atto ad ostacolare l’applicazione di tali disposizioni.
A tale proposito, detto giudice dovrà accertare, in particolare, se, come emerge da taluni documenti del fascicolo ed è stato esposto in udienza, il coinvolgimento della Suas nelle citate operazioni abbia impedito ai Commissioners di applicare a queste ultime l’allegato 6, art. 1, del VAT Act 1994.
In tale contesto, non può essere accolto l’argomento della Weald Leasing secondo il quale il principio di divieto delle pratiche abusive non si applica alla violazione di tale disposizione in quanto quest’ultima rientrerebbe unicamente nell’ambito di applicazione del diritto nazionale, dal momento che la citata disposizione è stata adottata sul fondamento dell’art. 27 della sesta direttiva e che essa fa parte della normativa nazionale di attuazione di tale direttiva.
Peraltro, le considerazioni suesposte non sono infirmate dalla circostanza che un’impresa, la quale ricorra ad operazioni di leasing come quelle controverse nella causa principale, non effettui operazioni di leasing nell’ambito delle sue normali operazioni commerciali.
Infatti, la constatazione dell’esistenza di una pratica abusiva deriva non dalla natura delle operazioni commerciali cui si dedica normalmente il soggetto che effettua le operazioni di cui trattasi, bensì dallo scopo, dalla finalità e dagli effetti di tali operazioni.
Pertanto, si devono risolvere la prima e la seconda questione dichiarando che il vantaggio fiscale derivante dal fatto che una società ricorra ad operazioni di leasing su beni come quelli oggetto della causa principale, invece che all’acquisto diretto di tali beni, non costituisce un vantaggio fiscale il cui ottenimento sarebbe contrario allo scopo perseguito dalle disposizioni pertinenti della sesta direttiva e della normativa nazionale che traspone quest’ultima, purché le condizioni contrattuali relative a tali operazioni, in particolare quelle riguardanti la fissazione dell’importo dei canoni locativi, corrispondano a normali condizioni di mercato e il coinvolgimento in tali operazioni di una società terza intermediaria non sia atto ad ostacolare l’applicazione delle citate disposizioni, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Il fatto che tale impresa non effettui operazioni di leasing nell’ambito delle sue normali operazioni commerciali è ininfluente a tale proposito.
Sulla terza questione
Alla luce della soluzione apportata alla prima ed alla seconda questione, non è necessario risolvere la terza.
Sulla quarta questione
Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, quale sia la ridefinizione appropriata delle operazioni controverse nella causa principale se esse o una parte di esse dovessero costituire una pratica abusiva.
A tale proposito si deve rammentare che, qualora si accerti l’esistenza di una pratica abusiva, le operazioni implicate in quest’ultima devono essere ridefinite in maniera da ristabilire la situazione quale sarebbe esistita senza le operazioni che hanno fondato tale pratica abusiva (v. sentenza Halifax e a., cit., punti 94 e 98).
In primo luogo, spetta dunque al giudice del rinvio determinare, in base alle indicazioni fornite in risposta alla prima e alla seconda questione, se taluni elementi delle operazioni di leasing di cui trattasi nella causa principale possano fondare una pratica abusiva.
In caso di soluzione affermativa spetterebbe, in secondo luogo, a tale giudice ridefinire tali operazioni in maniera da ristabilire la situazione quale sarebbe esistita senza gli elementi che hanno fondato tale pratica abusiva.
Quindi, nell’ipotesi in cui il giudice del rinvio giungesse alla conclusione che alcune delle condizioni contrattuali relative alle operazioni di leasing controverse nella causa principale e/o l’intervento della Suas in tali operazioni costituiscano una pratica abusiva, tale giudice dovrebbe ridefinire le citate operazioni senza tener conto dell’esistenza della Suas e/o modificando o disapplicando tali condizioni contrattuali.
In tale contesto, la ridefinizione operata da detto giudice non deve eccedere quanto necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’IVA ed evitare le frodi (v., in tal senso, sentenza Halifax e a., cit., punto 92).
Si deve pertanto risolvere la quarta questione dichiarando che, se talune condizioni contrattuali relative alle operazioni di leasing controverse nella causa principale e/o il coinvolgimento di una società terza intermediaria in tali operazioni costituiscono una pratica abusiva, dette operazioni devono essere ridefinite in maniera da ristabilire la situazione quale sarebbe esistita in assenza degli elementi di tali condizioni contrattuali che hanno natura abusiva e/o senza il coinvolgimento di tale società.
Sulle spese
Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:
Il vantaggio fiscale derivante dal fatto che una società ricorra ad operazioni di leasing su beni come quelli oggetto della causa principale, invece che all’acquisto diretto di tali beni, non costituisce un vantaggio fiscale il cui ottenimento sarebbe contrario allo scopo perseguito dalle disposizioni pertinenti della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva del Consiglio 10 aprile 1995, 95/7/CE, e della normativa nazionale che traspone tale direttiva, purché le condizioni contrattuali relative a tali operazioni, in particolare quelle riguardanti la fissazione dell’importo dei canoni locativi, corrispondano a normali condizioni di mercato e il coinvolgimento in tali operazioni di una società terza intermediaria non sia atto ad ostacolare l’applicazione delle citate disposizioni, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Il fatto che tale impresa non effettui operazioni di leasing nell’ambito delle sue normali operazioni commerciali è ininfluente a tale proposito.
Se talune condizioni contrattuali relative alle operazioni di leasing controverse nella causa principale e/o il coinvolgimento di una società terza intermediaria in tali operazioni costituiscono una pratica abusiva, dette operazioni devono essere ridefinite in maniera da ristabilire la situazione quale sarebbe esistita in assenza degli elementi di tali condizioni contrattuali che hanno natura abusiva e/o senza il coinvolgimento di tale società.
Firme
* Lingua processuale: l’inglese.